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Autore: Giorgi_b    30/01/2023    9 recensioni
«Sei un grande sensei! È dai tempi delle superiori che sognavo di fare questa cosa!» 
Ride. Ti dà una pacca sulla spalla e lascia la mano lì, mentre con l’altra porta di nuovo la sigaretta alla bocca. 
Il filtro sparisce tra le labbra succhiato con voluttà, la punta di brace sembra un minuscolo sole al centro della notte, mentre gli avvallamenti sulle guance si fanno misura del desiderio tossico e inestinguibile di nicotina al quale Ukai si abbandona; gli occhi chiusi si aprono appena quando la testa si rovescia all’indietro in un momento di estasi e poi in lui tutto si rilassa, evaporando in nuvole di fumo denso e candido che ti soffia in faccia senza tanti complimenti.
Spin-off Ukatake di “Spin the bottle” di Orikunie! Buona lettura!
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Ittetsu Takeda, Karasuno Volleyball Club, Keishin Ukai
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Voglio abbracciare virtualmente la mia compagnetta di merende Orikunie, regina Kagehina (“fa rima e c’è” cit.) del mio cuor: grazie per aver scritto Spin the bottle e aver attirato la mia attenzione su questi due bellissimi personaggi che non mi ero mai filata di pezza!
Soprattutto GRAZIE per farmi sentire forever sixteen con le tue fic! Loviù.

P.S. Questa os può essere letta in maniera indipendente, ma chiaramente essendo una spin-off, consiglio la lettura di Spin the bottle (perchè è stupenda, ehm) e per capire meglio alcuni passaggi!
 
 

“I’ve waited here for you, 
everlong.”
 
