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Autore: moira78    31/01/2023    2 recensioni
Nel manga, Albert salva Candy da un leone. Ed è proprio così che comincia la storia, con il racconto di quella giornata incredibile. Seguono tre storie alternative sullo stesso tema. Molto alternative... E se le cose fossero andate diversamente?
Genere: Generale, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Candice White Andrew (Candy), William Albert Andrew
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Nella mente, nel cuore, ero sempre a casa. Ho sempre immaginato, davvero, di tornare a casa.
(Miriam Makeba)


 
 
Albert torna a casa

"Signore, sta bene?".

"Cosa?".

"Sta lì seduto da un sacco di tempo. È sicuro di voler rimanere qua?".

Ti guardi intorno e ti rendi conto che è già sera. Giri il capo, spaesato, a destra e a sinistra, accorgendoti che il bagliore tenue delle luci della strada raggiunge a malapena la clinica del dottor Martin, rendendola quasi spettrale.

Posi le mani sulle ginocchia e infine ti alzi, chiedendoti effettivamente quanto sei rimasto seduto su quella radice, ai piedi dell'albero che è stato teatro della tua ultima avventura fuori dall'ordinario insieme a Candy.

Già, Candy, chissà se ora...

"La tua fidanzata ti aspetterà a casa. O è tua moglie?". Il piccolo passa a darti del tu e pensi che, tutto sommato, preferisci così. Non sei poi così vecchio!

Però alle sue parole sussulti così forte che per poco non sei tu a inciampare.

Cade all'indietro, Candy, con le palpebre spalancate dall'orrore, in un momento cristallizzato nel tempo che pare infinito.

Il ragazzino ti fissa con i suoi curiosi occhi infantili sotto al berretto consunto. Neanche la giacca è in condizioni migliori e non sai se lo copre a sufficienza. Non che abbia importanza, dopotutto, ora la tua priorità è cercare di confezionare una risposta plausibile perché, forse per la prima volta da quando sei nato, non sai cosa rispondere.

Magari solo la verità...

"Nessuna delle due, piccolo. Come ti chiami?", gli posi una mano sul berretto in un gesto confortante. Non deve essere affatto bello starsene lì da soli a quell'ora e ti chiedi dove siano sua madre, i suoi genitori, chiunque si occupi di lui.

"Ryan. Allora cos'è? Sembrava così triste quando è andata via in macchina! Avete litigato?".

Deglutisci, o almeno ci provi, fissando prima con più attenzione il bambino e poi scoccando un'occhiata alla strada ormai deserta. In qualche modo, comprendi che il ragazzino è lì da solo. Veramente da solo. D'istinto, senza alcuna connessione logica, ti porti una mano alla fasciatura e noti il sangue rappreso, la camicia strappata. Stringi il tessuto e chiudi gli occhi, ricordando le lacrime di lei, quel pegno che hai dovuto pagare vedendola però sana e salva. Odi vederla piangere, daresti la tua stessa anima perché sia sempre felice.

La tua stessa vita.

D'altronde, sei sempre più carina quando ridi che quando piangi...

"Lei è la mia infermiera".

Il piccolo sgrana gli occhi: "Un'infermiera tutta per te?! Forte! Io quando sto male vengo... venivo sempre qui".

Ryan s'interrompe, socchiude gli occhi come scrutandoti la ferita quasi volesse trapassarla e arrivare all'anima. O perlomeno è questa la sensazione che hai, netta e chiara come il sole, mentre ti accorgi di una consapevolezza che gli rilassa i lineamenti in un movimento impercettibile delle labbra socchiuse. Eppure si riprende subito, come se non fosse accaduto nulla, come se preferisse ignorare i tagli sotto alla benda. Saltella in quel modo allegro in cui solo i bambini riescono a farlo senza sembrare goffi: bilanciandosi su un piede e poi sull'altro, in una marcia ritmica che presto coinvolge anche le braccia e che ti strappa un sorriso. E così va verso la strada e ti risolvi a seguirlo, affondando le mani nelle tasche dei jeans. Cammini in silenzio, ti concentri sulla figura piccola e smunta che sembra piena di vita e di buone intenzioni, sull'asfalto che s'impregna dell'umidità della sera e sul mormorio delle fronde degli alberi sopra di voi. Perlomeno finché non raggiungi la periferia abitata e allora tutto diventa un mormorio lontano e vicino di voci, il canto di un ubriaco appoggiato a un lampione, la risata che proviene dall'interno di un locale e il pianto di un neonato dietro la finestra di una casa dai muri scrostati.

