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Autore: Signorina Granger    11/02/2023    1 recensioni
INTERATTIVA || Conclusa
Quando il ricco albergatore Gideon St John annuncia senza preavviso di voler andare in pensione lascia ai suoi due figli la direzione del suo Hotel di lusso per un'estate intera, al termine della quale deciderà chi dei due ne prenderà le redini in base ai risultati ottenuti. Diversi sotto ogni punto di vista, a parte un padre Sabrina e Silas St John nella vita non hanno mai condiviso nulla; lavorare insieme e occuparsi scrupolosamente dei loro ricchi ospiti sarà una bella sfida.
Genere: Comico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Maghi fanfiction interattive
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Dopo la II guerra magica/Pace
Capitoli:
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Capitolo 17
 

 
16 agosto


 
Silas St John, comodamente disteso sul letto matrimoniale della sua camera, si stava accordando con una ragazza che aveva conosciuto ad una festa una settimana prima – quando quei barbosi di Meadow e Asher lo avevano abbandonato per giocare a Monopoly – per uscire quando qualcuno, bussando alla porta con urgenza, interruppe la conversazione in corso. Silas lasciò il telefono sul letto e anche se leggermente di controvoglia si alzò per andare ad aprire – poteva essere sua sorella e non aveva nessuna intenzione di contrariarla –. Il gesto segnò fatalmente la sua serata, perché quando aprì la porta e si trovò davanti Asher con Frankie al guinzaglio, il manico del trolley color zucca stretto in mano e gli occhi chiari arrossati e lucidi capì immediatamente che quella sera non sarebbe affatto uscito. Tantomeno non con un’avvenente ragazza inglese rossa di capelli.
“Asher, cosa è successo?!”
“Brooke sa tutto. Si stanno urlando contro da dieci minuti, dopo avermi gentilmente invitato a lasciare la stanza.”
“Porco Godric, come lo ha saputo?! Dai, vieni dentro.”
Subito Silas si spostò di lato per far passare l’amico, affrettandosi a chiudergli la porta bianca alle spalle prima di raggiungere il letto e recuperare il telefono per informare la sua recente conoscenza di aver avuto un contrattempo per la serata. Asher depositò la valigia sul pavimento mentre sedeva sul bordo del letto con un sospiro, mettendosi Frankie sulle ginocchia per accarezzarlo e trovare un po’ di conforto nel suo amato animaletto.
“Mi spiace disturbarti, ma non sapevo dove altro andare.”
Il tono e l’espressione di Asher mentre fissava tetro il pavimento rivestito dal parquet furono talmente mesti e sconsolati da destare un profondo moto di tenerezza nell’ex Grifondoro, che gli sorrise comprensivo mentre gli metteva una mano sulla spalla dopo aver rigettato il telefono sul copriletto candido:
“Non preoccuparti. Vado da mia sorella a chiedere se c’è una stanza libera, alla peggio stanotte dormi qui. Torno subito, tu mettiti comodo e se vuoi chiama Meadow, poi mi racconti meglio. E ordina pure quello che ti pare col servizio in camera, offro io.”
Asher mormorò grato un ringraziamento mentre affondava le mani nel soffice pelo di Frankie che, del tutto incurante della situazione, si guardava attorno con curiosità. Dopo aver rivolto un ultimo sorriso incoraggiante all’amico Silas uscì dalla stanza, lasciando Asher solo a crogiolarsi nella cupa consapevolezza di essere un peso per l’amico.
Quasi gli sembrava di sentire ancora le grida di Brooke attraverso le pareti. O era solo una sua impressione?
 
 
Silas sfrecciò al pian terreno usando le scale, per nulla invogliato ad aspettare l’ascensore, e attraversò rapido la Hall per dirigersi nell’alloggio di sua sorella, sperando vivamente di trovarla lì. In realtà avrebbe anche potuto fermarsi alla reception e chiedere direttamente a Michel, ma di parlare con Iago proprio non gli andava, pertanto salì due gradini alla volta la scala ricurva che conduceva agli alloggi di sua sorella e di sua padre prima di fermarsi davanti alla porta bianca dell’appartamento di Sabrina. Il ragazzo esitò per un istante, sperando che la sorella gli desse ascolto, ma dicendosi che in fin dei conti ultimamente si era comportato bene e che Sabrina non avrebbe avuto motivo di sbattergli la porta in faccia si decise a bussare, attendendo tamburellandosi con nervosismo le dita sulla coscia. La sua parte pettegola moriva dalla voglia di sapere per filo e per segno che cosa era successo, ma prima di tutto come amico doveva cercare di dare una mano ad Asher. Il gossip avrebbe dovuto aspettare.
Ad aprire la porta non fu sua sorella, bensì Joël Moyal. Joël Moyal con i capelli bagnati e un asciugamano allacciato in vita. Per un breve istante Silas si chiese quanto ci avrebbe potuto guadagnare se avesse fatto una foto per poi venderla su Ebay a quella visione celestiale, ma accantonò rapidamente il pensiero – quello e quanto Meadow si sarebbe strappata i capelli per l’invidia una volta appreso il suo racconto – per focalizzarsi sul suo obbiettivo mentre Joël, del tutto incurante del suo aspetto, gli sorrideva rilassato:
“Ciao Silas. Sabrina è di là.”
“Grazie, devo chiederle una cosa.”
“Chi è?!”
La voce di Sabrina giunse soffocata alle orecchie del fratello, come se la maggiore stesse mangiando qualcosa, e Joël si fece da parte per farlo passare mentre ruotava la testa in direzione della voce, annunciandolo:
“Tuo fratello.”
Sabrina sedeva sul divano e stava effettivamente sgranocchiando delle patatine al formaggio – Silas non l’aveva mai vista mangiare schifezze in vita sua e per un attimo si chiese se per caso quella non fosse una gemella segreta – davanti alla tv accesa e con Salem sulle ginocchia, quasi stesse aspettando Joël per guardare un film. La strega gettò un’occhiata perplessa al fratello quando Silas si posizionò tra lei e lo schermo appeso alla parete di fronte, chiedendosi il perché di quella visita e soprattutto di tutta quella preoccupazione.
“Sabs, è successo un casino.”
“Che cosa hai fatto?!”
Lo sguardo di Sabrina si fece subito sospettoso ed esasperato al tempo stesso mentre Joël tornava ridacchiando in bagno per vestirsi e Silas la guardava profondamente offeso, stizzito dalla sua malafede totalmente ingiustificata.
“Non io! Perché pensi sempre male… No. È il mio amico Asher. Allora, in pratica lui è venuto qui con due tipi, una coppia per cui lavora…”
“Sì, mi ricordo, quelli che si chiamano come quelli di Beautiful. Vai avanti.”
“Beh, in pratica lui si faceva il marito, la moglie lo ha scoperto, stanno litigando e lo hanno sbattuto fuori. Ora è in camera mia, volevo sapere se c’è una stanza libera dove può dormire per stanotte, almeno.”
“Aspetta… Asher. Asher quello carino? Americano? Quello che quasi non mi guarda negli occhi da quanto è timido? Asher si faceva il suo capo sposato?!”
“Chi si faceva il capo sposato? Per una volta io sono innocente.”
Joël fece ritorno in soggiorno con la t-shirt da Casanova che gli aveva donato Anjali e i pantaloni a scacchi blu e bianchi del pigiama, rivolgendo un sorrisino divertito a Sabrina – che ricambiò con un’occhiataccia – prima di sedersi accanto a lei e guardare Silas con genuina curiosità.
“Asher, il mio amico. pallido, carino, capelli ricci…”
“Ah, sì, ho capito. Sta sempre con la nipote di Joshua Wellick. Aspetta, lui stava con un uomo sposato?! Sei sicuro?!”
Joël reagì con la stessa sorpresa di Sabrina – e in effetti la stessa che avevano palesato lui e Meadow stessi tempo prima, quando Asher si era confidato con loro – spalancando sgomento gli occhi blu e Sabrina, ancora sotto shock, annuì mentre si voltava verso di lui:
“Roba da non credere. Anjali non ci crederà mai!”
“Sì ma non è il momento di pensare al gossip, bisogna pensare alle camere!”
Silas schioccò le dita un paio di volte per riportare la sorella alla realtà, e fortunatamente Sabrina annuì e si ridestò, ridandosi un tono, prima di sollevare Salem per depositarlo sulle ginocchia di Joël e alzarsi per andare a recuperare il suo telefono.
“Hai ragione. Chiamo Michel e glielo chiedo.”
 
