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Autore: Zikiki98    31/01/2023    0 recensioni
[Vi consiglio di leggere la prima parte: “The World Of Demons – Il Portale Dei Demoni”, che potete trovare sul mio profilo]
La missione di salvataggio mirata a recuperare Edward si è trasformata in un totale fallimento. Isabella e i Cullen sono ufficialmente prigionieri del Conclave, rinchiusi nelle più profonde e invalicabili segrete di Alicante. La vita della Cacciatrice comincia a riempirsi di ossimori, perdendosi nel limbo di chi non riesce più a riconoscersi: verità e bugie, amore e odio, vita e morte.
Come se non bastasse, eventi inspiegabili e terrificanti sono in continuo aumento. Diversi Nascosti e Cacciatori spariscono, improvvisamente e senza lasciare tracce, fino a che non vengono ritrovati morti ai piedi di qualche albero lungo i sentieri delle foreste o nei cassonetti delle grandi città, in tutto il mondo. Queste morti e queste sparizioni sono causate dai demoni, più forti che mai e pilotati da qualcuno di molto furbo e intelligente, ma chi? E soprattutto, perché?
Davanti a questa emergenza globale, shadowhunters, vampiri, stregoni, licantropi e fate, riusciranno a collaborare, uniti, superando le loro divergenze, per il bene e la sopravvivenza di tutti?
(Per leggere l'introduzione completa, aprite la storia, perché la descrizione intera non mi stava, grazie)
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Clan Cullen, Edward Cullen, Emmett Cullen, Isabella Swan, Nuovo personaggio | Coppie: Alice/Jasper, Bella/Edward, Carlisle/Esme, Emmett/Rosalie
Note: Cross-over, OOC, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza | Contesto: Più libri/film, Contesto generale/vago
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 THE WORLD OF DEMONS
L'EREDE DELLE TENEBRE

 
 
*Rating ROSSO: vi avviso che in questo capitolo sono presenti descrizioni di maltrattamento, lotta, violenza sessuale e linguaggio forte. Se siete sensibili, non leggete.*


 
1. Home "Sweet" Home
 
Se qualche mese fa mi avessero chiesto di immaginare la parola “casa” e dire le prime definizioni che me la ricordavano, non avrei esitato un secondo a rispondere. “Casa” significava tutto ciò che per me contava di più: famiglia, amore, fratellanza, fedeltà, protezione…
Fu così, finché non mi innamorai di un vampiro e capii che le persone con cui ero cresciuta, per tutti quegli anni, mi avevano nascosto più segreti di quanto pensassi, riguardo le mie vere origini. Fino a quel momento, non avrei mai immaginato che sarei stata costretta a cambiare idea, così brutalmente e violentemente. Vivevo nella mia tranquilla ignoranza, all’oscuro di ogni verità. Per un po’ rimasi fermamente convinta che sarebbe stato meglio non sapere, ma restare nell’inconsapevolezza, per quanto potesse essere vista come una forma di auto-protezione, a lungo andare ero certa che mi avrebbe deteriorato. Quindi, tutto sommato, ero grata che la verità fosse venuta a galla, ma non mi sentivo ancora totalmente pronta a realizzarla, ad accettarla.
Ora però mi sentivo sperduta. Avevo avuto due “case” nella mia vita, due famiglie, ed entrambe mi erano state portate via. Quella originaria, dove ero nata e avevo vissuto per i primi sei anni della mia vita, e quella adottiva, dove ero cresciuta e mi erano state insegnate le basi per sopravvivere in questo mondo. Pensandoci bene però, forse c’era una terza “casa” per me, una terza famiglia, che non avevo potuto sperimentare: quella con i miei veri genitori, Emmett e Renée.
Ancora stentavo a crederci, sembrava impossibile. Eppure, le foto di Emmett parlavano chiaro e quando misi alle strette Jonathan e Mary non poterono far altro che dirmi parte della verità. Per cui, qualcosa di vero doveva pur esserci.