Eppure, tutto è anche Candy, che ti stringe forte le bende gridandoti quella domanda come se rispondendole poteste tornare indietro nel tempo. Perché lo hai fatto?! Perché hai fatto una cosa tanto pericolosa, Albert?

Perché non avrei potuto fare altrimenti. Non mi era possibile comportarmi in modo diverso.

Era disperata ma anche furiosa, oh se lo era! Di rado hai visto tanta furia nei suoi occhi e per un attimo pensi che non ti perdonerà mai. Il problema, però, non è quello: sei sicuro che prima o poi la rabbia si sgonfierà, sciogliendosi come neve al sole.

Come lacrime.

La domanda è: perché pareva così spaventata? Quasi come se tenesse a te più di quanto fosse lecito illuderti?

"Da quanto lavora dal dottor Martin la tua amica infermiera con le buffe code?". Ryan si ferma a un incrocio con un semaforo rosso e ti fissa con una certa serietà.

Lo raggiungi e ti chini alla sua altezza, puntellandoti su un ginocchio: "Candy non lavora per il dottor Martin, ma in ospedale. Temo però che da oggi non...". Un'idea ti passa per la mente, chiara e limpida come un fulmine a ciel sereno. "Potrebbe lavorarci in effetti!".

Il piccolo sorride e china un poco il capo, come se non capisse il tuo ragionamento. E come potrebbe comprendere che Candy, forse, non avrebbe più lavorato in ospedale a causa tua? Perché ha deciso, contro tutto e contro tutti, di viverti accanto per aiutarti a recuperare la memoria suscitando di certo i leciti sospetti del direttore e magari voci poco lusinghiere da parte di colleghe e medici...

Povera, piccola e altruista Candy...

Ryan allunga una manina quando ti raddrizzi in piedi per proseguire e per un breve istante lo guardi, incerto se accettarla. "Vuoi... che ti accompagni da qualche parte?".

Il ragazzino scuote la testa e ti pare, per la prima volta da quando lo hai visto, sull'orlo delle lacrime. Le piccole labbra tremano e ti senti stringere il cuore. "No, sono già stato dove dovevo andare. Se vuoi accompagno te".

"Io...". Stai per dire che non hai bisogno di compagnia, sei adulto e sai perfettamente qual è la strada di casa, ma comprendi anche che state procedendo verso la stessa meta, dopotutto, quindi perché non percorrere la via insieme?

Stringi la manina sentendoti un po' fratello maggiore, un po' papà, un po' sostenuto tu stesso e cammini senza fretta verso la Casa della Magnolia.

A pochi passi dal piccolo condominio, vedi due figure venire verso di voi e riconosci Archie e Annie, che procedono stretti e a testa china. Un passo, un altro ancora, l'oscurità della sera e la poca luce dei lampioni ti rendono impossibile capire quanto siano in pena i due amici che, è evidente, hanno da poco lasciato l'appartamento.

Oh, Candy...

Impercettibilmente, stringi la piccola

...e calda...

mano di Ryan e ti sorprendi nel ricevere da lui una stretta di risposta. Archie ha il braccio attorno alle spalle di Annie, la cui mano destra tiene un fazzoletto premuto sulla bocca. E le parole escono come ovattate...

"Non avremmo dovuto lasciarla sola"

...prima che vi passino attraverso in una sensazione così strana a metà tra il vuoto e la pienezza, che rabbrividisci come se la ferita fosse davvero ancora aperta.

"Se la caverà, Annie, d'altronde sai benissimo che i tuoi genitori non ti lascerebbero mai dormire fuori casa".

"Ma hai visto com'era disperata?! Neanche quando si è lasciata con Terence era in simili condizioni!".

"Hai ragione. Possibile che lei...".

Ti senti tirare per il lembo della giacca e sbatti le palpebre, abbassando infine gli occhi, prima incollati alla coppia che si allontana piano, su Ryan che ti guarda incuriosito: "Non credo che abbiamo tanto tempo, sai?".