 
Disgraziatamente le stanze erano tutte occupate, e Silas fece ritorno nella propria per informare Asher che quella sera lo avrebbe ospitato. Trovò Meadow in compagnia dell’amico, lei e una gran quantità di cibo e bibite. I tre passarono un paio d’ore a parlare, ingozzarsi e a consolare Asher, o almeno provarci, finchè Meadow non tornò in camera sua dopo avergli donato un ultimo abbraccio e la promessa che le cose, da quel momento in poi, sarebbero andate meglio.
“Forse ora non ti sembra, ma sarà così. Ti sei tolto un peso.”
Asher continuò a ripensare a quelle parole mentre cercava di dormire, avvolto dal lenzuolo candido del letto di Silas – si era proposto di dormire per terra, ma Silas aveva insistito per “dare vita al solito cliché delle commedie romantiche” –, a quelle e a quelle con cui Brooke lo aveva informato di sapere. In realtà glielo aveva semplicemente chiesto e il suo silenzio sgomento era stato sufficientemente eloquente.
Ridge, convinto che Brooke lo stesse aspettando al bar, aveva scelto il peggior tempismo del mondo per entrare nella stanza del ragazzo, trovandolo più pallido che mai e con nientemeno che la moglie davanti. In realtà Asher si sentiva profondamente in colpa e dispiaciuto con Brooke, che tutto sommato era stata gentile con lui fin proprio alla fine: gli aveva semplicemente chiesto di fare i bagagli e lasciare la stanza che lei stessa pagava e poi era uscita chiedendo al marito di seguirla, evidentemente poco intenzionata a fare una scenata di fronte a lui. Asher aveva radunato le sue cose sentendo le urla al di là del muro che divideva le due camere, la mente annebbiata e ancora troppo sconvolto da ciò che era successo – mai si sarebbe aspettato di sentirselo chiedere esplicitamente da Brooke – per analizzare lucidamente la situazione. Tutto ciò a cui era riuscito a pensare, fuori dalla porta, era stato andare da Silas.
Forse i Carrington sarebbero partiti in anticipo il mattino dopo, non l’avrebbe stupito. O forse sarebbe partita solo Brooke. Non sapeva che cosa sarebbe successo, ma si chiese se Ridge sarebbe andato a salutarlo, a dirgli qualcosa. Si addormentò con quel pensiero ma il mattino dopo, preso in mano il telefono, ebbe la sua risposta: Ridge gli aveva scritto per dirgli che sarebbero partiti quella mattina, che sarebbe stato meglio non rivedersi più ma che gli avrebbe comunque fatto avere i soldi del mese.
“Che ha detto?”
“Se ne vanno. Non so se lo rivedrò.”
Ancora steso sul materasso, sotto le coperte, Asher chiuse la chat con Ridge e si ritrovò a fissare inerme la tv appesa davanti al letto, non del tutto certo di sapere come si sentisse mentre Silas, che si era svegliato ben prima di lui, si tamponava i capelli bagnati con un asciugamano dopo aver fatto una doccia.
“Forse è meglio così.”
“Forse.”
Asher annuì senza dire altro, fissando in imbarazzo le proprie mani adagiate sul lenzuolo, e dopo averlo osservato per qualche istante Silas sorrise, dirigendosi verso il telefono della camera:
“Colazione in camera come le vere coppiette?”
Asher avrebbe trascorso i giorni seguenti in camera di Silas, fino al primo volo per Boston che, ovviamente, i Carrington non avrebbero finanziato. Aveva già chiamato sua madre per spiegarle la situazione e per chiederle di prestargli i soldi, cosa che lo fece sentire ancor peggio della consapevolezza di essere stato scoperto da Brooke, quando Silas una sera gli mandò il pdf del biglietto aereo.
“Abbiamo fatto a metà io e Meadow. Non preoccuparti.”
“Mi sento in debito.”
“Non pensarci. Ci ospiterai a casa tua quando verremo a trovarti e saremo pari, ok?”
 

 
*
 
 
18 agosto
Cafè de Paris

 
“… E quindi Asher, l’amico di Silas, aveva una relazione con il suo capo.”
Sabrina terminò il suo racconto accostandosi il calice pieno fino a metà di vino rosso alle labbra, sorseggiandone un po’ mentre Anjali e Alphard, seduti di fronte a lei e a Joël ad un tavolo quadrato di uno dei più costosi ristoranti della città, la guardavano con gli occhi sgranati e pendendo letteralmente dalle sue labbra, decisi a non perdersi nemmeno un dettaglio della succosissima storia che la strega aveva appena finito di raccontare.
“Con quella donna bionda così attraente?!”
Grazie alle luci soffuse dei lampadari gli occhi chiari di Anjali sembravano quasi ambrati e ancor più brillanti del solito, e la strega parlò senza riuscire a distogliere lo sguardo dal viso finemente truccato dell’amica, del tutto dimentica, come Alphard, della cena e del vino che erano stati serviti loro. Dopo una studiatissima pausa ad effetto Sabrina scosse la testa con un cenno, appoggiando di nuovo il calice sulla tovaglia bianca mentre Joël, divertito tanto quanto lei, l’ascoltava in silenzio guardando i suoi capelli, pettinati all’indietro sulla testa in una specie di effetto bagnato, come se fosse appena uscita dalla doccia o dalla piscina dopo una nuotata. Era persino quasi più bella del solito quella sera, ma non osò dirglielo per paura che Anjali lo colpisse con una forchetta da insalata dopo aver intralciato il racconto dell’amica e la sua sete di gossip.
“No. Con il marito.”
Sabrina fece in modo di godersi appieno le reazioni di Alphard e Anjali, che trasalirono e spalancarono occhi e labbra all’unisono prima di guardarsi, stralunati:
“Il marito?! Quello biondo? Bello? Aria perennemente innervosita?”
Oui.”
Sabrina annuì alla domanda di Alphard, deliziata dall’avere la più totale attenzione dei due commensali su di sé mentre Anjali annuiva con aria sostenuta, come se lei lo avesse sempre saputo:
Mas oui, una volta è venuto a chiedermi qualcosa in piscina. Ho pensato che ci stesse provando, poi ho visto la fede e ho voluto pensar bene, ma è evidente che così non fosse.”
Fino a due mesi prima Anjali avrebbe anche aggiunto qualcosa a proposito di come gli uomini fossero tutti uguali, bugiardi e fedifraghi, ma si trattenne a causa della presenza di Alphard e Joël e dispensò invece un sorriso dolce al suo cavaliere, che parve indignarsi e le chiese stizzito quando Ridge Carrington ci avesse provato con lei.
“Beh, non ricordo, difficile dirlo.”
Anjali si strinse nelle spalle con una grazia che solo lei avrebbe potuto mettere persino in quel gesto di noncuranza, tornando a concentrarsi sulla sua bistecca al sangue mentre Joël, l’unico con il bicchiere pieno d’acqua, le sorrideva beffardo accarezzando la schiena di Sabrina lasciata nuda dal vestito nero che indossava:
“Difficile dirlo quando ci prova con te qualsiasi uomo non omosessuale che respiri.”
“Ma non è vero, che esagerazione… e poi proprio tu parli?!”
“Bambini, state buoni.”
Sabrina roteò brevemente gli occhi scuri prima di affondare la forchetta nella sua insalata, sforzandosi di mandarla giù immaginando delle patatine fritte al posto delle foglie verdi mentre Alphard, di fronte a lei, scuoteva la testa risentito a fortemente amareggiato:
“Non posso credere che noi non lo sapessimo, di questa storia da soap opera. Chissà quante altre cose ci sono sfuggite in tutto questo tempo.”
“Tesoro di che ti sorprendi, si chiamano Brooke e Ridge, e di cognome come quelli di Dynasty. Era scritto, che ci fossero corna in giro. In ogni caso, fossi stata in lei io sarei partita da sola. E gli avrei defenestrato i bagagli dall’aereo, ad alta quota.”
Anjali tornò a sorseggiare il suo campagne con disinvoltura sotto gli sguardi dei presenti, portando Joël e Sabrina a chiedersi come Georges potesse essere sopravvissuto alla loro disastrosa rottura e Alphard a ripromettersi di non farla mai soffrire. Mai e poi mai.
 

