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Autore: AveAtqueVale    27/01/2023    3 recensioni
Alexander Lightwood è un giovane uomo di ventitré anni costretto dai suoi genitori a frequentare, settimanalmente, un noto psicologo che in qualche modo gli capovolgerà l'esistenza.
Magnus Bane è un brillante e ricercato psicologo incapace di affezionarsi ai propri pazienti -per lui semplici casi da comprendere e rimettere in sesto come fossero puzzle da ricostruire- che si ritroverà ad avere Alexander in cura, ritrovandosi spiazzato dalle loro stesse sedute.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Isabelle Lightwood, Magnus Bane, Maryse Lightwood, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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A quel timido gesto Magnus rilasciò silenziosamente il respiro che stava trattenendo e si aprì in un sorriso appena più ampio.
«Bene.» chiosò dopo qualche attimo di quiete spostando la sua mano dalla guancia a sotto il mento del ragazzo. Gli sollevò il viso e forzò un nuovo contatto fra i loro sguardi mentre ora gli sorrideva apertamente e con più leggerezza. «Allora è tutto risolto. A parte il tuo naso, ovviamente.» disse col suo tono frizzante di sempre tornando ad alzare la voce ad un volume più normale e colloquiale, allontanandosi ora dal ragazzo per tornare davanti al tavolino alle sue spalle.
Recuperò la busta di piselli congelata e la scosse leggermente nella sua mano sotto lo sguardo di Alexander. «Se non ti metti questa sulla faccia ti rimarrà il livido per una settimana.» disse allungandogli nuovamente la busta, notando l’espressione esitante sul viso dell’altro. Sembrava quasi disorientato.
«Uh-grazie.» mormorò il giovane riscuotendosi, afferrando la busta gelida e tornando a sedersi impacciato sul divano.
Quando si pressò la confezione fredda sul viso mugugnò di dolore.
«Tranquillo, fra poco il freddo non ti farà sentire più niente.» commentò Magnus mentre andava a recuperare dall’angolo cucina una pezza con cui pulire il tavolino. Una pozza d’acqua si era formata lì dove i piselli erano stati poggiati poco prima.
Mentre l’uomo si affaccendava Alexander rimase seduto al suo posto con la busta ad intorpidirgli il viso in totale silenzio.
Ci volle qualche minuto perché la sua voce risuonasse all’interno del loft.
«Magnus?» chiamò cauto, incerto, sollevando leggermente il capo.
L’uomo si lasciò cadere sulla sua poltrona accanto al divano e osservò il ragazzo da dietro la copertura offerta dall’impacco gelido premuto sul suo viso.
«Mh?»
«Come—come facevi a sapere…? Cioè, in centrale…»
Le sopracciglia di Magnus s’alzarono leggermente sulla sua fronte mentre le sue labbra s’aprirono silenziose per un breve istante.
«Oh» gli uscì di dire mentre ripensava agli eventi di quella lunga giornata. Gli sembrava fosse passata una vita da quando s’era seduto a quel bar a parlare con Catarina. «L’agente Smith mi ha chiamato. Ha detto che…» s’interruppe per un istante prima di riprendere la parola. «…beh, ha detto che ero il tuo numero per le emergenze.»
 
*
 
A quelle parole il ricordo di quella sera di svariate settimane prima gli esplose davanti agli occhi come un film. Una sequela di fotogrammi silenziosi gli ricordarono quel suo gesto fatto quasi per gioco dopo la conversazione avuta con Jace a proposito della sua quasi lite con Clary: non aveva mai pensato che un giorno qualcuno avrebbe davvero usato quella funzione del suo telefono.
Sentì l’imbarazzo appropriarsi del suo viso, un rossore violento imporporargli il volto fortunatamente nascosto dietro la busta gelida pressata sul suo naso intorpidito. Per sicurezza la sistemò ancora meglio così da nascondercisi per bene dietro ed evitare lo sguardo dell’altro. Non era qualcosa che aveva progettato di rivelargli mai, dopotutto.
«Oh. Mh.» si limitò a mormorare sperando di far cadere l’argomento così, incapace di trovare una spiegazione stabile e logica dietro quella sua scelta.