Annuisci, incapace di proferire parola e, come in sogno, riprendi a camminare verso casa domandandoti cosa volesse dire Archie prima di aprire la portiera dell'auto e far salire Annie. Avresti potuto seguirli, ascoltare ancora, ma non sarebbe servito a molto, se non a evocarti un dolore così grande che forse ti saresti sentito dannato per l'eternità anche se non hai commesso alcun peccato mortale.

A parte uno, forse...

"Io ti aspetto qui", dice il bambino sedendo sull'ultimo gradino, come se davvero non volesse essere d'intralcio al vostro saluto. Tira fuori dalla giacchetta lisa uno yo-yo in legno che inizia a far scendere e risalire con una certa abilità e un movimento quasi ipnotico.

Ti ci perdi per lunghi istanti.

Stai forse cercando di rimandare l'inevitabile? Forse, perché una volta che rientrerai a casa, non sei sicuro di poterne uscire di nuovo. E, tuttavia, sai che prima o poi ti reclameranno e dovrai farlo, volente o nolente.

Dietro la porta ancora chiusa, puoi udire i singhiozzi sommessi di lei e ti basta allungare una mano sulla maniglia per trovarti davanti a Candy che, con i gomiti incrociati sul tavolo e il capo in mezzo, scuote le spalle nel suo pianto accorato.

Quella tavola dovrebbe essere apparecchiata e colma di vivande. E tu dovresti trovarti in cucina, a preparare le ultime portate da servire a una ragazza sorridente che si toglie il cappotto e corre a lavarsi le mani prima di cena.

Invece la tavola è spoglia, eccezion fatta per un bricco di tè o camomilla che doveva aver preparato Annie, tre tazze di cui una quasi piena, e dei fazzoletti di stoffa che appaiono madidi di lacrime versate. Se potessi, piangeresti con lei, abbracciandola, ma soprattutto chiedendole perdono.

Perdonami, perché avrei voluto vivere per te. Perdonami, perché non sapevo che avresti sofferto tanto. Perdonami, perché ho stupidamente pensato di essere immortale e invincibile. Perdonami, perché ora non potrò più raccontarti la verità.

Senza potertelo impedire, allunghi una mano per poterla toccare e ti sorprendi di sentirla solida come non lo erano stati Archie e Annie o la stessa porta. Possibile che il desiderio di averla vicina un'ultima volta la renda tangibile?

"Perché, perché sei stato così stupido? Cosa farò ora, senza di te? Albert... Albert!". La voce è soffocata dalle lacrime e dalle braccia e tu, contro ogni logica, ti chini sulle ginocchia come hai fatto poco prima in strada.

"Perdonami. Volevo solo salvarti, Candy".

Lei scatta su come per un grosso spavento e ti rendi conto che, dopotutto, forse può persino sentirti. Rimani in silenzio per brevi istanti, perdendoti nei suoi occhi, cercando in essi il tuo stesso riflesso e non trovandolo, dopotutto. Ma anelandolo al pari di un respiro.

"Albert...". La sua voce è un sussurro gelido, uno sbuffo di fumo denso e inodore, condensa in una giornata d'inverno.

Lo sai che stai per fare qualcosa di assurdo, solo per usare un eufemismo. Così come sai che da vivo non ti saresti azzardato neanche ad accarezzare l'idea. Eppure eccoti, che ti sporgi verso le sue labbra socchiuse e tremanti; eccoti, che rimani immobile per un breve istante eterno, cercando di cogliere il suo aroma, il suo respiro caldo, la sua essenza. Prima di unire le vostre labbra illudendoti di sentirle morbide e vive... e, diamine, forse è vero! Dio, se è vero! Sono tiepide, dolci e salate, umide e carnose.
Assurdo come tu ti possa sentire vivo pur non essendolo. E come senti che il tuo corpo sia tangibile e desideroso di un contatto più profondo, più esclusivo, fosse anche solo un abbraccio per completare questo strano bacio a metà tra la Terra e il Paradiso.