Negli ultimi due giorni trascorsi in cella di isolamento, in quelle quattro mura di cemento armato stregato, con le pareti fredde e scure, con una sola finestrella che non potevo raggiungere perché situata troppo in alto, avevo avuto modo di riflettere, parecchio. Capii che cosa volevo davvero nella vita: amare e essere amata, avere questa libertà incondizionata di poter scegliere. Ma nella realtà dove vivevo non era possibile. Non c’era tempo, non c’era spazio, né per l’amore né per i propri desideri, a meno che tutto ciò non fosse in linea con gli ideali del Conclave e, allora sì, in quel caso potevi avere possibilità di “scelta”, se così si poteva definire. E se “casa”, adesso, per me, significava costringermi a essere qualcuno che non ero, piuttosto che aderire al sistema, avrei preferito essere una vagabonda per il resto della mia vita.
Dei passi lontani e pesanti, accompagnati da un tintinnio di chiavi, mi ridestarono dai miei pensieri. Ad un certo punto, la figura di un uomo si fermò, proprio davanti alla mia porta blindata, e sentii la serratura scattare per aprirsi. La luce che entrò quasi mi accecò alla vista e, non feci neanche in tempo a mettermi in piedi, che un getto gelido di acqua mi arrivò addosso, facendomi ricadere a terra.
Cominciai ad ansimare e a tossire, tremando per il freddo. Indossavo solamente la mia tenuta da combattimento, ormai da giorni, e le celle della prigione di Alicante non erano certamente famose per tenere al caldo i loro detenuti, come nessuna prigione al mondo, immaginai.
Quando lo guardai meglio, lo riconobbi. Era Carl, uno dei Cacciatori che si occupavano della gestione della prigione, e si stava avvicinando a me, ridacchiando. Ero sicura che quel sadico si divertisse a svolgere quel lavoro, sicuramente aveva modo di sfogare tutte le sue frustrazioni personali.
Riuscii a sedermi prima che si accovacciasse davanti a me, in modo tale che potessi guardarlo negli occhi. Era alto e di costituzione massiccia, pelato e con la pelle del viso visibilmente rovinata, probabilmente dovuto da tutti i combattimenti a cui aveva preso parte. Aveva degli occhi talmente azzurri da mettere inquietudine, un grosso naso ingobbito e delle labbra sottili nascoste da una considerevole barba rossa. Indossava anche lui una tenuta da combattimento, ben rifornita di armi sicuramente, ma più consumata della mia e odorava di sangue e putrefazione.
Nonostante mi stesse palesemente sfidando con lo sguardo, non abbassai il mio. Il comportamento che avevo, era decisamente insolente, ma per due giorni interi non mi avevano sfamato, per cui ero parecchio nervosa. Altrimenti, stavo solamente cominciando a perdere lucidità.
- Lo riconosco – disse, con una voce profonda e rauca – Sei una ragazzina coraggiosa. A livelli decisamente stupidi, ma coraggiosa -.
Non gli risposi. Continuai a restare immobile, studiando ogni sua singola mossa, per essere il più pronta possibile.
Dopodiché, fece uno strano sorriso, che mi provocò i brividi – È da molto tempo che non si vedono ragazze qua sotto… così carine come te poi… -.
Non capendo bene che cosa stesse insinuando, cominciai a strisciare lentamente indietro, lontano da lui, ma la sua mano acciuffò immediatamente la mia caviglia, tirandomi nuovamente verso di sé, anzi, più vicino.
Sussultai, mentre lui rise di nuovo – Dove pensi di andare – e poi aggiunse – Se ti comporti bene ti porto qualcosa da mangiare dopo, promesso -.