Magnus sembrò non voler forzare la conversazione e, per somma gioia di Alec, non inquisì oltre sulla faccenda lasciando cadere nuovamente un silenzio rilassato fra loro. Il ragazzo apprezzò enormemente la discrezione altrui e più il silenzio si protraeva, più sentiva il cuore calmarsi nel petto benché non potesse fare a meno di immaginare quanto l’altro avesse dovuto trovar strana quella situazione.
Solo dopo qualche tempo il giovane trovò il coraggio e la forza di sollevare lo sguardo, scostando leggermente l’impacco gelido dal viso così da lasciargli parzialmente libera la visuale. Magnus era comodamente seduto sulla sua poltrona, lo sguardo assorto nel nulla alla sua sinistra. Alec non poté impedirsi di ripercorrere con gli occhi la linea dritta del suo naso, il profilo elegante del suo viso, perdendosi silenziosamente nell’atto di imprimersi l’immagine dell’altro nella mente.
Quando Magnus si voltò a guardarlo sobbalzò leggermente sul posto distogliendo rapidamente lo sguardo. Non si era reso conto di essere rimasto fermo a fissarlo e non poté impedire al suo viso di prendere nuovamente fuoco a quella consapevolezza. Stava già per rifilargli qualche timida scusa quando l’altro lo batté sul tempo nel prendere parola.
«Ti va di raccontarmi cos’è successo?»
La voce di Magnus era calma, gentile, ma riuscì comunque a far impietrire Alec all’istante. Sentì il cuore accelerare all’improvviso, l’impulso di voler fuggire lontano da lì e da quella conversazione; capiva bene la posizione dell’altro, sapeva che la sua non era solo curiosità ma genuina preoccupazione, eppure sentiva comunque il bisogno di allontanarsi da quel pericoloso argomento.
Deglutendo, abbassò lo sguardo tenendo la busta di surgelati ancora ben premuta contro il viso. Il refrigerio derivante da quel contatto iniziò a divenire fastidioso, quasi un dolore bruciante sulla pelle.
Alec si sentiva combattuto.
Da un lato non voleva parlarne, non si sentiva pronto a farlo, non riuscendo neppure a fare chiarezza con se stesso su cosa sarebbe stato disposto a dire e cosa no; dall’altro sentiva però di doverglielo. Magnus era stato paziente con lui, era stato cauto e premuroso.
Nonostante avesse subito a suo modo un torto da parte sua, nel suo non fornirgli neppure una spiegazione per il suo allontanamento, aveva continuato a preoccuparsi per lui e a cercare di instaurare un qualsiasi tipo di contatto a dispetto del suo ostinato silenzio.
Mordendosi l’interno della guancia, Alec tacque per diversi minuti prima di espirare ed abbassare la busta ormai gocciolante dal viso. Senza quasi pensarci la poggiò sul tavolino, sopra l’asciugamano che Magnus aveva usato precedentemente per pulirgli il volto dal sangue, e lasciò che il tessuto assorbisse l’acqua formatasi sulla plastica lucida.
«Ho litigato con Jace.» disse tenendo lo sguardo basso, le mani unite in mezzo alle ginocchia larghe con le dita a giocherellare nervosamente fra loro in un chiaro segnale di disagio.
Magnus, che aveva iniziato a credere che Alec non gli avrebbe risposto, ascoltò in silenzio senza mettergli fretta.
Alec sentì il silenzio ripiombare nella stanza più pesante che mai.
«Cioè, non è che abbiamo proprio litigato. Io…» aggrottando le sopracciglia Alec sentì il cuore battergli forsennatamente nel petto, spaventato. Non voleva parlarne. Non voleva affrontare la cosa, ma sentiva che forse -giunti a quel punto- fosse inevitabile. Forse c’era persino una parte di lui che sentiva il bisogno di farlo. Dopotutto, quale persona migliore di Magnus avrebbe potuto ascoltarlo? Chi meglio di lui avrebbe potuto capirlo?
