Buongiorno;
non aggiornavo Il Crepuscolo da così tanto tempo
che non mi ricordavo neanche dove fossi arrivata.
Metà di questo capitolo è stato scritto un anno
buono fa e la seconda metà in
questi giorni, detto questo credo si veda, la differenza credo si noti,
spero
di poter riprendere bene questa storia ed anche I Barbari (che ho
ricominciato a
scrivere). Detto questo, ho finalmente, definitivamente, chiuso il mio
ciclo di
studi e presto comincerò a lavorare, questo vuol dire che
avrò meno tempo
libero, ma quello che avrò sarà più
definito.
Detto questo, il capitolo non è stato betato e temo si veda,
probabilmente
presto riprenderò definitivamente tutta la storia e la
rivedrò da capo.
Oltre ciò, il capitolo voleva avere una disamina sulle
cacciatrici di Artemide,
ma credo non sia venuto bene per nulla e quindi probabilmente ne
parleremo più
avanti, probabilmente con Champ.
Buona
lettura
RLandH
I
L C R E P
U S C O L O D
E G L I
I D O L I
Bells
LaFayett
contro una serie di scelte piuttosto questionabili.
(Bellatrix III)
Alabaster
aveva riempito una
ciotola trafugata da una delle stanze – Bells era
genuinamente ammirata da come
e quando l’avesse trafugata. Piccolo tombarolo.
Aveva accesso un fuoco con la sua magia, “Passami quello che
hai preso dal macellaio”
aveva dichiarato Alabaster, così Bells gli aveva passato il
sacchetto che gli
era stato affidato dal Crepuscolo.
“Quindi, ecco, il gestore era piuttosto confuso dalla mia
richiesta. Ossa e
grasso in avanzo. Neanche chi fa la sportina per il cane prende queste
cose”
aveva dichiarato Bells, ricordando le commissioni che gli erano state
assegnate.
“Sì, lo so. Al campo di solito ci insegnano a
regalare agli Dei parti del pranzo,
ma questa non è una semplice offerta” aveva
raccontato Al.
“Lo diceva il libro che ci ha dato Chris?” aveva
chiesto inoltre July,
chinandosi appena, teneva tra le mani un bicchiere di carta con un
cappuccio di
plastica. “Lo diceva anche Prometeo, ma non sono sorpresa che
non lo abbiate
ascoltato mezza-volta” aveva raccontato Alabaster sicuro.
Prima che una delle due potesse dire qualcosa, il figlio di Ecate aveva
schioccato le dita, dalla tasca della sua camicia, era uscito il suo
fantasma
domestico.
“Dimmi che non mi hai fatto uscire solo per una lezione di
mitologia” aveva
detto subito IL Dottor Horward, piuttosto seccato. “Uhm
… mi devo concentrare,
stiamo letteralmente grattando sotto il culo di Zeus. Sto convocando
una dea di
cui non so niente, neanche il nome, e devo dire una cosa …
agli Dei non piace
essere forzati a fare qualsiasi cosa ed io non piaccio agli
Dei” aveva
replicato Alabaster, “Senza dimenticare che io sono
l’imbucato nella storia”
aveva aggiunto il ragazzo.
July si era mossa e gli aveva arruffato i capelli, con gentilezza, nel
tempo
che erano stati assieme dovevano essersi legati parecchio.
Bells ricordava Alabaster mischiarsi solo con i suoi fratelli, e con il
ragazzo
che non parlava mai, mentre July, prima del labirinto era una persona
divertente – un po’ leziosa – sempre in
compagnia di Mary Beauchamp, dopo la
sua disavventura si era fatta più acre, cattiva, non verso
le altre persone, ma
se stessa ed il mondo.
In quel momento, sembrava più se stessa.
“Tieni” aveva detto July allungando il
caffè verso Alabaster, “Ne ho già preso
uno, non voglio morire di infarto” si era difeso quello.
July aveva fatto una smorfia, “Prima di tutto è un
nocciolino, secondo quando
ho incontrato Orual vicino all’Acquario lei aveva preso
questo. Così ho pensato
…” aveva cominciato lei, Alabaster
l’aveva guardata, con gli occhioni verdi ben
spalancati, “Prima che tu dica qualcosa, no, non guastare il
rituale, ma
ammorbidirla dopo” aveva aggiunto.
Alabaster aveva sorriso con dolcezza, “Buona idea”
aveva dichiarato quello. “Certi
Drink ti svoltano la giornata” aveva scherzato
July, dal suo tono sembrava
avesse citato qualcosa, ma a Bells mancava il referente.
Di rimando lei, si era voltato verso il Lare, piuttosto seccato.
“Okay, va bene! Pensare che non mi ero sposato per non dover
rispondere ai
perché dei bambini” aveva esordito lo spettro,
“Allora Prometeo, quello del
fuoco, lo conoscete sì?” aveva cominciato il Dr.
Horward.
“Sì, nel senso che lo conosciamo
proprio” aveva risposto Bells, “Fa delle
ottime Omelette” aveva aggiunto con una punta di divertimento
July.
Il lare aveva aggrottato le sopracciglia opalescenti, “Bene;
quando gli uomini
dovevano decidere in che modo fosse d’uopo sacrificare agli
dei, quali parti
dare agli Dei, dell’animale. Prometeo – sempre
pronto ad aiutare gli uomini –
si offrì di aiutarlo. Siccome era un titano intelligente e
l’intelligenza
spesso si accompagna con la furbizia, decise di farlo alle sue
condizioni,
ingannando Zeus. Disse agli uomini di dare agli Dei la
possibilità di scegliere
quali parti avere dell’animale avere.
Sarebbe stato ideale, ma Prometeo disse anche agli uomini di spalmare
le ossa
di grasso e di mettere invece la carne buona nascosta sotto alle
frattaglie,
prima di presentare le parti agli Dei. Zeus e i suoi compagni furono
ingannato
dall’aspetto grasso e succulento delle ossa piene di grasso e
scelsero quelle,
lasciando agli uomini le frattaglie, ignari che il vero
gustosità fosse lì.
Ovviamente, Zeus quando lo scoprì fu adirato, ma non poteva
rimangiarsi la parola,
così tolse loro il fuoco” aveva dichiarato Horward.
