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Autore: Donuts_1987    05/02/2023    0 recensioni
"Harry, non dobbiamo più guardare indietro. Dobbiamo proteggere il futuro, perché è lì che Sirius sarebbe orgoglioso di vederci, avanzare verso la verità e la giustizia."
“Ma non capisci, Hermione? È proprio lì che voglio andare. La verità è l'unica cosa che può liberare entrambi dal passato.”

Ci troviamo diversi anni dopo la fine della guerra contro Voldemort. Harry, ora un Auror, inizia a ricevere strane visioni riguardanti Sirius Black, che sembrano suggerire che il suo defunto padrino sia ancora vivo. Harry inizia a indagare sulla scomparsa di Sirius e scopre che c'è molto di più di quanto non fosse noto sulla sua morte. Con l'aiuto di alcuni vecchi amici e alleati, Harry scopre una cospirazione che va ben oltre la scomparsa di Sirius e che potrebbe minacciare la pace e la stabilità del mondo magico.
Genere: Avventura, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuova generazione di streghe e maghi
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace, Più contesti
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Wind Song – Ludovico Einaudi
Fly – Ludovico Einaudi
 
I suoni dei suoi passi echeggiavano nella notte silenziosa. La pioggia del pomeriggio aveva lasciato pozzanghere che si infrangevano sotto la suola delle sue scarpe, rompendo quel silenzio e quell’apparente quiete. Il buio era pressante e la fioca luce dei lampioni non riusciva ad attenuarne la densità. Era come se tutto fosse avvolto da un greve velo nero, una nebbia impercettibile ma persistente. Si muoveva svelto tra gli stretti vicoli che separavano le altrettanto strette villette a schiera di quel lugubre quartiere. Non una sola luce si intravedeva dalle finestre, non un solo cenno di vita si percepiva tra quelle pareti di mattoni anneriti dal tempo e dall’incuria. Un brivido gli corse lungo la schiena, sapeva di essere osservato, di essere seguito. Era il gioco del gatto e del topo e lui in questa partita era il roditore. Una partita che durava da vent’anni e che ogni maledetto giorno lo vedeva sempre un po’ più in svantaggio rispetto al giorno precedente. Scavalcò un basso muretto diroccato e si accovacciò dietro quello che ne rimaneva. Cercò di riprendere fiato ma l’aria era così pesante che i suoi polmoni non riuscivano ad immetterla senza annaspare. Era stanco ma di una stanchezza che poco aveva a che fare con la mancanza di sonno e di cibo, cui comunque era sottoposto. Da vent’anni. Si guardò le mani. Stringeva forte un pezzo logoro di pergamena. Consegnare quel messaggio era l’unico scopo che lo teneva in piedi. Da vent’anni. Guardò il cielo nero e scorse nuvole dense, cariche di pioggia. Ogni tanto un accenno di lampo ne illuminava internamente una, creando una rete di fili illuminati che per un attimo si imprimevano sulla sua retina. Cosa sarebbe successo se non fosse riuscito a consegnare il messaggio neanche stavolta? Scacciò quel pensiero, era vicino e lo sapeva, non doveva farsi distrarre dalla sua mente. Lanciò un’occhiata oltre la recinzione di pietra per verificare la situazione, la mano destra appoggiata sulla superficie dei blocchi. Sotto le sue dita intirizzite dal freddo sentiva l’umido pungente della pioggia e il viscidume del muschio. Si alzò controllando di non essere seguito e varcò quello che rimaneva di un cancelletto di ferro arrugginito e tenuto su, sbilenco, solo da un cardine. Non riusciva a figurarsi quel piccolo e squallido quartiere animato di voci e vita, magari addirittura famiglie felici. Provò a immaginare bambini giocare a pallone in quella piazzetta buia e solitaria, mamme alle finestre chiamarli per rientrare o padri in giardino a potare le aiuole e rasare quel minuscolo appezzamento di prato. Quegli alti palazzi vittoriani pesantemente decorati con stucchi