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Autore: lo_strano_libraio    09/02/2023    0 recensioni
Raccolta di One Shot con protagonista Max e amici. La serie è ambientata nella timeline della mia precedente fanfiction, Max Misery, quindi a volte compariranno personaggi anche inventati da me provenienti da quella. Quindi magari, dategli un occhiata ok? 😉
Ho deciso di farla per approfondire eventi minori che avrei voluto aggiungere alla fanfiction, ma l’avrebbero resa troppo lunga e poco coerente. Essendo una raccolta di one shot, l’aggiorneró liberamente quando ne avrò voglia, quindi non sarà una serie regolarissima e costante.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Lucas Sinclair, Maxine Mayfield
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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La fatica

28 novembre 1985.

Max aveva fame, tanta, ed era spossata fisicamente per questo.

Il prof di ginnastica continuava ad urlare ordini durante la partita di palla avvelenata, aspettandosi che lei riuscisse a stargli dietro. Ma a malapena si reggeva in piedi e provava a schivare le palle come i compagni di squadra. Solitamente avrebbe adorato l’ora di ginnastica, lei che era da sempre appassionata di sport e trovava borioso stare seduta per più di un ora. Ma ultimamente i problemi economici di sua madre l’avevano costretta letteralmente a razionare il cibo, tanto che la sera prima si era dovuta accontentare di un uovo in padella e una scatoletta di carotine. Il mattino poi, dovette saltare la colazione in toto, non trovando niente in frigo. Quindi, in quel momento non aveva ne le forze ne la testa per giocare a pallone. Stava invidiando per la prima volta Cynda, la ragazza anoressica della classe, che a causa delle due condizioni fisiche precarie era costretta a star seduta a guardare gli altri giocare dalla panchina, anche se avrebbe voluto unirsi a loro sostenendo di sentirsi bene e di potercela fare. Le faceva sempre una gran pena vedere quello scricciolo con la divisa addosso, ma impossibilitata dal prof a non fare nessun gioco o attività fisica, per colpa delle sue fissazioni sul cibo. Ovviamente non poteva fare troppi sforzi fisici perché era pericoloso per lei consumare troppe calorie, ma soprattutto perché era più fragile degli altri ragazzi: una caduta, un urto involontario troppo forte con un altro ragazzo, avrebbe potuto romperle le ossa. Si limitava quindi a pochi esercizi utili per tonificare gli arti, e poi il prof la obbligava a sedersi. Ogni tanto a Max veniva da pensare, vedendola come ora guardare con quegli occhioni tristi e invidiosi allo stesso tempo, gli altri divertirsi da fuori campo:

“Che stupida che sei, ben ti sta. Che ti aspettavi? Che smettendo di mangiare saresti stata meglio?” Non arrivava a comprendere, come molta della società dell’epoca che non educava i ragazzini della sua età riguardo i pericoli dei disturbi alimentari, che quella di Cynda era una vera e propria malattia e non una “moda” pericolosa. Ora avrebbe voluto trovare una scusa per stare seduta tutta l’ora come lei, ma che avrebbe potuto inventarsi? Mr. Hasmold non era facile da abbindolare e pretendeva sempre molto dai suoi alunni, ritenendo che l’educazione fisica, nel senso più atletico del termine, fosse una materia seria come tutte le altre.

Cercando di intercettare con le mani una pallonata diretta a lei, riuscì solo a farla volare in aria e cadde all’indietro. Appoggiò in tempo le mani a terra evitando di farsi veramente male sbattendo la schiena.

“Eddai Mayfield, sembri una gallina zoppa! Se non te la senti di giocare va a sederti in panchina e da il cambio a qualcun altro!” Sbraitava l’omone, rosso in volto. Rosemary le fece segno dalla panchina e si diedero il cambio, uscendo sbuffando rumorosamente. Dustin fece lo stesso con Marc e andò a sedersi affianco a lei.

“Ehi, tutto bene?”

“No, non va bene un cazzo!”

“Sei malata? Non è da te giocare così male.”

“Non ho l’influenza se è quello che ti stai chiedendo; ho solo, fame!”

“Ehm…hai saltato la colazione?”

