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Autore: Flofly    06/02/2023    1 recensioni
Completa. Sequel di "Quel che è Stato, quel che Sarà" Quando hanno deciso di rendere pubblica la loro storia Draco ed Hermione erano pronti ad affrontare lo sdegno dell'opinione pubblica.
Quello che non sanno però è che un pericolo ben più grande di Rita Skeeter sta per travolgere l'intera Hogwarts.
Genere: Avventura, Generale, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Draco Malfoy, Ginny Weasley, Hermione Granger, Il trio protagonista, Pansy Parkinson | Coppie: Draco/Hermione, Harry/Ginny, Lucius/Narcissa, Remus/Ninfadora, Ted/Andromeda
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Da V libro alternativo
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- Questa storia fa parte della serie 'Potentia Par Vis'
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Eccoci finalmente alla fine. Non odiarmi se questo capitolo è davvero lungo. Credimi, ho sforbiciato tantissimo! Già da ora ti ringrazio per avermi accompagnato in questo viaggio!

In fondo attraversare il passaggio era stato più facile del previsto, sicuramente molto più di quando aveva dovuto ingoiare quel boccone che sapeva di veleno e sembrava corroderle la trachea mentre cercava di buttarlo giù. A dirla tutta, era stato molto simile ad attraversare il binario 9 ¾.., si erano lanciate contro il muro, immaginando che non ci fosse affatto un muro di pietre secolare contro cui schiantarsi, quanto un velo morbido ed accogliente, capace di avvolgersi sui loro corpi. E così era stato: era bastato un battito di ciglia ed erano finalmente fuori, respirando a pieni polmoni l’aria fresca e balsamica della foresta.

Ginny si girò, guardando il castello in lontananza dietro di loro.

«Harry non stava bene, affatto. Forse non sarei dovuta venire con te…. sarei dovuta rimanere con lui…proteggerlo..:» mormorò passandosi una mano tra i lunghi capelli rossi, stizzita.

Per tutta risposta Pansy, sbuffò, iniziando ad incamminarsi attraverso la foresta di tronchi bianchi delle betulle « Si, certo… potevi restare li a tenergli la manina in attesa che quella stronza ci facesse tutti fuori. E poi Potter è sempre in pericolo… dannazione, credo davvero che sia la sua caratteristica principale. Ogni anno ne ha una… per Salazar Serpeverde, credo davvero che si diverta a cercare di farsi ammazzare»

«Si, certo. Sai quanto si diverte… L’unica cosa che Harry vorrebbe è passare un anno in santa pace. Una volta che lui ti tocca è come se ti lasciasse un’impronta lurida che non se ne va mai via… credimi io so come ci si sente. E non oso pensare  a cosa debba provare Harry a sentirselo nella testa» la rimbeccò amara Ginny, correndole dietro, ben attenta ad ogni minimo rumore.

Pansy si fermò di scatto, in maniera talmente repentina che la Grifondoro quasi le crollò adosso. Osservò a lungo la pelle candida tempestata di lentiggini, gli occhi marroni nei quali brillava un fuoco che aveva già visto fin troppe volte in quelli azzurri del fratello maggiore, le labbra che si piegavano in un cipiglio imbronciato e determinato. Senza dire una parola sollevò la manica di merletto nero che la copriva sino a tre quarti dell’avambraccio, rivelando il disegno vivido e lucido che ora troneggiava inquietante, con il serpente che si muoveva liquido e osceno sulla sua pelle. Non era una novità per Ginny, l’aveva immaginato la sera di dicembre di qualche mese prima, quando la Serpeverde si era accasciata nel giardino di Malfoy Manor, urlando per il dolore e tenendosi il braccio come se bruciasse. Poi aveva relegato quel pensiero disturbante in fondo alla sua mente, abituandosi giorno dopo giorno a quell’inusuale presenza nella sua vita. In fondo Ron era felice quando era con lei, ed anche Hermione sembrava aver trovato in quella che a rigor di logica era la studentessa più distante da lei che avesse mai varcato la soglia di Hogwarts, sembrava aver trovato una complice e al tempo stesso una nemesi che sembrava darle un nuovo equilibrio. Per un breve, brevissimo periodo, ne era stata quasi gelosa. Poi però avevano parlato e aveva scoperto che in fondo quello che una volta le aveva detto Charlie era vero: le divisione erano solo nella loro testa. Certo, quella rimaneva sempre una che con ottima probabilità era stata accusata a completa ragione di aver ucciso il padre, ma , in fondo, visto quello che le aveva raccontato Ron sulla sua famiglia non se la sentiva sul serio di darle completamente torto.E poi, ad esere onesti, la divertiva enormemente passare intere pomeriggi a trovare il modo migliore per insultarsi a vicenda. Raramente a Grifondoro aveva trovato qualcuno che riuscisse a tenerle testa. Grifondoro… lo stomaco le si strinse all’improvviso come se le avessero dato un pungno, ricordando l’ultimo sguardo di Lavanda quando Padma l’aveva gettata nella vasca. E Patil? Era rimasta immobile, la bocca spalancata muta nell’orrore mentre guardava la sua gemella compiere quel gesto dettato solo dalla maledizione,e  allo stesso tempo incapace di mostrare sul volto neppure la più piccola emozione. Aveva visto i grandi occhi scuri riempirsi di lacrime e di paura, poco prima che un ramo le coprisse il volto, soffocandone ogni possibile lamentela. Era ancora viva? Oppure anche lei aveva deciso di abbandonarsi a quello che sembrava un destino comune a tutti loro?

«Credimi, piccola Weasley, io lo so bene cosa significa fare i conti con le scelte obbligate. E posso assicurarti che, sebbene né la Brown né le gemelle inquietanti e bigotte mi fossero simpatiche, auguro loro di non doversi mai svegliare ogni giorno nel ricordo di quello che si è fatto. So che per te è orribile da sentirsi dire, ma ti posso assicurare che sarebbe meglio per loro non aprire più gli occhi. Quelle come loro non sono fatte per gli omicidi» mormorò la mora, a voce talmente bassa che forse il suo discorso era pià rivolto a sé stessa. Era questa la ragazza di cui si era innamorato Ron? Quella che si mordeva il labbro in preda all’ansia? O quella di cui si riusciva a vedere il dolore in fondo agli occhi scuri velati da qualcosa che non sapeva immaginare interpretare.Fissando un punto imprecisato dietro la sua testa, rifiutandosi di metterla fuoco. Stava per chiederle invece se quelle come lei fossero fatte per gli omicidi, ma la mora la prevenne, mettendole in mano un pezzetto di carta con disegnate una serie di linee intrecciate, tagliando corto: «Tieni la Montmemorcy ha detto che dobbiamo cercare un albero con questi simboli.Mai che se ne inventassero una semplice: e prima devi vedere con la mente, e poi mangiare una dannata mela amara come la milza di salamandra avvelenata, e il pegno da dare, e le tre goccie di sangue… Per Salazar Serpeverde, a volte mi chiedo se non lo facciano apposta.» borbottò la Serpeverde sbuffando ed incamminandosi a lunghe falcate nel folto della foresta. 

«Ehi! Dove vai? Guarda che io non lo dico a Ron che ti sei persa dentro una dannata foresta alla ricerca di un maledetto albero!» le gridò dietro. «E tantomeno ad Hermione! Per Godric Grifondoro, l’hai vista nella Sala Grande? Ha letteralmente staccato il braccio alla Umbridge. Cioè… le sta bene…ma che cavolo avevo mangiato due zuccotti con ripieno di amarene… hai mai fatto caso che ha lo stesso colore del sangue? E quella consistenza…»

«Sei disgustosa Weasley.» rimbeccò Pansy. «Per Salazar Serpeverde…ma come ha fatto una come te a nascere in una famiglia di Grifondoro? Sai… quasi quasi ti sto rivalutando»

«Vieni alla Tana per la festa di metà estate e vedrai cosa riusciamo a tirare fuori»rispose vaga, superando Pansy  e avventurandosii nel folto dell’intreccio di alberi, la cui corteccia sembrava brillare nel buio innaturale.