 
*
 
 
21 agosto
 
 
Gli addii non erano e non sarebbero mai stati il suo forte, ma Asher Reynolds stava facendo di tutto per darsi un tono ed evitare di commuoversi eccessivamente mentre, in piedi nella Hall con la sua valigia e il trasportino di Frankie depositati dietro di lui, si accingeva a salutare Meadow e Silas.
“D’accordo, ad ottobre verremo a trovarti, è deciso. Voglio vedere questo fantomatico Massachusetts in autunno, e il Museo di Salem ovviamente. E mangiare qualcosa preparato da tua nonna.”
“Sarà felicissima di conoscervi. E anche mia madre. Vi ospiteremo volentieri.”
Mancavano poche settimane al suo mese preferito dell’anno – che di certo avrebbe atteso anche con maggior trepidazione del solito in previsione della visita dei due amici britannici –, e Asher sorrise già prefigurandosi uno dei migliori Halloween della sua vita mentre Meadow, davanti a lui, scuoteva la testa con decisione:
“Nah, tranquillo, se mi dovessi portare dietro lo zio andremo in Hotel, siamo penosi e decisamente non fatti per essere ospiti in casa d’altri per preservarne la sanità mentale.”
“In tal caso ti ospiterei volentieri per scorpacciate di cibo a base di zucca.”
“Non vedo l’ora. Mi mancherai, zuccotto!”
Meadow non tardò a sopraffare Asher con un poderoso abbraccio, riuscendo quasi a stritolarlo nonostante la magrezza delle sue braccia tanto fu l’entusiasmo che mise in quella stretta. Anche se con qualche difficoltà Asher riuscì a mormorare che sarebbe mancata molto anche a lui – il naso iniziò pericolosamente a pizzicargli, segno di lacrime imminenti, ma Asher le ricacciò indietro dandosi dell’idiota: non li stava certo salutando per sempre, dopotutto – mentre Silas, in piedi davanti ai due, li osservava con qualche traccia di disapprovazione sul bel viso abbronzato, ricordo di un’estate che anche per lui stava per volgere al termine: presto sarebbe tornato nella grigia Inghilterra e la sua pelle si sarebbe sbiadita, ma in quel momento la differenza tra il suo incarnato e quelli dei due amici era ancora notevole.
“Mi state facendo venire il voltastomaco.”
“Sei un cacchio di insensibile, di che ti sorprendi! Non negare che Asher ti mancherà!”
Meadow allentò la stretta attorno al collo di Asher quel tanto che le bastò per voltarsi verso l’amico e indicarlo con l’indice, guardandolo cupa e risentita mentre Silas, roteati gli occhi ambrati al cielo, si stringeva nelle spalle:
“Certo, ma abbiamo i telefoni, possiamo scriverci ogni giorno. E ad ottobre mancano poche settimane! Non sta partendo per arruolarsi.”
“Insensibile.”
Meadow scosse la testa mentre tornava ad abbracciare Asher e a nascondere il viso contro la sua spalla, sibilando a bassa voce mentre l’ex Magicospino si domandava quanto gli sarebbero mancati gli assurdi e costanti battibecchi di quei due. Silas infatti non tardò a sbuffare, mettendo una mano sulla spalla dell’amica per scostarla e poter salutare Asher a sua volta:
“Ma finiscila, se ho anche condiviso la camera con lui per dargli un tetto sulla testa! Ora levati, tocca a me salutarlo.”
Meadow diede vita, offesa, ad una lunga e sentita sequela di insulti, ma Silas la ignorò deliberatamente e sorrise invece con calore ad Asher mentre gli metteva entrambe le mani sulle spalle, parlandogli come una madre che ripassa le raccomandazioni con un figlio prima di spedirlo in campeggio:
“Allora Asher, mi raccomando: non studiare troppo, non stare troppo lontano dalla luce del sole, riduci gli zuccheri e pensa al tuo fantastico amico Silas ogni tanto.”
“Tenterò. A parte gli zuccheri, quello sarà difficile.”
Asher ricambiò il sorriso dell’amico e anche Silas infine lo abbracciò, assestandogli una poderosa pacca sulla schiena che lo fece sussultare – quei due si erano forse messi d’accordo per farlo giungere a casa dolorante? – mentre Meadow, dietro di loro, annuiva con vigore tenendo le braccia magre strette al petto e spostando quasi senza rendersene conto il peso da un piede all’altro come suo solito:
“E trovati un ragazzo carino. E gentile. E che non si chiami Richard.”
“Lo farò. Devo anche trovarmi un altro lavoro, ma penso che lo cercherò in libreria, o in una caffetteria… Mi è sempre piaciuta l’idea di lavorare con i libri.”
Quando aveva informato sua madre della rottura con Ridge lei – dopo aver faticosamente evitato di esultare apertamente al telefono – lo aveva subito invitato a non preoccuparsi per il lavoro o per i soldi, invitandolo invece a prendersi qualche settimana di riposo per concentrarsi solo sullo studio e tornare alla normalità, ma Asher non era d’accordo: lavorare non gli era mai pesato, anzi ciò che voleva era proprio non pesare sulla sua famiglia. E più si sarebbe distratto meno avrebbe pensato a Ridge.
“Come Hugh in Notting Hill! Magari ti trovi una figa come Julia… Beh, o un figo, nel tuo caso. Ma poi perché quando in libreria ci vado io i fighi dei film non ci sono mai?!”
Mentre Meadow si interrogata su quel dilemma cruciale Silas sorrise all’amico, assestandogli un’altra pacca sulla spalla che quasi gli incrinò un osso:
“Bravo, basta dog-sitting, meglio cambiare aria. E poi fatemelo dire, adoro i cani ma Hope era orrenda!”
Silas quasi rabbrividì al ricordo dell’antipatica e orrenda cagnolina – che gli aveva fatto ricordare quotidianamente perché prediligesse, come suo padre, i cani di taglia superiore – e Asher rise, annuendo divertito senza riuscire a non concordare con lui:
“Assolutamente sì. Sono felice di essermene liberato.”
Il ragazzo parlò sfilandosi il telefono dalla tasca dei bermuda – li aveva sempre odiati perché mettevano in bella vista le sue gambe, a lui detta eccessivamente magre, ma nel corso dell’estate Silas e Meadow lo avevano progressivamente convinto a fregarsene e a metterli comunque –, dando una rapida occhiata al display per controllare l’ora prima di sospirare con lieve amarezza: era felice di tronare a casa, la sua famiglia gli mancava dopo tutti quei mesi in Europa, ma anche i suoi amici gli sarebbero mancati.
“Meglio che vada, ma vi scrivo dopo, avrò bisogno di compagnia nelle due ore in aeroporto a Nizza prima del volo.”
“Ti terremo compagnia noi, tranquillo. Meadow ha scaricato Cluedo online. Ma scrivi anche quando arrivi, anche se staremo dormendo.”
“Assolutamente. Ciao tesoro!”
Incapace di trattenersi Meadow raggiunse l’amico per donargli un ultimo e rapido abbraccio, sorridendogli con affetto mentre lo lasciava andare e lo guardava ricambiare il sorriso, rivolgendo un ultimo cenno di saluto a lei e a Silas prima di recuperare valigia e trasportino e dirigersi verso l’uscita.
Asher e Frankie erano appena usciti dalla porta a vetri – lo videro salutare Benoit e poi scendere i gradini per raggiungere il marciapiede e dirigersi verso la stazione per prendere il treno per Nizza, che fortunatamente distava pochi minuti di camminata consentendogli di risparmiarsi i soldi del taxi – quando Silas volse lo sguardo su Meadow, inarcando un sopracciglio e pronunciando parole che aveva trattenuto fino a quel momento:
“Chi è Richard?!”
“Ridge si chiama Richard, cretino.”
“Seria?! E io lo scopro solo ora!”
“Senza di me saresti perduto.”
Meadow roteò vistosamente gli occhi scuri mentre incrociava le braccia al petto, certa che nel corso della settimana che lei e Silas avrebbero dovuto trascorrere da soli prima della partenza sua e dello zio si sarebbero scannati quotidianamente. L’amico invece diede vita ad una risata di scherno, come se avesse appena pronunciato un’idiozia, e liquidò il discorso con un pigro gesto della mano prima di circondarle le spalle con un braccio e costringerla a voltarsi per dirigersi, insieme, verso il bar:
“Ma smettila. Andiamo a berci un caffè zuccheratissimo e dolcissimo in onore di Aaher, forza.”