Foo Fighters





«Sei un grande sensei! È dai tempi delle superiori che sognavo di fare questa cosa!» 
Ride. Ti dà una pacca sulla spalla e lascia la mano lì, mentre con l’altra porta di nuovo la sigaretta alla bocca. 
Il filtro sparisce tra le labbra succhiato con voluttà, la punta di brace sembra un minuscolo sole al centro della notte, mentre gli avvallamenti sulle guance si fanno misura del desiderio tossico e inestinguibile di nicotina al quale Ukai si abbandona; gli occhi chiusi si aprono appena quando la testa si rovescia all’indietro in un momento di estasi e poi in lui tutto si rilassa, evaporando in nuvole di fumo denso e candido che ti soffia in faccia senza tanti complimenti.
Ti senti avvampare tra un colpo di tosse e un sorriso ebete che non riesci a trattenere.
Avvampare. Adori l’immagine che richiama questa parola: accendersi divampando, farsi di fiamma
La inserisci spesso nei compiti di giapponese moderno degli alunni del primo anno, gliela fai memorizzare insieme ad altre definizioni di vocaboli che parlano di cose che li riguardano, come fervore, concupiscenza, struggimento; ti emoziona pensare che in qualche modo stai contribuendo a fare luce sui loro sentimenti e che, chissà… magari, per merito tuo, qualcuno riuscirà a dare un nome esatto a quello che è successo, sta succedendo e succederà dentro di sé durante i tre turbolenti e, nonostante tutto, maestosi anni del liceo. 
Sì, forse pecchi un po’ di presunzione, ma sarebbe bellissimo se, proprio grazie a te, i tuoi studenti scoprissero il conforto delle parole, che le vedessero come zattere in mezzo al mare in tempesta delle sensazioni adolescenziali, gli ormoni come squali affamati pronti a divorarli. 
Per te, almeno, è stato così e così è ancora, i libri sono porti sicuri, la poesia una casa accogliente per la mente e per lo spirito. Tutto il contrario del corpo: limitato, infido, traditore, sadico.
«No, davvero… non so come tu abbia fatto a convincere il vice preside a farci accampare in palestra per una notte!» 
Il corpo è imbarazzante, suda, trema, la pelle rabbrividisce spesso quando non dovrebbe, come sta facendo in questo preciso istante sotto quelle dita salde e forti che affondano appena nella tua spalla ridicolmente ossuta, scarna, gracile. Senti il cuore nelle orecchie, la salivazione azzerata, ti aggrappi con entrambe le mani alla tua birra strangolandola… 
Strizzi gli occhi con forza cercando di darti un contegno, li riapri su di lui, seduto un gradino più in basso, che con lo sguardo un po’ appannato sta leggendo distrattamente l’etichetta della birra prima di berne un sorso.
Quando Ukai è brillo, la sua espressione corrucciata si scioglie, la bocca si distende, le spalle si rilassano, il collo si allunga e sembra perfino più alto. Ti piace la spensieratezza che gli dona l’alcol, lo restituisce finalmente ai suoi pochi anni: ventisei, per l’esattezza, tre meno di te. Eppure, a colpo d’occhio, tra voi sembra lui il più grande. 
Tu, con una faccia imberbe da bambino, la pelle rosata, gli insulsi e scomposti ricci scuri che detesti, i lineamenti banali, gli occhiali grandi e fuori moda a cui ti aggrappi, baluardo della tua timidezza, scudo contro il resto del mondo. 
Lui, ruvido, occhi taglienti, un viso spigoloso incorniciato da capelli biondi bruciati dalla tintura e dal sole, di una lunghezza media, apparentemente trasandata, labbra screpolate e due mani grandi, callose, dita lunghe e forti. Mani da lavoratore, mani da alzatore, mani da fumatore; mani ipnotiche che ti rubano l’attenzione come stanno facendo ora, una affondata nella tua carne, l’altra a torturare quel che resta di una sigaretta. 
E mentre non riesci a distogliere lo sguardo da quel mozzicone, lui fa un ultimo tiro, lo gira tra le dita e lo lancia lontano, nel buio. Lascia la presa sulla tua spalla e senti per sottrazione il peso e il conforto del suo calore. 
Si stiracchia, alza la bottiglia cercando la tua per brindare per la centesima volta e se la porta di nuovo alla bocca. 
Per un attimo, immagini di osservare da fuori questo quadretto bizzarro: Takeda Ittetsu, professore di giapponese moderno, e Ukai Keishin, figlio della proprietaria di un mini market, rispettivamente coach e allenatore tecnico della squadra di pallavolo maschile del liceo Karasuno, accasciati sui gradini dell’ingresso della palestra a supervisionare una specie di pigiama party di dodici adolescenti maschi. 
Takeda e Ukai, un duo di balordi compagni di bevute. Ti fa sorridere la cosa, ma in effetti da un paio di mesi a questa parte succede spesso: dopo gli allenamenti ti attardi a scuola ancora una mezz'oretta, giusto il tempo che serve ai ragazzi della squadra per consumare il loro consueto spuntino a base di nikuman prima di rientrare a casa e, appena si allontanano, con la scusa di comprare qualcosa di pronto per cena, ti affacci al Sakanoshita Shōten. 
Lui, gambe incrociate sul bancone, un manga in mano e la sigaretta tra i denti, ti sorride – sempre – ti offre una birra – sempre – tu metti in scena il tuo penoso teatrino (Non dovrei, ho ancora una montagna di compiti da correggere… e poi se entrasse un mio studente, che figura ci farei…?), ma alla fine ti fermi a bere con lui. Sempre.
Hai detto a tutti che è stato un caso, che la prima volta sei entrato senza sapere che quello fosse il negozio del nipote del leggendario allenatore Ukai, che semplicemente era il primo mini market sulla strada tra la scuola e casa e che poi, chiacchierando con lui davanti alla cassa, era venuto fuori che eri appena diventato il coach della squadra e… Non mi dire! Anche tu giocavi al Karasuno?! E tuo nonno è proprio quell’Ukai?!
Questa balla l’hai raccontata fino allo sfinimento sperando che per una volta la tua ottima memoria mostrasse un po’ di indulgenza e non ti schiaffasse davanti agli occhi la prova del nove di quanto fosse miserabile, triste e vuota la tua vita. 
Dopo una lunga sorsata Keishin finisce la sua birra, sopprime un rutto mentre si alza in piedi e, infilando la testa in palestra, sbraita contro i ragazzi che nel frattempo si sono fatti troppo rumorosi. Torna a sedersi, stavolta due gradini più in basso rispetto a te, ma molto – troppo – vicino e sbuffa: «Kageyama stava saltando alla gola di Tsukishima… certo che ha proprio il dono di far sbroccare la gente, quello spilungone!» butta là una risatina leggera che ti annoda le viscere mentre distrattamente accavalla il braccio sulla tua coscia e poggia la guancia sul tuo ginocchio.
 