«E’ un invito, piccola Weasley? Davvero vuoi una come me nella tua piccola, leziosa e adatta per una famiglia di tre persone, casa?» chiese la moro, socchiudendo gli occhi sospettosa.

Di nuovo Ginny si erml, prima di rispondere «Credimi, potresti scoprire di avere più cose in comune con noi di quello che credi. O di quello che ti piace far credere, ad essere onesta» commentò la rossa, appoggiandosi contro uno dei fusti slanciati. 

«Me l’ha detto anche Niamh….dice che siamo vittime dei nostri stessi pregiudizi. E senza che fai quell’aria da saputella… guarda che questo include anche te. Credi che non abbia mai notato come tu e le tue amichette ci abbiate guardate in questi anni? Vi credete migliori di noi, incapaci di scendere a compromessi….e invece… beh sappiamo tutti come è andata, no? Cazzo, se non avessi voglia di cavarle quegli occhi da folle per averci costretto a vivere con  il rospo bigotto per mesi, senza contare quello che ha fatto a Draco, tenderei quasi ad ammirare quella psicolabile maniaca omicidia.» Pansy abbassò la voce, sino a farla diventare un sussurro nel vento: «Forse io e lei siamo fin troppo simili. Se c’è una persona che possa capire cosa signigiche avere un maniaco omcida che gestisce la tua vita e ti fa sentire solo un involucro inutile dotata di un utero, quella sono decisamente io.»

«No, Pansy, mi dispiace, ma non me la bevo. Qualsiasi cosa sia successa nel passato, lei ha scelto di diventare quello che è… Come tutti gli altri Mangiamorte: potevano scegliere di ribellarsi, di seguire la strada giusta ma non lo hanno mai fatto. E, da codardi quali sono, si sono nascosti dietro l’ennesima scusa. Diciamoci la verità: volevano il potere, volevano che qualcuno dicesse loro di essere speciali, di valere più degli altri. Sai che hanno ucciso i miei zii? Erano solo dei ragazzi, Pansy… eppure li hanno trucidati senza pietà» rispose la Wrasley con voce dura, gli occhi che brillavano fieri anche nel buio della foresta. «Nessuno l’ha obbligata ad unirsi a quel pazzo assassino… o almeno, nessuno l’ha costretta a cospirare per la sua rinascita. E quello che ha fatto a Draco? Davvero vuoi dirmi che è stato solo una reazione ad una situazione famigliare difficile?»

Pansy rimase in silenzio, mordendosi l’interno delle labbra. L’aveva sempre odiata, l’esempio perfetto di quella famiglia che tanto la rivoltava. E quando erano stati nel passato… oh aveva avuto davvero la tentazione di convincere Bellatrix ed Andromeda a spingersi un po’ più in la nella loro vendetta… Ma c’era una parte di lei che non riusciva a togliersi dalla mente lo sguardo con cui aveva guardato Lucius dopo quella sera. Di certo c’era rabbia, desiderio di vendetta, orgoglio ferito… ma c’era anche qualcosa di più…

«Nel giro di qualche mese ha perso tutto, Weasley. E ha covato rancore per anni. Devi ammettere che come minimo dobbiamo darle credito per la pazienza» borbottò, chiedendosi che cosa avrebbe fatto lei, se improvvisamente fosse stata messa da parte, seconda in tutto. Non aveva ancora capito se però il suo rimpianto fosse essere stata rimpiazzata da Narcissa o da Bellatrix.

«Le metterò un adesivo sulla tomba, va bene? Ovviamente dopo essermi assicurata che non possa tornare nuovamente. Quella è una fottua psicopatica, tanto quanto i Lestrange. E spero proprio che faccia definitivamente la fine che hanno fatto loro.» ringhiò la rossa con voce bassa e minacciosa, che ricordava fin troppo il fratello nei suoi momenti di rabbia.

Rabbia… cazzo come aveva fatto a non pensarci? 

«Weasley… tuo fratello… quel giorno al campo da Quidditch…quando ha visto te e lo sfregiato sbaciucchiarvi..:»

«Quando ho minacciato di picchiarlo con la mazza da battitore?Si me lo ricordo… bei tempi quelli..» 

«Non era in lui. Era evidente che non lo fosse… e se… se anche lui…» Pansy non riusciva a formulare la frase, le parole che le si bloccavano gelide in gola.

Gli occhi di Ginny si allargarono improvvisamente, lo stesso orrore che si faceva strada anche nella sua mente…«No, non può essere. Forse qualcuno lo aveva maledetto per scherzo… E poi l’hai visto in Sala Grande…ha lottato»

Pansy annuì, cercando di convincersi che non doveva preoccuparsi. C’era la Granger a pensare a quelle cose, no? E non poteva non averci pensato anche lei. Dovevano concentrarsi, ormai davvero non c’era più molto tempo: nel momento in cui la moneta che Niamh aveva dato loro avesse iniziato a brillare, loro avrebbero dovuto aprire il cerchio di protezione ed attraversarlo,a  qualunque costo.

Rimasero in silenzio, ciascuna immersa nei propri pensieri, lo sguardo attento ad ogni minima traccia. Poi videro  una macchia bianca muoversi nell’ombra, piccola ed agile.

«Ma ci sono i conigli in questa parte della Foresta?Fossi in loro avrei paura di diventare la cena di qualcuno. O di qualcosa» tentò di smorzare la tensione che si era creata. Poi però bastò uno sguardo, ed entrambe si precipitarono all’inseguimento, spinte più dall’istinto che dalla razionalità.

Ed ancora una volta, si rivelò la scelta esatta.

 

***

Quando sua cugina se n’era uscita con l’assurda teoria secondo la quale il portale per il Castello nelle Ebridi era nel bagno del quarto piano, quello dove avevano passato settimane a girare e rigirare quella dannata pozione per il maledetto calice, aveva pensato che fosse definitivamente impazzita. O, forse, erano gli ormoni della gravidanza: suo padre ancora raccontava degli scatti d’ira di sua madre quando era incinta. Il che, di solito, provocava lanci di cose e risposte gelide, quindi forse no, non era esattamente quello il motivo. A sentire sua madre era piuttosto il fatto di essere lasciata sola per la maggior parte del giorno, soprattutto il periodo in cui era dovuta restare a letto. E tutti sapevano in realtà dove fosse Lucius durante quei mesi: a torturare babbani, insieme a quella grandissima stronza al piano di sotto.

Insomma, per farla breve aveva pensato che non fosse assolutamente possibile. E, soprattutto, non aveva più messo piede in quel bagno da quando era tornato ad Hogwarts a settembre. O, almeno, non in quel tempo.

E poi dubitava fortemente che riuscissero a raggiungerlo senza rischiare di essere decapitati dai piccoli assassini prezzolati, una volta conosciuti come i loro compagni di casa. E, invece, almeno in quello si era dovuto ricredere. Erano sgattaiolati fuori, scivolando sul fango come se pattinassero sul ghiaccio: anche quello era stata un’invenzione dei gemelli Weasley, delle pratiche solette adattabili che permettevano di superare la palude, sia mai che qualcuno di loro rimanesse bloccato da qualche parte. Anche se a malincuore doveva ammetterlo, quei due erano decisamente geniali.

