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Autore: drisinil    10/02/2023    9 recensioni
Kozume Kenma non ama le domande irrisolte e c'è un perché in particolare che a distanza di anni lo tormenta. Serve Shoyou in carne e ossa per arrivare al cuore del problema.
Questa oneshot è stata scritta per @Albascura_ ed è dedicata a lei. Nasce su suo prompt e su sua "pacata insistenza" :P, nell'ambito della challenge #Comeasyouarenot dal meraviglioso gruppo fb "Non solo Sherlock".
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Kozune Kenma, Shouyou Hinata
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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GAME OVER
 
Perché?
La prima volta che Kenma si è posto seriamente quella domanda è stato quando Hinata Shoyou si è infilato le scarpe e lo ha salutato con la mano, sulla soglia di casa. Poi se n’è andato, pedalando in fretta lungo il vialetto e lasciandogli impressi sulla retina il giallo brillante dello zaino e l’arancione assurdo dei suoi capelli.
Ed è stato sorprendente chiedersi perché a quel punto, dopo tre anni di messaggi, partite di pallavolo e nottate di Minecraft; dopo avergli messo in mano un assegno decisamente generoso e avergli, appunto, spiegato perché.
La risposta che gli ha dato, però, benché sincera, è stata vaga e la domanda è rispuntata fuori dalla scia di colori vividi che Shoyou si è lasciato alle spalle.
A Kenma piacciono molto i colori vividi, ma pochissimo le domande irrisolte.
Quindi si è seduto sul gradino del genkan, ha appoggiato il mento sulle ginocchia piegate e ci ha pensato su seriamente. E ha capito che la risposta a quella domanda, forse, era in bella vista da un sacco di tempo.
 
Ha a che fare con le notti in bianco, con la Bouncing Ball e anche con le persone.
Perché un’altra cosa che piace poco a Kenma sono le persone. 
O meglio, alcune persone gli piacciono, ma il livello di prossimità che è disposto a concedere loro è più basso della media. Parecchio più basso.
Preferisce starsene a distanza e magari anche metterci in mezzo uno schermo, cosa che gli ha procurato un milione di followers deliziati dalla sua capacità di disinteressarsi al loro amore e al loro odio: la noncuranza come regola di vita. Con pochissime eccezioni, come Kuro, come Shoyou.
La differenza è che Kuro si è guadagnato la sua poltrona in prima fila negli anni, in una paziente e millimetrica opera di avvicinamento, lunga tutta l’infanzia, mentre Shoyou è semplicemente comparso dal nulla nel grigiore di una periferia anonima e in meno di un minuto, senza alcuna prepotenza, si è insinuato in fessure che non dovevano esistere e di fatto, fino a un attimo prima, non esistevano.
Kenma ha colto quell’anomalia dal primo istante e ha capito subito che il più brillante dei talenti di Hinata Shoyou, essere umano rollato con un incredibile tiro di dadi, non è mai stato l’atletismo, né l’energia fuori misura o la determinazione, bensì l’opposizione. La capacità innata di andare contro il senso comune, la prevedibilità, la noia e le regole imposte dagli altri; il tutto senza neanche doversi impegnare, semplicemente esistendo.
Esistendo a densità critica, però, a ritmo frenetico, alla massima potenza. Esistendo amplificato e famelico, laddove Kenma vive in una perenne attenuazione di sensi e sentimenti.
Per questo, entrare in risonanza per loro avrebbe dovuto essere impossibile; invece c’è di mezzo Shoyou e quindi alla fine è successo.
 
