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Autore: Losiliel    27/01/2023    1 recensioni
Morifinwë Carnistir Fëanárion, giovane nipote del re dei Noldor, vive in un meraviglioso palazzo nella splendente città di Tirion, in una terra benedetta da ogni ricchezza, circondato da una famiglia unita e numerosa. La sua vita sembra perfetta sotto ogni aspetto.
Peccato che lui non la pensi affatto così.
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[ Caranthir-centrico | coming of age | vita dei Noldor in Aman | Anni degli Alberi ]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caranthir, Fëanor, Figli di Fëanor, Nerdanel, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Los Tales'
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6

Una nuova conoscenza

(o quando ti tocca subire l’assalto di una bambina inarrestabile)

 

Più proseguiva con le lezioni, meno diventava sgradevole andare alla fattoria. Per la sua terza visita, Morifinwë si procurò dei pasticcini alla crema.

Lissi lo aspettava sulla porta di ingresso già aperta. Indossava un abitino a fiori e aveva dei nastri nei capelli; sfogava la sua impazienza saltellando sulle punte dei piedi.

Questa volta lui mise tra sé e la bambina il pacchetto dei dolcetti per evitare di essere investito da un altro abbraccio imbarazzante, come chi sventola un pezzetto di carne davanti a una belva feroce nel tentativo di non essere sbranato. Ma lei lo ignorò e si strinse lo stesso alle sue ginocchia.

– Moryo! – strillò, – vieni a vedere i cavalli! È nato un nuovo puledro.

Morifinwë si divincolò, a disagio, e andò con lo sguardo alla ricerca di Elle, ma questa volta la donna non venne in suo soccorso.

C’era da aspettarselo. Dopo la sua sceneggiata dell’ultima volta, non poteva certo biasimarla se non voleva più aver niente a che fare con lui. Ci aveva ripensato durante la settimana, nei rari momenti in cui non era impegnato a preoccuparsi per le gare o a maledire Tyelkormo per il brutto tiro che gli aveva giocato, ed era arrivato ad ammettere che si era comportato da vero maleducato.

– Non posso far aspettare il maestro – disse, rivolto alla piccola. Poi, vista l’aria affranta della bambina, aggiunse: – Non vorrai mica che mi sgridi.

Lissi aggrottò le sopracciglia. – Lo zio non sgrida mai nessuno – commentò, perplessa.

Morifinwë approfittò della sua esitazione per aggirarla ed entrare in casa.

– Erano per me quelli? – gli giunse da dietro la voce della piccola, carica di aspettativa.

Morifinwë, che si era quasi dimenticato di avere in mano il pacchetto dei dolci, precisò: – Per te e anche per gli altri bambini.

E proprio in quel momento vide Elle che risaliva il corridoio nella loro direzione, alta e silenziosa, col suo vestito azzurro e i capelli raccolti. Il sollievo che provò lo colse talmente di sorpresa che si accorse di aver alzato una mano per salutarla solo quando lei gli restituì il saluto.

– Buongiorno, Elle – le disse.

– Morifinwë figlio di Fëanáro che saluta, quale evento! – disse lei, ma non c’era aria di rimprovero nella sua voce bassa e roca, né altro segnale che facesse pensare che fosse scontenta di vederlo. Anzi, per un attimo gli parve di scorgere l’ombra di un sorriso sul suo volto severo e fu sul punto di ricambiarlo.

Poi realizzò che, in effetti, tutte le volte che si erano incontrati non le aveva mai rivolto un saluto e si affrettò a cambiare discorso.

– Ho dei dolcetti per i bambini – disse, – ma forse è meglio che li lasci a te.

– No! – esclamò Lissi, mentre Elle prendeva il pacchetto che lui le stava porgendo.

– Sì, invece – disse la donna. – Ci penserò io a distribuirli. Equamente. – Si rivolse alla piccola: – Corri a chiamare gli altri.

Lissi fece una smorfia e uscì di casa.

– Non devi sentirti obbligato a portare qualcosa ogni volta che vieni – gli disse Elle.

– No, no… lo so – cominciò Morifinwë, e andò alla ricerca di qualcosa per giustificarsi, – è mia mamma che insiste.