[Trasalire: sobbalzare, tremare, sussultare per una viva impressione improvvisa.]
 
Tracannando ciò che rimane della tua birra, cerchi di dissimulare l’emozione che, come una fila di scorpioni, dalla sua testa mollemente adagiata sulla tua carne cammina lasciando una scia di fuoco fino al tuo inguine. Nello specifico, fino al pene che, con tuo immenso sgomento, inizia a inturgidirsi; sia stramaledetto ora e sempre il corpo, infingardo e traditore.
«Succede anche a te, sensei?» 
 
[Panico: reazione che si verifica improvvisamente di fronte a un pericolo reale o immaginario, togliendo la capacità di riflessione e spingendo alla fuga o ad atti inconsulti.]
 
«C-che… co-cosa…?!» 
«Ogni volta che li guardo giocare, ridere e persino litigare, penso che gli anni del liceo sono stati il momento più bello e spensierato della mia vita.»
Tiri un sospiro di sollievo per averla passata liscia e ti lasci andare a una risata. «Il momento più bello e spensierato della tua vita, finora…»
«Ahahahah! Mi piacerebbe essere ottimista come te!» 
Con tuo grande dispiacere e, al contempo, un sottile senso di liberazione, solleva la testa tornando eretto mentre rispondi con la sicurezza e la confidenza che ti danno le tue amate parole. «La vita è appena iniziata, Ukai, non si tratta di ottimismo, è semplice realtà.» 
Sorridi con convinzione, i discorsi motivazionali sono la tua specialità e infatti lui guarda dritto davanti a sé, come se scrutasse un orizzonte lontano, pieno di possibilità; conosci bene quello sguardo, lo trovi negli occhi dei ragazzi che incoraggi ogni giorno ed è la tua piccola droga quotidiana, una sensazione fantastica.
Sussulti quando piega le gambe e si appoggia al tuo ginocchio per aiutarsi a sedere un gradino più su. Nonostante vi separino i venti centimetri dello scalino, lui è ancora poco più alto di te. Quanto sei basso, santo cielo? 
Dal pacchetto di sigarette nella tasca della felpa ne prende una e la accende, aspira, butta fuori il fumo e ti guarda, le sue labbra si aprono in un sorriso furbo che ti spezza il fiato: «Stanno facendo il gioco della bottiglia lì dentro, che ne dici se anche noi…» fa un cenno con la testa alla birra vuota che stai stringendo e d’istinto abbassi gli occhi a guardarla inorridito, come una cosa estranea tra le mani di un altro, l’arma di un delitto che sta per compiersi, in cui la vittima non può essere altri che te.
«M-ma… ma siamo solo in due!» protesti debolmente, mentre avvampare non è più sufficiente a descrivere ciò che sta accadendo sul tuo volto.
«Ahahah, giusto… beh, non serve farla girare, la bottiglia è nella tua mano, quindi tocca a te rispondere: Obbligo o Verità?!» 
Le tue labbra, confine tra il corpo e la mente, portale tra le parole e il mondo finito, si muovono senza darti il tempo di pensare e con un filo di voce ti senti rispondere: «Verità». 
Ti aggrappi alla tua eloquenza come a un’ancora di salvezza, l’unica scelta possibile per chi, come te, vive i limiti del corpo con tanta inadeguatezza. Un obbligo adesso, Ittetsu, distruggerebbe quel poco di autostima che hai faticosamente costruito negli anni. 
«Mmmm… vediamo… qual è il tuo più grande segreto?!»
«Ehi, n-non vale! È come chiedere al Genio della lampada di donarti altri desideri! Non barare!»
Ride ed è luminoso, fa ridere anche te mentre ti punta il dito contro esclamando: «Va bene, quattrocchi, stavolta te lo concedo… allora, allora… ah, sì! Me lo sono sempre chiesto, cosa ha spinto davvero un antisportivo come te, ignorantissimo sulla pallavolo – senza offesa, eh – a diventare nientemeno che coach della squadra…»
Ti scappa una risata nervosa. «Beh, ecco… io… ovviamente l’ho fatto per i ragazzi… e poi le voci che giravano sul “colosso decaduto” e sui “corvi che non volano” hanno stimolato il mio animo romantico… e quindi… eccomi qui!» 
 
[Omissione: Mancato adempimento o compimento relativo a elementi più o meno importanti nell'ambito di un'operazione o di un comportamento.]
 