Intuendo le sue intenzioni, mi guardai intorno, in cerca di qualcosa per difendermi. La porta blindata della mia cella di isolamento era ancora aperta, probabilmente si era dimenticato di chiuderla e, guardando la sua divisa consunta, riuscii a notare che sul petto aveva almeno quattro fodere per i pugnali.
- Lasciami andare – sussurrai, ma con un tono di voce fermo e deciso.
Lui in tutta risposta mi accarezzò la guancia. Quel contatto fu talmente viscido che, nonostante non avessi avuto nulla nello stomaco, mi venne la nausea.
- Non posso lasciarti andare adesso – disse Carl, con finto rammarico – Non abbiamo ancora cominciato a divertirci -.
Dopodiché, mi spinse con la schiena a terra, mettendosi sopra di me. Presa alla sprovvista dalla sua velocità, istintivamente cominciai ad urlare e dimenarmi sotto di lui, mentre sentivo le sue dita cercare di sbottonarmi i pantaloni. L’altra mano libera finì per coprirmi la bocca e il naso, con una foga che, ad un tratto, pensai che mi avesse rotto il setto nasale.
- Stai ferma! – urlò, cercando di contenere la furia che ero diventata – Stai zitta! -.
In tutta risposta, gli morsi la mano, con talmente tanta forza da sentire la ferita aprirsi sotto i miei denti, mentre lui cacciò un urlo, più per la sorpresa che per il dolore, ma fu abbastanza per distrarlo. Quando lasciai la presa dalla sua mano, lui se la portò al petto, piagnucolando. Prima che Carl potesse riprendere il controllo della situazione, approfittai del suo momento di distrazione e sfoderai un pugnale da una delle tasche posizionate sul suo addome. Non se ne accorse.
Un secondo dopo mi guardò negli occhi, con disprezzo, e urlò – Puttana! Te la fai con degli schifosi nascosti, ma fai tante storie con quelli della tua stessa specie! Te la faccio vedere io, adesso! -.
Con il dorso della mano, e le dita adornate da dei grossi e preziosi anelli, mi diede uno schiaffo talmente forte che sentii il mio labbro spaccarsi, facendomi sbattere violentemente la testa contro il pavimento. Per un paio di secondi non sentii più nulla, ma quando si riposizionò meglio sopra di me e mi prese per il braccio per girarmi verso di lui, senza neanche effettivamente guardarlo, con la mano che nascondeva il coltello, lo pugnalai all’addome. Urlò agonizzante, prima di cadere a terra proprio accanto a me. Senza perdere tempo, con le gambe che tremavano e le braccia che mi tenevano a stento per l’agitazione, cominciai a gattonare verso l’uscita della cella, sempre con in sottofondo le urla di Carl. Quando finalmente riuscii ad arrivare nel corridoio della prigione, cercai di tirarmi su, aiutandomi con i muri incrostati. Solo dopo mi accorsi di averli sporcati di sangue, lasciando l’impronta della mia mano. Comunque non era il mio sangue, vero? O sì?
Il cuore mi rimbombava nelle orecchie e respirare sembrava essere diventata la cosa più difficile al mondo. Avrei voluto gridare aiuto, ma non riuscivo. Non riuscivo più a fare niente.
Le gambe non mi reggevano e mi girava la testa. Così, invece che scappare, mi appoggiai con la schiena contro quel muro freddo e grigio e, piano piano, mi lasciai scivolare a terra.
Carl continuava ad urlare. Che peccato, speravo di averlo preso in un punto mortale. Invece, stava ancora respirando e, dovevo dire, anche molto bene per poter gridare in quel modo, a pieni polmoni.
Sentii dei passi lontani avvicinarsi sempre di più. Erano veloci, frenetici. Stavano correndo.
Quando arrivarono, capii che erano in due. Uno si fermò da me e l’altro entrò in cella, a soccorrere Carl.
- Mi ha aggredito! – urlò lui, in preda al panico.
La guardia, accanto a me, mi studiò attentamente, ma io non lo guardai. Era come se mi trovassi in uno stato catatonico.