“Ovviamente Zeus non china mai il capo” aveva
mormorato Bells, agghiacciata,
“Ovviamente Prometeo è sempre dalla nostra parte,
voleva aiutare gli uomini,
gli dei erano già immortali, volevano anche la
bistecca” aveva aggiunto July,
spostando una ciocca di capelli neri dietro l’orecchio.
“Immagino che se si fosse fatto gli affari propri, la
situazione …” aveva
cominciato Horward ma era stato interrotto da una risata di Bells,
“Mi spiace,
siamo parte del Fanclub Prometeo” aveva detto allegramente.
“Certo, siamo Presidente, Portavoce e Tesoriere!”
aveva ammesso July. Anche
Alabaster aveva dato il suo assenso, mentre continuava tranquillamente
a
spalmare le costine con il grasso.
Bells le aveva sorriso; si sentiva a casa.
No, non esattamente, casa era un concetto famigliare, accogliente,
quella
sensazione lì, lo era, ma solo per metà, era
ammantato di nostalgia. Non era
come tornare a casa, era come tornare in un posto che si era
conosciuto, in cui
si era stata bene. Esistere in un momento al di là del
tempo, sospeso.
Non sarebbe durata e non per la maledizione di cui parlava Alabaster,
ma perché
Bells doveva andare via.
Alla fine sarebbe andata via.
Perché aveva fatto la sua scelta.
Ma fino a quel momento …. July si era lanciata su di lei e
l’aveva braccata,
facendola cadere poi per terra, un sibilo aveva fenduto
l’aria ed una freccia
si era conficcata sulla coscia di marmo di Eracle, sfiorando di poco la
testa
di Alabaster.
“Be, se somiglia a sua nipote, potrei iscrivermi anche io al
Fan-Club di
Prometeo” aveva tubato una voce.
Bells aveva girato il capo vedendola, lì
sull’uscio, tranquilla come fosse
stata ad un passeggiata c’era una figura, armata
d’arco e freccia.
“Divina Artemide!” si era lasciata sfuggire Bells,
prima di realizzare, che non
lo era.
La sconosciuta somigliava alla Signora della Natura in modo spaventoso,
i
capelli dei colore della rugine, stretti in una treccia severa,
l’incarnato
olivastro ed occhi allungati di un giallo inteso. Era più
matura di quanto non
fosse mai stata nessuna manifestazione di Artemide, ma ad
un’occhiata veloce
somigliava alle statue della Diana più della dea stessa.
La donna aveva un arco d’argento che teneva pronto ad una
mano ed una faretra
piena di frecce, legata da una cintola di traverso. Sotto esibiva una
maglietta
aderente con una scritta di paillettes – e Bells aveva la
vaga idea di sapere
cosa fosse – e i pantaloni da trekking color cargo.
Sicuramente a Bells lo stile piaceva un sacco.
L’unica cosa che avrebbe stonato dal suo aspetto da
ragazzaccia era una cappa
di pelliccia, fermata da un bottone sulla gola.
“No, meglio!” aveva ghignato la sconosciuta,
“Io sono Kallisto, sorellina!” le
aveva detto, impegnandosi in una riverenza parodistica.
“Ed hai mancato il bersaglio!” l’aveva
rimproverata un voce cavernosa, alle
spalle della ragazza, che pur essendo snella e slanciata, appariva in
quel
momento come una piccola bambina, era comparso una bestia scimmiesca.
Enorme,
era un uomo Enorme, coperto di irsuto pelo nerissimo e con tre teste,
tutte con
occhi rossi, famelici e bocche piegate in smorfie soddisfatte.
“Non ho mancato,
era un avvertimento!” si era difesa Callisto.
“Potevi almeno distruggere quella faccia da bravo ragazzo ad
Ercole” aveva
grugnito il mostro.
“Lui è Caco, un gigante come potete capire non
potete vincere” aveva ghignato
la donna.
“Dopo la disavventura con Erittone, avevamo avuto una serie
fortunata” aveva
dichiarato July tirandosi su ed estraendo dalla tasca una limetta per
le
unghie, che subito aveva cominciato a cambiare la sua forma.
Bells si era portata una mano all’orecchino con la spada, ma
si era arrestata,
sfilandosi un anello che presto era diventato uno scudo tondo.
“Ragazze …” aveva cominciato Alabaster.
“ Torrington, tu continua con
l’invocazione, qui avremmo bisogno di una dea a
breve” aveva detto July con
fermezza.
“Dimmi Bellatryx vuoi Lara Croft o Chewbecca?” le
aveva chiesto.
“Io voglio lei” aveva scelto per
lei Kallisto, scoccando a gran velocità
una freccia verso di lei, Bells si era parata fulminea con lo scudo, in
tempo,
sebbene la freccia avesse perforato la parte di legno a qualche
centimetro
dall’ambone.
“Dalla maglietta mi pare di capire che tu abbia fatto una
pausa a Johnston!”
aveva valutato Bells tirandosi su, aveva sentito come un tonfo il
rumore delle
ossa buttate nel piatto infuocato da Al e le sue prime parole:
“Ascolta
Orual, o qualunque nome tu preferisca essere chiamata[1]
…”
Kallisto
aveva sollevato di nuovo
l’arco e l’aveva fatto scattare contro Bells,
“Be, sai com’è … Io e
Ifigenia
siamo amiche da qualche millennio o giù di lì,
inoltre Theos capisce il mio
dolore” prima di lasciare la freccia.
Bells era rotolata per terra, il tempo che la freccia sfrigolasse solo
contro
il polpaccio della sua gamba.
Caco si era lanciato su July, che sembrava molto più calma
di lei; la figlia di
Nyx non aveva tempo per guardarla, ma nonostante la lancia alla mano
l’altra
sembrava piuttosto intenzionata a non muoversi.
“E che ne pensano del tuo esserti alleata ai
giganti?” aveva chiesto Bells,
tirandosi su come una molla e prendendo con una mano
l’orecchino a forma di
spada, che subito si era tramutato nella sua versione quattro volte
più grande.
Bells aveva posato la spada sul lato piatto, sull’orlo
superiore dello scudo,
che aveva usato ancora come difesa.
Kallisto non aveva perso il suo sorriso ferace, “Non dovevano
saperlo per
forza. Gea non ha nulla contro di loro e se continueranno a vivere nel
loro
piccolo Atollo non sarà necessario che lo
sappiamo” aveva aggiunto.