Appena le parole gli uscirono di bocca, si rese conto di quanto sembrassero infantili. E false anche.

Elle finse educatamente di crederci: – Allora ringraziala molto da parte nostra.

– Lo farò – disse Morifinwë in automatico. – Ora vado – si affrettò ad aggiungere, e imboccò il corridoio in direzione dello studio.

Arsanarwë lo torturò per tutto il pomeriggio con domande sempre più difficili sugli argomenti di cui avevano discusso la lezione precedente, interrogandolo su come, secondo lui, si sarebbero potuti applicare tali concetti ai vari ambiti del sapere, e poi invitandolo a portare i ragionamenti su un piano più astratto e ad azzardare nuove teorie.

Fu una lezione interessante e faticosa, che ebbe il pregio di tenerlo lontano da pensieri spiacevoli, come le gare o Tyelkormo, ma talmente estenuante che quando il maestro lo lasciò libero di andare, Morifinwë stava seriamente prendendo in considerazione l’ipotesi di cambiare insegnante e tornare a lezioni più brevi e più frequenti.

Uscì dallo studio chiedendosi se Elle sarebbe stata così gentile da offrirgli ancora del succo di mela, quando fu vittima di un’imboscata di Lissi, che gli balzò addosso esclamando: – Adesso non hai più scuse! Devi venire a vedere il mio puledro!

– È già diventato il tuo? – chiese Morifinwë, mentre lanciava uno sguardo in direzione della cucina.

– Mamma mi ha detto che sarà tutto mio se riesco a prendermene cura. Tu hai un cavallo tutto tuo? – proseguì la bambina, prendendolo per mano e trascinandolo in zone della casa a lui sconosciute.

– Certo – rispose lui. Che razza di domanda era? Ogni figlio di Fëanáro aveva un cavallo proprio.

– E riesci a prendertene cura?

Morifinwë ci pensò su. Non si occupava lui di Morvail, per quel compito c’erano Velmo e i ragazzi che lavoravano alle scuderie.

– Certamente – mentì, mentre seguiva la piccola fuori da una porta sul retro in un cortile in terra battuta grande quanto il piazzale antistante la fattoria.

Laurelin cominciava a sfiorire e il cielo era coperto di nuvole basse e sfilacciate che ne attenuavano il riverbero. Sotto quella luce, il terreno assumeva i toni dell’ocra e la polvere smossa dal vento della sera si alzava qua e là in sbuffi dorati.

Sul lato sinistro del cortile, la terra battuta lasciava il posto a un prato che si estendeva a perdita d’occhio, coprendo morbidi declivi. Sembrava un mare d’erba incontaminato, ma guardando con attenzione si riuscivano a distinguere ampie aree recintate in cui i cavalli erano liberi di correre e brucare. All’orizzonte, una costruzione bassa e lunga rivelava la presenza delle scuderie.

Sulla destra il cortile era delimitato da una vigna dalle foglie scure e carica di pesanti grappoli viola, mentre il lato di fronte a loro era chiuso da un fienile sotto il cui portico alcune persone erano indaffarate in lavori che Morifinwë non ebbe il tempo di riconoscere, perché Lissi, tirandolo per la mano, si incamminò subito in direzione dei pascoli.

Morifinwë si lasciò condurre tra i recinti ed ebbe modo di vedere da vicino i cavalli. Erano davvero degli esemplari meravigliosi, che non avevano nulla da invidiare a quelli che risiedevano nelle scuderie di casa sua.

Giunti a metà strada tra il cortile e l’edificio verso cui erano diretti, furono sorpresi da una voce alle loro spalle

– Chi è il tuo amico, Lissi?

Morifinwë si voltò e vide un ragazzo più o meno della sua età avanzare verso di loro. Capelli che sfioravano le spalle, una camicia che aveva visto tempi migliori e pantaloni di tela che non arrivavano a coprire le caviglie, sembrava la versione maschile e più cresciuta di Lissi. Stessi ricci scuri, stessi occhi castani, luminosi.

Morifinwë si accorse che teneva ancora per mano la piccola e la lasciò immediatamente. Già che c’era, ne approfittò per sistemarsi la camicia e togliersi i capelli dal viso.