- È andata così? – chiese.
Quando parlò mi resi conto che era una donna. Mi sarei dovuta sentire più a mio agio a parlare di quello che era successo, eppure sapevo che qua non avevo amici. Non potevo permettermi di dire la verità, perché sarebbe comunque stata la mia parola contro quella di Carl. Io ero una prigioniera, una traditrice, e lui era una guardia approvata dal Conclave. Ero già indagata per diversi capi d’accusa da scontare, non volevo aggiungerne altri.
Perciò, decisi di non risponderle e continuai a fissare il vuoto davanti a me.
Ad un certo punto, non sentii più Carl urlare, probabilmente, l’altra guardia lo stava curando con le rune.
Dopo qualche secondo, la guardia che era accanto a me, si alzò in piedi. Probabilmente, il suo collega doveva essere uscito dalla cella.
- Vado a raccontare al Console questa nuova bravata – disse una voce maschile, in tono sprezzante – Così saprà come punirla -.
- Aspetta! – disse la ragazza, fermandolo – Secondo me, non è andata come dice lui – sussurrò, per non farsi sentire.
L’altro ridacchiò scettico – E come pensi che sia andata? Lei è totalmente illesa, mentre lui è ferito -.
Lei sbuffò, incredula – Davvero ti sembra illesa? Guardala bene! – le tremava la voce per lo sgomento – È ferita in volto, ha i pantaloni slacciati e si trova in stato di shock! Non è lei che ha causato l’aggressione, lei si stava difendendo! -.
- Stai davvero proteggendo una prigioniera che è stata messa in isolamento per alto tradimento? -.
- Io non la sto proteggendo – ribatté lei, con forza – Io ti sto dicendo come sono andate visibilmente le cose, che se solo anche tu avessi un occhio critico libero dal pregiudizio, riusciresti a vedere! -.
- Carl ha detto che lei lo ha aggredito – rispose il ragazzo, che si stava innervosendo – Lei non ha detto nulla per difendersi -.
- Forse perché lei è sotto shock e lui no?! – perse la pazienza la ragazza, cominciando ad alzare il tono di voce – Chi è la vera vittima in questo caso? Lui che non ci ha pensato due secondi a parlare per pararsi il culo o lei che non riesce neanche a respirare da quanto è sconvolta? – fece una breve pausa – Inoltre, cosa ci faceva Carl nella sua cella? Non aveva alcun motivo di entrare e, soprattutto, non ha avvisato nessuno che lo avrebbe fatto -.
- Anche se tu avessi ragione, Clary – sbottò il ragazzo – Chi le crederebbe? È una condannata a morte comunque e nessuno verserà una lacrima per lei -.
- Non la voglio più tenere nelle celle d’isolamento, non è al sicuro! – disse Clary, ignorando il commendo del collega.
- Dove la vuoi spostare? -.
- Nelle celle normali, dove ci sono anche gli altri detenuti, in modo tale che ci possano essere più persone a controllarla – Clary era risoluta e non ammetteva nessun no come risposta – Dove ci possano essere dei testimoni, nel caso dovesse succedere qualcosa -.
- Non devi parlarne con me, lo sai – rispose lui, lavandosene le mani.
- Tu portala in infermeria, io penso al resto – ordinò Clary, per poi voltarsi di nuovo verso di me.
Si abbassò e mi sussurrò all’orecchio – Ti aiuto io -.
Ma non risposi, il mio sguardo continuava ad essere perso nel vuoto. Dopodiché, si alzò in piedi e riprese il suo cammino, finché non sentii i suoi passi farsi sempre più lontani, in quel lungo corridoio. Ero nuovamente abbandonata a me stessa.