“Sì, e non è neanche la prima volta! Anche quando c’è da mangiare, chiunque oltre mia madre non li definirebbe neanche veri “pasti”. Sembra che non sia più capace di fare la spesa. Uhhh…” si chiuse la faccia tra le mani, coi gomiti poggiati sulle ginocchia.

“Ok, oggi ti offro il pranzo io.”

“No no, Dustin. Non voglio dipendere da te…”

“E ti aspetti che sapendo questo non ti voglia aiutare? Siamo amici!” Lei ci pensò su e comprese che aveva ragione. Anche lei avrebbe fatto lo stesso per lui. Sul lungo termine però, la frase di Dustin si sarebbe capovolta contro Max: perché comprendendo che i suoi amici sarebbero stati la sua risorsa principale per superare questo momento di crisi, si sarebbe vergognata sempre di più nel chiedere loro aiuto. 

Mr. Hasmold, l’insegnante di ginnastica aveva ancora una brutta sorpresa in serbo per lei. Radunò tutti i ragazzi in una lunga fila, al centro della palestra, e di fronte a loro diede il “lieto” annuncio:

“Oggi facciamo il test di Cooper! Quindi mettetevi in fila e correte per 12 minuti uno alla volta.”

Non serve che vi dica che Max fu la peggiore di tutti. I compagni e il prof la guardavano basiti arrancare nel tenere il passo e rischiando pure di fermarsi del tutto. Proprio lei che era la più entusiasta delle ore di ginnastica, quella che correva più veloce di tutti, saltava più in alto e la si vedeva sfrecciare sullo skateboard all’uscita da scuola, stava faticando a correre in tondo alla palestra per una decina di minuti? 

Dustin era quello che soffriva di più nell’assistere a questo calvario, e gli venne l’istinto di smettere di guardarla proprio, dopo un po’. 

Finito il test, il prof si sentí in dovere di parlare con la ragazza esausta e senza fiato al punto di reggersi sulle ginocchia per stare in piedi, in disparte fuori dalla palestra.

“Mayfield…ma che mi combini? Sei la migliore della classe e fai queste figure? Lo sai che non insisto sul farti diventare una atleta di una delle nostre squadre e neanche di entrare nelle cheerleaders, ma almeno mi aspetto che ti impegni nelle attività comuni. So che c’è la puoi fare-“ 

Poi però gli venne un dubbio, che sfiora la mente di pochi insegnanti di ginnastica americani, abituati a dare voti sulle abilità atletiche degli alunni, come se fossero tutti alla pari fin dall’inizio e quindi valutabili allo stesso modo, senza considerare fattori esterni. Se non ce la fai è perché non ti impegni, così ti urlo contro per spronarti. Questo rende un inferno l’ora di ginnastica a tantissimi ragazzi delle superiori in tutti gli Stati Uniti; ma non dovrebbe essere così per Maxine Mayfield, no? È la migliore della classe. 

“Ma…stai bene?”

“No, non sto bene! Ho fame! Non riesco più a mangiare regolarmente, perché siamo al verde! Come si aspetta da me, che riesca a stare dietro a un ora di ginnastica, quando mi sento svenire?!”

L’insegnante rimase senza parole a guardarla in silenzio per qualche secondo. Non aveva previsto una risposta del genere, ma guardandola ora più attentamente, stava notando che i polsi e le gambe, in particolare dalla parte sotto le ginocchia, erano meno toniche del solito, e che il suo viso era leggermente emanciato all’altezza degli zigomi. 

Si massaggiò il mento, pensieroso.

“Accidenti Maxine…e chi se l’aspettava una cosa del genere…” per un momento l’aveva sfiorato con terrore il dubbio che, lasciatasi prendere da Cynda, si stesse instradando anche lei sulla via dell’anoressia, ma questo proprio no; cosa avrebbe dovuto dirle ora?

“Mi dispiace Mr., vorrei con tutta me stessa essere ancora capace di correre bene. Ma è così faticoso.” La frase si spense in un mugolio. Era sul punto di piangere, cosa veramente rara per Maxine Mayfield. 

“Ehi, ehi! Non era un rimprovero. Anzi, scusa per non averlo capito subito. Non avrei dovuto insistere così con te.” Mr. Hasmold era un brav’uomo, che però era abituato a insegnare con metodi militareschi, figli dei programmi scolastici di educazione fisica degli anni’50-60, dove l’insegnamento era basato proprio sul preparare alla guerra gli alunni, finendo per terrorizzarli. Ma quand’era necessario, come in questo caso, era capace di provare grande empatia nei loro confronti. Perché voleva loro bene. 