 
*
 
23 agosto
 
 
“Hai preso tutto?”
“Non scordo mai nulla, e ho controllato la stanza tre volte.”
“Allora credo che tu possa andare.”
Artemy aveva insistito per accompagnarla a Nizza, che distava solo una mezz’ora di treno da Monte Carlo, e poi fino in aeroporto. Medea aveva tentato di dissuaderlo, ma lui aveva presto replicato asserendo di non avere nulla da fare e di voler, anzi, vedere la città, approfittando di doverla accompagnare per vedere il centro e la spiaggia dopo la sua partenza. I due erano ora arrivati in aeroporto e Medea, bagagli alla mano, era pronta per i controlli e per le due ore di solitudine che la separavano dal volo che l’avrebbe finalmente riportata nella sua amata Londra. Mancavano solo gli ultimi saluti per potersi lasciare Monte Carlo e quella bizzarra estate alle spalle, e Medea appoggiò le due valige – una piena di rullini e attrezzatura fotografica – sul pavimento piastrellato dell’aeroporto prima di sfilarsi gli occhiali da sole e allacciarli allo scollo della candida camicia leggera che indossava, rivolgendo un largo e affettuoso sorriso ad Artemy prima di allungare le braccia verso di lui:
“Direi proprio di sì, ma prima devo salutare il mio accompagnatore.”
Prima di avere il tempo di dire qualsiasi cosa Artemy si ritrovò stretto dall’abbraccio di Medea, che lo cinse con affetto mentre il ragazzo, poco avvezzo agli abbracci, si ritrovava silenziosamente a constatare due cose: che gli sarebbe mancata un bel po’, la sua strana amica, e che in effetti Medea era davvero più alta di lui. Naturalmente Artemy si guardò bene dal dirlo all’amica, limitandosi a ricambiare impacciato la stretta e a sorriderle quando i loro visi tornarono a farsi sufficientemente distanti da consentir loro di guardarsi.
“Fa’ buon viaggio.”
“Tu cerca di non annoiarti troppo senza di me prima di partire. O al contrario, di non divertirti troppo.”
Medea si allontanò lievemente da lui per stringere i manici dei suoi due trolley, rivolgendogli un ultimo sorriso che Artemy non tardò a ricambiare facendo spallucce con finta noncuranza:
“Sai, penso di aver lavorato abbastanza quest’estate. Penso che mi rilasserò e basta prima del mio volo. Ah, e ovviamente piangerò ogni giorno sentendo la tua mancanza.”
“Mi sembra giusto. Ma non prosciugarti di lacrime, ci vediamo presto, verrai a Londra e ti costringerò ad un estenuante tour delle mie sale da tè preferite.”
“Non vedo l’ora.”
Artemy sorrise mentre la guardava scoccargli un bacio aereo arricciando le labbra prima di sorridergli a sua volta, strizzargli l’occhio e dargli le spalle per andare a depositare il trolley più grande con le valige destinate a viaggiare in stiva. Medea si voltò solo una volta per gettargli un’ultima occhiata e non potendo salutarlo avendo entrambe le mani occupate gli sorrise, inducendolo a ricambiare mentre rifletteva su quanto quell’incontro fosse stato inaspettato: mai avrebbe pensato di legare così tanto con qualcuno quando era partito, settimane prima. Forse stava diventando orribilmente sentimentale, ma Artemy non se ne curò mentre guardava l’amica allontanarsi, già immaginando con gioia il momento in cui avrebbe comprato un biglietto aereo per Londra.
 

 
*

 
29 agosto

 
 
“D’accordo, allora ci vediamo la prossima settimana, quando tornerò in Inghilterra anche io… Ok?”
Silas sciolse l’abbraccio in cui aveva stretto Meadow per guardare l’amica in viso, scorgendo il sorriso allegro che si fece strada sul viso pallido della strega mentre Lady Diana, infilata nel trasportino, si guardava attorno spaesata e intimorita pregando che la padrona la facesse uscire in fretta dalla gabbia.
“Certo, fammi sapere di preciso quando torni, così ci organizziamo. È davvero un peccato che Asher viva così lontano, ma almeno ho sempre il mio fidato cespuglio a portata di mano.”
Come al solito Meadow accompagnò le sue parole con un gesto della mano con cui si premurò di arruffare i capelli dell’amico, che alzò gli occhi al cielo – ormai troppo arreso persino per replicare – mentre l’amica, vedendo Joshua allontanarsi dalla reception insieme ai bagagli dopo aver effettuato il check-out, si affrettava a sollevare il trasportino di Lady Diana per seguirlo fuori dall’Hotel.
“Tutto a posto, possiamo andare. Arrivederci Silas.”
L’australiano si fermò davanti all’ex Grifondoro per tendergli la mano pallida e dopo una brevissima esitazione Silas si affrettò a stringerla – con decisione, come gli ripeteva sempre suo padre –, abbozzando un sorriso allo zio dell’amica:
“Arrivederci Signor Wellick.”
“Puoi chiamarmi Joshua.”
Dopo aver rivolto un ultimo cenno al ragazzo Joshua si voltò e si diresse insieme alla sua valigia e alla gabbia del suo gufo Tyson verso la porta a vetri della Hall, ben presto seguito dalla nipote quando anche Meadow strinse il manico della sua valigia: la ragazza, ormai pronta per partire, si gettò un’ultima occhiata alle spalle e alla Hall con un po’ di tiepida malinconia, finendo col sorridere allegra e col strizzare l’occhio a Silas prima di seguire lo zio fuori dall’edificio.
“Gli stai simpatico, te l’ho detto. Ci vediamo cespuglio.”
Silas non rispose, limitandosi ad un ultimo cenno della mano, ma quando anche Meadoe ebbe varcato la soglia grazie a Benoit, che si premurò di aprirle la porta per non scomodarla, il ragazzo si avvicinò ad una delle ampie finestre che fiancheggiavano l’ingresso per osservare la discreta massa di persone radunate sul marciapiede di fronte all’edificio: Sabrina e Joël erano usciti, in piedi sui gradini, impegnati a salutare Anjali, che lui invece aveva salutato a colazione un paio d’ore prima, mentre due taxi aspettavano davanti al marciapiede e un pio di facchini in divisa verde sistemavano il set di valige Louis Vuitton di Anjali nel bagagliaio di una delle due vetture. Alphard Vostokoff stava salutando Briar-Rose Greengrass, e Silas accennò una lieve smorfia con gli angoli delle labbra alla vista dell’ex compagna di scuola: adorava Anjali, ma se si fosse legata definitivamente all’amico della sua ex tiranna dei tempi della scuola non sarebbe più stato tanto felice di recarsi alle sue feste di compleanno.
 