Aveva fatto saettare un’altra freccia e Bells aveva usato lo
scudo per
proteggersi, ancora una volta aveva sfondato il legno, prendendo lo
spazietto
sotto l’ambone ed aveva graffiato la parte alta
dell’avambraccio.
Bells si era lasciata sfuggire un lamento. Se avesse potuto usare le
ombre come
un tempo quello scontro sarebbe stato tremendamente più
semplice, ma così,
finchè quella era armata con le frecce e Bells non si fosse
potuta avvicinare
non sarebbe cambiato molto.
Caco aveva sfondato una parete della cappella privata, portandosi July
con lui
in una nuvola di macerie, polvere e grida disperate.
“Jules!” aveva gridato lei, prima che una freccia
le si piantasse in una
spalla, appositamente in un punto non letale.
“Sorellina! Pensa a me!” l’aveva
bacchettata Kallisto.
Era partito un allarme all’interno del museo – chi
sa che cosa doveva apparire
per i mortali quel casino.
“Pensa allo scontro, fidati di me, giovane Bellatryx, la
signorina Goldenapple
è al sicuro” le aveva dato manforte il lare.
Bells si era strappata la freccia dalle carni non senza dolore, non
sarebbe
stata sicura di quanto detto dal Dr Horward se non avesse sentito in
un’altra
ala della villa, un forte tonfo accompagnato da un lamento troppo
gutturale per
essere July.
Kallisto aveva inforcato ancora una freccia e l’aveva puntata
contro Bells,
aveva un sorriso calmo e divertito, poi aveva deviato
la mira ed aveva scoccato la sua freccia
dritta verso la testa di Al.
Bells si era lanciata verso di lui, consapevole di non essere veloce
quanto una
freccia.
Se avesse avuto l’ombra sì.
“Noooo!” aveva strillato piena
d’angoscia. Ma il dardo d’argento era bruciato
prima di raggiungere Alabaster, una nebbia opalescente, di un verde
pistacchio,
era apparsa rilucente attorno a lui.
Ah, bene, mentre July combatteva contro giganti a tre teste e lei
evitava dardi
letali, quello si era chiuso dietro una barriera?
Si, poteva fare?
“Oh Al!” si era lamentata, tirandosi su, le doleva
da impazzire la spalla.
Kallisto aveva inclinato il campo rosso, piuttosto imbarazzata, avendo
notato
come il suo colpo non avesse prodotto effetti.
“Non avevi detto che ero io la tua avversaria?”
aveva strillato Bells, dopo
aver preso la rincorsa.
Kallisto si era accorta di lei quando la figlia di Nyx le era arrivata
ad un
palmo dal naso. Aveva provato ad infilzarla con la spada, ma
l’altra
decisamente più agile di lei aveva evitato il colpo con una
mossa svelta, aveva
abbandonato l’arco. Bells aveva provato un altro affondo ed
in risposta aveva
guadagnato una pugnalata – da dove lo aveva presa la lama,
poi? – che era
riuscita a fermare con il ferro dell’ambone.
Era riuscita a colpire Kallisto solo con una ginocchiata strategica,
che aveva
fatto perdere l’equilibrio di quella per un qualche secondo.
Era finita a terra, ma facendo pressione con i palmi si era tirata su,
dando
uno slancio netto ed aveva cercato di colpire Bells.
Lei si era lanciata in avanti.
Non era in grado di distinguere con lucidità ciò
che era successo, quando il
piede, con la suola a carrarmato di Kallisto, l’aveva presa
in piena faccia.
Nella caduta aveva perso la sua spada, ma ben legato con i legacci al
braccio
aveva mantenuto lo scudo.
Anche la guerriera era crollata di nuovo a terra, con un naso storto e
fioti di
sangue ad insozzarle la parte bassa del viso. Bells doveva averla
colpita,
prima della caduta o con l’elsa della spada o con lo scudo.
La seconda realizzò, una sezione, della parte in legno, si
era staccata,
complice l’urto ed il servizio groviera, reso dalle frecce.
Aveva
buttato via lo scudo,
inutilizzabile, ed aveva guardato Kallisto tirarsi in piedi, mentre
passava il
braccio sotto il naso. “Oh, Sorellina, questo lo ho
sentito” l’aveva presa in
giro senza smettere di sorridere.
Erano nel corridoio, in qualche maniera erano usciti dal tempietto di
Ercole,
non sentiva più la preghiera di Al, così come la
confusione tra July e Caco era
andata ad acquietarsi lontano.
“Senza offesa, signora, ma ho già una sorella. E
si da il caso sia molto più
gentile di te” aveva chiesto, mentre sistemava le mani nella
posizione del
lottatore. Doveva raggiungere la sua spada, ovviamente, non credeva di
poter
essere in grado di vincere uno scontro a nocche crude contro la
leggendaria
Kallisto.
“Di sorelle ne hai tante, sorellina” aveva
dichiarato Kallisto, aveva ancora il
suo pugnale nella mano che continuava a far passare da una mano
all’altra,
“Anche io lo sono. Noi siamo figlie delle stessa
madre” aveva dichiarato con un
sorriso quasi maniacale, “Sei una figlia di Nyx?”
aveva chiesto Bells con
preoccupazione.
Luke Castellan aveva detto che erano le uniche, lei e Bernie, erano le
uniche
da molto tempo ormai.
“Nessun illustre madre, riguardo al padre, Licaone, ne avrai
sentito parlare,
immagino” aveva ghignato Kallisto, oh, be, sì,
Bells aveva sentito parlare dell’uomo-lupo
sia in relazione alla mitologia, sia alla sua ultima alleanza con Gea,
che lo
rendeva sgradito alla figlia di Nyx esattamente come la figliola
lì davanti.
“Alla maniera Naturale, si intende” aveva
specificato poi la guerriera. “Ma noi
siamo sorelle, per scelta” aveva
specificato Kallisto.
Bells aveva capito, spalancando gli occhi.
Aveva frequentato la scuola fino alla terza media, nonostante fosse
figlia di
un uomo brillante, doveva riconoscere che la dislessia non aveva reso
affatto
facile seguire le materie. Lasciare la scuola per darsi alla macchia e
partecipare ad una guerra senza speranza con Ethan e Luke, era sembrata
decisamente una cosa più nelle sue corde.