– Morifinwë, figlio di Fëanáro – si presentò.

Il ragazzo si avvicinò con un sorriso così sincero che lui, del tutto inaspettatamente, si trovò ad aggiungere: – Ma chiamami Moryo, che si fa prima.

– Piacere di conoscerti, Moryo – disse l’altro, e strinse la mano che Morifinwë  gli stava porgendo con una presa salda e ruvida, – io sono Káino, il fratello di Lissi.

– Káino? – ripeté lui, impegnato nell’infondere nella stretta di mano una sicurezza che non provava.

– Sarebbe Kainambárion, ma nessuno mi chiama così – precisò Káino, lasciando la presa. – Siamo i figli della sorella di Rowen.

Morifinwë ci mise un istante a ricordarsi che Rowen era la moglie del maestro.

– Lo sto portando a vedere il piccolino – si intromise Lissi, rimpossessandosi della mano di Morifinwë come se temesse di vederselo portar via dal fratello.

Káino abbozzò un finto inchino e li invitò con la mano a proseguire per la loro strada.

Non avevano fatto che pochi passi quando la voce del ragazzo li fece voltare di nuovo: – Lissi, dopo passa dal campo, che ti mostro cosa ho imparato e… Moryo… grazie per i pasticcini, erano fenomenali!

Lissi fece una smorfia contrariata, evidentemente condividere i dolci non era stato nei suoi piani, poi gli spiegò: – Káino sta imparando a montare a cavallo come i Nati all’Est, l’hai mai visto fare?

Morifinwë pensò all’unico Nato all’Est che conoscesse abbastanza bene da sapere come montava a cavallo, vale a dire il nonno, e fu certo che lo faceva esattamente come tutti gli altri. Credette di aver capito male e stava per chiedere chiarimenti alla piccola quando raggiunsero le scuderie.

Lissi lasciò la sua mano e si precipitò all’interno; Morifinwë, entrato subito dietro di lei, la vide correre per il corridoio centrale, tra i musi dei cavalli che si affacciavano curiosi fuori dalle loro celle.

La bambina si fermò davanti a una cella apparentemente vuota e si girò verso di lui, come fosse in attesa di qualcosa. Morifinwë buttò l’occhio oltre lo sportello e vide una giumenta adagiata sul pagliericcio, con accanto il suo piccolo accoccolato tra le zampe. La madre gli leccava il collo come volesse pettinargli quei pochi peli che sarebbero presto diventati una criniera.

Morifinwë si sentì tirare una manica e finalmente capì quello che voleva la piccola. Cauto come se stesse maneggiando un crogiolo pieno di metallo fuso, la afferrò sotto le ascelle e la sollevò, tenendola a debita distanza dal corpo. Ma Lissi gli gettò le braccia al collo, si agganciò con le gambe alla sua vita e, guadagnata una posizione sicura, cominciò a lanciare urletti di gioia e a dire: – È bellissimo, Moryo, non ti sembra bellissimo? È così bellissimo che lo chiamerò “Bellissimo”. Non ti sembra un bel nome?

Morifinwë la sentiva appena. Era troppo impegnato a domandarsi come poteva essersi cacciato in quella situazione, con in braccio la logorroica figlia di un’allevatrice che sicuramente gli stava sporcando tutta la camicia con le sue scarpette infangate, e che gli stava tirando i capelli nel tentativo di non scivolare dalle sue braccia.

E soprattutto, si stava domandando come mai tutto ciò non lo stesse minimamente infastidendo.

– Ehm… forse è meglio “Magnifico”? – si sentì dire.

– Hai ragione: Magnifico… lo chiamerò così! Andiamo subito a dirlo alla mamma!

– Rallenta, piccola – disse lui. – Se non vado subito a casa, sarò io che dovrò vedermela con mia mamma.

Lissi sembrò rimuginare sul principio noto a tutti i bambini di Arda che le mamme è meglio non farle arrabbiare, e fece un secco cenno affermativo con la testa facendo ondeggiare ricci e nastri.

– Prima però dobbiamo vedere Káino, tanto è sulla strada. A domani piccolino! – disse rivolta al puledro. Morifinwë lo interpretò come il segnale per rimetterla a terra, e insieme ritornarono all’aperto. Individuarono, poco distante, il campo in cui si trovava il ragazzo e ne scavalcarono la staccionata.