Il giorno in cui il vicepreside ti ha offerto il posto stentavi a credere che stesse succedendo sul serio. In pochi secondi il tuo cervello aveva corso in lungo e largo valutando le implicazioni, le possibili strategie e percentuali di riuscita di quel piano assurdo e rocambolesco che in pochi decimi di secondo si era palesato chiaro e tondo nella tua mente e che, con un po’ di fortuna e molta, molta perseveranza, era invece diventato realtà. 
Soffia fuori due colonne di fumo dal naso, distoglie lo sguardo dal tuo e lo sposta nel buio dietro di te. Le sue labbra si aprono in un sorriso malinconico che ti fa venire voglia di imitarlo, poi torna a guardarti: «Mi sarebbe piaciuto conoscerti alle superiori, saresti stato un bravo senpai, sempre pronto a sostenere e incoraggiare il tuo kohai. Chissà, forse non sarei diventato il buono a nulla che sono! Che liceo hai frequentato, Sensei
 
[Tumulto: grave agitazione spirituale, contrasto intimo di sentimenti.]
 
Improvvisamente fa caldo. Caldissimo. Vorresti abbassare la zip della felpa ma il tuo braccio non risponde. Deglutisci piano, sperando che lui non si accorga di cosa sta succedendo dentro di te.
Non ci sarà momento migliore di questo, lo sai, vero? 
I kami, il karma, il destino, l’universo o chi per loro te la stanno servendo su un piatto d’argento. È l’occasione che aspetti da undici anni, dalla prima volta che lo hai visto camminare per il corridoio e ti ha quasi travolto senza nemmeno far caso a te. Bellissimo, vestito di boriosa gioventù, invincibile a cavallo dei suoi grandiosi quindici anni. 
Il suo viso non era ancora ruvido, più tondo, gli occhi meno affilati, limpidi, i capelli tagliati a zero. Ma le mani erano le stesse di adesso, mani che hai sognato più e più volte fare cose indecenti per te, su di te, dentro di te. 
Hai vissuto l'ultimo anno di liceo a spiarlo, ombra nell’ombra, sospirando nascosto negli angoli bui del Karasuno dove non eri altro che un anonimo studente molto silenzioso e diligente, tanto mingherlino da risultare invisibile. 
Ora, o mai più.
Deglutisci altre due volte, inspiri, ma… prima che tu possa parlare, Ukai si alza di scatto e, sbraitando un e che cazzo, entra in palestra per sedare il casino che, ora ti accorgi, arriva dall’interno. 
Approfitti di quei pochi secondi di tregua per ricordarti come si respira e tentare di calmare i tuoi organi che non vogliono proprio sentire ragioni di tornare al loro posto. Ti sventoli il viso con le mani mentre un sudore freddo e sgradevole ti cola lungo la schiena.
«Quell’imbecille di Hinata con un obbligo ha fatto quasi spezzare l’osso del collo a Yamaguchi… ci manca solo che si facciano male e addio preliminari del torneo primaverile…» Torna a sedersi lì, al secondo gradino, ma ora è più che vicino: è appoggiato contro le tue gambe. 
Ti schiarisci la voce, il cuore sta per uscirti dalla bocca quando la apri per rispondere e riversargli addosso tutto il tuo folle amore, ma… il destino è un bastardo e tu sei un vigliacco. 
«Tocca a me adesso, sensei…»
Ukai ti strappa la bottiglia di mano, bruciando per sempre l’occasione della tua vita. 
 
[Delusione: disagio morale provocato da un risultato contrario a speranze, previsioni.]
 
«…Scelgo… scelgo…Obbligo. Ho paura di quello che potresti chiedermi con Verità; nonostante siano passati parecchi anni, ho ancora soggezione delle domande dei professori!»
Arrossisce e ride, ignaro della tua voglia disperata di piangere; porta una mano dietro la nuca mentre l’altra prima lancia l’ennesimo mozzicone nella notte e poi viene a stringerti il ginocchio, in una morsa che tu leggi come sensuale, ma che forse vuole solo essere complice. 
Il tuo maledetto corpo non cede un centimetro nella corsa alla supremazia sulla mente e ti pugnala ancora una volta: ecco che non vuoi più piangere, sopraffatto da qualcosa sotto l’ombelico che senti liquefarsi dentro di te e che ti distrae, subdola, da quello che intanto la tua bocca dice. 
 