Magnus non l’aveva mai fatto sentire giudicato. Non l’aveva mai fatto sentire sbagliato.
Rotto.
Quella consapevolezza era una timida spinta ad aprirsi, a lasciar libero il mostro che per tanti, troppi anni, lo aveva lentamente divorato dall’interno.
Passandosi nervosamente una mano fra i capelli, Alec si chinò in avanti col busto quasi a volersi rinchiudere in se stesso, il piede destro a sollevarsi leggermente dal pavimento dalla parte del tallone in un tic nervoso che non era in grado di controllare.
«…sono gay.» Era la prima volta che pronunciava quelle parole ad alta voce; gli uscirono di bocca in un soffio appena udibile ma pesanti come macigni, lasciandolo stordito dalla loro stessa forza.
Per un istante gli parve quasi di sentir mancargli il fiato, eppure assieme ad un profondo senso di paura e disagio, Alec poté distintamente cogliere una nota di sollievo.
«O almeno credo. Non lo so.» continuò agitato, visibilmente in difficoltà, incapace di sollevare lo sguardo dal pavimento.
Non poteva dire di saperlo con certezza.
Non aveva mai provato attrazione per alcuna ragazza in tutta la sua vita, ma in generale non era mai stato attratto da molte persone. A dire il vero soltanto da due. E una di queste era proprio lì in quel momento ad ascoltare quel suo folle e confuso blaterare. La consapevolezza di ciò non faceva che aggravare la sua ansia e la sua agitazione.
Non aveva il coraggio di guardare in direzione di Magnus. Non aveva il coraggio di cercare sul suo volto qualsiasi reazione alle sue parole. Decise che sarebbe stato più facile vomitare tutto fuori subito e affrontare la sua espressione poi, piuttosto che tentare una rapida occhiata e rischiare di scovare nel suo sguardo qualsiasi traccia di giudizio ora che finalmente aveva trovato la forza di affrontare quello scoglio.
«Fatto sta che non ne ho mai parlato con nessuno prima: se non ne sono certo che senso ha parlarne con qualcun altro?» bloccandosi si grattò distrattamente i capelli, le parole si accavallavano nella sua testa creando enorme confusione.
«Comunque non è importante» tagliò corto volendo sorvolare l’imbarazzante rivelazione sul suo incerto orientamento sessuale. «Jace pensava che per questo io… Che fosse questo a…» stringendo frustrato le labbra, Alec inspirò bruscamente dal naso sentendo le parole sfuggire alla sua presa.
Magnus poteva vedere chiaramente quanto quel discorso fosse difficile per lui ma nemmeno una volta cercò di forzarlo in alcun modo; in silenzio lo lasciò libero di incespicare fra i suoi pensieri fino a che non avesse trovato le parole giuste da dire, ascoltando paziente il suo confuso farfugliare.
«…che per questo avessi bisogno della terapia.» riuscì alla fine a dire, lasciando cadere la mano dalla sua testa per iniziare a giocherellare nervosamente con una pellicina del pollice opposto.
«Oh. Mi dispiace Alexander, dev’essere stato terribile sentirglielo dire.»
Nel sentire il tono genuinamente mortificato di Magnus, Alec si ritrovò a capire cosa fosse trasparso dalle sue parole. Sollevando meccanicamente la testa guardò l’altro con fare allarmato, agitando d’un tratto le mani dinnanzi a sé.
«No! No, no, no, lui non intendeva– » imprecando a mezza voce il ragazzo si grattò teso un punto in mezzo agli occhi cercando di schiarire i propri pensieri.
Magnus non disse altro, limitandosi ad osservarlo pazientemente dalla sua poltrona.
Dopo diversi istanti, Alec rilasciò un pesante sospiro e, stancamente, riprese.
«Non intendeva che dovessi farmi curare o qualcosa del genere, mi ha detto che non è assolutamente un problema, che lo sapeva da tempo e che aspettava solo che gliene parlassi. E’ solo che…» chiudendo gli occhi Alec scosse lentamente la testa. «Non ha capito niente.»
Quelle ultime parole gli uscirono quasi inudibili, un sussurro talmente flebile da poter essere facilmente coperto dal suono d’un respiro.