Hai ancora gli occhi chiusi quando ti accorgi che Candy è a testa china. Non la stai più baciando ma guardando, il tempo forse è diventato relativo e lei sembra una bambola rotta, afflosciata su se stessa come se le energie fossero state risucchiate via. Solo le gambe sembrano reagire e la portano in piedi, la fanno camminare con movimenti automatici e legnosi fino alla vostra camera. La vista del vostro letto a castello ti pugnala e ti ferisce, uccidendoti ancora una volta, mentre lei si getta a peso morto sul tuo letto, quello inferiore, quello dove l'ultima volta hai dormito giusto ieri notte.

La sua immobilità, le sue lacrime silenziose che scivolano come cascate dalle iridi spalancate sono peggio di qualunque singhiozzo. Se tu non hai più un corpo, Candy ha appena perso l'anima.

"Reagisci, Candy, reagisci! Mi dispiace, mi senti? Non volevo... non doveva succedere! Ma, diamine, che potevo fare?!".

La sua immobilità è tale che sembra lei la morta. Se non fosse per le lacrime che sembrano cascate incontrollabili, persino il suo pallore sarebbe quello cadaverico

del tuo corpo quando, ancora fasciato stretto nell'intento di bloccare l'emorragia, viene messo su una barella e coperto prima che Candy inizi a gridare. E non serve che il dottor Martin la trattenga. Ha gli occhi aperti, non vedete? È vivo! Lasciate che gli disinfetti le ferite e gli rifaccia il bendaggio, vi prego!

di una donna che non sia più in vita.

Per questo, quando finalmente parla, persino la sua voce ti sembra provenire dall'oltretomba. Spenta, un suono che ha solo il ricordo del tono fresco di Candy.

"Non posso sopportare anche un colpo simile. Non posso".

"Sì che puoi!", urli, sperando che in qualche strano modo ti ascolti per davvero.

"Miss Pony, suor Lane, ho sempre cercato di mantenere il sorriso, ma ora che ho perso anche Albert cosa mi rimane? Cosa mi resta?!". E la senti, oh, se la senti l'emozione, adesso! Un'emozione viva eppure defunta allo stesso tempo. La morte della speranza, la fine dell'illusione, l'ultimo grido prima di lasciare la presa e precipitare.

"No, Candy, no, reagisci, mi senti? Mi senti?!". Speri che alzando la voce a pochi pollici dal viso serva ad arrivare a lei? Ripetendo ancora e ancora che deve reagire e ascoltarti?

"Cosa mi resta?!", ripete invece Candy, stringendo le mani al petto, stropicciando la stoffa del vestito come se volesse distruggerla al pari del cuore già martoriato.

"Hai te stessa, Candy, il tuo lavoro da infermiera, i tuoi amici! Hai la tua vita che ho salvato a costo della mia! Ti prego... ti prego...". Può un morto piangere? In qualche maniera sovrannaturale lo stai facendo, mentre la supplichi e lei ti guarda attraverso.

E mormora qualcosa che non ti aspetti. Che forse hai sperato, ma che se prima che ti gettassi a corpo morto contro quel leone poteva essere motivo di gioia, ora ti provoca una sensazione di orrore.

"Dio mio, io lo amavo... lo amavo davvero...". Sembra stupita, la tua Candy, mentre lo dice con un tono che diventa calmo e si alza a sedere, senza togliere le mani dal petto, quasi temesse che quel cuore possa davvero marcirle tra le dita per tanta sofferenza.

Preferiresti che non fosse così, come avevi sognato tante volte. Che non ti ricambiasse e che desiderasse ancora Terence, che perlomeno è vivo. Invece no. Invece quella meravigliosa eppure terribile verità ti trafigge, facendoti comprendere di colpo a quali livelli il tormento di Candy la sta colpendo.

"Candy...". Allunghi una mano in una carezza. Vorresti baciarla di nuovo, dirle che l'ami da sempre, anche se in modo diverso in ogni fase della sua vita. Oggi saresti stato pronto a farne tua moglie, una volta sistemato tutto. Ma ancora le dovevi tante, troppe verità...

"Tutti, ho perso tutti...". Il tono ora è definitivo, quasi un soffocare lento e inesorabile.