“Fa’ buon viaggio tesoro.”
Sabrina sorrise dolcemente all’amica mentre stringeva le proprie mani sulle spalle esili e lasciate scoperte dal vestito bianco smanicato di Anjali, che ricambiò il sorriso prima di stamparle due ultimi baci su entrambe le guance.
“Lo sarà senz’altro, adoro viaggiare in prima classe, e poi è un volo breve. Joël, comportati bene, saprò e sentirò tutto anche se sarò lontana.”
Dopo aver opportunamente salutato Sabrina Anjali si rivolse a Joël, abbracciando anche lui e risparmiandogli una minaccia: quel giorno si sentiva particolarmente magnanima, ragion per cui non vide la necessità di informarlo di cosa gli avrebbe fatto se avesse dovuto mancare di rispetto alla sua migliore amica.
“Mi mancherai anche tu, bisbetica che non sei altro.”
Come nella migliore tradizione francese anche Joël scoccò due baci sulle guance imbellettate da blush e fard di Anjali, che roteò esasperata gli occhi al cielo prima di scoccargli un’occhiata di mite rimprovero mentre si sistemava con disinvoltura la borsetta firmata Dior sull’incavo del gomito.
Che maleducato. Ma vedi di chiamare se capiti in Francia, ne approfitteremo per vederci.”
“Senz’altro, so che a lungo senza di me non puoi stare.”
Joël le strizzò l’occhio e le sorrise mentre Sabrina allacciava il braccio al suo, e Anjali si allontanò per salutare Briar scoccando un bacio aereo ai suoi due migliori amici, salutandoli definitivamente. Mentre la svizzera abbracciava Briar Alphard, dopo aver salutato l’amica, si diresse a sua volta verso Joël e Sabrina mentre Meadow e Joshua uscivano dall’ingresso dell’Hotel. Meadow fu ben felice di lasciarsi aiutare da un facchino per sistemare i bagagli sul retro del taxi ma Joshua insistette per fare da solo, più che mai sollevato di tornare a casa: non ne poteva più di tutto quel lusso, cominciava ad essere asfissiante.
“È stato un piacere conoscervi. Grazie per tutto Sabrina.”
Alphard si fermò con un sorriso davanti a Joël e a Sabrina, stringendo la mano ad entrambi ed enfatizzando leggermente la presa sulla mano della strega, come a volerla ringraziare mutamente per tutti i consigli che gli aveva dispensato su Anjali Kumar nel corso delle settimane. Un sorrisetto divertito spuntò sulle labbra della francese, che annuì e ricambiò la stretta mentre Joshua e Meadow litigavano a proposito della disposizione delle valige nel bagagliaio: secondo la ragazza lo zio avrebbe dovuto chiederle consiglio vista la sua vasta esperienza in Tetris, ma lui ovviamente voleva fare da solo, col risultato di non riuscire a farci stare una valigia.
“È stato un piacere anche per me. Fai buon viaggio.”
Alphard ricambiò il sorriso prima di stringere la mano anche a Joël, che accennò divertito in direzione di Anjali mentre la svizzera parlava con Briar vicino al ciglio della strada.
“Buona fortuna. Anjali Kumar è impegnativa.”
Il sorriso sul viso di Alphard non vacillò, ma qualcosa nella sua espressione sembrò addolcirsi mentre annuiva, riferendosi alla strega con un che di vagamente adorante nella voce e nello sguardo:
“Lo so. La adoro.”
 
“Non prendi l’aereo con Alphy? Pensavo tornaste insieme.”
Briar, pronta a partire per Londra insieme a Circe e ai suoi bagagli, sorrise e scosse la testa mentre Anjali la guardava sorpresa e forse anche un po’ dispiaciuta perché impossibilitata a compiere il tragitto in treno fino a Nizza in sua compagnia:
“No, non vengo con voi in aeroporto… Non metterei mai Circe in stiva. Prendo una Passaporta, ma rivedrò Alphard a casa ovviamente, le nostre madri ci hanno già costretti ad una cena di famiglia collettiva domani sera.”
“Allora a presto cara. Ciao anche a te signorina, sei proprio una principessa deliziosa.”
Anjali chinò lo sguardo per rivolgersi a Circe e salutare a sua volta la bellissima cagnolona, accarezzandole la testa con un gesto tenero prima che Alphard, alle sue spalle, le ricordasse di dover partire alla svelta per evitare di perdere il treno per Nizza. Anche Joshua e Meadow, che avrebbero preso lo stesso aereo per Londra di Alphard, erano miracolosamente pronti per partire: Joshua aveva minacciato di lasciare nel Principato una delle valige della nipote, ma Meadow, decisa a non tornare a casa senza biancheria intima, aveva rivoluzionato tutta la disposizione del bagagliaio pur di farcela stare. A Joshua, a lavoro ultimato, non era restato che guardare sbigottito la gestione degli spazi prima di rivolgersi stranito alla nipote:
Ma come hai fatto?!”
“Tetris. Forza, sali zio, che perdiamo il treno e voglio tornare a Londra prima di cena!”
“Ultimamente sei sempre più tiranna, sappilo!”
 
Mentre Joshua e Meadow salivano sul primo taxi Anjali si voltò in direzione di Alphard, che l’aspettava accanto al secondo con le mani nelle tasche dei pantaloni fatti su misura e gli occhiali da sole davanti agli occhi scuri.
“Arrivo! A presto Briar.”
Anjali scoccò un ultimo bacio sulla guancia di Briar, che le sorrise prima di guardarla allontanarsi svelta sui tacchi verso Alphard, i capelli perfetti quanto trucco e vestiario. Anjali Kumar doveva essere una di quelle donne odiose che salgono e scendono da un aereo in perfette condizioni, ma in fondo non avrebbe mai potuto nutrire dubbi a riguardo.
“A presto. Ci vediamo domani, Alphy.”
Alphard spalancò con galanteria la portiera del taxi bianco per Anjali, che s’infilò in auto dopo aver spedito un bacio aereo ciascuno per Sabrina e Joël. L’uomo, udito il nomignolo pronunciato dall’amica, s’irrigidì e la fulminò con lo sguardo
“Non ti sognare di chiamarmi così. Mai.”
Dopo aver pronunciato quelle parole Alphard seguì la svizzera all’interno del taxi, ignorando la risatina con cui Briar dimostrò la propria totale incuranza. I taxi stavano ormai partendo quando Meadow abbassò totalmente il finestrino e, essendo seduta sul sedile che dava sulla facciata dell’Hotel, ne approfittò per sporgersi leggermente e informare Joël di quanto adorasse la sua musica mentre l’auto si allontanava lungo la strada. Joël sorrise e la ringraziò con un cenno di saluto della mano, udendo a fatica ciò che Meadow gridò mentre l’auto si allontanava lungo la discesa di Avene de la Madone. Sabrina, che non era riuscita a decifrare l’ultimo messaggio dell’amica del fratello, si voltò accigliata verso il fidanzato senza smettere di tenere il proprio braccio allacciato al suo, guardandolo curiosa:
“Che ha detto?”
“Che siamo bellissimo e non ci dobbiamo lasciare.”
“L’ho detto, che quella ragazza mi è simpatica.”