«Baciami.»
 
Per la prima volta in vita tua il cervello tace. Annichilito. 
Oh, no. Oh, merda.
L’ho detto io?! 
Lo sguardo di Keishin non lascia scampo. L’hai detto tu. 
Cerchi di richiamare a te le parole – altre parole, parole sensate, non dettate dal tuo stupido istinto – ma tutto ciò che riesci a trovare nella testa è un fischio sordo di fine trasmissioni, mentre quegli occhi nocciola affilati stanno scrutando ben oltre i tuoi occhiali che… oh, kamisama, vi prego, no, cominciano pure ad appannarsi… Congratulazioni, Ittetsu, stai assistendo al momento più basso e imbarazzante dei tuoi primi trent’anni di vita.
Alle vostre spalle si sentono all’improvviso urla e schiamazzi ed entrambi scattate in piedi continuando a guardarvi smarriti. Ukai si volta ed entra in palestra e il tuo corpo lo segue meccanicamente in uno stato catatonico. Cervello ancora non pervenuto. 
I ragazzi stavolta hanno pensato in grande. 
Contro la parete in fondo, con i capelli sciolti e una faccia terrorizzata, c’è Azumane in boxer a braccia aperte nella posa inequivocabile di Gesù Cristo crocifisso, che si erge sulle spalle di un Tanaka paonazzo per lo sforzo e con le ginocchia tremanti. Ai suoi piedi, in una composizione quasi da icona medievale italiana – che non ti spieghi proprio come possa rientrare nell’immaginario di un gruppo di liceali giapponesi non particolarmente colti – tre figure velate da asciugamani: Nishinoya, Yamaguchi e Sugawara. Intorno: il delirio. 
I responsabilissimi Sawamura ed Ennoshita si stanno rotolando dalle risate. Hinata sembra che stia per farsela addosso ed è rosso senza soluzione di continuità: rossi i capelli, rossa la pelle, rosso l’improbabile pigiama che indossa. Poco più in là, Kageyama sta sussultando con la faccia ben nascosta nel proprio cuscino… e per fortuna, pensi, perché davvero l’umanità non è pronta a veder ridere quel ragazzo a crepapelle. Tsukishima sta filmando tutto con il cellulare, sul viso un ghigno inquietante che sembra una paralisi, non sai dire se di divertimento o di scherno, ma tant’è. 
Ukai con uno scatto incredibilmente lucido e veloce, considerata la quantità di alcol ingerito stasera, corre a salvare l’asso sbraitando contro tutti, intimandogli di andare a dormire. 
È il momento giusto per defilarti, per fare una passeggiata sperando di schiarirti le idee.
Torni fuori a respirare a pieni polmoni l’aria fresca di ottobre. Il cervello ha ripreso a girare mesto. Tutto in te grida la frustrazione di essere andato a tanto così dalla realizzazione di un sogno e aver mancato quell’occasione. Stai cercando le parole giuste per consolarti, ma sei sempre stato più bravo ad aiutare gli altri che te stesso. 
A questo punto speri solo che lui dimentichi, che l’abbia presa come una battuta e, di sicuro, semmai dovesse riprendere l’argomento, è lì che la butterai: baciarmi? ma ti pare?! Stavo scherzando, Ukai!
Ti appoggi con un fianco al muro esterno della palestra e alzi gli occhi al cielo. Ti gira la testa, hai bevuto troppo. Un singhiozzo improvviso ti riempie gli occhi di lacrime.
Ma guardati, Ittetsu, sei patetico. Hai ventinove anni, è venerdì sera, cosa diavolo ci fai ancora qui, a scuola, a sorvegliare un branco di adolescenti?! A ubriacarti e a cercare di rimorchiare la tua cotta liceale… Cosa avevi in testa, cosa ti aspettavi? Tornatene subito a casa e dimentica questa storia, di’ a Ukai che non ti senti bene e che lasci a lui la responsabilità dei ragaz… 
Una mano ti artiglia un braccio e ti spinge con violenza contro il muro mentre un’altra ti prende il mento. Ukai ti sta scrutando con uno sguardo urgente e vagamente disperato. 
Vorresti dire qualcosa di fico, di memorabile, qualcosa che renda giustizia alle centinaia di brutte poesie struggenti che hai scritto per lui e agli squallidi e ricorrenti sogni bagnati che hai fatto negli anni su di lui; ai baci che hai dato e che hai ricevuto pensando solo a lui, al sesso senza amore nei love hotel di Sendai con sconosciuti incontrati online, ai quali hai sovrapposto lui e sempre lui… ma mentre ci stai riflettendo, è proprio lui che ringhia un “vieni qui” tra i denti lanciandosi sulla tua bocca. 
 