"No, Candy, non dire così...". Ma sai che è vero. Sai che a soli tredici anni ha affrontato il trauma della morte di Anthony, subendolo forse anche più di te, perché non era che una ragazzina che aveva appena imparato ad amare. Sai che di recente ha detto addio al suo amore dell'adolescenza perché un'altra donna ne ha bisogno più di lei. E sai che, se davvero si era innamorata di te, non può che sprofondare nell'ineluttabilità di un destino beffardo e crudele che sembra deriderla.

"Tutti...".

"No, Candy, non...".

"Non posso vivere con questo dolore!". E grida, Candy, come se ti stesse accusando direttamente. "Non voglio più vivere per veder morire le persone che amo, non voglio, non voglio!". E si prende la testa fra le mani, lasciando il cuore a colare via sulla stoffa sciupata del vestito rosso, adesso cerca di non far esplodere il capo o di non ascoltare il macabro suono dell'addio coprendosi le orecchie. E continuando nel suo gesto di diniego. Ripetendo che non può e non vuole vivere.

E tu provi quasi rabbia. Comprensione, sì, ma anche rabbia. Perché Candy non è così, Candy deve continuare a essere resiliente e forte e tu devi fare qualcosa perché non si lasci andare. Ha ingannato forse Archie e Annie convincendoli a lasciarla sola, che se la sarebbe cavata. Ma tu non vuoi, non puoi lasciarla sola.

E devi fare in modo che lo sappia.

La osservi mentre si alza e ti sposti per lasciarla passare, stupidamente, per mero istinto. Candy batte i due pugni sul tavolo, facendo tintinnare il servizio da tè. "Mi hai lasciata sola anche tu, anche tu, Albert!".

"Non ti ho lasciata sola, volevo solo salvarti la vita!". E ti ritrovi ad alzare la voce ancora una volta, ma anche a emulare il suo gesto. Più forte, come un uomo che stia discutendo a tavola. Incredibilmente, le tazze tintinnano più forte, il piccolo coperchio del bricco di porcellana si sposta e scivola via, cadendo sulla tovaglia.

Lo guardi stralunato, rendendoti conto che lo sta fissando anche Candy con due occhi spalancati da uno stupore senza fine, le lacrime non scendono più e hai la netta sensazione che stia trattenendo il fiato. E che continui a farlo mentre allunga una mano verso quell'insignificante coperchietto, la ritrae come spaventata, quindi lo prende in mano e si guarda intorno.

"Albert...?".

"Sono qui e a quanto pare mi sono appena trasformato in un poltergeist per causa tua", le mormori con un leggero sorriso.

Ovviamente, stavolta non ti sente. Oh, se solo potessi restare qui, ignorando che sulle scale c'è un bambino con lo yo-yo a cui hai praticamente promesso che lo raggiungerai! Non hai idea se sia colui che ti deve scortare dove devi andare o solo una piccola vittima che ha bisogno di compagnia, ma sai anche che è giusto che tu torni da lui. Fuori dalla vita di Candy, della tua famiglia, di tutti. Fuori... dalla vita e basta.

Con occhi avidi, segui il suo dito che accarezza la porcellana come se stesse accarezzando il tuo viso.

"Sono qui, Candy, in qualche modo sarò sempre qui. Non ti arrendere, ti prego. Un giorno, fra molti anni, molti, MOLTI anni, mi rivedrai. Ci rivedremo. Ti aspetterò e voglio che tu abbia una vita piena e felice. Con chiunque vorrai. In qualunque modo vorrai".

"Grazie, Albert". Sussulti a quelle parole. In apparenza, si rivolge al piccolo coperchio che ripone con gesti lenti e precisi dov'era prima. Forse pensa che sia stato tu a farlo cadere ma non ha davvero sentito quello che le hai appena detto. O forse sì. Non lo sai, ma avverti il senso di pace che l'avvolge e ti senti in pace tu stesso.

Le hai dato il segnale che volevi e hai ottenuto il risultato che desideravi, quindi perché questa sensazione che stia fingendo solo per te? Per te che non dovresti neanche essere qui?

"Vorrei tanto vederti felice". Le ripeti quelle parole che le sussurrasti una volta, quando le sue lacrime erano per Terence, e vedi qualcosa illuminarsi nelle sue iridi. Lacrime, stupore, consapevolezza. Fissa un punto un po' alla tua destra e protende le dita come per toccarti. Ti sposti per offrirle la guancia, su cui hai la netta sensazione che scivolino le tue, di lacrime, e speri che ti senta.