_
 
Stremata, mi lasciavo trascinare da due guardie brune non troppo alte, ma massicce, in un’altra area della prigione. Mi ammanettarono i polsi dietro la schiena, per questa “gita”, essendo che ero catalogata come una prigioniera “estremamente pericolosa”. Clary aveva insistito con il Console per spostarmi in un’area più sicura rispetto alle celle di isolamento, anche se, teoricamente, non esisteva zona più protetta di quella. Ma probabilmente, per loro, era meglio che stessi in zone più affollate, con dei testimoni, in modo da evitare quello che mi era successo poche ore prima.
Mi sentivo talmente umiliata, da non voler guardare nessuno in volto. Non riuscivo a scacciare dalla testa le sue mani sporche e pesanti che mi toccavano, che tentavano di violarmi. Se mi avessero davvero dato la pena di morte, speravo con tutto il cuore che a Carl toccasse addirittura una sorte peggiore della mia, anche se, inconsciamente, sapevo che non sarebbe stato così. Lo avrebbero sospeso per qualche mese e poi sarebbe tornato a fare il suo lavoro.
Adesso, sentire altre due paia di mani sconosciute addosso, talmente forti e strette che, ero sicura, mi avrebbero lasciato i lividi, non faceva altro che aumentare il mio malessere. Se solo avessi avuto qualcosa nello stomaco, ero sicura che avrei vomitato.
Si fermarono davanti ad un cancello in ferro battuto, che conduceva in un corridoio molto lungo e parecchio rumoroso. Possibile che tutto quel casino potesse provenire da altri prigionieri?
La guardia alla mia sinistra mise la chiave nella serratura, sbloccando il sistema e consentendo così l’accesso in quell’area. 
Mi trascinarono all’interno malamente, come se fossi un animale al macello e, solo a quel punto, alzai lo sguardo, per poter verificare dove mi avrebbero lasciata di lì a poco. A differenza di dove ero prima, quelle celle erano enormi. Non c’era alcun muro a dividerle, ma solo delle sbarre, sulle quali erano sicuramente state disegnate delle rune specifiche per rendere impossibile l’evasione. In ogni cella non si trovavano più di quattro o cinque ospiti, ma la cosa che mi aveva colpito era che non si trattava di altri Cacciatori come me, no. C’erano fate, stregoni, vampiri, licantropi, rinchiusi in quelle prigioni e chissà da quanto tempo. Mi avevano condotto nei sotterranei dedicati ai Nascosti.
Continuarono a trascinarmi in avanti, percorrendo quel corridoio, mentre io avevo cominciato a fare resistenza in modo tale da poter osservare meglio chi abitava le celle, per cercare loro.
- Su muoviti! – mi spintonò una delle due guardie – Ti stiamo portando dai Nascosti che ti piacciono tanto! -.
Non gli risposi, anzi, lo ignorai. Continuai a guardarmi intorno, convulsivamente, finché ad un certo punto non notai in lontananza la sagoma di Emmett dietro le sbarre. Era in piedi e stava osservando rabbioso la scena, mentre Carlisle, Jasper e Edward erano seduti a terra, pensierosi.
- Edward – sussurrai e il vampiro dai capelli rossicci, che era riuscito a sentirmi, si voltò verso di me, a metà fra il sorpreso e lo stravolto.
Ci guardammo per pochi millesimi di secondo, nei quali mi dovetti controllare dallo scoppiare a piangere per l’emozione di vederlo di nuovo con i miei stessi occhi, dopo tutto quello che era successo. Non riuscivo quasi a crederci, sembrava un sogno irraggiungibile nell’incubo più spaventoso della mia vita.
Non riuscii più a trattenermi. Con una forza che non sapevo di avere dopo quello che era successo poche ore prima, probabilmente scossa dall’adrenalina, mi scrollai di dosso le mani delle guardie e cominciai a correre verso di loro, verso di lui. Non sapevo nemmeno come le gambe riuscissero a sostenermi, eppure lo fecero. Sentii i passi pesanti delle guardie seguirmi, ma tanto non sarei scappata da nessuna parte, volevo solamente avvicinarmi al mio Amore.