E ora insegnaci, sensei, quale parola descrive un sogno che si avvera? 
 
Quale può racchiudere il suono di labbra assetate contro labbra affamate, il sapore amaro della birra e del tabacco, la prepotenza della lingua che accarezza e assapora e affonda e si ritrae per poi tornare? I gemiti scomposti, gli occhiali che cadono, i capelli spettinati, le dita sulla pelle, sotto i vestiti, senza confini, senza respiro, senza paure?
Finalmente il corpo si fa perdonare una gioventù di imbarazzi inopportuni e acerbi in favore di una nuova consapevolezza, mentre si scioglie, incredulo, sotto il suo tocco ruvido e calloso. 
E come fai a non perdonargli tutto, quando gemi di sorpresa al ginocchio infilato tra le tue cosce per allargarle; come puoi non sentirti sopraffatto dalla violenza delle tue sensazioni, quando Ukai con un ringhio si sfrega irruento contro di te mordendoti il collo; come riesci a non svenire, quando prendendoti saldamente per le natiche, ti tira su, portandoti all’altezza dei suoi occhi liquidi di piacere? Dove trovi la forza per stringergli le gambe intorno ai fianchi, far sfregare i vostri bacini strappandovi un lungo gemito unisono, quando si stacca dalla tua bocca e ti guarda inebriato, ubriaco, eccitato? 
Adesso sei tu che chiedi perdono al tuo corpo maltrattato, insultato e sottovalutato per tutta la vita, per aver pensato che l’amore fisico fosse un mero gesto meccanico, che il desiderio fosse…
Un cigolio. 
Vi bloccate, occhi spalancati negli occhi senza nemmeno respirare. 
La porta della palestra si è aperta, uno dei ragazzi sta uscendo, forse diretto in bagno. I tuoi occhiali sono a terra, non riesci a distinguere chi sia, Ukai mima con la bocca Hinata.
Rimanete così, immobili, ancora una manciata di secondi, per essere sicuri che Shouyou sia andato via e che non vi abbia visto. 
Ukai chiude gli occhi e posa la fronte sulla tua. Sospira. «Sensei, io… cazzo! Mi dispiace…»
 
[Pentimento: il riconoscimento di una propria colpa associato, sul piano morale, a un atteggiamento di autocondanna.]
 
Ed ecco che, gelosa e possessiva, la tua mente si vendica per averle preferito per una volta il corpo. Guardalo, Ittetsu, si è reso conto di aver fatto una gigantesca stronzata. 
Sciogli le gambe dai suoi fianchi appoggiandoti contro il muro, lui si allontana e all’improvviso ti senti infreddolito, fragile e terribilmente indifeso senza gli occhiali. Non fai in tempo a chiederti dove siano finiti che lui te li inforca con lenta delicatezza. Metti a fuoco quest’uomo bellissimo; metti a fuoco i capelli sciolti sugli occhi e le labbra gonfie e arrossate. Metti a fuoco il suo disagio. 
 
[Imbarazzo: situazione di temporanea perplessità nella scelta di un atteggiamento o di un comportamento.]
 