Una sorta di piccolo sorriso le attraversa le labbra e, nel medesimo istante in cui ti sembra che ti guardi negli occhi, Candy sparisce e ti ritrovi al buio. In un nulla buio dove un ragazzino con i vestiti logori e un berretto consunto sta facendo scendere e risalire uno yo-yo come una clessidra del tempo che abbia terminato la sabbia.

Sai che è un pensiero stupido, perché una clessidra e uno yo-yo sono molto diversi, ma dentro di te si agitano consapevolezze nuove che non riesci sempre ad afferrare appieno. E tuttavia, le accetti e ne fai tesoro, perché sai che da ora in poi saranno il bagaglio che ti accompagnerà nel luogo in cui sei destinato.

"La rivedrai molto presto". Il bambino lo dice mentre inizia a camminare in quel vuoto, aspettandosi che tu lo segua, senza far smettere al giocattolo quel movimento ritmico.

"Potrò tornare da lei?", chiedi pieno di speranza.

Ryan si ferma, lo yo-yo resta appeso, il viso infantile si alza verso di te e sembra pervaso da una serietà che stride con la sua giovane età. "La guerra", dice e ti si gela il sangue nelle vene. Se non fosse che non hai più vene, né sangue. "Partirà come crocerossina e la guerra finirà presto. Però lei non tornerà qui. Verrà da te una notte di settembre. Lo stesso giorno in cui è morto Anthony".

L'orrore che provi a questa rivelazione ti fa correre indietro, anche se indietro non esiste, perché non c'è più la Casa della Magnolia, tantomeno la luce o qualcosa che somigli a un pavimento. Stai fluttuando. Fluttuando nel panico e in un grido muto o reale che sia.

"Non puoi farci nulla". Ryan è al tuo fianco, come se non ti fossi mai spostato, corso via proprio come un poltergeist impazzito. Fa spallucce, sembra calmo e rassegnato, ma tu sei lontano dal sentirti così e vuoi solo tornare da Candy e dirle di non partire.

"Lei deve vivere ed essere felice, non può lasciarsi morire a causa mia, si tratta di una missione suicida!".

"Ma lei non si lascerà morire. Lei partirà per vera vocazione. Sarà brava e guarirà tanti malati, molti più di quelli che potrebbe aiutare dal dottor Martin. Qualche soldato morirà, ma a uno ad esempio farà una fasciatura come la tua e lo salverà, sentendosi finalmente felice come se avesse salvato te". Lo ascolti, rapito, non sapendo più cosa rappresenti questo bambino, perché il suo sapere sembra così vasto. Si trova in questa dimensione sospesa da più tempo? Ha comunicato con qualche entità superiore che gli ha svelato i reconditi segreti del futuro? E perché te lo sta dicendo?

"Perché voglio che ti calmi e la aspetti dove devi, invece di agitarti tanto, ché non serve a niente!". E ti legge anche nel pensiero! "Il mio sapere non è così vasto, ma hai ragione... sono qui da più tempo perché dovevo tranquillizzare la mia mamma. Anche lei non arriverà tardi, ma starà qui più anni della tua Candy".

Sei allibito, sconvolto, provi empatia per il bambino, hai sete di saperne di più, però... sai che deve bastarti.

"Va bene, andiamo allora". Gli tendi la mano quasi in un gesto di resa e finalmente Ryan sorride e sembra di nuovo un bambino piccolo. Ti si stringe il cuore in una morsa pesante, anche se paradossalmente, man mano che cammini con lui e cominci a scorgere una luce lontana, quel tuo corpo che non è più carne e ossa pare sempre più leggero e inesistente.

Ma l'animo piange l'ingiustizia che ha colpito il ragazzino, che sembra molto più forte di te, e di Candy. E grida all'immagine chiara di lei, sotto un cumulo di macerie, che respira a malapena e non risponde ai richiami che provengono dall'esterno. Anzi, sorride e gira il capo non verso la lama di luce che penetra da un lato, ma verso il buio dove, ora lo sai, l'aspetterai per condurla in un sole ancora più bello e accecante.
 
   
 
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