Dietro di loro, il gruppo dei Grifondoro stava facendo un lavoro eccezionale nel creare il caos, coadiuvati da un Peeves ancora non pago per essere stato esiliato per mesi da quello che era sempre stato il suo parco giochi, mentre Grattastinchi correva indemoniato saltando in faccia ad uno degli inseguitori dopo l’altro: mentre correvano veloci giù per le scale e poi di nuovo sino al bagno del quarto piano, tutto quello che vedevano dietro di loro era un insieme indefinito di scintille verdi, rosse, arancioni e gialle… e nessuna sembrava quella di incantesimi conosciuti.

«Ah. Sei tornato. E con un’amica, vedo.» Come previsto Elizabeth non era affatto contenta di vederlo. Quel breve saluto, più simile ad un un miagolio di gatto affamato, era stato seguito da un vomitare ininterrotto di lamenti e gemiti di altezze variabili sino al punto che Draco temette seriamente che non ne sarebbe sopravvissuto uno di specchio, altro che portale. Maledetto il momento in cui aveva deciso di nascondersi li, per sfuggire agli sguardi dei suoi compagni, quando l’angoscia diventava troppog rande da sopportare. A pensarci adesso, sarebbe stato molto meglio mettersi ad urlare in Sala Comune.

Tonks non sembrava però particolarmente impressionata. Con una scrollata di spalle e un’ultima alzata degli occhi al cielo si soffermò un attimo davanti ad uno di quegli d’angolo, tracciandone toccandone la superficie che reagì come se fosse fatta di metallo liquido. Poi, mentre ancora stava cercando di spiegare al fantasma, il cui soprannome di Mirtilla Malcontenta non era mai stato così azzeccato, si sentì afferrare e spingere all’indietro senza troppe cerimonie.

Un attimo dopo le grida erano sparite, così come i marmi chiari e luccicanti che li avevano circondati fino a quel momento. Attorno a loro tutto era silenzio, scuro, austero. Si guardò intorno riluttante, mentre tutte le paure e le ansie di ogni volta che si era trovato in quel salone dai mobili massicci e la magia oscura che permeava ogni singolo respiro tornavano a galla, paralizzandolo. Sentì la mano di sua cugina sulla spalla, un tocco gentile e leggero che lo riportò alla realtà.

«Vieni, sicuro è nello studio di mio nonno» disse, riuscendo finalmente a respirare. Tonks lo guardò con uno sguardo serio, mentre i capelli diventano di un colore blu scuro. «E, ti prego, ignora la maggior parte di quello che vedrai».

Lei sorrise, in un modo che gli ricordò fin troppo sua madre. «Tranquillo, decisamente non prenderò spunti per l’arredamento. Un po’ troppo tetro per i miei gusti. Per Merlino, davvero non potete permettervi un arredatore migliore?»

Draco si costrinse a stirare le labbra in una specie di ghigno, salendo veloce la grande scalinata di pietra di marmo scuro, cercando di ignorare le voci nella sua mente. Era stato tutto facile, fin troppo. Senza quel traditore di Locke a guardia del castello e con Cassandra in quello stato, era evidente che in qualche modo le pietre antiche lo avevano riconosciuto. Chissà se suo nonno lo aveva messo in conto, quando aveva deciso di donarlo a lei. Probabilmente no. O forse, semplicemente, pensava che non fosse sopravvissuto abbastanza da creare problemi.

La porta, solitamente aperta, ora era sbarrata,un solido muro di legno scuro che non cedeva di un centimetro, per quanto tentasse di scrollare la maniglia.

Tonks si avvicinò allo stipite, arricciando il naso sentendo un odore acre e catramoso «Beh, decisamente avevi ragione, qui dietro sta accadendo qualcosa. Ora…vedi quel riquadro che si è aperto in alto? Dobbiamo inserire la parola chiave… ingegnoso direi.»

«Scusa ma non sei un Auror? Non puoi buttarla giù e basta?Come diavolo la troviamo una parola chiave adesso?» sbuffò, lottando contro l’istinto di scendere di corsa le scale e tornare ad Hogwarts. Aveva sbagliato a seguire quel piano, lasciando sola la Granger. E per cosa poi? Per giocare agli indovinelli?»

La ragazza lo ignorò, sfiorando la placca metallica con la bacchetta, osservando attentamente i sottili segni. «Sono sei numeri.Una data, probabilmente. Ti ha mai parlato di qualche evento particolarmente rilevante per lei?»

«Potremmo provare con il suo compleanno?» tentò, sforzandosi di recuparare dalla memoria sigillata degli sprazzi di conversazione che potessero aiutarli. Peccati che la maggior parte delle volte stesse occludendo, oppure fosse svenuto. Tonks scosse la testa «No, tropppo banale. E non so quanti tentativi abbiamo, non sparerei a caso. Deve essere qualcosa estremamente importante per lei. Qualcosa che le ha cambiato la vita…»

«Come la notte in cui ha perso tutto? Quella per cui ha deciso di prendersela con te?» chiese con un ghigno soddisfatto, puntando la bacchetta a sua volta. Si girò solo un attimo, guardando la cugina interrogativo. E se si stesse sbagliando? Se per lei fosse importante, ad esempio, la data della morte della mamma di Theo?

Tonks, gli strinse appena una spalla, rassicurante, facendogli segno di procedere.

Non aveva finito di tracciare l’ultima stanghetta dell’anno, che la porta iniziò a tremare, aprendosi di scatto su una stanza che ben poco aveva di quello che ricordava: il pavimento era ricoperto di vetri e schegge di specchio, i libri in terra divelti, ogni singolo oggetto che una volta ornava gli scaffali distrutto in terra.

E, in mezzo al caos, solo una cosa era intatta sul mobile lucido della scrivania: una fotografia aumentata sino alle dimensioni di un quadro di medie dimensioni: al suo interno, suo padre quindicenne lo guardava ridacchiando, rivolgendosi a qualcuno dietro di lui. 

E poi apparve lei, ridendogli in faccia, mentre si stringeva a Lucius.

«Al riparo!» sentì Tonks urlare, poco prima di spingerlo dietro una poltrona, senza troppe cerimonie. Non fece neanche in tempo a lamentarsi e a chiederle che diavolo le fosse passato in mente quando la stanza si riempì di una nebbia densa e scura, adorosa di petali di rosa lasciati troppo al sole. Il suo profumo. Si arrischiò a guardare, sperando di essersi davvero sbagliato. E invece, proprio al centro della grande stanza quadrata, stava una Cassandra con lo stesso aspetto di quella della fotografia. Ma lo sguardo, quello folle e privo di qualsiasi empatia, era proprio lo stesso che avevano nella Sala Grande.

«Siete stati davvero carini a rompere il sigillo.. E ora, direi che possiamo passare al sacrificio vero e proprio. Sei stata carina, mezzosangue a portarmi qui il tuo bambino… Vedrai sarà perfetto» sorrise facendo una finta reverenza. «Lord Voldemort sarà davvero contento»

Scambiò uno sguardo con Tonks, che masticava improperi a mezzavoce, tenendosi inconsapevolmente la mano sullo stomaco, mostrandole l’avambraccio dove era perfettamente visibile il marchio nero pulsante. Lei, stranamente, ghignò con una strana luce negli occhi.

«Un piccolo imprevisto. Ma, niente che non si possa risolvere» ghignò, prima di trascinarlo fuori correndo mentre dietro di loro scintille verdi si infrangevano lungo i corridoi coperti di arazzi scuri. 

