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Autore: Challenger    04/02/2023    1 recensioni
Viaggio all'interno di se stessi
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Ieri notte ho fatto un sogno. Ero al bar a bere un caffè e un ragazzetto sui vent’anni si è avvicinato a me, ormai trentenne, per chiedere informazioni su un’aula che non riusciva a trovare. Ho balbettato frasi incoerenti — non mi aspettavo che rivolgesse parola a me, nessuno lo fa mai — poi, notando il suo sguardo birichino e divertito, gli sorrisi, sconfitta dalla figuraccia appena fatta. Gli dissi «io studio nell’altro edificio, mi dispiace non so dove sia l’aula che cerchi», lui mi ringraziò, sventolò una mano e andò via, portando con sé il sorriso ingenuo dei vent’anni. Era una giovane matricola, arrivata chissà da dove per studiare in una delle università più prestigiose del Paese. Poco dopo mi sono ritrovata nella stessa aula del giovane, e mi sorpresi ad osservare la sua totale sfacciataggine nel chiedere a chiunque qualunque cosa, perfino di stringere amicizia su due piedi, senza nemmeno conoscersi. Quando notò la mia presenza, si avvicinò. Mi salutò come se mi conoscesse da chissà quanto tempo, ma c’eravamo visti solo qualche ora prima ad una caffetteria di seconda categoria. Ero con un’amica, e lui era così invadente da risultare piuttosto irritante. Continuava a seguirci ovunque, come se facesse parte della nostra vita, non voleva staccarsi neanche dopo che il mio sguardo, duro, crudele ed indifferente lo aveva incenerito più d’una volta. La sua impertinenza era fastidiosa quanto una spina conficcata nella carne morbida del polpastrello. Parlava. Parlava. E parlava ancora. Fiumi di parole scorrevano dalla sua bocca che non riusciva a stare ferma. L’avevo osservato tutto il giorno, il suo moto perpetuo mi procurava le vertigini, ero bloccata in una di quelle bruttissime sensazioni di vuoto. Mi trasportava, mi guidava. Ogni mio passo era perfettamente coordinato con il suo; i miei gesti si erano esauriti per stare dietro ai suoi, costantemente impegnati in una danza della pioggia. Mentre lo ascoltavo, mi domandavo per quale motivo fosse lì, e perché non si staccasse da me. Mi chiedevo perché mai fosse così ossessionato da me. Cos’è che voleva? Cosa cercava? Mi aveva seguita per tutto il giorno, ovunque andassi (biblioteca, lezioni, cortile) c’era sempre lui dietro di me, e la sua parlantina a ricordarmi della sua invadenza. Ciò che mi infastidiva di più era quella sua esuberanza, quella sua instancabile e insaziabile visione positivistica del mondo. La sua voce mi raggiungeva come una raffica di vento sfuggita ad un tornado in corsa. Inutili erano i tentativi del mio sguardo accigliato nei confronti del sorriso beffardo e ammiccante che mi rivolgeva. Era felice e non aveva paura di dimostrarlo; sapeva amare anche l’odio dei miei occhi. Credeva alla bontà, alla gentilezza, al rispetto, all’amore. Valori che io avevo sempre respinto e odiato con tutta me stessa. Per me nulla di tutto ciò esisteva, era tutta una bugia della vita, menzogne che ci erano state raccontate per far sembrare il mondo più bello. Eppure gli occhi di quel ragazzino mi facevano sperare che in qualche recondito angolo di mondo esistesse tutto questo. Mi disse: «i sogni sono fatti per essere realizzati». Lo guardai scettica e risi di quella stupidaggine, volevo ferirlo. «I sogni sono sogni, punto. Non farti illusioni, la vita prima o poi ti mostrerà la sua vera faccia» gli risposi crudelmente. Ma non si scompose. Lui sorrise, un sorriso luminoso che ebbe il potere di farmi indietreggiare, quasi mi avesse spaventa la tranquillità con cui sorrideva. Mi aveva spintonata selvaggiamente, ed io caddi all’indietro. Mi ero svegliata di soprassalto. Dopo aver preso coscienza del fatto che ero in camera mia, nel mio letto, mi passai una mano sul viso e sorrisi al ricordo di uno stupido incubo, ma non feci in tempo a bearmi di quella sensazione, che all’orecchio arrivò, correndo veloce come la luce, uno spiffero d’aria che diceva «io ci sono ancora. Non me ne andrò mai». No, non poteva essere la sua voce. Lui non esisteva. E allora capii. Il ragazzino che mi aveva perseguitata tutta la mattina, la matricola dalla felicità opprimente e dall'asfissiante positività, non era altro che la parte più tenera e dolce di me, la parte che avevo relegato nello spazio più angusto della mia anima senza vita. Avevo vissuto così tanto tempo nell’odio e nella rabbia repressa, che non avevo riconosciuto la parte più bella di me, quella che sapeva ancora emozionarsi per la minima cosa, quella che sapeva amare tutto ciò che la circondava, che le mozzava il fiato solo l’ascolto della nota giusta, del suono morbido e candido dell’aria che la circondava e che la faceva vibrare di gioia. Sì, lei era sempre lì, e non mi avrebbe mai lasciato. Perché senza di lei sono divisa a metà, è lei che mi completa. L’unica che mi riscalda quando sono sola, perché è solo di lei che ho bisogno e di nessun altro. Solo lei riesce ancora a scaldarmi il cuore.
   
 
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