Mi fermai davanti alla loro cella, mentre Edward in mezzo secondo si avvicinò alle sbarre per vedermi da più vicino. Era affamato e estremamente addolorato.
- Edward – scoppiai a piangere – Sei vivo -.
- Mi sei mancata – nonostante tutto, nonostante le bugie che gli avevo raccontato e il dolore che gli avevo procurato, i suoi occhi traboccavano d’amore e di preoccupazione.
- Mi dispiace – singhiozzai incontrollatamente, con le guance rigate dalle lacrime – M-Mi dispiace t-tantissimo, p-per tutto! -.
- Bella… - disse dolcemente, come se mi avesse già perdonata e, sicuramente, non mi meritavo quel privilegio.
Probabilmente Carlisle gli aveva raccontato tutto, ma la sua espressione cambiò quando i suoi occhi si concentrarono sul mio volto, studiandolo attentamente.
– Cosa ti hanno fatto? -.
- Niente – risposi velocemente, per non farlo preoccupare – Niente, non è successo niente -.
Proprio in quel momento le guardie mi riacciuffarono, cercando di allontanarmi da lui. Tentai di dimenami dalla loro presa con tutta la forza che avevo, ma adesso erano pronti e non mi avrebbero più permesso di fare quella bravata.
- Lasciatela andare! -.
Quella era la voce di Esme. Mi voltai seguendo quel suono, che risultava dolce, nonostante stesse cercando di essere imponente per difendermi. Ero talmente presa da Edward che non mi ero nemmeno accorta che, nella cella alle mie spalle, si trovavano Esme, insieme a Alice e Rosalie.
- È solo una ragazzina, è esausta e ferita! – continuò lei arrabbiata – Pensate davvero che abbia le forze per farvi del male? -.
Una delle guardie rise, mentre circondò le sue grosse braccia intorno al corpo per immobilizzarmi, e l’altra invece mi guardò, dall’alto verso il basso, sogghignando, uscendosene con una frase davvero infelice, che mi fece perdere il controllo – Talmente indifesa che, qualche ora fa, ha pugnalato quasi a morte un nostro collega per fuggire -.
Improvvisamente, tutto il rimorso, l’inquietudine e il ribrezzo che provavo, si trasformarono in furia cieca. Avevo le braccia ammanettate dietro la schiena, ma le gambe erano libere, quindi non ci pensai ulteriormente e, dato che si trovava esattamente davanti a me, gli tirai un calcio nelle parti intime. Gemette dal dolore e cadde in ginocchio, dandomi la possibilità di tirargli un altro calcio, ma stavolta in faccia. Si lasciò andare inerme a terra, mentre biascicava parole confuse.
L’altro, invece, che mi stava ancora tenendo saldamente per le braccia, a quel punto mi sollevò da terra e, sotto le urla dei Cullen, mi fece sbattere contro le sbarre della cella. In quei pochi secondi di contatto, non sentii dolore, ma era come se il mio intero corpo si fosse paralizzato totalmente, come se non avessi più alcun tipo di controllo. Cominciai ad avere delle convulsioni, dovute all’elettricità ad alta intensità che mi scorreva in corpo, trasmessa dalle sbarre di ferro delle celle. Caddi a terra. Non percepivo niente, se non il mio corpo tremare incontrollatamente. Non udivo niente, se non degli ultrasuoni insopportabili. Il mio cervello non pensava a niente, se non quanto fosse doloroso tornare a “casa”. Pochi secondi dopo, l’oscurità mi avvolse.
 

 
Salve! Come state? Spero bene.
Eccoci qua con questo nuovo capitolo.
Se vi è piaciuto, lasciate una stellina e un commento.
Mi interessa tantissimo avere i vostri pareri.
Besos :-*
 
Zikiki98
 
Instagram: _.sunnyellow._
 
  
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