***
 
Perché?
Quando Shoyou lo chiede per la seconda volta sono passati degli anni ed è notte fonda; sono rannicchiati sotto il kotatsu e se chiudono gli occhi possono illudersi di essere ancora adolescenti, che è una cosa che in fondo piace a tutti e due.
“Resta qui a dormire, se vuoi” gli ha proposto Kenma la sera prima.
Shoyou ha sorriso. Sorride come salta, sfidando la gravità con una spinta che viene dall’interno, dove qualcosa è sempre in fiamme.
Shoyou ha sorriso e ha risposto: “Okay.”
Poche parole e lunghi, onesti silenzi: i rapporti umani non sono mai stati tanto semplici.
Eppure, nel buio fitto, di fronte a quello stesso perché di tre anni prima, sussurrato appena come non fosse importante, Kenma si smarrisce e valuta l’idea di mentire. Addirittura di mentire.
Non lo fa. Invece si volta prono e allunga la mano, in cerca di un relitto nel naufragio del suo ordine mentale. Accende la PS4 e le luci dello schermo gli si riflettono addosso, mandando bagliori fra le cortine dei capelli sciolti.
“Sono cambiate tante cose, vero?” mormora Shoyou, che forse non si aspettava una risposta. Ha la voce vagamente impastata di stanchezza. “Sei soddisfatto del tuo investimento?”
“Cerchi complimenti?”
“Rassicurazioni.”
“E tu, sei soddisfatto?” domanda Kenma, atono.
Shoyou, improvvisamente sveglio, si solleva su un gomito. “In che senso?”
“Abbiamo investito nello stesso affare: alto rischio, profitti elevati. Pensaci: sei soddisfatto?”
Shoyou sorride e il buio palpita. “Non ancora.”
“Esatto. Neanch’io.”
Risuona una risata allegra, mentre il neo-giocatore dei Jackals (che con la maglia nera e dorata ci va anche a dormire) si lascia cadere di nuovo tra i cuscini.
“E cosa vorresti, signor CEO? Bouncing Ball in Nazionale? BB scritto sulla medaglia olimpica?”
“Tu invece cosa vorresti?” Le dita volano sui tasti, la voce è distratta, le luci creano ombre fasulle ed effimere. “Da me.”
“Da te? Hai già fatto tantissimo. Se ci penso bene, hai fatto per me più di chiunque. Davvero, Kenma, ti pare che possa chiederti altro?”
Un effetto sonoro acuto e deprimente avverte Kenma che il suo avatar è morto, spiaccicato al suolo dopo una caduta vertiginosa. Risorge subito, scattando in piedi, e torna a correre in avanti.
“Non puoi, devi.”
Shoyou ride ancora. “Tu sei matto. Devo? Okay, okay capo. Allora ti chiedo questo: fatti dire grazie come si deve. Permettimi di ricambiare. Sono venuto qui apposta, ma ogni volta che ci provo fai quella faccia scocciata e quell’espressione apatica, come se stessi dicendo cazzate.”
“Ma sono cazzate.”
“No che non lo sono!”
“Sì!”
“No! Se sono arrivato dove sono ora, se me la sono cavata in Brasile e ho passato il provino, è in gran parte merito tuo. Ti devo ringraziare in qualche modo.”
“Non mi devi niente.”
“Io voglio ringraziarti.”
Opporsi è inutile, Kenma lo sa. La violenza della volontà di Shoyou è una delle cose con cui non ha mai osato misurarsi. “Va bene, fallo. Ringraziami e facciamola finita.”