 

***
Quel dannato piccoletto era stato più ostinato e resistente del previsto, facendole tempo prezioso. Non aveva valutato che la stupida mutaforma potesse arrivare alla fotografia… sicuramente era stato Theodore a spifferare tutto. Oh,ma avrebbe avuto modo di ringraziarlo, quel piccolo ingrato. In fondo, poi, non era un gran danno: le bastava davvero poco, un solo, ultimo sacrificio e quel simulacro non avrebbe più avuto senso di esistere, tornando ad essere solo la riprova di un tempo in cui era stata così sciocca da potersi fidare  degli altri.

Di certo però aveva imparato dai suoi errori, usando quegli degli altri per costruirsi una propria rete di salvataggio, senza dover dipendere più da nessuno. Si strinse l’avambraccio, sentendo il richiamo del Signore Oscuro. 

Superò i cadaveri degli elfi che avevano tentanto inutilmente di bloccare la Sala Grande, creature disgustose ed inutili, come tutti quelle della loro razza, guardando con disgusto il pantano che ricopriva i corridoi della Scuola con un’acqua puzzolente e limacciosa. Con la coda dell’occhio notò lo stupeficium che uno di quegli idioti ragazzino le avevano lanciato contro, saltando di lato giusto in tempo affinché l’incantesimo si infrangesse contro una delle nicchie di pietra, lasciando al suo posto solo un cratere.

Prima che sparisse aveva fatto però in tempo a vedere un ciuffo di capelli rossi: bene, molto bene. Un Weasley come esempio di quello che accadeva a mettersi contro l’Oscuro Signore era proprio quello che serviva: lo avrebbe appeso all’ingresso, il perfetto regalo per lui quando sarebeb arrivato. E poi sarebbe passato agli altri, uno dopo l’altro, lentamente. Il suo figlioccio sarebbe stato l’ultimo…beh sempre dopo Harry Potter.

Risalì la scala, la stessa che aveva salito decine, se non centinaia di volte da studentessa, provando anche adesso la stessa indifferenza di quei giorni: Hogwarts era stato un momento inutile della sua vita, un passaggio obbligato che la separava dalla vita che si meritava davvero, libera e al servizio di Lord Voldemort. E, ovviamente, decisamente ricca.

Ignorò i gemiti del ragazzo accasciato in un angolo, la lunga frusta che fuorisciva dalla sua bacchetta che scivola ritmica ed ipnotica dietro di lei. Le era mancato quel rumore sensuale e letale che le ricordava i pomeriggi passati ad ascoltare la voce di Lord Voldemort che li cullava nell’idea di un futuro degno di loro.

Aprì una delle grandi vetrate, respirando a fondo l’aria satura di elettricità e godendosi lo spettacolo del cielo fattosi di un intenso colore violaceo. E in lontananza, lo sentiva, percepiva il suo potere che si faceva sempre più forte. Premette la bacchetta sul  Marchio Nero, lasciandosi andare ad una risata di pura gioia, mentre sentiva la sua energia permearla nuovamente, riempire ogni fibra del suo essere, impossessarsi della sua voce, della sua mente, di quello che era rimasto della sua anima.

Quando aprì la bocca, sapeva bene che lei era diventata solo un mezzo, l’aria  che vibrava attraverso le corde vocali un’eco della sua sua.

Harry Potter! So che puoi sentirmi… Se tieni alla vita dei tuoi compagni di scuola consegnati. Ti aspetterò nella Foreste Proibita…sono certo che saprai dove andare. Se non lo farai, l’intera scuola brucerà, con tutti i tuoi compagni dentro. E’ questo che vuoi, Potter? Che qualcun altro muoia per te? Tic, Toc, il tempo scorre…chi sarà il prossimo a perdere la vita per colpa tua? Forse il giovane Longbottom? O la deliziosa fidanzatina che è stata complice di tutto? 

Cassandra  ghignò, il polso che scaettava veloce, lanciando contro il muro quello stupido sempliciotto che aveva provato ad attaccarla alle spalle. Stupido come i suoi genitori. E, come i suoi genitori, avrebbe sperato di morire al più presto. 

 

La voce di Lord Voldemort era risuonata in ogni antro della Scuola, dai sotterraneai alla torre di Astronomia, sibilante e rauca, eppure distinta. Harry, nell’ufficio della Umbridge scambiò un’occhiata rabbiosa con Ron che, incurante delle istruzioni ricevute, l’aveva seguito in quella ricerca.

«Non puoi andare, Harry. Non siamo ancora pronti. Hai sentito cosa ha detto Hermione, ci avvertirà lei. E’ un suicidio»

Harry si massaggiò la cicatrice, esasperato. Certo che era un suicidio…ma quali altre possibilità aveva? E poi, a dire la verità, era un anno che aspettava quel momento.

Finalmente sarebbe stato faccia a faccia con Voldemort. E questa volta, si sarebbe premurato di fargliela pagare.

«Io vado, tu continua a cercare il recipiente delle anime…il furetto ha detto che qui c’era un contenitore ricoperto di semi di zucca ma chissà cos’ha visto. Non c’è niente»  disse a Ron che però lo guardava scuotendo la testa.

Ron avrebbe voluto ribattere, lamentarsi ed impuntarsi: già avevano dovuto separarsi da Hermione, non c’era verso che lo lasciasse solo con Voldemort. Ma quello sguardo tagliente negli occhi verdi del suo amico non lasciava adito a dubbi: aveva preso la sua decisione, e niente gliel’avrebbe fatta cambiare. L’unica cosa che poteva fare era trovare quel dannato contenitore il prima possibile e liberare i suoi compagni. Poi, in un modo o nell’altro sarebbero scappati.

 

***

Silente li aveva guidati attraverso le strade deserte di Hogsmeade, senza più dire una parola, limitandosi a fare qualche domanda a Percy, annuendo soddisfatto ascoltando la risposta.

L’aria attorno a loro era di nuovo irrespirabile, talmente immobile da far chiedere loro se davvero stessero avanzando o se, invece, continuassero a camminare sempre sullo stesso posto, fermi in un’eterna bolla.

Narcissa aveva provato a rallentare per parlare con Lucius, ma Andromeda sembrava aver capito che c’era qualcosa che non andava e sembrava non perderli di vista un attimo, fermandosi deliberatamente ad aspettarli ogni volta che sembravano attardarsi.

«Non pensarai mica che mi beva la storia che hai problemi con i tacchi, vero?» le sibilò prendendola sotto braccio e trascinandola via dal marito. «E tu, di un po’... cosa stavi facendo sul serio in quel posto dimenticato da Merlino?»

«L’unico posto dimenticato da Merlino è quello schifoso locale dove il tuo caro Silente ci vuole portare.» commentò Lucius acido, indicando con disgusto Ted e Sirius che, di fronte ad una porta scura e poco illuminata, si sbracciavano per richiamare la loro attenzione. passaggio. 

«Testa di Porco. Che nome…particolare. E gli affari non vanno granché bene, a quanto pare. Mi chiedo perché...» commentò secca Narcissa arricciando il naso entrando e lanciando un’ eloquante occhiata a Silente. Assolutamente quello che tutti si sarebbero aspettati da lei, fin troppo

«Mio fratello è sempre stato un tipo particolare. Ma in fondo i rapporti con la famiglia sono i più complessi, dico bene?» Silente li aveva guidati sino ad una piccola stanzetta, spoglia ed austera, in cui l’unica cosa che spiccava era un grande quadro. Improvvisamente ci fu un movimento nella piuttura e apparve un trafelato preside Dippet, che sgranò gli occhi guardando quella ben poco assortita comitativa. Silente si avvicinò, annuendo mentre il Preside gli bisbigliava qualcosa all’orecchio. Poi, pensieroso, si fece da parte, indicando il quadro. Ma non stava guardando li,  né i ragazzi che si erano affrettati ad attraversare la tela. No, la sua attenzione era tutta su sua sorella, fissandola con un sguardo indecifrabile, lo stesso che fin troppo spesso gli aveva rivolgere a Bellatrix durante gli anni di Hogwarts.

