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Autore: lolloshima    03/02/2023    0 recensioni
Esiste un negozio che alle 00.05 si materializza in un luogo sempre diverso.
Di giorno sembra un negozio normale, frequentato da gente normale.
Ma se una persona alle 24.00 precise spende una certa cifra, ha diritto ad un desiderio.
*
Questa storia partecipa alla challenge #CardsOnTheTable
e alla challenge #ifitbleeds
del Gruppo facebook NonSoloSherlock eventi Multifandom
Genere: Dark, Mistero, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Prompt:
- Mezzogiorno
- Alla luce
- Tutte le forze
- Cinque anni dopo

* *

Quando si svegliò, il giorno dopo, il sole era già alto e la luce entrava prepotentemente attraverso le tende aperte della camera.

James si rese conto di aver dormito completamente vestito. Ricordava di essersi buttato sopra il copriletto, e probabilmente si era addormentato di colpo. Quanto era accaduto la sera precedente era confuso nella sua testa. Ricordava vagamente di aver comprato qualcosa di speciale, e poi di aver pensato a Dylan. Come al solito, del resto.

Si diresse verso il bagno, lasciando alle sue spalle un letto praticamente intatto.

Dopo essersi rinfrescato in fretta, si affacciò nell’anticamera. Il ragazzo che aveva prenotato la sera precedente se n’era andato portando via tutti i suoi giochetti, e anche i suoi bagagli erano già stati portati fuori dalla stanza.

Guardò il suo costoso orologio. Era quasi mezzogiorno. Non ci poteva credere! Non ricordava di aver mai dormito così tanto. Avrebbe dovuto fare una bella ramanzina a Carlos per non averlo svegliato prima. Adesso era costretto e riorganizzare tutta la sua agenda.

Raccolse velocemente il cappotto e si diresse all’ingresso dell’hotel. Nessuno si curò di lui, il conto era già stato pagato dalla sua assistente. Lanciò comunque un fugace saluto al direttore, impegnato dietro al bancone della reception tra telefonate e nuovi clienti.

Quando uscì dall’hotel, la Maserati lo stava aspettando davanti all’ingresso con il motore acceso. Ci entrò di fretta, e si sistemò sul sedile posteriore.

“Carlos, ti sei reso conto di che ora è, vero?”

“E’ quasi mezzogiorno, signore” rispose un uomo, che decisamente non era Carlos.

“Che fine ha fatto Carlos?” il suo tono era quasi minaccioso.

“Carlos è mortificato, signore. Purtroppo ha avuto un grave problema, oggi non è al lavoro. Lo sostituirò io”.

Adesso si capiva perché non era stato svegliato. Evidentemente questo incompetente sconosciuto non era efficiente come il suo affezionato autista.

“Mi chiamo Kei. Sono a sua disposizione, signore”.

Kei. Ma Kei non era…

Lo scrutò dallo specchietto, e intravide un paio di occhiali scuri, e un ciuffo di capelli biondi che uscivano dal cappello blu della divisa. Non era del tutto sicuro che questo Kei gli sarebbe piaciuto.

“Va bene, andiamo. Sono in ritardo su tutto. Avevo anche promesso di andare dai miei genitori, maledizione!”

“Signore, mentre dormiva mi sono permesso di passare dai signori Cannon per avvisarli dell’imprevisto. Ho lasciato loro i suoi regali. Sono rimasti molto dispiaciuti, ma la pensano con affetto”.

Ben fatto, Kei. Una rottura in meno per oggi.

“Devo avvertire in azienda...”

“Ci ho pensato io. E anzi, signore” il sostituto gli allungò un bigliettino piegato in due. “Hanno lasciato questo per lei. Mi sono permesso di ritirarlo, in modo da non perdere altro tempo”.

Il biglietto conteneva un indirizzo e un orario. Evidentemente il suo appuntamento con i giapponesi era stato spostato. Ovvio, visto il suo ingiustificabile ritardo. Il suo nervosismo era alle stelle.

“Conosce l’indirizzo scritto qui?”

“Certamente”

“Allora si sbrighi. Abbiamo pochi minuti. Secondo l’appunto dovremmo trovarci lì a mezzogiorno esatto.”

L’auto partì. In men che non si dica si trovarono davanti ad una piccola chiesa ortodossa, circondata da un vasto prato curato, spruzzato qua e là da macchie di ogni sfumatura di rosso a causa delle foglie cadute dagli alberi secolari che lo circondavano. Ovunque, un mare di piccole lapidi, alcune sormontate da semplici croci bianche.

Nel momento in cui l’autista spense il motore, le campane del campanile batterono l’ora. Mezzogiorno in punto.

“Perché siamo in un cimitero?” chiese James sempre più teso.