 
*

 
L’indomani Joël avrebbe lasciato il Principato di Monaco per gli Stati Uniti e quella stessa mattina Sabrina, dopo aver salutato Anjali, aveva dichiarato di volerlo portare in un posto per la loro ultima sera insieme. La strega non aveva voluto saperne di dirgli dove volesse portarlo e dopo molti tentativi di estorsione Joël si era infine arreso, limitandosi a seguirla fuori dall’Hotel dopo aver cenato e a salire in macchina con lei, lasciandosi trasportare per le vie in salita, pittoresche e illuminate dai lampioni della città.
Quando la Giulietta si fermò in uno dei punti più alti della città Joël guardò Sabrina senza capire, chiedendosi perché lo avesse portato davanti ai Jardins Saint-Martin mentre la strega si slacciava la cintura con la massima noncuranza. Di nuovo Sabrina ignorò la sua perplessità e si limitò ad invitarlo a scendere dall’auto, finendo col prenderlo per mano per condurlo, dopo appena un paio di minuti di camminata, davanti all’alta ed imponente facciata del Museo Oceanografico che, naturalmente, era chiuso vista l’ora tarda.
Fu con una certa sorpresa che Joël vide Sabrina dirigersi con estrema disinvoltura verso la massiccia porta d’ingresso a forma d’arco e aprirla con una chiave arrugginita che si sfilò dalla borsetta sotto il suo sguardo attonito, sorridendogli divertita mentre apriva la porta con un cigolio:
“Vivo qui da anni, pensi che non abbia i miei contatti? È il mio posto preferito in città, ti ci volevo portare almeno una volta. Senza la ressa che c’è di solito.”
Di nuovo Sabrina lo prese per mano e lo condusse all’interno dell’edificio, conducendolo prima in una sala che, con gran sgomento del mago, riportava al suo interno la riproduzione in scala di una vera e propria nave e poi al piano inferiore, dove si trovava l’acquario del museo.
I due passeggiarono in silenzio per diversi minuti senza mai lasciare le proprie mani, vagando per i corridoi bui dell’acquario mentre i loro sguardi vagavano sulle finestre delle vasche illuminate dalle luci bluastre e finendo col sedersi sulla panchina posizionata di fronte alla vasca che ospitava una moltitudine di piccoli pesci tropicali, coloratissimi e piuttosto adorabili. Sabrina sedette accanto a Joël appoggiando la testa sulla sua spalla, lasciandosi avvolgere da quel silenzio quasi surreale che tanto aveva sempre apprezzato di quel posto, soprattutto di sera, quando non c’era nessuno. Non aveva mai portato qualcuno con sé in quelle visite serali prima di quella sera, ma voleva che la sua ultima sera con Joël fosse speciale.
“So che devi tornare alla tua vita, ma vorrei che non partissi.”
Sabrina parlò in un sussurro senza smettere di guardare una frotta di minuscoli pesciolini arancioni nuotare in perfetta sincronia, uno accanto all’altro, mentre al contrario Joël distolse lo sguardo dalla vasca per posarlo su di lei, accennando un sorriso mentre annuiva e le sfiorava gentilmente una ciocca di capelli castani che le era quasi scivolata davanti al viso:
“Nemmeno io, ma ci vedremo molto presto. Forse è tempo che io torni in Europa, dopotutto.”
“Ma tu adori gli Stati Uniti. E adori la Louisiana.”
Questa volta Sabrina parlò smettendo di guardare i pesci per ricambiare lo sguardo del mago quasi con una lieve nota di rimprovero, perché in fondo l’idea che stravolgesse la sua vita per lei la faceva sentire in colpa, ma quando vide Joël sorriderle si rilassò. E il suo stomaco, come sempre, fece una capriola all’indietro.
“Ma adoro più te. Non dico che tornerei subito, e mi piacerebbe che tu venissi a trovarmi almeno una volta, perché New Orleans è davvero una città che merita di essere vissuta… Ma penso che poi tornerei, se le cose tra noi dovessero andare bene.”
“Solo se lo vuoi davvero.”
“Certo che lo voglio.”
Joël le sorrise e la guardò con affettuoso rimprovero, come a dirle di non dover nemmeno fare allusioni di quel tipo, prima di tornare a guardare la vasca stringendola a sé con un braccio e appoggiando la testa contro la sua. Dopo qualche altro lungo istante di silenzio Joël la ringraziò di averlo portato lì con un flebile mormorio e Sabrina non rispose, la guancia premuta contro la sua spalla e gli occhi chiusi per imprimere il più possibile quel momento nella sua memoria.
 

 
*

 
30 agosto
 
 
Artemy ebbe l’impressione di vivere una sorta di dejà vu quando scese nella Hall insieme ai suoi bagagli e si diresse al bancone della reception per effettuare il check-out, aspettando pazientemente dietro ad una coppia che parlava con un riconoscibile accento canadese mentre si guardava attorno, catturando le ultime immagini dell’ampia stanza rettangolare dalle pareti blu e i mobili eleganti e costosi.
“Spero che il vostro soggiorno sia stato piacevole… e congratulazioni.”
La stessa strega alta, mora e con gli occhi scuri stava in piedi dietro al bancone esattamente come il giorno in cui Artemy era arrivato. Era solo un po’ più abbronzata rispetto a due mesi e mezzo prima, e anche se non avrebbe saputo dire il perché ebbe l’impressione che fosse anche un po’ più felice e rilassata. Forse l’estate aveva dato i suoi frutti anche per lei, si ritrovò a pensare Artemy mentre la guardava sorridere gentilmente alla coppia che lo precedeva in fila e porgere all’uomo alto che aveva davanti i documenti.
“Grazie.”
La donna mora, con grandi e gentili occhi scuri  e la pelle color caffelatte ricambiò il sorriso di Sabrina mentre con una mano stringeva la borsa e l’altra stava poggiata, forse senza pensarci, per abitudine, sulla pancia prominente. L’uomo invece intascò i documenti prima di prendere le valige, impedendo con un gesto perentorio della mano alla moglie di aiutarlo, e infine ricambiare a sua volta il saluto di Sabrina:
“Lo è stato, grazie. À bientôt.”
Au revoir.”
Sabrina regalò un ultimo sorriso agli Henbane prima di guardarli voltarsi per allontanarsi e dirigersi verso l’uscita. Artemy si spostò di lato per farli passare con maggiore comodità, accennando a sua volta un lieve sorriso di saluto mentre gli sembrava di udire l’attraente concierge con gli occhiali e i lisci capelli castani che più e più volte aveva scorto dietro al bancone nel corso delle settimane riferirsi divertito alla collega dandole della “tenerona”. La donna non sembrò gradire, perché lo fulminò con lo sguardo e gli intimò qualcosa che ad Artemy suonò molto come “Taci e lavora” prima di rivolgersi direttamente a lui essendo giunto il suo turno.
Bonjour. Deve effettuare il check-out?”
“Sì.”
Artemy appoggiò documenti, carta di credito e chiave della sua stanza sul bancone, salutandola per sempre mentre Sabrina tornava ad osservare lo schermo del suo computer, digitando qualcosa con una rapidità impressionante. Forse a furia di stare dietro a quel bancone le dita iniziavano ad avere vita propria, si disse Artemy mentre aspettava pazientemente la fine della procedura stringendo il manico di una delle sue due valige nere.
Quando Sabrina strisciò la carta e Artemy sentì immediatamente il suo conto alleggerirsi di parecchio la strega tornò a rivolgerglisi, guardandolo con i profondi occhi castani e accennando un sorriso proprio come aveva fatto diverse settimane prima:
“Spero che il suo soggiorno sia stato piacevole, Signor Sila.”
“Assolutamente. E il suo albergo è bellissimo.”
Artemy distese le labbra per dar vita ad uno suoi sorrisi migliori e più magnetici mentre riprendeva le carte che Sabrina gli stava porgendo, potendo osservare perfettamente una lieve traccia di compiacimento farsi strada sul bel viso della strega.
“Grazie. Arrivederci. E faccia buon viaggio.”
Artemy ricambiò il saluto prima di girare sui tacchi e allontanarsi insieme alla sua valigia, che era miracolosamente riuscito a farsi bastare per tutte quelle settimane. Non aver avuto quasi nulla per una buona fetta della sua vita gli aveva insegnato a quante cose non fossero affatto indispensabili quando si viaggiava. Mentre si dirigeva verso l’uscita Artemy si sfilò il telefono dalla tasca per avviare una chiamata mentre il portiere gli apriva gentilmente la porta per farlo uscire per l’ultima volta, sorridendo quando qualcuno rispose dopo appena un paio di squilli:
“Ciao straniera. Sto andando all’aeroporto. Vedi di farmi un po’ di compagnia mentre aspetto il volo.”
“Non puoi comprarti un libro o una rivista di gossip come fanno tutti?”
Medea cercò di fingersi infastidita, e Artemy la immaginò seduta da qualche parte con un libro aperto sulle ginocchia dopo aver interrotto la lettura.
“Sei tu la mia rivista di gossip ambulante, sciocca. Hai incontrato qualche potenziale cliente in settimana? Dammi novità.”
 