I miti però li conosceva bene, a metà
perché dà che era entrato a piena gamba
in una vicenda epica, letteralmente, si era dovuta informare, prima con
Luke,
poi … be con le altre, l’altra metà la
doveva a suo padre.
Era un astronomo, non era un esperto di letteratura, storia o altro, ma
conosceva le stelle e per diletto tutti i miti legati ad essa.
“Oh, oh, oh. Sei l’amante di Zeus!” aveva
dichiarato Bells quindi, ricordando
il mito di Kallisto, ben sapendo di andare a prendere un certo nervo.
Il viso della donna si era contratto in una maschera di furore,
“Come osi? IO
non sono una sgualdrina! Io sono stata ingannata!” aveva
esclamato quella
offesa.
“Come tre quarti delle sue amanti” aveva replicato
Bells sollevando le spalle.
Onestamente non provava molta simpatia per Zeus, neanche dopo aver
volatato le
spalle alla causa di Crono, ma le sembrava evidente non riuscire a
competere
con lucidità contro una guerriera vecchia di tremila anni e
passo, spietata e lucida.
“Ma tu eri una cacciatrice, dovevi essere
superiore” le aveva detto
Bells.
“Io sono una cacciatrice!”
aveva replicato subito Kallisto, “La più
devota tra di noi, la più devota alla signora e lei
… mi ha cacciato” aveva
detto indignata.
“Aye, lo so. Eri la più fantastigliosa,
superperfetta, Artemide2.0! Ma
poi ti sei concessa a Zeus” aveva replicato Bells.
Kallisto si era lanciata su di lei, con il coltello alla mano, pronta a
ferirla,
molto più grezza e cieca di quanto era stata prima.
Bells si era mossa, meno in fretta di quanto aveva pensato, la ferita
alla
spalla e la botta in testa, cominciavano a sentirsi nei suoi riflessi.
Aveva evitato il pugnale quel tanto che bastava per ritrovarsi un altro
taglio
sulla carne ed una sbucciatura nei pantaloni mimetici.
“IO.SONO.STATA.INGANNATA” aveva replicato Kallisto,
“La mia devozione era per
Artemide e con lei pensavo di essere” aveva urlato la donna.
Gli occhi non erano più umani. Erano feraci.
“E lei ha gettato via il mio amore, come se non fosse niente,
mi ha guardato con
sdegno. Come se fossi l’ultima creatura degna del suo
sguardo. ME! Capisci, me?
Me che l’amavo e che aveva sbagliato per il mio
amore” aveva ringhiato, sì, non
per modo di dire, era un ringhio, gutturale ed animale.
“Peccato per il veto
sull’amore, allora” aveva ridacchiato aspra.
L’immagine di Ethan Nakamura era affiorata nei suoi ricordi,
un ragazzino
magro, con l’armatura sempre troppo grande, con
un’espressione tetra cucita in
viso – non lo aveva mai visto sorridere.
“Io non sono un uomo. Il mio amore era eterno, assoluto,
privo di quella fame
disgustosa” aveva dichiarato offesa Kallisto, le sue ossa
avevano cominciato a
mutare, iniziava a sembrare sempre meno umana, riversa su quattro
zampe, con i
muscoli che stavano cominciando a ingrandirsi, come la versione
nostrana di
she-hulk.
Quando sarai più grande riparleremo, se ne avrai
ancora voglia, dei
sentimenti che provi per me.
Ricordava il sorriso circospetto di Ethan e il suo occhio
nero
scintillante.
Non ne avevano mai più parlato, era rimasto solo quel bacio
quasi disperato tra
loro … e Bernie non era mai cresciuta.
“Sempre di amore si trattava, sorella”
aveva replicato Bells, inghiottendo
il ricordo di Ethan.
Sii fedele ed ella sarà fedele.
Non
c’era più Kallisto davanti
lei, c’era una bestia mostruosa, grossa dall’irsuto
pelo nero ed una bocca
piena di denti aguzzi, era un’orsa! Più grande ed
imponente di quanto ne fosse
mai apparsa una. Non sembrava un’animale, ma uno mostro
partorito dal tartaro.
“Chi può rifiutare un amore simile?”
aveva ruggito la bestia, la sua voce era
profonda, cavernosa. “Sapevi quale fosse
l’accordo” aveva detto Bells,
“l’amore,
la dedizione ed il rancore sono sentimenti da adulti” aveva
ringhiato lei.
Era lì, non era l’amore, non semplicemente il voto
di castità, era la scelta
consapevole di non crescere. Dopo la battaglia di Manhattan Thalia
glielo aveva
spiegato, ‘Ti daranno un sacco di ragioni sul
perché bisogna rimanere pure,
davvero, tantissimi, qualcosa sulla sorellanza, la focalizzazione o
anche
l’espressione di se stesso, ma è solo questione di
maturità” le aveva
detto.
‘Siamo come i bimbi sperduti ed Artemide
è la nostra Peter Pan’ aveva
ridacchiato Bells, mentre beveva la cioccolata calda che luminosa le
aveva
detto.
‘L’amore, il dolore, la
responsabilità sono pensieri che appartengono agli
adulti. Ai bambini restano i giochi, l’ignoranza e la
spensieratezza’ le
aveva detto.
Bells lo aveva capito, aveva sentito Jeha parlare della purezza, della
luce,
della dedizione, ma lei lo aveva capito, nel tempo passato tra i
boschi, alla
caccia nei giochi.
Nei momenti di così ilare spensieratezza, in cui aveva quasi
dimenticato
Bernie, quando per la prima volta non l’aveva sentita.
Quando aveva giurato ed era stata consapevole, che non erano
più un’unica
unita, che un giorno le divideva e poi un altro, una settimana, un mese
ed un
anno.
Bells era uguale a se stessa e quando aveva visto sua sorella in un
sogno
Bernie era così diversa, aveva fianchi ampi, curve generose
e sembrava più
vicina ad una donna che una ragazzina. Un anno.
“Ti ha rifiutato perché hai osato imputarle causa
della tua adorazione” le
aveva detto calma, cercando di ignorare il dolore pulsante delle
frecce,
“Artemide ha accettato di essere tua sorella, tua signora,
protettrice, tua
madre anche, ma mai tua amante” aveva ringhiato.