Ma Narcissa non era Bellatrix. Lei non… no, non aveva mai preso il Marchio Nero, non aveva mai torturato nessuno, era stata la prima a cospirare contro l’Oscuro Signore lo scorso anno. Ma c’era un grande ma… la motivazione principale di Narcissa lo scorso anno era stato salvare Draco. Aveva detto che non c’era niente che non fosse disposta a fare, pur di sapere suo figlio al sicuro. E, ad essere onesti, le faceva paura pensare a quanto questo potesse essere vero.

Ted si girò a guardarla, interrogativo, facendole segno di sbrigarsi. Andromeda scosse la testa, cercando di scacciare quei pensieri. C’era qualcosaltro, però, una sensazione strisciante, come se qualcuno li stesse seguendo nell’ombra.

Ma non c’era più tempo, grossi nubi si stavano addensando su Hogwarts e forse era l’ultima occasione per salvare Nymphadora. E, come sua sorella, non c’era davvero niente che non avrebbe fatto per la sua famiglia.

Niente.

 

***

«Prima l’acqua, ora il fuoco… certo che non sei proprio il massimo dell’originalità eh» 

Man mano che si avvicinava alle fiamme verdastre, la cicatrice sembrava assorbire il calore, tizzoni bollenti che gli penetravano nel cervello, annebbiandogli la vista. Tutto attorno a lui sembrava essersi fermato, l’unica cosa su cui riusciva a concentrarsi era il suono sibilane delle fiamme,perfettamene in sintonia con la voce nella sua testa.

La donna si girò, godendosi il calore delle fiamme, schioccando le labbra in un sorriso, mentre un’ombra più densa delle altre si muoveva dal fitto degli alberi, le decine di bacche scure e dure che scricciolavano sotto il suo passo.

«Mio Signore…» disse Cassandra con devozione, spostandosi per farlo passare. «Ti ho portato il ragazzo, come vedi.»

Voldemort fece ancora un passo verso la strega, carezzandole il viso come avrebbe fatto con un cucciolo impaziene di compiacere il suo padrone,mentre lei continuava a guardarlo con adorazione.

«E che tutti vedano la fine del grande Harry Potter» urlò facendo un ampio gesto con la mano, indicando qualcosa dietro di lui.

Harry deglutì a vuoto, non ci aveva fatto caso arrivando nello spiazzo, ma ora riusciva a vederlo chiaramente: legato ad ogni albero da fili sottili come ragnatela di Acramantula, c’erano diversi dei suoi compagni: Neville era quello messo peggio, con un occhio nero e un profondo taglio sul sopracciglio che ancora gocciolava sangue non rappreso,  e poi Luna, Cho, Seamus, Lee… gli altri neanche riusciva ad intravederli, ma poteva sentirne le voci: una foresta di corpi dagli occhi sgranati che lo guardavano.

«Avevi detto che li avresti lasciati in pace se fossi venuto» ringhiò, mettendo mano alla bacchetta e iniziando a muoversi lentamene, soppesando le sue mosse.

La donna gli rise in faccia, indicando un punto alle sue spalle.:«Dovresi imparare ad ascolare, giovane Potter. Io ho detto che era il modo per non farli bruciare vivi…non ho mai parlato di lasciarli andare.Puoi chiedere al tuo amichetto se non ci credi..hai qualcosa per me, mio giovane amico?»

Non l’aveva sentito arrivare, ma ora la punta della bacchetta era premuta contro la sua schiena. E dannazione se conosceva quella bacchetta. La conosceva anche senza far caso alle urla soffocate di Neville.

Si girò lentamente, sperando davvero di sbagliarsi. E, invece , ancora una volta aveva ragione.

«Dannazione Ron, ti ho lasciato solo dieci minui fa!» ringhiò,mettendosi in guardia.

«Dieci minuti…una vita… ha davvero valore il tempo? L’amicizia non esiste, Harry Potter. E tu lo scoprirai…proprio come hanno fatto i tuoi genitori prima di te» disse laconico Voldemort, battendo le mani. «Portami il suo cuore, mio giovane amico.»

Ci fu un lampo negli occhi azzurri di Ron, appena un accenno dietro lo schermo ottuso del maleficio, e gli tirò addosso un pezzo rotondo di metallo, sputando.

«Questo è per la Cioccorana sul treno, megalomane» sputò con disprezzo.

Ed Harry, dentro di sè, sorrise. 

 

***

«Cerca di concentrarti Hermione, non avremo una seconda possibilità.» la voce di Niamh la riportò severa alla realtà. «E’ arrivato, lo vedo. Dobbiamo agire in fretta»

La Grifondoro annuì, mordendosi il labbro. SI Niamh aveva ragione ma c’era qualcosa che non poteva ignorare. Lei sentiva, sapeva, che c’era qualcosa che non andava e che Draco era in pericolo imminente:lo sesso sigillo che gli aveva messo nell’anello ora le sembrava scavare dentro, avvisandola di dover fare qualcosa.

«E se avessero bisogno di aiuto?» non poté fare a meno di chiedere, provocando l’irritazione della bionda.

«Tutti noi abbiamo bisogno di aiuto. E, se non ti concentri, potrai felicemente scoprire quanto ti servirà da morta.» sibilò, finendo la treccia di vimini, e posizionandola a croce con quella intrecciata da Hermione. «E ora fa silenzio, la sabbia è quasi finita e dobbiamo sfruttare il potere della Luna prima che sorga. Ormai manca veramene poco. Concentrati, ognuno sta facendo la sua parte»

Hermione si alzò,  infiammando con la bacchetta un ramscello di salvia e lavanda, pe poi usarla per accendere le tre fiaccole agli estremi di un cerchio di rune fittissime che Niamh aveva per prima cosa disegnato con un impasto profumato e scuro.

Sedette di nuovo di fronte alla strega, disponendo tre monete d’argento al bordo inferiore del grosso libro in pelle scura che le divideva.

«Respira. Lascia che il potere ti fluisca dentro, non fermarlo… non porti limii» disse spezzando il silenzio, prima di porgerle le man

Le fiamme attorno a lei iniziarono a tremare come se se toccate da un vento leggero, lo stesso che sentiva accarezzarle il viso. Si costrinse a tenere gli occhi chiusi, a concentrarsi su quel grumo che sentiva bruciarle dentro, allargandosi sempre di più. Un potere caldo ed avvolgente, rassicurante, che le fluiva dentro portando via ogni pensiero.

Piano piano scomparve la vista di Lavanda e il suo terrore,  la preoccupazione per Harry, lo sguardo di Ron quando all’ultimo Niamh gli aveva dato quella fiala che Tonks non aveva fatto in tempo a bere. Tutto divenne sfocato, avvolto da una luce morbida ed argentate che l’abbracciava rassicurante. Sparì tutto tranne due occhi grigi che la fissavano, quelli a cui doveva tornare.

Sempre con te. Si ripeté, facendo rotolande le parole dell’iscrizione del sigillo nella sua mente.

 

***

«Tu sei assolutamente certa di sapere come ucciderla? No, perché non te lo vorrei dire ma non mi pare che stia funzionando, a parte distruggere metà dei mobili» sbuffò Draco, rannicchiandosi dietro una grande armatura che andò in frantumi poco dopo, lanciando schegge di metallo ovunque.