 
*

 
Aeroporto di Nizza

 
Sabrina si era presa una pausa pranzo libera un po’ più lunga del solito per accompagnare Joël all’aeroporto in auto, sia per rendergli il viaggio più comodo, senza dover prendere il treno, sia per tardare il più possibile l’inevitabile momento dei saluti. Momento che, con gran disappunto di entrambi, arrivò inesorabilmente quando i due si ritrovarono di fronte ai controlli dell’aeroporto.
“Hai qualcosa per passare il tempo? È un volo lungo per la Louisiana.”
“Ho qualcosa de leggere, e poi ci sarà la tv…. E quando proprio non saprò che fare penserò a te, quindi sono sicuro che arriverò a New Orleans prestissimo.”
Joël sorrise, quel sorriso un po’ marpione che due mesi prima avrebbe fatto alzare gli occhi al cielo a Sabrina ma che quel giorno destò un sorriso anche sulle labbra della strega mentre gli solleticava la mascella con le dita, accarezzandogli il viso.
“Chiamami quando atterri. I voli lunghi mi mettono un po’ di inquietudine.”
“Lo farò, promesso. Grazie per avermi accompagnato.”
Joël, che era riuscito ad infilare tutte le sue cose – anche grazie alla magia – in un borsone da viaggio, custodie di violino e sax incluse, si avvicinò alla strega per abbracciarla, stringendole la vita sottile con le braccia mentre le appoggiava la testa sulla spalla, respirando un’ultima volta il suo profumo firmato Chanel mentre i capelli corti di Sabrina gli solleticavano il viso. La strega ricambiò la stretta, anche se la mano destra era impegnata a stringere l’impugnatura del guinzaglio di Pascal, e i due restarono abbracciati e in silenzio per qualche lungo istante, entrambi desiderando di non separarsi, finchè il cagnolino non spezzò la bolla abbaiando giocosamente e mettendo le zampe anteriori sulle gambe di Joël per partecipare ai saluti a sua volta. Il musicista sorrise mentre chinava il capo sul cane, inginocchiandosi davanti a lui per coccolarlo un’ultima volta e lui gli leccava affettuoso le mani:
“Grazie anche a te Pascal, per essere venuto. Mi mancherai. Sarai cresciutissimo quando ci rivedremo. Ovvero molto presto.”
“Io non ti mancherò?”
Sabrina inarcò un sopracciglio mentre guardava Joël smettere di coccolare il cucciolo, che era piuttosto cresciuto rispetto all’inizio dell’estate, per ricambiare il suo sguardo scettico e sfoggiare un ennesimo sorrisetto mentre si rimetteva in piedi:
“Una domanda idiota per una donna così intelligente.”
Sabrina stava per, manco a dirlo, alzare gli occhi al cielo, ma prima di darle il tempo di farlo Joël la baciò, premendole la nuca contro il suo viso con la mano destra mentre con la sinistra tornava a cingerle la vita. Quando le loro labbra si staccarono Sabrina gli sorrise, e lui ricambiò prima di allontanare il viso dal suo, deciso ad andarsene prima che l’idea di separarsi da lei diventasse esageratamente insopportabile:
“Vado, più aspetto e più sarà difficile. Ti aspetto in Louisiana.”
“Non vedo l’ora.”
Sabrina sorrise mentre lo guardava incamminarsi verso i controlli insieme a Pascal, restando immobile dove si trovava per aspettare che lui si voltasse. Quando Joël lo fece e le sorrise un’ultima volta, mandandole un bacio con una mano, il sorriso si allargò sulle labbra di Sabrina mentre Pascal guardava mugolando il musicista allontanarsi e il cuore della padrona si riempiva di qualcosa di completamente nuovo e mai provato.
Sabrina aspettò che Joël si mettesse in fila e che si mescolasse tra le persone in partenza dalla Francia, chi partiva per una vacanza tardiva e chi tornava a casa, e quando non riuscì più a distinguere chiaramente la sua figura tornò a guardare Pascal, rivolgendogli un sorriso tenero e un po’ triste al contempo mentre strattonava con gentilezza il guinzaglio per spingerlo a seguirla:
“Andiamo piccolo. Andiamo a casa.”
 

 
*

 
31 agosto
 

Gideon non aveva avvisato nessuno del suo ritorno, solo e soltanto Pierre, il suo buon, caro e vecchio amico Pierre. In un Hotel non si smetteva mai di lavorare, nessuno lo sapeva meglio di lui, e infatti non si era certo aspettato di varcare la soglia del Le Mirage trovando tutti i suoi dipendenti ad accoglierlo, ma quantomeno si sarebbe aspettato un’accoglienza un po’ più calorosa con almeno si suoi figli ad aspettarlo per salutarlo. Dopo essere sceso dal taxi quando varcò la porta d’ingresso dopo aver calorosamente salutato Benoit ed essersi fermato brevemente a chiacchierare con lui, infatti, trovò solo Pierre ad aspettarlo nella Hall semi-deserta: il sole stava tramontando sul Principato di Monaco e la maggior parte degli ospiti dovevano star cenando, all’Hotel o fuori da lì.
“Monsieur, ben tornato!”
Quando gli occhi cerulei di Pierre si posarono sulla figura alta e slanciata di Gideon, il ricordo di quello che un tempo era stato un fisico piuttosto prestante, l’uomo sorrise e gli si avvicinò per salutarlo, i suoi passi a riecheggiare nella stanza semi-deserta mentre Michel, dietro di lui, assistiva allibito all’inaspettatissimo ritorno del capo supremo.
“Grazie Pierre, è bello vederti. Ma dove sono i ragazzi?! Il loro vecchio padre torna dopo due mesi e non si fanno trovare a salutarlo?”
Dopo aver assestato una poderosa e amichevole pacca sulla spalla di Pierre Gideon si guardò attorno offeso e stizzito, chiedendosi come accidenti potessero i suoi ragazzi essere tanto insensibili mentre l’amico, visibilmente sorpreso, lo guardava perplesso:
“Ma Monsieur, lei ha informato solo me, non i suoi figli.”
“Beh, ma tu non glielo hai detto?”
“Mi ha detto eli di non dirglielo!”
“Ma era psicologia inversa per spingerti a farlo e spingere loro a farmi una sorpresa!”