‘Avevo tre anni quando chiesi a mio padre di non
sposarmi mai, di rimanere
celibe per sempre e di avere una schiera di ancelle giovani come me’
aveva
raccontato Artemide con dolcezza una volta, rischiarando i dubbi di
alcune
fanciulle.
“Questo
non ha importanza,
distruggerò le mie stupide sorelle, le farà a
pezzi, una ad una e quando
Artemide non avrà altro che dolore, sarà sul mio
pelo che piangerà” aveva
ringhiato la bestia avventandosi contro di lei, Bells si era lanciata
di lato,
ma una zampata l’aveva comunque raggiunta, su una coscia ed
era crollata a
terra. Non aveva più lo scudo, la sua spada era perduta e
non riusciva più ad
utilizzare i poteri della notte.
Da quando aveva giurato non era stata più in grado,
inizialmente aveva pensato che
fosse per colpa del giuramento, il cambio di fedeltà, ma
aveva dovuto
ricredersi: Thalia poteva incoccare fulmini come frecce, Champ evocava
il fuoco
e Luminosa era in grado di guarire perfettamente chiunque, lei
d’altronde non
era in grado.
Forse sua madre era semplicemente arrabbiata perché aveva
abbandonato la loro
causa.
“Merda!” aveva gridato per il dolore, gli artigli
di Kallisto erano affilati
come lame, “Banchetterò con le tue viscere
sorellina e porterò il tuo cuore in
dono ad Artemide” aveva ringhiato la bestia, “Le
farò dono di tutti i vostri
cuori” aveva ringhiato lei.
“Non sono esperta di relazioni romantiche, ma sono sicura che
quando si dice
donare il cuore non si parli di questo” aveva scherzato
forzatamente, mettendo
una mano sulla coscia, le lame degli artigli non l’avevano
scavata nel
profondo, ma bruciavano.
“Sei debole sorellina, ti nascondi dietro la tua arroganza,
ma sei debole. Io
non ti avrei mai voluta, anche Zoe” aveva ringhiato.
“Differentemente da te ad Artemide andavo bene”
aveva ringhiato.
Sarebbe stato menzognero dire che fosse stata la prima volta che si era
sentita
accettata, lo aveva sentito da sue infinite consorelle, Bells era stata
bene a
casa sua con suo padre e sua sorella, era stata bene sulla principessa
Andromeda, era stata bene a Manhatthan, ma era stata la prima volta che
si era
sentita leggerà.
Suo padre era così preso dai suoi libri e Bernie era stata
così aggrappata a
lei ed aveva avuto paura, una costante paura di ciò che
sarebbe successo sulla
principessa Andromeda e poi era bruciata. Ed era arrivata stanca e
pensava
sarebbe morta lì su quelle scale.
Quindi non è mancanza di fiducia la mia, ma
realismo: potrei non arrivare a
vedere il nostro glorioso nuovo mondo.
Ma aveva trovato una scappatoia. Era sopravvissuta a sé
stessa ed a Ethan e la
sua profezia aveva avuto ragione. Avrebbe vissuto un altro giorno e
forse mille
altri e non avrebbe mai, mai, permesso ad una donna frustrata ed
arrabbiata di
toglierle quella profezia.
Bernie si era sentita felice con Artemide, perché si era
sentita libera,
nonostante tutti quei vincoli, libera del suo passato, delle sue
responsabilità
e delle sue preoccupazioni, era tornata bambina che giocava nel cortile
di casa
protetta dalla palizzata bianca dei LaFayett. E non avrebbe permesso a nessun
Arvey, qualunque fosse la sua forma, qualunque fosse la sua
storia, di
buttarla giù di nuovo.
Quando la zampata di Kallisto l’aveva raggiunta non era
riuscita a colpirla,
fendendo l’aria, perché Bells si era ritrovata
altrove, sempre in quella
stanza, ma non lontana dalla sua spada, si era spostata, quasi
teletrasportata,
senza sapere bene come. Aveva utilizzato il suo potere? Non aveva
sentito
nulla.
Ci avrebbe provato dopo, aveva recuperato la sua spada e si era
lanciata contro
Kallisto, ignorando il dolore bruciante sulla sua spalla, sulla sua
coscia e
sulla sua caviglia.
Kallisto si era voltata verso di lui, con un ruggito brutale, con un
fiato
nefasto di morte, con quei denti bianchi ed aguzzi. Kallisto le aveva
morso una
spalla, ma Bells aveva ficcato una spada nella sua clavicola, tra il
pelo nero
e la pelle dura come il cuoio.
Kallisto aveva urlato di dolore, mentre lei si era morsa il labbro fino
sanguinare per non farlo, ma non c’era riuscita.
Il dolore aveva riportato Kallisto nella sua forma umana, fragile, con
la spada
che le tagliava dalla clavicola e sbucava nella schiena, anche i suoi
denti si
erano ridotti ma avevano preso un bel pezzo della carne di Bells.
“Sei debole,
sorellina” l’aveva presa in giro Kallista con un
tono pieno di folle
divertimento.
‘Tu sei la Conquistatrice. Tu vivrai Bell e
conquisterai un posto nel mondo
nuovo che tanto sogni’.
Bells aveva tirato un colpo di reni, aggrappando la gamba con la coscia
sana
sul fianco di Kallisto costringendola a rovesciarsi, mettendosi sopra,
una mano
sullo sterno della donna per tenerla giù, una
sull’elsa della sua spada per
sfilarla, con fatica. “IO SONO LA CONQUISTATRICE”
aveva detto, estraendo
la lama, sentendo lo schiocco sull’osso.
Kallisto aveva gridato, mettendo le mani sulla ferita zampillante,
aveva
bisogno di più forza, non ne aveva abbastanza, era stanca e
distrutto.
“Tu non sei … tu non sei … tu non sei?
Tu sei? Io sono la grande Kall … io”
aveva cominciato a borbottare Kallisto, i suoi occhi gialli erano
distanti,
portati nel nulla ed il suo vociare aveva cominciato a farsi
così tanto
sconnesso e confuso che non era stato più neanche in inglese.
“Non … ti ho … colpito in
testa” aveva considerato Bells perplessa, “Certo
che
non la hai fatto” una voce musicale l’aveva colta.