“E’ il luogo indicato nel biglietto, signore”.

James scese dall’auto e si guardò intorno incuriosito. In mezzo al prato, alla sua destra, un uomo biondo, in camicia bianca osservava una delle lapidi.

Non aveva bisogno di chiederselo. Questa volta era davvero lui, ed era solo a pochi passi di distanza. Non ci provò neanche ad imporsi di camminare. Lasciò che le sue gambe corressero per raggiungerlo.

Dylan si voltò nel momento stesso in cui James gli fu accanto.

Le sue labbra erano piegate nel sorriso che ricordava, la luce che emanava era quella che lo aveva stregato. Lo guardò inebetito, e le parole gli restarono bloccate tra i denti.

“Ehi, ma che faccia! Sembra che tu abbia visto un fantasma!”

Raccolse tutte le sue forze per frenare l’istinto di abbracciarlo. Non voleva farlo fuggire. Di nuovo.

“S… Scusa… Dylan. Sono solo sorpreso. Pensavo che non ti avrei più rivisto”.

“E invece eccomi qui! E’ davvero una gioia vederti”.

“Anche per me, Dylan” allungò una mano nella sua direzione, rendendosi subito conto di quanto quel gesto formale risultasse ridicolo, tra loro due. E infatti Dylan lo ignorò, stringendolo in un abbraccio. James chiuse gli occhi e affondò il viso sul suo collo, inalando il profumo fresco e delicato che emanava. Se ne deliziò, senza capire se provenisse dalla sua pelle o dalla sua camicia, o da entrambe le cose.

Quando si staccarono, Dylan tornò a guardare la tomba di suo padre.

“Ti manca?” Domanda inutile. James conosceva già la risposta.

“E’ successo più di cinque anni fa. E poi, adesso so che è felice. E’ insieme alla mamma”,

Kristos Kanakis era morto come era vissuto. Nella sua amata bottega, impugnando un pennello da barba, con il sorriso sulle labbra. Quando l’infarto aveva aggredito il suo cuore, in negozio non c’era nessuno. Prima di accasciarsi al suolo, si era aggrappato alla poltrona, ed era riuscito a sdraiarsi. Lo aveva trovato lì, poco dopo, uno dei suoi clienti. Ormai senza vita, ma ancora sorridente e sereno.

Sul prato del cimitero si alzò un vento gelido, ma a Dylan non sembrò dare fastidio, nonostante indossasse solo una camicia e un paio di pantaloni leggeri.

James avrebbe voluto fargli mille domande, aveva tanti buchi da colmare, e non sapeva da dove cominciare. Avrebbe voluto chiedergli dove era stato in tutto quel tempo, cosa aveva fatto, perché non si era fatto vivo, perché l’aveva abbandonato. Ma la paura delle risposte era troppo angosciante, e il silenzio gli sembrò la scelta meno rischiosa.

Dylan nel frattempo lo scrutava serio, socchiudendo i suoi grandi occhi azzurri. “Ti sei fatto crescere la barba”. Non era un domanda, e detto da lui sembrava quasi un rimprovero.

“Da quando non sei più tu a farmi la rasatura…” non sopporto di farmi toccare il viso da altri, avrebbe voluto dire. “Faccio quello che posso” si giustificò abbassando gli occhi a terra.

“Dai, facciamoci un giro” propose d’un tratto Dylan, con il suo solito entusiasmo. Si diresse sicuro verso la macchina e, come succedeva sempre, James lo seguì rapito.

“Dove andiamo?” chiese impaziente non appena fu in auto, come un bambino in un parco divertimenti che debba scegliere quale giostra fare per prima.

James fu costretto a tornare con i piedi per terra. “Purtroppo sono obbligato a passare in azienda. Stamattina avrei dovuto incontrare degli investitori giapponesi. Credo che mi stiano ancora aspettando. Mi dispiace, non posso proprio farne a meno. Però, per farmi perdonare, dopo ti posso offrire il pranzo, che dici?”

“Ti ho sempre detto che lavori troppo, James. Il tempo non è infinito, e quando lo sprechi per cose poco importanti non ti viene restituito” lo rimproverò serio. “Ricorda, nessuno è indispensabile. Ma vedrò volentieri il tuo vecchio ufficio!” concluse ritrovando il buonumore.

“In azienda” ordinò James all’autista, cercando di ignorare la sensazione che gli provocava quel sorriso accecante.

In un tempo breve, ma indefinibile, l’auto si ritrovò di fronte ad un palazzo di una trentina di piani. Un logo immenso collocato sul tetto, toglieva ogni dubbio sul fatto che si trattasse della sede locale della Cannon Corporate. Kei parcheggiò l’auto e attese.