«S-scusa sensei… ehm, io n-non so cosa mi sia preso… n-non… non succederà mai più, promesso!»
«N-no… io… ecco, sono io che devo scusarmi, forse ho un po’ esagerato con l’alc…»
Un altro cigolio e Ukai ti si lancia addosso schiacciandoti contro il muro, una mano a coprirti la bocca. Ruoti gli occhi verso la porta, stavolta è Kageyama.
Appena Tobio entra nell’edificio di fronte alla palestra, forse anche lui diretto in bagno, torni con lo sguardo su Ukai, a pochi centimetri da te. 
Tra il corpo e la mente in questo momento sembra esserci un patto di non belligeranza, tutto tace finché non ti concentri sul peso del suo corpo contro il tuo, sul calore della mano sulla bocca, sull’odore della pelle, sui capelli biondi che ti cadono sulla fronte accarezzandola, sulla sua altezza, sulla sua prossimità. 
E la tua erezione rompe la tregua pulsando gioiosa contro la coscia di Ukai. 
Si può morire di vergogna?! Ora riderà di te e ti lascerà qui, solo e triste. È finita, domani rassegnerai le dimissioni da coach. 
Lui però non ride, non si spaventa, non scappa. Ti guarda con desiderio, ritira la propria mano e geme sulla tua bocca prima di tornare a baciarti. 
E stavolta gli lanci le braccia intorno al collo stringendolo forte, ben deciso a non farlo andare più via mentre il tuo cervello sta spaziando tra i circa centottantamila vocaboli che hai memorizzato nella tua vita, ma l’unico che abbia senso, qui e ora, è solamente Keishin mormorato più e più volte sulle sue labbra.
Lui sospira e riprende a strusciarsi contro di te facendoti gemere ad ogni spinta, ogni respiro affannato, ogni piccolo morso, le mani che ti accarezzano la schiena ma non scendono più giù di così, torturandoti di desiderio. Con una scia di baci arriva fino al tuo orecchio e sussurra: «Sensei… ehm, Ittetsu… io… io con un uomo… non ho mai…» 
All’improvviso la faccenda del sensei acquista un significato talmente perverso che mente e corpo si stringono soddisfatti la mano mentre cerchi di non venire nei pantaloni al pensiero di poter realizzare anche una sola delle centinaia di fantasie che ti si sono palesate in testa alla velocità della luce. 
Gli strappi un bacio talmente irruento che lo senti ringhiare, mentre tra un respiro e l’altro mormori un ci penso io che ti fa sentire sporco e la cosa ti eccita ancora di più. Scendi con le mani accarezzandolo attraverso la stoffa dei pantaloni e, oddei, senti cedere le gambe quando lui sbuffando getta la testa indietro al tuo tocco facendoti quasi sentire male per il piacere di donargli piacere.
Ma il tuo cervello stasera ha proprio deciso di rovinarti la festa e una frase risuona dentro di te come un campanello di allarme.
Hinata e Kageyama. Perché non tornano dal bagno? Forse è il caso di andare a controllare che, appunto, non stiano male... 
Ma no, staranno benissimo, ti costringi a pensare mentre scivoli con la mano verso l’elastico dei pantaloni di Ukai e con la bocca cominci a scendere con una scia di baci e schiocchi umidi sul suo collo, in un concerto affannato di gemiti e sospiri.
E se invece avessero mangiato qualcosa di avariato o di tossico? Sei il loro responsabile, Ittetsu, non puoi fare finta di niente. 
Ma figuriamoci, li ho visti ingurgitare ogni genere di schifezza; Hinata mangia tre volte il suo peso, perché dovrebbe star male proprio stasera?! 
E se invece… proprio stavolta…?! 
Maledetta… maledettissima stronza! 
E tu che per anni hai bistrattato il tuo povero corpo senza sapere che il vero nemico fosse la mente! 
Sbuffi sonoramente e ti allontani da lui. Ukai tira su la testa e ti guarda con occhi talmente sexy e annebbiati che devi fare appello a tutte le divinità che conosci per non saltargli di nuovo addosso.
Ti prende il viso tra le mani e con una voce roca ti chiede: «Che succede?» 
«N-non riesco a pensare ad altro…!»
Lui sorride, si sporge su di te e ti soffia sulle labbra: «Anche io…»
«No… intendevo che non riesco a non pensare a Shouyou e Tobio!»
Ukai continua a baciarti e, di nuovo, richiami tutti i kami del cielo e della terra, chiedendone in prestito alcuni anche ad altri culti, semmai non bastassero i tuoi a farti rimanere concentrato sul problema. 
«…A chi?!»
«Hinata e Kageyama!»
Finalmente Ukai si blocca, ti prende per le spalle e ti allontana per guardarti con aria interrogativa.
«Ukai, sono entrati in bagno da un bel po’… non si saranno sentiti male?»
Lui inspira profondamente chiudendo gli occhi e alzando il volto al cielo. Sei tentato di offrirgli un po’ dei santi e degli dei che hai radunato perché sembra averne un disperato bisogno. Espira dal naso, abbassa la testa e si porta le mani sui fianchi, mormora qualcosa che suona come che due rompicoglioni, poi ti guarda rassegnato e sussurra: «Va bene. Andiamo a vedere che succede.»
 