“Monsieur, lei a volte è davvero troppo contorto. Me lo poteva dire e basta di informarli!”
Pierre guardò l’amico con un raro cipiglio di rimprovero – che di solito riservava solo alle malefatte di Silas – e scuotendo la testa con disapprovazione, ma Gideon liquidò il tutto come sempre con un pigro gesto della mano, quasi stesse scacciando un insetto: era appena tornato e di sicuro non gli andava di discutere. Era fortemente affaticato dopo le sue lunghe vacanze.
“Va beh, va beh, pazienza. Dove sono?”
“Sono usciti una mezz’ora fa.”
Gideon non poté fare a meno di stranirsi parecchio sapendo che i figli fossero usciti in contemporanea, e l’idea, assurda, che fossero usciti insieme lo sfiorò con stupore mentre Michel, raggirato il bancone della reception, si avvicinava per salutare a sua volta il superiore:
“Monsieur, bentornato! Non sapevo rientrasse oggi, Sabrina non me l’ha detto.”
“Sabrina non lo sapeva, per colpa di Pierre. Ma tranquillo amico mio, ti perdono.”
Lei è troppo gentile, Monsieur.”
“Ma Silas e Sabrina sono usciti nello stesso momento o sono usciti insieme? Perché è una cosa ben diversa.”
“Credo insieme. Almeno è l’impressione che ho avuto.”
Pierre si strinse nelle spalle mentre Michel, accanto a lui, si asteneva dal chiedersi a voce alta che cosa fosse successo di recente alla sua amica, che ultimamente gli era sembrata straordinariamente più bendisposta nei confronti del fratello minore. Michel poteva solo sperare che i tempi delle loro coalizioni ai suoi danni non fossero finiti, ma ovviamente non disse nulla davanti a Gideon mentre l’uomo, dopo aver riflettuto brevemente, annuiva con un cenno del capo:
“Bene, penso di sapere dove poterli trovare. Occupatevi delle mie valige e avvisate Claude che sono tornato, quando tornerò voglio gustarmi la cena, mi è mancata la sua cucina.”
“Oui Monsieur.”
Michel annuì, aspettando che Gideon desse le spalle a lui e a Pierre per dirigersi verso l’uscita per chiamare un facchino e fare in modo che i bagagli del proprietario venissero portati nel suo appartamento al piano di sopra.
I due erano appena rimasti soli quando il concierge si rivolse con evidente scetticismo a Pierre, che invece sembrava sorridere divertito e piuttosto compiaciuto:
“Davvero quei due sono usciti insieme?”
“I miracoli della bella stagione, Michel.”


 
*
 

Non fu difficile trovare i suoi figli, per Gideon St John, e nemmeno una sorpresa arrivare nel posto giusto al primo tentativo. La sorpresa, semmai, fu il trovarli insieme.
La spiaggia libera di Monte Carlo era deserta: la maggior parte dei bagnanti l’aveva già lasciata per cenare, anche se alcuni di loro sarebbero di certo tornati per godersi l’esperienza di un bagno notturno, senza la luce del sole a brillare sul Principato e sul Mediterraneo. Gideon, quindi, individuò le sagome dei suoi due figli, forse le uniche persone che davvero aveva amato in tutta la sua vita, non appena giunse sul limitare della spiaggia, sfilandosi i mocassini Tod’s per non sporcarli prima di incamminarsi sulla spiaggia che ormai conosceva più di qualsiasi altra a piedi scalzi.
Silas e Sabrina sedevano vicino alla riva, stagliati contro la calda luce dorata del tramonto e il cielo striato di rosa, entrambi con le gambe raccolte contro il petto con le braccia abbronzate. Stavano parlando, Gideon non poteva sapere di cose, ma avvicinandosi si chiese se i due si fossero resi conto di essere seduti nella stessa identica posizione, cosa che allargò il sorriso sul volto abbronzato del padre. L’uomo li raggiunse mentre qualche gabbiano strideva in lontananza e un’onda s’infrangeva con un dolce fragore sulla sabbia bagnata davanti a loro, sorridendo prima di fermarsi e palesare la propria presenza:
“Allora avete imparato qualcosa, quest’estate.”
“Papà?! Che ci fai qui? Pensavamo tornassi domani!”
Dopo una breve esitazione dettata dalla sorpresa Silas si alzò e subito abbracciò il padre, gettandogli le braccia al collo per stringerlo in una morsa calorosa e piena d’affetto. Sabrina, da sempre più abile nel celare le proprie emozioni, si limitò a guardare i due salutarsi senza muoversi, osservando accigliata il padre e i suoi occhi celesti brillare ancor più del solito grazie all’abbronzatura mentre Gideon arruffava affettuosamente i ricci scuri del secondogenito:
“Pierre mi ha detto che ti sei comportato bene, sono fiero di te.”
“Lo sapevo che ti facevi passare informazioni da Pierre. Anche Sabrina è orgogliosa di me, e lei è il mio critico più severo.”
Silas sorrise compiaciuto mentre accennava in direzione della sorella maggiore, ancora seduta sulla sabbia con una camicia bianca troppo larga, rubata a Joël, allacciata sopra ad un costume rosso.
“Beh, non ho proprio detto così, ho detto che mi sento piacevolmente sorpresa dal tuo comportamento. Ciao papà.”
“Ciao tesoro.”
Visto che Sabrina non accennava a volersi alzare fu Gideon a raggiungerla, chinandosi per darle un bacio su una guancia prima di sedersi accanto a lei sulla sabbia con un po’ di fatica – le sue ginocchia non furono molto d’accordo, ma cosa non si fa per i propri ragazzi? – e prendersi qualche istante per godersi a sua volta il panorama, godendosi il suo ormai familiare e amato Mediterraneo e respirando piacevolmente l’aria salmastra. Silas tornò a sedersi a sua volta alla sinistra della sorella e per un paio di minuti nessuno dei tre disse nulla, finchè Gideon non tornò a sorridere senza smettere di guardare il mare:
“Ci voleva proprio una bella vacanza prima di andarmene in pensione. E lo sapevo anche prima, ma adesso ho la certezza che l’Hotel sarà in buone mani.”
Gideon volse lo sguardo sulla figlia e Sabrina ricambiò, guardandolo inarcando un sopracciglio a metà tra il sentirsi scettica e speranzosa: non aveva mai voluto nient’altro a parte rendersi degna della sua attenzione e viceversa rendere suo padre fiero di lei.
“Davvero?”
“Certo. E ovviamente Silas potrà darti una mano, se vuole. In caso contrario parleremo della sua necessità di trovarsi un lavoro quando farà ritorno in Inghilterra.”
“Non penso di volermi trasferire qui papà. Mi manca l’Inghilterra, ma potrei aiutare Sabs in estate d’ora in poi.”
“Beh, in ogni caso quest’estate ti è stata di lezione. A tutti e due. Non che tu prima non lavorassi bene e non ti impegnassi Sabrina, ma senza di me avete imparato ad andare più d0accrdo, da quello che so. Forse c’era proprio bisogno che io levassi la mia ingombrante presenza, ma ci ho messo molti anni per rendermene conto.”
Suo padre era forse la persona più egocentrica che avesse mai conosciuto e Sabrina non se ne stupì affatto, ma si limitò a sorridere senza dar voce ai suoi pensieri mentre si allungava verso di lui per circondargli le spalle con un braccio, donandogli finalmente un abbraccio di bentornato a casa.
Per qualche minuto i tre si limitarono ad osservare le onde infrangersi sulla riva, ognuno immerso nel proprio mare di pensieri, finchè Gideon non sorrise, non battè le mani e si alzò invitando con un cenno i figli a fare altrettanto:
“Bene, ora alzatevi e torniamo all’Hotel, devo salutare i miei bambini adorati.”
“Certo, pensavi forse che noi gli fossimo mancati più dei suoi cani?”
Una volta alzatosi in piedi Silas allungò le braccia verso Sabrina per aiutarla a fare altrettanto gettando un’occhiata in tralice in direzione del padre, che gettò loro una rapida occhiata sostenuta mentre Sabrina ridacchiava prima di incamminarsi precedendoli verso la strada sempre con i mocassini in mano, l’indice della mano destra sollevato come se volesse impartir loro una lezione importante:
“Vi dirò una cosa. Loro non si lamentano, non litigano, non pretendono nulla e non mi danno rogne. Dovreste prendere esempio.”
Silas e Sabrina non risposero, si limitarono a seguire il padre scambiandosi un’occhiata in tralice. Infine sorrisero prima di raggiungerlo e prenderlo ciascuno per un braccio, chiedendogli se avesse portato qualche regalo per loro dal suo viaggio come quando erano piccoli.
“Quasi mi fate venire voglia di tornare a Saint Tropez.”
 



 
 
 
 
 

………………………………………………………………………………………………………
Angolo Autrice:
E miracolosamente questa volta sono effettivamente puntuale, halleluja!
Spero che questo ultimo capitolo di chiusura sia stato di vostro gradimento, ci vediamo molto presto, spero la prossima settimana, con l’epilogo e la conclusione vera e propria.
A presto e buon weekend!
Signorina Granger
   
 
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