Bells aveva tirato su lo sguardo, osservando il viso dolce di una donna
e lei
noto. “Orual?” aveva chiesto perplessa. La donna
era davanti a lei era
splendida, con la pelle d’ambra, gli occhi antichi, capelli
scuri come le
castagne, con indosso un abito da cocktail colorato.
Aveva in una mano il nocciolino che aveva preso July per lei. Alabaster
bianco
e cinereo era al suo fianco, il suo viso era smunto e le sue occhiaie
violacee,
come se quell’evocazione lo avesse sciupato dai suoi poteri.
“Vieni tesoro, ti aiuto con il tuo corpo” aveva
detto con gentilezza Orual
attirandola a sé, le aveva passato una mano sulla spalla
ferita ed il dolore
era diventato meno forte, così aveva fatto con le altre,
“Perdonami, ma non
sono una dea fisica. Non ho vere doti di guarigione” aveva
ammesso piena di
vergogna lei, “Ma trovo il tuo animo molto più
integro”.
“Grazie Orual” aveva detto Bells, ricordava che la
dea le aveva chiesto di
chiamarla così che con qualche sofismo inutile, quando era
comparsa per
chiedere il suo aiuto.
La donna aveva sorriso, aveva dei denti bianchi e bellissimi, come una
fila di
perle, se Bells non ne fosse stata certa, avrebbe detto che Orual fosse
Afrodite.
Le avevano detto che la dea della bellezza assumeva forme di ogni
genere, ma
Orual era diversa, la sua bellezza non aveva definizione.
“Cosa le hai fatto?” aveva chiesto Bells, sentendo
il suo corpo leggermente
rinvigorito, ma ancora di più il suo spirito,
“Cose che non mi fanno onore te
ne assicuro” aveva detto Orual stanca, “Mi
occuperò io di lei. Kallisto può
sembrarvi cattiva e ciò che le hai detto è anche
vero, ha mancato il punto, ma
errare è umano e so quanto
l’amore può renderci umani e stupidi” le
aveva detto con dolcezza, “Vi raggiungerò a breve,
trovate July” aveva detto
Orual.
“July sta affrontando un gigante ha bisogno di un
dio” aveva parlato Alabaster
con vigore, mentre aiutava Bells a tirarsi su, sentiva ancora le sue
gambe
molli, “Fidati di me, questo nocciolino è troppo
buono per essere fatto da un
uomo” aveva detto loro.
Avevano
cercato July seguendo la
strada di distruzione, i mortali in visita alla Villa si erano dati
alla
macchia, chissà come la Foschia aveva corretto le loro
percezioni.
“Credo di aver usato i miei poteri” aveva detto
Bells, mentre si trascinava con
Alabaster, non era l’unica che era stata fiaccata.
“Ah, da quanto tempo non
succedeva?” aveva domandato lui, “Un anno,
circa” aveva valutato Bells,
“Manhattan” aveva aggiunto.
Cercava di ricordare davvero quando era stato l’ultima volta
che aveva usato i
suoi poteri. “Prima o dopo il cambio di bandiera?”
aveva chiesto Al,
senza cattiveria.
“Tu …” aveva detto lei con una punta di
panico, “Tu vieni da noi servendo una
dea, senza essere cambiata di un filo, Bells, non sarò tanto
cose, ma di sicuro
non sono stupido” le aveva detto. “Sono una
cacciatrice di Artemide” aveva
ammesso Bells, era strano dirlo ad alta voce, no, era strano dirlo ad
alta voce
ad Alabaster.
“Puttane frigide, non ti ci vedevo” aveva
considerato il ragazzo senza
particolare enfasi nella voce, non sembrava arrabbiato.
“Sono diverse da come me lo aspettavo” aveva
ammesso Bells, “Se somigliano a
Kallisto, immagino” aveva replicato Al, la sua voce era
leggermente più
incrinata. “Fidati sono materie ben diverse,
c’è unita, c’è pace, dei,
c’è
spensieratezza” aveva raccontato.
Al aveva emesso un verso scocciato, “Sarà
divertente sentire quando lo dirai a
tua sorella” le aveva detto.
Bells aveva deglutito, “Io so che lei non
capirà” aveva ammesso, “L’ho
messo in
conto” aveva aggiunto.
Non solo le aveva divise per sempre, aveva voltato le spalle al loro
credo,
aveva cambiato bandiera prima che la guerra stessa fosse finita.
“Come è
successo?” aveva chiesto Alabaster con più
gentilezza, “Ho visto Ethan sparire
ed ho capito quello che avrebbe voluto fare, si era sentito in colpa
per non
aver usato il veleno che avevi creato. Così lo ho inseguito,
non chiedermi
perché … ma quella mattina, io mi ero svegliata
con la sensazione che se non lo
avessi fermato non lo avrei mai più rivisto” aveva
ammesso calma; non sapeva se
i figli di Nyx avessero doti profetiche, non sapeva neanche
perché, ma quando
aveva visto la sua schiena sparire ne era stata certa, non si sarebbero
più
rivisti.
E così era stato.
Non ci sarebbe stato nessun glorioso domani per loro.
“E poi ho trovato questa ragazza sulle scale, per
l’olimpo, era ferita e
morente e … non ho potuto lasciarla, non ho potuto
proprio” aveva raccontato.
Era tornata distante su quelle scale, con a figlia di Lada, morente e
quelle
stupide caramelle al limone. “Si chiamava Dany, figlia di
Lada, è morta tra le
mie braccia e non sono riuscita a lasciarla lì”
aveva spiegato, “Guardavo
questa bambina, questa bambina come me, che era morta, come tanti altri
e davvero
Al non riuscivo a capire.”
Alabaster l’aveva guardata, gli occhi verdi erano un tumulto
di emozioni senza
controllo, stava riflettendo sulle sue parole. “Tu non sei
mai stata al Campo”
le aveva concesso poi, con un tono di voce basso, come se quella
spiegazione
bastasse.
“Lo so” aveva compreso il sottotesto Bells.
Avrebbe comunque scelto Luke se avesse conosciuto altro?
A Theos aveva detto di no, ma non ne era davvero
così sicura.
“Sei
inutile!” avevano sentito la
voce femminile acuta e famigliare di Bernie, “Ti ho detto che
non sono un dio
combattente, sono il corrispettivo di uno stagista!” si era
lamentato una voce
maschile.