e decorazioni a imitare il pizzo, con gronde sporgenti a fare da base a tetti spioventi e malconci, le assi di legno mangiate dal tempo, le enormi finestre a bovindo e le porte a doppio battente sormontate da batacchi in ottone annerito conferivano un aspetto lugubre, che forse un tempo avrebbe potuto essere elegante e sofisticato ma che ora rappresentavano solo una fotografia cupa e spettrale del tempo che si è fermato. Si rese conto che stava temporeggiando e la perdita di tempo era un lusso che non poteva concedersi. Ogni minuto, ogni istante era un attimo di troppo che lo separava dalla consegna del suo messaggio, era un momento in più che lo allontanava dalla sua missione, dal suo reiterato, continuo, incessante, disperato incarico che si era assegnato: avvisare del pericolo, sventare la sciagura, fermare il disastro. Alzò i lembi del colletto della logora giacca che indossava, stupidamente, come se quel gesto lo potesse rendere invisibile agli occhi che anche in quel momento lo stavano seguendo, valutavano le sue mosse, aspettando il momento di aggredirlo, come sempre, come tutti i giorni. Da vent’anni.
Tenendosi rasente ai muretti sbriciolati e ammuffiti, percorse velocemente un altro centinaio di metri. I suoi passi continuavano ad essere l’unico suono percettibile in quella notte che il migliore dei cliché avrebbe definito buia e tempestosa. Superò un bidone dell’immondizia in ferro battuto che si era staccato dal suo supporto ed era rovinato a terra, spargendo parte del suo contenuto e aiutando ancora di più a imbrattare l’area circostante, come se ce ne fosse stato bisogno.
Improvvisamente vide la casa che stava cercando, sottile, alta, nera. A differenza delle altre, il tempo non sembrava averla sfiorata ma non perché fosse curata e ordinata. Tutto il contrario. Il nero del legno era parte integrante di quella facciata, il ferro della balaustra era riccamente adornato di volti sofferenti scolpiti per sempre nel metallo, il giardino incolto invitava anche il più coraggioso dei visitatori ad allontanarsi, pena l’essere ingurgitato dalle sue lunghe fauci vegetali fatte di rovi e di spine. Corse la distanza che lo separava da quel cancello, sentiva la speranza affiorare nel suo cuore, si stupì nel frattempo di poter dire di avere ancora un cuore e appoggiò con decisione la mano sul freddo metallo del varco di ingresso.
In un attimo, il cielo tremò di un tuono forte e potente e il velo nero fu squarciato da un lampo che gli illuminò il viso stanco e spaventato. Alzò gli occhi al cielo e pesanti gocce di pioggia si infransero sul suo viso segnato dal tempo e dalla sofferenza. Improvvisamente, sentì una forza travolgente attrarlo verso di sé. Era come essere risucchiato da un vortice oscuro che si trovava alle proprie spalle. Sentì la giacca sollevarsi e tirare all’indietro, i bottoni premere in tensione sulla sua cassa toracica. Si aggrappò al freddo cancelletto in cerca di un appiglio, per poter resistere a quella forza senza volto ma che ben conosceva. Era sempre la stessa. Da vent’anni.
La sua mano non riusciva a fare presa sul metallo bagnato e il risucchio diventava sempre più forte. Si piegò leggermente in avanti, puntando i piedi che, lentamente, scivolavano sul marciapiede fradicio. “Ti prego non di nuovo”, pensò, mentre si puntellava per quanto possibile contro il bordo sconnesso della banchina.
D’improvviso, un altro schianto nel cielo lo colse alla sprovvista quel tanto che bastava per allentare in modo fatale la presa. Il buio lo avvolse, di nuovo, come faceva sempre da vent’anni.
“Harry…”
Riuscì solo a esalare impercettibilmente il nome che accompagnava i suoi pensieri e le sue azioni ogni singolo giorno. Da vent’anni.
“Sirius!”, strillò nella notte, dall’altro capo del mondo, il proprietario di quel nome.
  
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