Si aspettava parole. Quando il braccio nudo di Shoyou entra a tradimento nel suo campo visivo, illuminato dallo schermo, le dita di Kenma si bloccano per un attimo. Qualcosa esplode nel gioco, la pelle si accende all’improvviso di giallo e di rosso e la console gli viene sfilata via dalle mani, con un gesto gentile.
Non è facile decodificare ciò che accade subito dopo. E’ un contatto inaspettato e improvviso. Umido, profondo. Gradito e sgradito insieme. Eccessivo e anche insufficiente. Troppo intimo ma anche non abbastanza. Una contraddizione ardente che inizia dove si posano le labbra di Shoyou, con insopportabile delicatezza, e finisce dove le sue dita premono, bruciando tutte le sinapsi lungo il passaggio.
Kenma lo respinge debolmente con un braccio, perché non sa che altro fare, ma quello che gli passa per la testa è che vorrebbe spostarsi in un universo parallelo in cui non ha reagito d’istinto, per scoprire che succederebbe se gli permettesse di avvicinarsi ancora di più.
Una parte di sé avrebbe voglia di spalancare la bocca e ingoiare Shoyou tutto intero, masticarlo, assimilarlo e finalmente rubargli quel suo magnifico, schiacciante potere di opporsi a ogni cosa.
Schiacciato, proprio così si sente Kodzuken, il campione di noncuranza.
Shoyou si scosta in un fruscio di coperte spostate, il suo viso incombe dall’alto, la sua voce è una carezza. “Basta così? Mi fermo?”
Kenma annuisce e però la stessa mano con cui l’ha allontanato, ora lo trattiene per il braccio. Quando lo guarda è come se non l’avesse mai visto, come se stesse realizzando solo adesso che il ragazzino smilzo e arruffato è scomparso e al suo posto si è materializzato un adulto, con le spalle ampie, le mani grandi e lo sguardo sfrontato.
“Ti è piaciuto?”
“Non lo so.”
“Erano un po’ di anni che volevo farlo.”
“Perché?”
La risposta è uno sbuffo di risa, mentre Shoyou rinuncia e rotola di nuovo lì accanto, disteso, le braccia e i fianchi che si sfiorano. “Non deve esserci per forza un perché per tutte le cose. Tu perché me l’hai lasciato fare?”
“Perché tu mi interessi.”
“In che senso esattamente?”
“Non ne ho idea esattamente. Ma non la capisco quest’ansia che avete sempre tutti, di definire i concetti astratti. Quello che so è che sei pericoloso, entri sempre troppo facilmente in tutti i miei spazi privati.”
“Non direi… si vede che non abbiamo in mente lo stesso genere di spazi.” La malizia va del tutto sprecata.
“Sho-kun, parlo sul serio. Mi sento esausto solo a guardarti, è impossibile per me starti dietro, ma mi stupisci sempre. Ogni singola volta. Solo tu. Sei l’unico al mondo che mi stupisce… che mi fa venire voglia di provare cose diverse.”
Shoyou batte le palpebre due volte. “Allora proviamole… “
Kenma chiude gli occhi. Sospira. Gli riesce incredibile come Shoyou possa essere diventato così adulto, e così esperto, restando in qualche modo anche innocente. Il Brasile gli ha rubato l’ingenuità e distrutto il pudore, lasciando intatta tutta la leggerezza.
“Quello che voglio dire è che mi piace starti a guardare mentre superi livelli sempre più difficili. Mi piace vederti concentrato su obiettivi impossibili, crederci e poi farli a pezzi. E’ una cosa… no anzi, tu sei una persona… molto eccitante.”
“Tre secondi fa non mi pareva proprio che mi trovassi eccitante. E non mi va molto quel discorso dei livelli: non sono il personaggio di un gioco.”
“Se lo fossi sarebbe più facile: sarei io a farti fare quello che voglio. Invece sei tu a far fare a me tutto quello che vuoi. E’ anche un po’ seccante. Neanche Kuro ci riesce.”
“Guarda che ci ho messo cinque anni per strapparti un straccio di bacio e nemmeno sai se ti è piaciuto. Figuriamoci se potrei mai obbligarti a fare qualcosa.”
“Ma è una vita che lo fai. Pensaci un attimo: non volevo impegnarmi a pallavolo e tu mi ci hai costretto. Non mi piaceva Minecraft, ma ho passato notti intere a codificare un Realm solo per riempirlo di cose che piacessero a te. E poi… tu pensi davvero che me ne fregasse qualcosa di aprire un marchio di abbigliamento sportivo?”
“Eh?”
“Shoyou: abbigliamentoIo che mi occupo di abbigliamento.” Kenma scosta la coperta imbottita e solleva una gamba, mettendo in mostra la vecchia tuta del Nekoma, con un bel buco logoro sul ginocchio.
Si trovano a ridacchiare insieme, fissando il soffitto, o forse il cielo scuro che c'è oltre. La vicinanza dei loro corpi sotto il kotatsu è un’anomalia che Kenma non sente affatto di voler correggere.
“Ho creato BB per metterti in mano un assegno più grosso possibile e fingere che fosse solo una questione di soldi.”
“E invece?”
“E invece era questione di impressionarti. Di darti più degli altri. Di garantirmi la tua attenzione. Di farti capire come mi fai sentire.”
“Come?”
“Curioso. Avido. Affascinato. Ma guardati: sei partito a diciott’anni a mani vuote e ti sei costruito pezzo per pezzo, da solo, a mezzo mondo di distanza. E’ una cosa pazzesca. Fanculo i soldi, Sho-kun, sono noiosi. Tu invece non lo sei. Ecco perché mi sono messo in mezzo. Perché volevo farne parte.”
“Kenma.”
“Mh?”
“Non puoi farne parte più di così: io sono il tuo atleta.”
Il possessivo si gonfia del tepore del kotatsu, del rosa tenero dell’aurora che sta spuntando e sembra una parola facile e significativa, forse più del dovuto.
“L’ho detto a mezzo Brasile, l’ho detto anche al tizio dei Jackals che mi ha fatto una testa così sugli sponsor e le pubbliche relazioni e i social e non so cosa. Continuerò a dirlo a tutti: sono il tuo atleta. E’ chiaro?”
E’ chiaro. Kenma si sente sazio e soddisfatto come dopo la vittoria in un torneo pro, quando la scritta Kodzuken, in enormi caratteri dorati, ruota al centro dello schermo, fra i fuochi d’artificio digitali.
Si sta godendo i fuochi, per questo abbassa la guardia. E in un attimo si ritrova schiacciato dal peso di Shoyou, che gli è rotolato addosso, con tutta l’agilità del caso e un sorriso predatorio. “E adesso, vorrei tornare a ringraziarti, visto che prima non sono stato convincente. Che ne dici?”
Kenma non ha molto da dire, e comunque prima che possa dirlo tutto torna confuso, umido e piuttosto sconvolgente. Schiudere le labbra per prendere fiato è un errore tattico da principiante, di cui il suo avversario si approfitta.
Da lì è una catena di sbagli, uno più ingenuo dell’altro.
Quando la mano di Shoyou gli arriva sotto la stoffa della tuta, la scritta GAME OVER si accende, colorata e insolente.
Peccato.


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