Più parlava, più sentiva qualcosa dentro di sé fremere e tremare.
Era come se i mattoni del muro che circondava il suo cuore avessero iniziato a vibrare nei loro alloggi rendendo la costruzione instabile e pericolante.
Come se quella barriera avesse potuto infrangersi da un momento all’altro, liberando qualcosa per cui Alec non si sentiva affatto pronto.
Nervosamente, si mordeva il labbro inferiore, quasi a voler trattenere con forza le parole che stavano cercando di uscire.
Le mani, che fino a quel momento aveva tenuto poggiate sulle gambe, si chiusero a pugno sulle ginocchia mentre la punta del piede destro andava a premere ripetutamente contro il suolo in un moto nervoso e incontrollato.
 Magnus non disse una parola per tutto il tempo, attendendo in assoluto silenzio che Alec fosse pronto a proseguire.
Alla fine, dopo diversi minuti di attesa, il ragazzo sospirò pesantemente.
 
*
 
«Io e Jace siamo sempre stati amici. Anzi, fratelli direi» iniziò con il dire Alec tenendo ancora la testa china, il tono basso mentre trovava la forza di affrontare quella conversazione.
Magnus poteva chiaramente vedere la difficoltà di quello sforzo coi propri occhi.
La vedeva nel modo in cui l’altro non osava cercare il suo sguardo, la vedeva nei cenni nervosi del suo corpo, nel suo continuo grattarsi la testa senza mai però sollevarla per timore di mostrare il suo viso.
La vedeva nel modo in cui pareva che l’intera figura del ragazzo stesse accartocciandosi su se stessa, come stesse cercando disperatamente di tenersi unito senza perdere pezzi per strada.
Dopo vari anni di esperienza sul campo aveva imparato a riconoscere i segnali: il volume della voce, i movimenti delle mani, dei piedi, la posizione delle spalle.
Era tutto lì, sotto il suo sguardo.
Più Magnus l’osservava, più era certo di sapere cosa stava accadendo.
Quella era la resa di Alexander.
«Sua madre è morta di parto, lui è cresciuto con suo padre ma non hanno mai avuto un buon rapporto.» spiegò Alec con calma, continuando di tanto in tanto a mordicchiarsi le labbra arrossate. «Il padre pretendeva troppo da lui, fin da quando era piccolo. Non gli dava mai un complimento o un premio per i suoi successi, continuava a chiedergli di fare di più, di essere migliore. Era un bambino molto strano, sempre sulle sue, sempre spaventato di sbagliare.»
Man mano che la mente del ragazzo s’immergeva in quei ricordi familiari, Magnus poté sentire la sua voce farsi appena più ferma.
Quel leggero fremito che prima faceva tremare le sue parole sfumò pian piano in maniera quasi impercettibile.
Ascoltando le sue parole, Magnus iniziò a delineare nella sua mente la sua idea di Jace, ritornando con i ricordi alla sera in cui lo aveva incontrato fuori da quel locale. Immaginò il suo volto ringiovanire fino a divenire quello di un infante ed il suo corpo massiccio e muscoloso rimpicciolire e andare ad ammorbidirsi nei lineamenti paffuti di un bambino.
Poteva quasi vederlo, il piccolo Jace, coi suoi chiarissimi capelli biondi e lo sguardo attento di chi non può permettersi errori.
Alec non lo aveva specificato, ma Magnus era abbastanza sicuro che fosse perché aveva paura delle eventuali ripercussioni.
«Un giorno fummo scelti come compagni per un progetto scolastico. Lui non sembrava contento ma non poteva sottrarsi al compito. Così venne a casa mia e fu come se fosse stato scaraventato in un altro mondo. Ogni volta che i miei genitori gli sorridevano o si complimentavano per le sue buone maniere sembrava che non capisse cosa stesse succedendo, sembrava totalmente spaesato.» spiegò il ragazzo, le sue labbra ad incurvarsi leggermente in un sorriso intenerito e sfumato di amarezza.