«Che c’è pensi di venirci ad abitare? Non mi preoccuperei dell’assicurazione, ci sono talmente tanti manufatti oscuri che fossi in voi non darei occasione al Ministero per fare una perquisizione… troverebbe fin troppe cose interessanti.» rispose, mentre il suo viso si modificava sotto i suoi occhi: i capelli color vinaccio si allungarono ed inanellarono, la bocca divenne più piena, il volto più affilato, mentre gli occhi diventavano neri e duri. «E ora stai attento, io la distraggo fino a quando non ci danno il segnale. Tu risali su e vai a prendere la fotografia.

Bellatrix.

«Andiamo, è tutto qui quello che sai fare? Sei patetica. Sarai sempre la seconda. Lui» e, con la stessa voce che ricordava della zia dopo Azkban, indugiò su quel lui come se stesse mangiando una piuma di zucchero. «Lui sa che non può fidarsi di te…»

Come previsto Cassandra iniziò a colpire alla cieca, mentre la risata da bambina folle di Bellatrix la irrideva correndo lungo i corridoi. Draco ne approfittò per risalire di nascosto la scala, cercando di fondersi il più possibile contro la tapezzeria damascata, cercando di non fare rumore mentre calpestava fogli strappati, cocci di ceramica smaltata, schegge di pietra saltate dal muro. Se prima avevano pensato che la stanza fosse un caos, ora non c’era un singolo angolo di quella stanza che non fosse squarciato da una maledizione. Si mise a quattro zampe, alla ricerca della fotografia, lanciata chissà dove, e ora persa tra le decine se non centinaia di pezzi di carta e pergamena che ricoprivano il tappeto alto e morbido, quello in cui fin troppe ore era rimasto sdraiato privo di sensi. Chiuse gli occhi cercando di ricacciare i ricordi in fondo alla mente, non c’era tempo per quello. Non voleva avere tempo per quello, mai più. Cercò di ripetersi nella mente quello che Ted gli aveva fatto dire a voce alta, più e più volte, fino a quando non l’aveva sentito vero, quello che lui stesso aveva ripetuto a suo padre nel passato.Non è colpa tua.

Cercò di lanciare un accio, ma in mano, invece della fotografia, gli volò un pergamena ripiegata con un simbolo fin troppo famigliare sopra. La srotolò lentamente, lottando contro la voce nella sua testa che gli urlava di lanciarla lontano. Quella grafia… la conosceva bene, così come le firme in fondo. Suo nonno. Cassandra. Suo padre. Guardò la data, già sapendo cosa ci avrebbe trovato: era stata la sera in cui suo nonno era stato esiliato nelle Ebridi. O almeno era quello che gli aveva raccontato suo padre. Perché a quanto pareva la storia era stata ben diversa.

E poi gli occhi tornarono di nuovo al centro. Al suo nome, vergato in lettere argentee ed arzigogolate, con due date separate da un trattino. Quello non era un incantesimo esiliante, come glielo avevano raccontato. Era piuttosto la cronaca di una morte annunciata. La sua.

La moneta che aveva in tasca iniziò a tremare, costringendolo a tornare alla realtà. Con mano tremante piego e mese via quella pergamena, rimettendosi alla ricerca della fotografia. Mentre la voce in lontananza si trasformava da quella stridula ed irriverente di Bellatrix, a quella fin troppo conosciuta e sprezzante di sua madre, finalmente trovò la fotografia che stava cercando. Della ragazza non c’era più traccia, era rimasto solo Lucius con la spilla di prefetto che lo guardava interrogativo.

Ghignò, avvicinando la bacchetta alla fotografia, ripetendo il movimento che aveva visto fare a sua zia, in quella notte di autunno iniziato. Una M appena accenata e poi una S che andava verso l’alto. Ardemonio.

Uscì di corsa dalla stanza, mentre ogni cosa veniva avvolta da un fuoco gelido ed inarrestabile, mentre in lontananza sentiva Cassandra urlare. Tonks lo raggiunse poco dopo, di nuovo nella sua forma normale, poco sotto le scale, mentre lui la chiamava a gran voce. Le mostrò la moneta, che ora brillava chiaramente. Poi, insieme, attraversarono di nuovo il grande quadro del loro passaggio. Draco andò per ultimo, lanciando un ultimo sguardo a quel posto, godendosi l’immagine del piano superiore mangiato dalle fiamme. Ben presto di quel posto non sarebbe rimasto nulla se non un mucchio di pietre annerite. Così come non sarebbe rimasto nulla di quella tela che lo salutò un’ultima volta, poco prima che le iniziali A.D. iniziavano a sbiadire e a liquefarsi, colando lungo la parete.

 

***

Prima c’era stato il verso di una civetta, inconfondibile in quell’aria in cui non si sentiva null’altro se non i rumori degli incantesimi di due cari amici che si scontravano. Minerva MacGranitt uscì di corsa mentre il cielo sopra ad Hogwarts si trasformava in un cielo notturno irreale. Accelerò il passo, cercando di non notare i segni di quello che era successo, superando le macchie di sangue che insozzavano il lungo corridoio, ignorando i lamenti degli studenti. Ci sarebbe stato tempo per quello, ora , nonostante il suo cuore le dicesse di fiondarsi in Sala Grande e cercare di liberare gli studenti. Ma quello che poteva fare Severus in quel momento era sicuramente più utile. Se c’era qualcuno che poteva cercare di salvare almeno uno studente era lui con le sue pozioni.

Mentre correva verso la Foresta si trasformò in gatto, ben presto affiancata da Grattastinchi che le corse accanto, la coda dritta e pronto ad attaccare. Corsero veloci verso il punto da dove provenivano delle urla strazianti. Ma quella voce… quella non era di certo quella degli studenti che conosceva. Si girò appena verso il castello, sopra il quale un globo argenteo e luminoso si innalzava lento. E poi, con sollievo lo vide, quel serpente di anime che lei stessa aveva evocato, appena era riuscita a riprendere i sensi.

Un incantesimo disperso nei secoli, uno di quelli messi a protezione della scuola dai fondatori. E, visto la forma che prendeva quella sorta di Patronus della Scuola, era indubbio di chi fosse stata l’idea. Lo vide scivolare leggero, le squame che si muovevano come battiti di ali, nere come la notte.  Avvolgeva la scuola, stringendola nelle sue spire, un frammento di anima di ognuno dei professori e presidi mai passati per Hogwarts che avevano deciso di consacrarsi per sempre alla protezione di quello che consideravano il luogo più sicuro. Una casa lontana da casa. Un posto dove chiunque lo chieda, troverà sempre aiuto. 

Arrivò finalmente alla radura, dove una donna che non conosceva era piegata su se stessa, urlante per il dolore come se fosse in preda ad un fuoco infernale. E accanto a lei, impassibile, stava Colui che non deve essere nominato.

«Aiutami, mio Signore, ti prego» la sentì implorare, cercando di toccargli il bordo del mantello. Lui, però si limitò a guardarla con sufficienza, scostandosi di appena un passo.

«Aiutarti, Cassandra? Perché dovrei farlo? Sei stata una delusione, come tutti. Pensavo di potermi fidare di te ….e invece…» disse con disgusto, dando uno strattone al mantello, strappondoglielo dalle mani. «E ora basta, giocare,ragazzini. E’ ora per Harry Potter di morire. »

Minerva ripresa la sua forma umana, pronta a colpire. Ma prima che potesse lanciare un incantesimo il cielo era stato illuminato da quella luna artificiale, che ora splendeva ricca e piena sopra di loro.