A fatica Bells aveva aumentato il passo con un passo veloce,
sorreggendosi al
suo amico con una certa fatica, avevano svoltato il corridoio
infilandosi in
una stanza dedicata agli etruschi che vedeva il patrimonio di un
immenso valore
storico ed artistico dell’universo etrusco, sparso sul
pavimento in cocci.
Caco sembrava comunque molto in difficoltà, una testa
mancava, quella centrale
era tutta ammaccata, con lividi e sangue a coprirle, l’unica
sana sembrava
quella di sinistra e sembrava anche infuriata come un demonietto. July
di
rimando era fulgida, aveva un occhio pesto, un livido rosso sulla
spalla e
probabilmente un taglio verticale sulla coscia che rovinava i suoi
pantaloni
corallo, ma lei sembrava risplendere, sembrava anche più
alta, più grossa, era
difficile da spiegare.
“Sta luccicando?” aveva chiesto Bells confusa,
“Sì, sono i poteri da figlia di
Eris, più la si tormenta più diventa forte, tipo
quella volta con Eracle e la
mela” aveva spiegato Alabaster, “Non ho idea di
cosa stai dicendo” aveva
considerato Bells. “Riassunto: starà bene fino
alla fine dello scontro, poi
crollerà giù come una pera passata” le
aveva spiegato.
“Oh siete vivi!” aveva detto July voltandosi verso
di lei, aveva sorriso con
solo mezza-bocca, la cicatrice sull’altro lato della faccia
si era aperta di
nuovo, “Kallisto a fallito, non c’era
dubbio” si era lamentato la testa sana di
Caco.
“Sì. Che sta succedendo?” aveva chiesto
confuso Alabaster, “Che un gigante può
essere ucciso solo da un semidio ed un Dio e come volevasi dimostrare
gli dèi
sono inutili” aveva ringhiato la ragazza, puntando con la
lancia un angolo, i
due si erano voltati.
Il ragazzo più bello che Bells avesse mai visto era
comparso. Un bel giovane
dalla pelle olivigna, i ricci neri adorabili, con il viso
più elegante ed
attraente che si potesse immaginare e sistemato in una camicia bianca
di lino
leggermente spiegazzata, teneva in mano come arma un punteruolo da
ghiaccio.
“Ti ho già detto che non sono un dio
combattente” si era lamentato lui con le
gote piene di rossore di imbarazzo, agitando il punteruolo.
“Almeno provaci a colpirlo, per l’Orco!
Provaci!” aveva gridato July con una
rabbia in corpo che la faceva apparire spaventosa, davvero spaventosa.
La nuova tinta di capelli scuri le avevano tolto quell’aria
leggermente
sbiadita che aveva avuto quando si erano riviste. Sembrava una signora
della
guerra, anche tutta pestata, anche più di come appariva
prima di entrare nel
labirinto, quando era la ragazzina leziosa e combinaguai.
“Mi sono stufato!” si era lanciato Caco, con vigore
e forza, ma non era stato
nulla contro July che come un olimpionica aveva tira la sua lancia, che
nel
mentre si era tramutata in un arpione, contro di lui trapassando il suo
ampio
petto e sbilanciando il gigante all’indietro, incastrando
Caco contro un muro.
“Io mi sono stufata” aveva gridato July raspante,
si era voltato verso il dio,
“Avvicinati con quello stupido punteruolo, ti
prego” si era lamentato.
Il dio ci aveva provato, mentre Caco aveva messo le mani sulla lancia
per
cercarla di sfilarla a fatica dal suo petto, ma la forma in cui July
l’aveva
mutata, aveva permesso al gigante di estrarla, neanche nella sua
immensa mole e
forza.
Il dio sembrava piuttosto titubante, cosa che sconvolgeva non poco
Bells, non
era così abituato a vedere gli dei in quel modo. Erano
creature splendenti, se
pensava alla grande Dea Artemide, Theos ed anche Orual, perfino July
tutta
ammaccata sembrava più splendente di lui. “Oh, si
sta liberando!” aveva detto
il dio, con preoccupazione, osservando il viso rancoroso il gigante a
tre
teste, “E quando lo farà io non avrò
l’arma” si era lamentata July, poi aveva
voltato gli occhi castani verso di loro, “Al?”
aveva chiesto.
“Ho appena fatto un evocazione, Juls, non credo potrei
neanche scrivere
mezza-runa” si era lamentato lui, “Ed
Orual?” aveva chiesto allora con un
principio di preoccupazione July. “Si sta occupando di
Kallisto” aveva rivelato
Bells, “Ha detto che avevi già un dio con
te” aveva commentato con un leggera
preoccupazione, guardando il dio che lento e timoroso come un gattino
si
avvicinava al gigante, che aveva cominciato a far vibrare la lama.
“Avete detto Orual?” aveva chiesto il dio
bloccandosi e guardandoli, “Sì?”
aveva risposto Bells. “Intendi una donna bisbetica, crudele e
con gli occhi più
infuriati del creato?” aveva chiesto il dio preoccupato,
“Direi decisamente di
no” aveva risposto Bells, “Più una bella
donna, dalla voce gentile” le aveva
dato manforte July.
“Questo non ha senso” aveva considerato il dio,
“Sai cosa non ha senso? Che tu
non abbia ancora ficcato quel punteruolo in uno degli occhi di
Caco” aveva
stabilito July poi, con più vigore. Bells doveva essere
piuttosto ammirata da
come fosse così selvaggia e brutale anche davanti ad un dio.
Onestamente Bells aveva pensato che anche July sarebbe stata come lei,
una
persona che aveva scelto i titani perché non aveva
conosciuto altro, gli dèi
non le avevano arrecato alcun male ed erano stati Crono e Luke a
spingerla ad
entrare nel labirinto, dove aveva perso la sua amica ed aveva perso un
po’ di
lei. Eppure, eccola, ancora fedele alla causa.
“No voi non capite” aveva detto il dio,
“Nessuno che usi il nome di Orual è …
fidato. Cioè in realtà è
più complicato; più che poco fidato, chiunque si
associ ad Orual è inviso agli dèi!”
aveva spiegato il dio, “Considerando come
ci ha aiutato” aveva soppesato Bells, guardando July,
l’espressione della
ragazza era molto diversa dalla sua.
July e Bells si erano guardate ed un pensiero aveva attraversato la
loro mente,
erano cambiate le loro percezioni, i loro favori.