«Fu così che facemmo amicizia. Fu quel giorno.» annuì, probabilmente in maniera inconscia, prima di continuare. «Da allora venne spesso a casa e fu un po’ come se fosse entrato a far parte della famiglia. In qualche modo credo che la cosa lo aiutò ad uscire dal suo guscio perché pian piano iniziò ad essere più socievole con gli altri e a farsi anche nuovi amici.» spiegò sollevando per la prima volta la testa.
Non guardò Magnus dritto negli occhi ma gli lanciò brevi e rapide occhiate fra un concetto e l’altro, forse incoraggiato dal fatto di aver ormai superato lo scoglio del dover iniziare.
Lo psicologo non disse comunque nulla limitandosi ad ascoltarlo seduto sulla sua poltrona; sapeva che se l’avesse interrotto proprio ora che stava prendendo coraggio, probabilmente avrebbe finito con il distruggere la sua determinazione.
«Anche se adesso non sembra, all’inizio per lui non fu semplice ma in qualche modo finì con il diventare l’anima della festa. Ovunque andasse la gente era calamitata da lui e cercava in tutte le maniere di attirare la sua attenzione e guadagnarsi la sua amicizia.» proseguì il suo racconto passandosi distrattamente una mano sui corti capelli scuri che coprivano la sua nuca.
«Nonostante tutto però lui non si allontanò mai da me. Continuava a passare con me la maggior parte del suo tempo e mi trascinava con sé ovunque fosse invitato.» Un sorriso nostalgico si allargò sulle sue labbra mentre guardava un punto indecifrato del tappeto davanti a lui.
«Mi sentivo felice delle sue attenzioni, odiavo vederlo troppo vicino agli altri. Mi accorsi che ero geloso di lui e che passavo un sacco di tempo a guardarlo…»
Magnus non poté evitare di notare il rossore che esplose sulle guance del ragazzo.
Non poté evitare di sentire nuovamente il tremito nella sua voce, le sue dita tornare ad agitarsi nervosamente proprio ora che sembravano aver trovato un po’ di pace.
Alec si fermò per diversi secondi prima di trovare il coraggio di sollevare leggermente lo sguardo e cercare quello dello psicologo.
Dal canto suo, Magnus, non mostrò alcun tipo di sorpresa o emozione sul volto. Calmo, andò semplicemente ad abbozzare un sorriso gentile, incitandolo a continuare con un lieve cenno della testa.
Sentiva chiaramente la difficoltà del ragazzo nel rivelargli la sua storia.
Sentiva distintamente la paura di aprirsi tanto liberamente a qualcuno.
Sentiva il timore di essere giudicato e l’ansia di dover ancora affrontare la parte peggiore del suo racconto. Magnus aveva ascoltato fin troppe persone per non sapere che tutto quello non era altro che il prologo, la premessa della storia vera e propria.
Alec deglutì nervosamente e, umettandosi le labbra ormai screpolate, annuì.
«Iniziai a chiedermi il perché di questo mio comportamento ma non osai parlarne con nessuno e continuai così per diversi anni. Non pensavo che qualcuno si fosse accorto di qualcosa, men che meno proprio lui…» la sua voce incespicò mentre l’aria sembrò mancargli dai polmoni per un istante.
Magnus sentì il cuore farglisi pesante.
Poteva capire i sentimenti che Alec doveva aver provato in passato, ancora di più quelli che provava in quel momento. Era la prima volta che trovava la forza di aprirsi a questo modo a qualcuno e lo psicologo non poté che sentirsi un privilegiato per quell’onore che l’altro gli aveva concesso. E tuttavia, allo stesso tempo, sentiva che qualcosa di orribile stava per arrivare a giudicare dal modo in cui lo sguardo del ragazzo andava riempiendosi di panico. Poteva chiaramente leggere nei suoi occhi il rifiuto di avvicinarsi ulteriormente al cuore di quella conversazione, poteva percepire la paura di proseguire come fosse propria.
Si accorse in quel momento di sentirsi teso, di aver iniziato a giocherellare con uno dei suoi anelli rigirandoselo nervosamente attorno al dito da chissà quanto tempo.