“Lo sa questo la psicologa della scuola?”

“No, la prego! Non deve saperlo!”

“Ma-“

“Si, lo so cosa sta pensando, ma non voglio che causino problemi a mia madre. È già distrutta di suo per tutto quello che è successo. Le serve solo un po’ di tempo e tutto si rimetterà a suo posto; solo…solo la prego, mi lasci un attimo di respiro fino a quando non succederà, ok?”

L’insegnante annuí pensieroso, facendo vagare lo sguardo per il corridoio. 

“Ok…li hai i soldi per pranzo?”

“Dustin si é offerto di darmeli lui oggi.”

“Bene. È un bravo ragazzo.”

“Vero, d’altronde è tra i miei migliori amici.”

Ora Max si trovava seduta al tavolo della mensa insieme a lui. Le aveva passato i soldi prima di entrare, in modo che li desse lei alla cuoca, e così non si sarebbe dovuta vergognare più del dovuto, nel farsi offrire da mangiare pubblicamente. I due sono seduti allo stesso lato del tavolo. Max ha preso un hamburger di manzo, patate al forno come contorno,

una fetta di pizza con formaggio sciolto, una mela verde e un cartoncino del latte. Il cibo della mensa non fa impazzire nessuno, soprattutto da quando il governo Reagan ha svenduto le mense scolastiche alle catene di fast food; ma la fame è la fame. 

Mr. Hasmold la scruta in piedi, dal fondo della sala: vuole assicurarsi che non abbia mentito e che il problema non sia L’anoressia. Ma per la sua gioia, Max addenta con foga l’hamburger e così anche gli ultimi dubbi si dissipano. Un sorriso triste si abbozza sul suo volto, mentre esce dalla mensa sollevato.

“Accidenti, sei davvero affamata, eh? Vai piano o ti andrà di traverso.”

“Hmm, hai ragione, ma non c’è la facevo proprio più. In palestra ho avuto paura di svenire davanti a tutti.” 

“Beh dai, abbiamo preso oggi due piccioni con una fava: tu hai potuto fare pranzo, e io avendo diviso i soldi con te, ho avuto l’occasione d’oro per sforzarmi di mangiare un po’ di meno come vorrebbero mia madre e il dottore!”

“Ahah sai sempre trovare il lato positivo, eh Dustin?” 

“Dai mangia, che devi crescere.”

Pranzarono così insieme, chiacchierando amorevolmente. Fu un bel momento per entrambi e rifocillatasi lei si sentiva finalmente meglio. Uscendo dalla sala, Max stava finendo di bere il cartone di latte dalla cannuccia, nel frattempo Dustin le raccontava dell’ultima chiamata radio che aveva avuto con Susie. 

“E quindi hanno dovuto spruzzare un repellente per tutta casa, o gli orsi avrebbero-“

Buttato il cartoncino nella spazzatura, lo sorprese con un abbraccio.

“Grazie Dustin. Non so come avrei fatto a superare la giornata senza di te.”

“Questo ed altro per te, Max. Però, meritano di saperlo anche Mike, ma soprattutto Lucas, di questa tua situazione.”

“Ok…” 

“Guarda che siamo felici di aiutare.”

“Si lo so, ma, ricambierò in qualche modo il favore. Giuro!”

“Non farmi venire un coccolone, morendomi durante l’ora di ginnastica. Sarebbe già molto!”

“Ahah. Ok.”

18:30 casa di Max.

Era seduta al tavolo della cucina a scarabocchiare calcoli sul quaderno di matematica. Sua madre entrò dalla porta con due buste della spesa, che sbatté sul tavolo, proprio dov’erano posati il quaderno e l’astuccio, che Max tolse tempestivamente prima che le buste li schiacciassero.

“Ehi! Sto facendo i compiti, se non l’avessi notato.”

“Non è giornata, Maxine…” la risposta della madre racchiudeva molta rabbia repressa. 