“Bel ragazzo, forse non hai capito chi siamo” aveva
replicato July, infatti. “Theos
ha detto l’esatto contrario” aveva risposto poi
pratica Bells, ricordando la
conversazione con il dio nascosto, ricordando come l’altro
avesse detto Orual comprendesse
gli animi e fosse fidata.
Il commento di July aveva indisposto il giovane dio, ma quello di Bells
aveva
attirato la sua attenzione, le labbra piene e carnose si erano schiuse
in un
segno di stupore.
“Chi è Orual?” aveva chiesto Alabaster,
sempre così calmo e misurato, “Possiamo
sbarazzarci prima di Caco, sul serio? Il mio corpo tra un po’
avrà perso il
potere del ‘contraccolpo’”
si era lamentata July. Il dio l’aveva
ignorata, “Orual è stata una dei primi umani a
ribellarsi apertamente al volere
degli dèi, li ha anche convocati a processo, lei a
lor… noi, che il
contrario” aveva rivelato sconvolto il dio.
Bells aveva ricordato le parole di Theos, che Orual era nata umana
senza goccia
di sangue divino, che aveva compiuto un’impresa divina, ma
che l’animo di Bells
doveva essere buono se era stato scelto. Non sapeva perché
ma questa Orual
descritta dal Dio sembrasse così diversa.
Un rumore di ferro gli aveva distratti, avevano fatto scattare lo
sguardo su
Caco, il gigante si era sfilato l’arpione dal suo petto, ma
invece di avanzare
era ondulato, sangue nero aveva cominciato a zampillare dal corpo,
fiancandolo
molto. “Potremmo applicare la stessa strategia usata con
Giuturna?” aveva
chiesto July ad Alabaster, mentre osservava il dio farsi piccolo e
timoroso,
anche di avvicinarsi al gigante morente, “Sono troppo debole,
che ne dici di
quella usata con Fama?” aveva proposto.
July aveva sbuffato, “Ci farà solo guadagnare poco
tempo, senza i tuoi
mirabolanti poteri” si era lamentata la figlia di Eris,
cercando con lo sguardo
la sua arma, quando aveva toccato terra aveva ripreso
l’aspetto di una lima.
Caco era crollato a terra, ma aveva piantonato subito i palmi per terra
per
sollevarsi ancora, July si era voltata verso il Dio, “Ti
prego” aveva supplicato.
“Tranquilli, biscottini, ci pensò io”
era arrivata salvifica la voce di Orual
alle loro spalle. La dea era zampettata per la stanza, cercando di
evitare i
cocci lasciati in giro per il pavimento, “Dei, avete idea di
quanto valesse
quell’Oinochoe?” aveva chiesto
con più grazia, poi si era voltata verso
Al, “Adesso, Cat ti prepara un po’ di quel suo buon
caffè, così ritornerai al
tuo fulgido splendore e potrai sistemare questo posto con la magia.
Questo
luogo per i mortali è di importanza immane” aveva
detto, prima di posare una
mano sulla spalla di July per sostenersi.
La ragazza si era fatta rigida come una spada, mentre tutti osservavano
Orual
sollevare un ginocchio per raggiungere la scarpa. “Grazie per
il nocciolino,
comunque” aveva detto Orual a July, che aveva annuito
nervosa. La dea indossava
dei decolté eleganti di un fucsia acceso, luccicanti, su cui
era presente un
tacco sottile d’argento. “Scusate non ho
armi” aveva ammesso piena di imbarazzo,
esibendo la sua scarpa.
Caco aveva sollevato lo sguardo appena in tempo per beccarsi una
taccata nel
centro della testa di mezzo e poi un’altra nella testa
superstite, il gigante
era morto in un lamento e polvere nera.
“Odio come è ridotta” si era lamentata
guardando la scarpa con un certo
biasimo, il tacco sottile era imbrattato di sangue, “Sono
delle Goldenapple
originali, 1990, con tacco in bronzo celeste” aveva scherzato
con un certo
divertimento Orual, asciugando il sangue sulla gonna a fiori.
“Goldenapple?” aveva chiesto July sorpresa,
“Il mio stilista preferito” aveva
risposto Orual, strizzando l’occhio alla figlia di Eris.
Goldenapple? Non era solo un evidente riferimento alla dea della
discordia, ma
anche al cognome che la ragazza usava. Ripensandoci, secondo Bells, era
davvero
una coincidenza buffissima.
La dea si era voltato verso il giovane dio, “Non hai sentito,
Cat?” aveva
chiesto con una certa urgenza, “Tu?” aveva chiesto
quello, boccheggiando, “Tu
non sei Orual” aveva aggiunto solamente.
“Presumo sia solo questione di punti di vista”
aveva risposto la dea con un
sorriso tranquillo, infilandosi nuovamente le scarpe, prima di guardare
nuovamente il dio. “Cat, per favore, fai il caffè
per Alabaster, questo macello
non si aggiusterà da solo e devo occuparmi di July, tra due
minuti
probabilmente crollerà a terra” aveva insistito
Orual
“Molto probabile, inizio decisamente a sentire un certo
fastidio” aveva
considerato July con la voce intrisa di sarcasmo.
“Avreste voglia, mia signora, di rivelare la sua vera
identità?” aveva
domandato Alabaster, assumendo un tono fastidiosamente diplomatico.
“Orual era una donna capace di tantissimo amore, infinito
amore, a modo suo
forse dannoso, ma gli dei inamovibili nei loro sentimenti non potevano
comprenderlo. Orual, si può dire, è stata la
prima di voi, la prima a ribellarsi
contro questo sistema terribilmente ingiusto. Quando ho deciso di
aiutarvi, perché
come voi anche io sono stata più volte provata e
più volte ritenuta inadatta,
ho scelto il suo nome. Perché Orual non ha mai temuto di far
sentire la sua
voce e … be, oltre al fatto che sono, perché
neanche la sua morte può averlo
cambiato, io sono legata a lei in maniera personale; potete continuare
a
rivolgervi a me così, se lo desiderate” la dea
aveva fatto una pausa, “Altrimenti
… Io sono Psiche[2].”
[1]
Da
Eschilo, che nella versione originale metteva Zeus!
[2]
Be, cari
lettori, penso che fosse inevitabile da un certo capitolo.