La terra attorno a loro iniziò a tremare, mentre dal profondo della Foresta iniziava a spirare un vento gelido e dall’odore metallico, così forte da costringere Voldemort a coprirsi il viso, continuando ad avanzare, mentre la tempesta disperdeva le ceneri di quella che era stata una volta una delle sue seguaci più fidati. E più inutili, sembrò pensare.

«Potete chiamare tutte le protezioni che volete… non c’è niente che ti permetterà di superare questo giorno, Harry Potter. La tua sciocca e patetica vita finisce questa notte. Ma prima, vediamo di liberarci di questo inutile traditore del sangue» disse il mago con voce grave, sguainando la bacchetta.

«Ron, svegliati. Come hai fatto prima! So che puoi sentirmi! Combatti» sentì Harry urlare, mentre con sgomento vedeva la mano tremante di Ron Weasley alzarsi e puntarsi la bacchetta alla gola.

Poi ci fu un crack, e apparvero tre degli unici esseri che potevano trasfigurarsi all’interno di Hogwarts. Ma se Dobby  e Cockey erano volti conosciuti, anzi ad essere onesti Dobby si era rivelato più che bendisposto nell’ aiutarla a far uscire Harry dalla scuola con un ricovero forzato al San Mungo, cosa diavolo ci faceva l’elfo di Sirius Black all’interno della Foresta Proibita? E con un otre di terracotta, per di più.

Lo alzò in alto, sopra la testa ossuta, guardando con odio Colui che non deve essere nominato. Cockey e Dobby invece erano andati ad occuparsi dei ragazzi prigionieri, cercando di liberarli da quei legacci.

«Questo è per il padroncino Regulus, traditore» sputò, lanciando con tutta la forza che aveva la giara in terra. Nel momento stesso in cui toccò il terreno duro, la fragile terracotta si ruppe in mille pezzi, lasciando uscire le anime che erano state imprigionate e che volarono via, nella notte irreale, cercando ciascuna di ricongiurgersi ai proprietari. Un folto gruppo volò dentro la scuola, altre si dispersero nella foreste, altre ancora volarono in alto, dirette chissà dove. Una si posò sulla spalla di Ron Weasley, che sorrise soddisfatto.

«Non ti avrei mai ucciso davvero, Harry lo sai. E poi mamma mi avrebbe fatto a pezzi» sorrise, mettendosi fianco a fianco con l’amico.

Voldemort imprecò, guardando quei pezzi di potere che avrebbero dovuto accrescere la sua potenza, sparire nella notte.

«Ti ucciderò, stupida creatura. Così come è successo a quell’idiota del tuo padrone» ringhiò. «Ma prima, mettiamo fine a questo scempio»

«Non così in fretta, Tom» 

Minerva si girò, senza smettere di tenere la bacchetta puntata, sospirando di sollievo vedendo Silente che avanzava verso di loro. Così come non poté notare con soddisfazione il leggero fremito di irritazione che Lord Voldemort non era riuscito a nascondere.

«Lascia stare Harry, razza di bastardo» gli aveva fatto eco Sirius, correndo verso di loro, seguito dai fratelli Weasley e da una strega bionda, che Minerva riconobbe essere Fleur Delacour.

«Signor Weasley, davvero un piacere vederla. Credo che la sua ex datrice di lavoro necessiterà di qualche cura. E di un soggiorno ad Azkaban» sorrise compiaciuta al più giovane dei Weasley, che si disposero accanto ad Harry e Ron. 

Ma c’erano altre persone, di cui era ancora più sorpresa. Ted ed Andromeda Tonks, ad esempio, il cui sguardo correva tra i ragazzi , ora liberi che puntavano a loro volta la bacchetta su Voldemort. 

E poi si rese conto di quello che stava per accadere, nel momento stesso in cui vide la figura alta e dai vestiti stazzonati dai troppi giorni senza sonno di Remus Lupin. Anche da quella distanza poteva vedere il volto che si distorceva nella sorpresa e nel dolore, nel momento stesso in cui aveva realizzato che quella che brillava in cielo era una irreale ma perfetta luna piena.

Sentì il ringhio, prima basso e poi sempre più forte farsi strada oltre le urla dei ragazzi impauriti, il rumore delle zampe ungulate e forti che spingeva nel terreno, pronto a lanciarsi  alla gola di colui che aveva provocato tanto dolore nella sua famiglia, incurante di chiunqe si trovasse li intorno.

Voldemort rise, lanciandosi contro uno stupeficium talmente potente, che lo fece rimbalzare all’indietro con un guaito di dolore. Ma poco dopo era di nuovo in piedi, con gli occhi rossi e la bava alla bocca.

«Non hai modo di uscirne, Tom. Arrenditi» disse di nuovo Silente, calmo come se gli stesse spiegando come arrivare alla Torre di Astronomia.

Lord Voldemort si girò intorno, lentamente, bacchette che gli puntavano contro da ogni lato. Poi guardò lontano, con un ultimo ghigno.

«Oh, c’è sempre un modo, non era quello che ti piaceva dire sempre? Poveri stupidi, pensate che questa sia la fine… invece è solo l’inizio» sibilò con un ghigno, lanciandosi nelle fiamme verdi, che, dopo un’ultima, enorme fiammata, si spensero improvvisamente. Imprecando Sirius gli corse dietro, cercando di seguirlo prima che la passaporta si chiudesse.

Poi si girò, correndo ad abbracciare Harry, quasi stritolandolo.

«Ehm, Sirius non dovremmo preoccuparci di Remus?» riuscì a dire a fatica Harry, permettendosi finalmente di rilassarsi. Sirius rise facendo il segno di annusare l’aria «Oh, non ce n’è bisogno? Non lo senti? Tonk è qui… ci penserà lei a fargli mettere la testa a posto. E ora andiamo, dove è Hermione? E Ginny?»

«Nella Stanza delle Necessità con la Montemorcy… sono loro che hanno creato quello» rispose Ron, sfuggendo ai tentativi dei fratelli di abbracciarlo. « Ginny invece è con Pansy… dovevano incidere delle rune da qualche parte. Avremmo potuto ucciderlo Sirius, sarebbe bastato così poco»

«Ci saranno altre occasioni Harry. E ora che, grazie alla signorina Weasley e alla signorina Parkinson, la Scuola non è più isolata potremmo portare i feriti al San Mungo. Prego, signor Longbottom, mi segua. Credo che potremmo cominciare da lei» rispose calmo Silente, accucciandosi per toccare l’erba bruciata da dove era passato Voldemort. In terra, unica cosa superstite, il badge da Capocasa di Serpeverde, lo stesso che aveva visto Lumacorno appuntargli addosso.


 

*** 

Quando si era svegliata nella stanza delle Necessità, Niamh era sparita, lasciando dietro di sé solo il profumo di lavanda ed incenso che aveva usato. Al suo posto, invece, trovò Draco disperato che continuava a scrollarla.

«Cazzo, Hermione, non farmi mai più una cosa del genere» era stato tutto ciò che era riuscito a dire prima di stringerla come se volesse farla diventare parte di sé. Accanto a lui, Andromeda e la MacGranitt la scrutavano come se lo sapessero, come se avessero capito che lei, dopo quella sera, non sarebbe più stata la stessa. Perché quello che non potevano sapere era che se non ci fosse stata Niamh lei sarebbe andata ben oltre, lasciando che il vento che avevano generato spazzasse via ogni cosa, inclusa la stessa Scuola. Era stato un filo così sottile, l’euforia del potere che le fluiva addosso che l’aveva spinta oltre la sua coscienza.