“Non lo è mai ultimamente.” Questa volta fece finta di non sentire e continuò a mettere a posto la spesa, ma a un certo punto, Susan si sentí in dovere di puntualizzare che:

“Ti ricordo che sono io quella che porta da mangiare a casa…”

Max rimase allibita nel vederla aprire la seconda busta e scoprire che il contenuto fosse esclusivamente lattine di birra. La signora Mayfield ne prese una, e dopo aver messo le altre nel frigo, la aprí con foga e incominciò a berla attaccandosi alla lattina. 

“Bella spesa che hai fatto: metà cibo spazzatura del discount e il resto alcolici. Vuoi che inizi a mangiare cereali e birra la mattina a colazione?” Sua madre la fulminò con gli occhi. Stava iniziando a incazzarsi davvero. 

“Un altra parola e fili dritta in camera tua. Anzi, vacci già ora fino a quando non ti chiamo per cena.” Max si alzò, incamminandosi per le scale, astuccio e quaderno in mano.

“EsCi Un Pó dAlLa tUa CaMeRa, sTaI sEmPrE rInTaNaTa Li dEnTro!” Le faceva la vocina mentre saliva in camera sua. Susan non rispose, fissandola mentre continuava a sorseggiare dalla lattina. 

Giunta nella sua tana, accese la radiolina sedendosi sul letto.

“Dustin, qui Max, pronto.” Dopo qualche secondo, il ronzio metallico del segnale precedette la calorosa voce dell’amico.

“.Qui Dustin. Pronto, tutto bene?”

“Manco per niente. Ahh…ho litigato per l’ennesima volta con mia madre.”

“Mi dispiace, so com’è vivere da figli unici con una madre protettiva e asfissiante.”

“Oh magari fosse protettiva…o almeno, in limiti ragionevoli. Ma è solo asfissiante, non fa altro che trovarmi da ridire per tutto. É sempre incazzata nera, non c’è modo di renderla contenta.” Dustin poteva sentirla chiaramente singhiozzare e si trovò all’improvviso in difficoltà sul da farsi. 

“Ehi ehi, vuoi che faccia un salto da te?”

“No no, ma grazie. Devo solo dormire e calmare i nervi. Uhh…é stata una giornata estenuante.” 

“Ok, buonanotte Max.”

“Buonanotte, Dustin.”

L’indomani la ragazza ebbe una piacevole sorpresa alla fermata dei bus: prima di esso arrivò Eddie sulla sua decappottabile. 

“Ti serve un passaggio?” Gli chiese aprendole la portiera. 

“È stata un idea di Dustin, vero?”

“Ovviamente!” Dal sedile posteriore fece capolino il sorrisone del diretto interessato, che le mostrò anche due sacchetti di carta di un diner.

“E indovina chi ha preso le ciambelle glassate che ti piacciono tanto?”

Max non riuscì a trattenersi dal ridere.

“Accidenti, siete i migliori stalker del mondo…”

Ora era seduta sul sedile posteriore affianco a Dustin, sgranocchiando le gustose ciambelle e chiacchierando voi due, mentre Steve guidava verso scuola.

“Visto? Avete anche l’autista privato ora, ma non abituatevi troppo, oggi ho potuto perché è il mio giorno libero.”

“Ti lamenti sempre di doverci fare da baby sitter, ma sotto sotto ci adori, vero? Sennò perché dovresti impiegare la tua mattinata libera per accompagnarci a scuola?” Lo stuzzicava Dustin.

“Vero, stai facendo più il genitore modello tu, che mia madre. Ahah.” Commentò Max.

“Lo considero un allenamento per quando avrò dei figli.”

“Comunque grazie ragazzi, lo apprezzo davvero.” Max strinse in un abbraccio forte Dustin.

“Uh, piano. Mi sta andando di traverso la ciambella!”

“Ti dico sempre di mangiare piano per questo, Henderson!” Lo sgridava il conducente, dal posto di guida.

In quei momenti di leggerezza, Max si sentiva veramente a casa.

L’auto arrivò al marciapiede della scuola superiore di Hawkins. Max e Dustin scesero dopo aver salutato Steve. La ragazzina rossa di sentiva quel giorno pronta e carica come non le accadeva da tempo. “Buongiorno a tutti!” Esordì passando la soglia della classe di inglese. I suoi compagni e Mr. Ronald, rimasero piacevolmente sorpresi essendo apparsa loro, non col suo solito broncio, ma sorridente e raggiante.

   
 
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