Non osò però dire una sola parola, rimanendo immobile sulla poltrona col fiato sospeso.
Alec sembrò soppesare l’idea di fermarsi con quella di proseguire e, dopo un lungo minuto di silenzio, liberò un respiro tremante.
«Così un-un giorno, cinque anni fa, ci ritrovammo come sempre a casa mia.» il ragazzo iniziò col dire, deglutendo pesantemente.
Qualcosa scattò nella mente di Magnus.
Da qualche parte, dalla distanza, un campanello d’allarme iniziò a trillare facendogli rizzare i peli sulle braccia.
Cinque anni fa…?
«Era estate e Jace si era addormentato sul mio letto, come faceva spesso dopo pranzo. Io ero lì e mi ritrovai a osservarlo dormire. Non-non in maniera strana, non stavo facendo niente, giuro!» si affrettò a spiegare sollevando d’istinto lo sguardo, l’espressione colpevole.
I suoi occhi erano lucidi e le pupille tanto strette da andare quasi a perdersi nell’oceano blu delle sue iridi.
Guardandolo, Magnus si sentì stringere il cuore.
«Ti credo, Alexander. Non preoccuparti, va tutto bene.» abbozzò un sorriso cauto, annuendo appena col capo in un cenno d’incoraggiamento.
Alec boccheggiò per un momento prima di richiudere le labbra e stringerle con forza.
«…R-ricordo che ero rimasto colpito dal modo in cui il sole gli illuminava i capelli.» continuò teso, visibilmente imbarazzato, il viso pallido mentre proseguiva.
«Avevo allungato una mano per toccarglieli, volevo solo… Io…» esitò, mortificato, facendosi ancora più piccolo sul divano, la testa quasi totalmente incassata nelle spalle mentre ricordava gli eventi di quel giorno.
«…Comunque in quel momento sentii la porta che si apriva. Mio fratello Max aveva saputo che Jace era a casa e voleva salutarlo, così si era precipitato nella mia stanza.»
Sentire il nome di Max portò Magnus a sussultare internamente.
Maryse Lightwood gli aveva detto cos’era successo.
E quella era la prima volta che Alec lo avesse mai nominato dacché avessero iniziato a parlare.
La pessima sensazione che poco prima lo aveva avvolto iniziò lentamente a prendere forma nella sua mente.
«Entrando doveva avermi visto mentre osservavo Jace perché iniziò subito a ridacchiare e prendermi in giro.» La voce di Alec a quel punto tremava visibilmente, così come il suo respiro che usciva rotto dalle labbra martoriate.
Quando iniziò a piangere, Magnus si sorprese nello scoprire che anche a lui era sfuggita una lacrima.
«Iniziò a ripetere che mi piaceva, non capiva le implicazioni di quello che stava dicendo, era troppo piccolo per poterlo fare… E io andai nel panico. Mi alzai di corsa dal letto per cercare di afferrarlo e farlo stare zitto ma lui iniziò a scappare in giro per casa per sfuggirmi pensando che fosse un gioco…»
Gli occhi del ragazzo si velarono di nuove lacrime, dalle sue labbra neppure un singhiozzo mentre il dolore lo colpiva al petto come una scossa. Magnus lo vide come sobbalzare sul posto, quel genere di movimento che ti coglieva quando giungeva una fitta improvvisa a toglierti il fiato, e gli parve di poter sentire egli stesso il suo dolore.
«…alla fine inciampò e cadde dalle scale.» La sua voce, a quel punto, era priva di qualsiasi tipo di intonazione o colore. Un brivido risalì le braccia dello psicologo nel realizzare quanto profonda fosse la ferita nel suo cuore.
«Morì sul colpo, non urlò nemmeno se non per la sorpresa di aver perso l’equilibrio.» disse atono, sollevando lentamente lo sguardo per puntarlo per la prima volta in quello dell’altro. Le lacrime continuarono a scorrere silenziose lungo il suo viso rendendo la sua espressione vacua ancor più sinistra. «Aveva solo nove anni. E io l’ho ucciso.»    

 
   
 
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