Ma lei l’aveva fatta tornare indietro, ricordandole chi fosse. E, soprattutto, che aveva fatto una promessa.

«Come sta la Sproute? E Tonks?» chiese, appoggiandosi alla spalla di Draco, troppo stanca persino per alzarsi.

«Oh, e chi l’ammazza quella… gramigna come la madre» rise Draco, lanciando un’occhiata alla zia, che gli concesse un sorriso stanco. «Hanno provato a dirle che deve riposare ma lei ha preferito marciare fino al Ministero e sbattere in faccia al Capo Auror le testimonianze di decine di studenti. Senza contare che la Umbridge ha dovuto ammettere tutto quello che era successo, incluso l’aver permesso ad un incantesimo proibito di essere utilizzato dentro la scuola. Ora pare che la stiano portando ad Azkaban»

«La professoressa Sproute è stabile, Cockey e le Greengrass hanno fatto un ottimo lavoro. Si sta occupando di lei un mio collega, ma so che l’intervento è stato un successo. Ora deve solo cercare di riprendersi» disse Andromeda dolcemente, tastandole il polso. Delicatamente le tirò su la maglia, rivelando l’avambraccio, ora di nuovo intonso.

«Niamh ti saluta… lei… lei è dovuta andare via. Ma mi ha lasciato questo per te»le mormorò Draco tirando fuori un ciondolo, rimanendo un attimo perplesso, come se si aspettassi di trovare anche altro. Hermione rigirò tra le dita il ciondolo, tre piccoli cerchi attaccati l’uno all’altro,conuna piccola runa incisa nei cerchi laterali, molto simile a quelle che erano sulla collana di Bellatrix, mentre al centro spiccavano le lettere A.M.M. Un regalo dal Reame del Lago? O forse solo un ammonimento di non parlare con nessuno di quello che aveva visto?

«E …gli altri?» chiese infine, incapace di formulare la frase completa.

La MacGranitt sospirò, mentre Draco la stringeva ancora di più, sfiorandole la tempia con un bacio. Sentì una lacrima di rabbia gelida colarle sul viso, prima ancora di rendersi conto che stava singhiozzando, come se il suo corpo fosse incapace di accettare quello che la sua mente aveva sempre saputo, sin da quando aveva visto Lavanda sparire nella acque.

E rimase così, aggrappata a Draco, lasciandosi cullare nella consolazione che almeno era riuscita a salvare qualcuno. Ma quelli che erano morti, loro l’avrebbero tormentata per sempre.


 

Al sicuro dietro la porta di casa sua, protetta da quelle mura antiche e dai volti famigliari, Narcissa si concesse di crollare, stringendo con forza il foglio di carta che aveva trovato nella tasca di Draco. Quando l’aveva visto, con i vestiti mezzi bruciati e pallido, ma indubbiamente vivo, nel corridoio di Hogwarts, le era corsa incontro, seguita a breve da Lucius. Ma l’aveva sentito strano, rigido. E poi, aveva tirato fuori quel foglio, quello stesso che ora teneva in mano, chiedendo cosa fosse, se sapessero di cosa si trattava.

Era bastata solo un’occhiata con Lucius. Entrambi sapevano perfettamente cosa andava fatto, senza neanche bisogno di parlare. Così, quando lui era corso via, urlando il nome della Granger, era stato facile colpirlo. E mentre scivolava lentamente in terra, Narcissa si era avvicinata con dita leggere, sfiorandogli i capelli con una carezza, mentre cancellava ogni traccia di quella maledizione dalla mente di suo figlio. Non se ne sarebbe mai accorto, avrebbe accusato lo stress per quel mal di testa feroce che sicuramente lo avrebbe tormentato per qualche giorno.

E quando loro sarebbero tornati il giorno dopo per partecipare ai grandi funerali previsti per le vittime dell’attacco, sarebbe stato il solito Draco, felice di vederla.

C’era solo una persona che aveva assistito a quella scena, nascosto appena nell’ombra. Ma era certo che Severus non l’avrebbe mai tradita. Non quando c’era così tanto da perdere anche per lui.

Lucius apparve accanto a lei, abbracciandola stretta,e poggiando il mento sulla sua tesa, mentre lei si stringeva spasmodicamente a lui.

«Sei sicuro di quello che ti ha detto?» chiese, senza staccare la testa dal suo petto. «Credi che lo farà sul serio?»

Lucius non rispose subito, limitandosi ad accarezzarle piano la schiena. Poi infine parlò.

«Non lo so, ma al momento è l’unica opzione che abbiamo».

Non si era mai fidata di quell’uomo viscido, che le aveva strappato una sorella e aveva offuscato i pensieri di suo marito per anni. Eppure, in quel momento, con la prospettiva di vedere Draco morire soffrendo giorno dopo giorno, era pronta a provarci.

Portami Harry Potter e io salverò tuo figlio.

Si, potevano provarci.

In fondo c’era un’unica cosa che contava davvero per loro. 

Sanctimonia Vincet Semper.

Il Sangue vince sempre.

O, come amava dire Nicholas, La Famiglia prima di tutto.


 

Ed eccoci qui, giunti finalmente alla fine. Forse avrei dovuto ascoltare i segnali, quando nella stesura di questa storia è successo di tutto: una rottura improvvisa che mi ha portato a non avere accesso al mio hard disk esterno, poi trovato completamente cancellato, la riscrittura che procedeva a rilento, i capitoli che non mi soddisfacevano mai ed, infine, l’Australiana. Ho scritto gran parte di questo lunghissimo capitolo con la febbre a 39, e credo che un po’ si veda.

Il cerchio si è chiuso: Ormai il mondo magico sa che Voldemort è rinato;  il Regno del Lago è salvo; Hermione, Ginny e Pansy hanno scoperto il loro vero potenziale. E poi i Malfoy, che ci dimostrano come l’unica cosa che a loro interessi è la loro famiglia: un anno prima avevano tradito Voldemort per Draco, ora si troveranno a cospirare con lui per salvarlo. Forse.

Dico forse perché non ci sarà subito un seguito. Devo prima capire se e come strutturarlo: non so se l’hai notato ma qui rispetto a “Il Calice” e “Quel che è stato, quel che sarà” la struttura cambia di nuovo, con una serie di elementi disseminati lungo le pagine. Devo dire che, sul lungo periodo, e a distanza di tempo non mi ha convinto molto. Fammi sapere se pensi che un seguito possa avere senso o se è meglio finirla qui, visto che in tutto siamo arrivati a quasi cento capitoli tra le parti, senza contare le varie storie collegate

In ogni caso, se vuoi andare un po’ avanti nel tempo, idealmente una one shot successiva a questa storia è già stata pubblicata da tempo. In Fathers and Sons vediamo un Lucius estramemente indulgente con Draco,quasi fosse ancora un ragazzino. Ora sai perché. Diciamo che mi “divertiva” l’idea di una storia che potesse avere diverse chiavi di lettura, a seconda che se la si leggesse da sola o dopo questa conclusione.

 Ti lascio qualche titolo che ho usato per riferimento per le mie rielaborazioni personali che hai trovato in questa storia. Oltre a quanto già citato nei capitoli precedenti, aggiungo:

  • “I cavalieri divini del Vudu” di Maya Deren

  • “ Misteri e Magie del Nord, le rune e i poteri femminili” di Freya Aswynn;

  • “Racconti di Hogwarts” della Rowling, da cui ho scoperto che il marito della McGranitt aveva una casa ad Hogwarts


E, ancora una volta, grazie di cuore del tuo tempo.
   
 
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