Dylan scese per primo, e si diresse verso ad una piccola entrata laterale, alla quale si accedeva scendendo alcuni gradini. James lo raggiunse e con le chiavi che aveva in tasca aprì la vecchia porta.

Adesso tutto il palazzo apparteneva a lui, ma cinque anni prima, quando aveva iniziato la sua attività, tutto quello che James poteva permettersi era prendere in affitto la stanza del vecchio custode, nel seminterrato. Lì era nata la sua impresa, e in pochi anni era cresciuta talmente tanto da consentirgli di acquistare l’intero edificio. Il suo primo ufficio però era rimasto esattamente com’era quando lui aveva iniziato, nulla era stato modificato.

“E’ rimasto esattamente come me lo ricordo” Dylan si aggirava nell’unica ampia stanza guardando in giro. Un pulviscolo leggero sembrava danzare nell’aria, giocando con i coni di luce che entravano dalle finestrelle a bocca di lupo poste direttamente sul bordo strada. Sotto, c’era ancora il lungo tavolo di legno che fungeva da scrivania. In un angolo, erano accatastati vecchi fogli con disegni e calcoli, tavole e planimetrie. Le restanti pareti erano occupate da una serie di scaffali carichi di libri e vecchie riviste specializzate.

“Non ho toccato niente, è tutto com’era quando ho cominciato”.

Sparsi un po’ ovunque, diversi posacenere di varie fogge e misure, compagni inseparabili del giovane James.

“Fumi ancora?”

Per sua fortuna non fece in tempo a rispondere, perché fu distratto dal rumore di alcune persone che erano uscite dall’edificio e si erano fermate sulla strada, davanti alle finestre. Dalla sua posizione, senza essere visto, riconobbe il direttore della filiale in compagnia di alcuni signori dai tratti orientali.

Gli investitori giapponesi! Maledizione, se ne stavano andando...

Gli orientali sorridevano e si inchinarono più volte congiungendo i palmi delle mani davanti al petto, e alla fine strinsero la mano al direttore. Evidentemente l’incontro si era svolto in sua assenza, ed era più che evidente che aveva avuto un esito positivo.

Stava per uscire per raggiungerli, quando Dylan lo bloccò.

“Come vedi, il tuo collaboratore ti ha sostituito. E a giudicare dalle loro facce, la riunione è andata molto bene. Se tu arrivassi adesso metteresti in ombra il suo successo. Oltre al fatto che tutti si accorgerebbero del tuo ritardo. Lascialo essere orgoglioso di quanto ha ottenuto per te”.

Dylan, come sempre, aveva ragione. James voltò le spalle alla finestra, tornando a immergersi nei ricordi legati a quel piccolo e polveroso ufficio.

Era stato proprio in quella stanza sotto il livello della strada che, cinque anni prima, Carlos li aveva avvisati della morte del signor Kanakis.

James stava illustrando a Dylan la sua idea innovativa, cercava di spiegargli con le parole più semplici che conosceva tutte le innumerevoli possibilità che ne sarebbero potute derivare nel campo dell’energia. Dylan lo ascoltava ammirato, anche se di chimica e di fisica non ne capiva niente, e meno ancora di economia. Ma era molto fiero di quanto il suo migliore amico fosse intelligente.

L’elegante macchina dei Cannon era sbucata nel parcheggio e ne era sceso l’autista con la faccia tirata e gli occhi lucidi. Quando aveva dato la triste notizia, James aveva dovuto sorreggere Dylan e poi abbracciarlo e tenerlo stretto per evitare che la disperazione lo divorasse.

Quella notte, James aveva dormito a casa sua, nel piccolo appartamento sopra la bottega, e così la notte dopo e quella dopo ancora. Col passare dei giorni, James aveva cominciato a portare lì la sua roba e quella che era una situazione d’emergenza, si trasformò in una consolidata abitudine.

La mattina, Dylan scendeva in bottega, dove aveva preso il posto del padre, mentre James si chiudeva in ufficio, impegnato a far decollare la sua azienda. La sera, Dylan si metteva ai fornelli e quando James tornava dal lavoro, cenavano insieme.

Iniziarono a convivere quasi senza accorgersene, come se fosse la cosa più naturale del mondo.

* * *
ANGOLO AUTRICE
Questo capitolo si è fatto aspettare un po'. Come capita spesso, i personaggi hanno preso in mano la storia e avevano una gran voglia di raccontarsi e di perdersi nei dettagli. Ho quindi dovuto fare una gran lavoro di 'limatura' per non perdere di vista il disegno che è nella mia testa (perchè un disegno c'è, ve l'assicuro XD).
Ringrazio chiunque sia arrivato fino a qui, e spero che questi due personaggi continuino a stuzzicare la vostra curiosità.
Al prossimo capitolo! <3


 


 

   
 
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