[Intermissione: interruzione, sospensione.]
 
Quando arrivate, trovate la porta socchiusa e uno spicchio di luce che nell’oscurità si allunga sul pavimento del corridoio. In un silenzio sospetto, intervallato da stoffa strofinata, schiocchi di labbra e carne, gemiti e sospiri, hai un’intuizione e fai segno a Ukai di tacere. Ti avvicini cauto strisciando verso la luce. 
Ti sporgi di poco e li vedi. 
Non puoi dire che la cosa ti stupisca del tutto perché avevi già sospettato qualcosa, ma comunque ti porti le mani alla bocca per soffocare un grido di sorpresa. Qualche metro dietro di te, Ukai gesticola alle tue spalle facendoti capire di non avere la minima idea di cosa stia succedendo. Torni verso di lui, lo tiri per una manica facendolo abbassare e gli mormori in un orecchio: «Non sono sicuro tu voglia davvero sapere cosa stiano facendo…»
Un lungo verso strozzato, forse di Hinata, e intuisci dagli occhi sbarrati di Ukai che deve essere arrivato anche lui alla conclusione che i ragazzi stanno più che bene. Sicuramente meglio di voi. 
Una volta fuori, l’odore umido della notte vi investe; prima c’era un incendio a scaldarti e non ti eri reso conto che la frescura della sera si fosse trasformata in un freddo spietato.
Ripensi alla morbidezza della sua bocca in contrasto al prurito della ricrescita della sua barba, al suo sapore, le sue mani grandi e calde ed è come un soffio sulla brace, nascosta sotto la cenere nelle tue viscere.
Ti volti a guardarlo per essere sicuro che sia tutto vero. Ukai è una figura cobalto che si staglia contro le centinaia di sfumature di blu notturno avvolta intorno alla sigaretta che ha tra le labbra, bianca; l’accendino scatta e una sfera di luce arancione risplende sui suoi capelli sciolti che con un gesto della mano si porta dietro le orecchie per non bruciarli. L’accendino si spegne e rimane solo un puntino luminoso a rischiarare l’oscurità intorno a voi. Un piccolo faro, una stella polare verso il tuo nord. 
Butta fuori una nebbia densa e bianca, sussurra: «Troppe emozioni per una sola serata!» e c’è stupore, ma anche divertimento nella sua voce.
Fai un passo e ti avvicini. «E così… la tua prima volta con un uomo, mh?»
Fa un passo e si avvicina. «La mia prima volta con un professore, vorrai dire…»
Ridi e gli prendi la mano. «Puoi imparare molto da un professore, sai?»
Ride e ti stringe la mano. «Non vedo l’ora che comincino le lezioni.»
Fa un altro tiro senza staccare gli occhi dai tuoi occhi, butta la sigaretta per terra, ti prende per i fianchi accorciando la distanza che vi separa: «Tocca di nuovo a te, sensei. Obbligo o Verità?»
Da qualche parte dentro di te, il liceale, anonimo e magrolino, esce dall’ombra rendendosi finalmente visibile. Hai voglia di abbracciarlo, di dirgli che ne è valsa la pena aspettare, che ce l’avete fatta, che finisse anche adesso con Ukai, da stasera sei un altro uomo; ma hai tutto il tempo della tua vita per farlo, perché ora ci sono occhi dorati e pieni di desiderio che ti aspettano. Sorridi. Abbassando ogni difesa ti togli gli occhiali e li incastri nel collo della maglietta, gli allacci le braccia intorno al collo e, con l’unica parola stampata a caratteri cubitali nella mente che spieghi la pienezza del tuo cuore in questo momento, sussurri sulle labbra dell’uomo che desideri da sempre: «Obbligo». 
 
[Felicità: la compiuta esperienza di ogni appagamento.]




 
**********
 
Grazie a tutti per essere arrivati fin qui, spero davvero vi sia piaciuta, fatemi sapere cosa ne pensate!
Un grazie speciale alle mie sensei Tiger Eyes e Moira78 per aver letto per prime pur non sapendo assolutamente NULLA di Haikyuu! Grazie ragazze <3!!!
 
 
 
 
   
 
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