Káino cavalcava un animale pezzato di modeste dimensioni, con macchie color liquirizia su un manto bianco. Quando li vide arrivare andò loro incontro, saltò giù al volo e lasciò che il cavallo proseguisse la sua corsa.

– Quello è Haninkë – disse Lissi, indicando l’animale che si allontanava, – si chiama così perché zia Rowen l’ha regalato a Káino il giorno in cui sono nata io, che sono la sua sorellina…

– Va bene, Lis, glielo racconti un’altra volta – la interruppe Káino, che chiaramente non vedeva l’ora di mostrare ai suoi spettatori ciò che sapeva fare. Poi si allontanò di qualche passo e disse: – State a guardare!

Il ragazzo fischiò e Haninkë cominciò a trottare verso di loro. Morifinwë e Lissi, d’istinto, si tirarono indietro, mentre Káino, al contrario, gli corse incontro.

Quando si accorse che lo scontro tra il ragazzo e il cavallo sarebbe stato inevitabile, Morifinwë trattenne a stento un grido. Ma al momento dell’impatto, Káino allungò un braccio e colpì con la mano un punto appena sopra la spalla dell’animale. La potenza dell’urto fece alzare il ragazzo da terra che, invece di sfracellarsi al suolo, finì – chissà come – in groppa al destriero. Leggermente sbilanciato, Káino dovette afferrarsi per un attimo alla criniera per non scivolare. Haninkë continuò la sua corsa senza perdere un colpo e il ragazzo lanciò un ululato di gioia.

Nel vederlo allontanarsi Morifinwë si accorse di essere rimasto a bocca aperta. Non aveva mai visto nessuno fare una cosa del genere.

– Ma come ha fatto? – balbettò.

– Gli ha insegnato Elle – rispose Lissi.

Se prima Morifinwë era sbalordito, ora gli cadde letteralmente la mascella. – Chi?

– Elle – ripeté la piccola. Poi, per spiegarsi meglio, aggiunse: – La nostra Elle.

Lui trasse l’ovvia conclusione: – Elle è una Nata all’Est?

– Certo! – esclamò Lissi, come se fosse la cosa più scontata del mondo. Poi abbassò la voce e aggiunse: – Secondo me ha anche il tatuaggio del Cacciatore sotto il bracciale, non credi?

Quale tatuaggio? avrebbe voluto chiedere Morifinwë. Ma le parole non vennero fuori.

Stava pensando alla settimana precedente, quando lui e la donna avevano guardato insieme il cielo che si tingeva d’argento, e lui aveva avuto l’impressione di essere diventato adulto. Pensò alla strana sensazione di condivisione che aveva provato.

Gli venne da ridere all’assurdità della cosa. Quella donna aveva fatto la Grande Marcia, poteva avere l’età di suo nonno. Doveva avere l’età di suo nonno. Cosa mai avrebbero potuto condividere?

Lissi lo richiamò alla realtà: – Moryo? Ti sei incantato?

– No, ma ora devo proprio andare – rispose, ancora immerso nei suoi pensieri.

– Io rientro dopo, con Káino – la bambina indicò il fratello che stava tornando verso di loro, – voglio andare di nuovo a vedere Magnifico.

Káino li raggiunse e scese da cavallo: – Lasciami pure la zavorra, Moryo – disse, lanciando Lissi in groppa all’animale e risalendo dietro di lei.

Poi aggiunse: – Ho visto il tuo cavallo, laggiù nel piazzale. Magari uno di questi giorni andiamo a fare una corsa fin su al nord, conosco un sacco di bei posti.

– Volentieri – rispose Moryo, distrattamente, mentre i due già si allontanavano. Poi, all’ultimo, gridò: – Gran bel salto, comunque!

Káino sollevò un pugno nell’aria e partì al galoppo.

Morifinwë si diresse verso la fattoria, accodandosi ad altre persone che ritornavano a casa per la cena. Rientrò dall’ingresso posteriore, e quando passò davanti alla cucina la vide affollata di gente al lavoro attorno al tavolo e presso il forno. Elle era tra loro, indaffarata.

Si fermò un istante a guardarla, ma prima di essere notato passò oltre. Era confuso, e non capiva perché.

Non che la cosa fosse una novità, comunque. Da un anno a quella parte, gli capitava spesso di non riuscire a decifrare i suoi sentimenti. Le emozioni lo assalivano all’improvviso, quasi sempre contrastanti tra loro. Una sensazione tutt’altro che piacevole, che lo rendeva nervoso, e che aveva il problematico effetto collaterale di farlo litigare con la prima persona che gli capitava a tiro.

Ma quella sera, mentre cavalcava sulla via di casa accarezzando la folta criniera di Morvail, non c’era nessuno con cui prendersela e nella sua testa c’era soltanto una gran confusione.

C’era il ragazzo, Káino, e la sua incredibile acrobazia, e l’ammirazione sconfinata che Morifinwë aveva provato per lui. Ma insieme all’ammirazione, intrinsecamente legata ad essa, quasi indistinguibile come lo zucchero una volta sciolto nel tè, c’era un sentimento molto meno nobile che lui conosceva bene: l’invidia.

E poi c’era la piccola Lissi, e l’affetto che era nato per lei, imprevisto e improvviso, quando Morifinwë l’aveva tenuta in braccio: un esserino vibrante di gioia e di fiducia incondizionata. Ma anche l’affetto racchiudeva al suo interno qualcosa di terrificante, e in certa parte fastidioso, qualcosa legato all’impegno, alla responsabilità, al tradire le aspettative.

E infine c’era Elle.

Mentre risaliva le pendici di Túna sotto basse nuvole grigie che ne nascondevano la cima, Morifinwë non poteva fare a meno di ripensare a lei, e di valutare ogni singolo aspetto della donna alla luce di ciò che aveva scoperto sulle sue origini.

Ogni sua caratteristica assumeva un nuovo significato: il suo sguardo impassibile era quello di chi ha già visto tutto, il suo corpo atletico quello di chi ha dovuto sopravvivere in condizioni estreme, i suoi silenzi enigmatici quelli di chi custodisce un passato doloroso. Tutto questo lo affascinava e allo stesso tempo lo spaventava. Lo attraeva e lo teneva lontano.

Morifinwë si passò le mani sul viso, esasperato, e guardò il cielo sempre più coperto di nubi. Quando era più piccolo, la rabbia era rabbia, la gioia era gioia, la paura, paura. Le emozioni erano pure e semplici, non mescolate e confuse. Se essere adulti significava essere travolto dalle contraddizioni, non era sicuro di volerlo diventare tanto presto.

Alle porte di Tirion cominciarono a cadere le prime gocce. Morifinwë spinse Morvail al galoppo per andare incontro alla pioggia, come se l’acqua potesse sciacquare via anche i dubbi che macchiavano i suoi sentimenti.


 


NOTE

Grazie mille a chi è arrivato fin qui! E per chi vorrà continuare... a venerdì prossimo con un nuovo capitolo!

Nomi canonici, conversione Quenya - Sindarin
Morifinwë, Moryo = Caranthir
Tyelkormo = Celegorm
Fëanáro = Fëanor

Personaggi di mia invenzione
Arsanarwë, il maestro di matematica di Morifinwë
Velmo, il responsabile delle scuderie del palazzo di Fëanáro
Lissi, una bambina, nipote di Arsanarwë
Kainambárion detto Káino, un ragazzo dell’età di Morifinwë, fratello maggiore di Lissi. Nome composto da Kaina (done, actual, real) e Ambar (world), interpretabile come “colui che appartiene al mondo reale”. [Nota: “Káino” si pronuncia come “daino” ma con la k]
Rowen, la moglie di Arsanarwë, fondatrice della fattoria, allevatrice di cavalli. Il nome è un epessë (soprannome) che deriva da Rocco (horse) e Wendë (maiden) per la cui creazione devo ringraziare la mia beta. Grazie Kan!
Morvail, il cavallo di Morifinwë
Haninkë, il cavallo di Káino. Nome composto da Hanno (brother) col suffisso -inkë. Il suo significato è “fratellino”, da cui il riferimento alla “sorellina” fatto da Lissi
 

  
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