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Autore: Alexander33    11/02/2023    2 recensioni
Una ragazza poco raccomandabile dispersa tra le pieghe del tempo, un sos misterioso, una soluzione da trovare, un cuore spezzato da guarire.
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harlock, Nuovo personaggio, Tadashi Daiwa, Yattaran
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Hai pensato ad una data?»

Harlock era seduto insieme a lei sul letto e la abbracciava da dietro, con il viso affondato nei suoi capelli.

 

Trattenne il respiro.

 

«Allora? Nessuna idea?»

 

«Non saprei… ma ho sempre amato dicembre. La neve… le feste…»

 

«Originale. Conosco un pianeta perennemente innevato, con splendidi panorami, di sicuro ti piacerebbe… qualche giorno chiusi in uno chalet sarebbe una bella luna di miele.»

 

Kaya chiuse gli occhi e si appoggió al suo petto, sorrise

«sì, sarebbe veramente molto bello! E romantico…» allungó la mano per cercare la sua e intrecciare le dita. 

 

«Sembra un sogno» disse a voce bassa.

 

“Quel’è il sogno? E quale la realtà?” Si chiese, e una profonda inquietudine s’impadronì di lei.

 

«Abbracciami stretta… non farmi andare via.»

 

«Devi solo provarci, ad andare via…» il tono era sereno, non aveva colto l’angoscia che l’aveva catturata.

 

La sensazione d’irrealtà che l’aveva sommersa era travolgente. Si sentì come un fantasma che camminava tra due mondi, la percezione di svanire come fumo fu talmente opprimente da darle le vertigini. Il mondo attorno a lei sembró stingersi; per un attimo il letto, la mobilia, la stanza: persino il cosmo che si estendeva al di fuori, assunsero la consistenza di pallida nebbia.

Strinse più forte gli occhi e si aggrappó a lui, come una zattera nel mare in tempesta, concentrando i sensi sulla sua presenza e fisicità. Sentirlo vicino a lei, stringergli la mano, ascoltare la sua voce, aspirarne il profumo.

 

Pochi attimi e quella orribile sensazione svanì, ma le lasció addosso la paura, e ripensó alla voce udita nella sua cabina… 

 

«Purtroppo devo andare, il dovere mi chiama… mi accompagni?»

 

Ancora stordita Kaya annuì. Ora più che mai aveva bisogno di averlo accanto, per tutto il giorno fu la sua ombra, sostituendo Meeme, per una volta.

 

E quella sera fece una cosa che non aveva mai fatto fino ad allora.

Nonostante un passato vissuto nell’illegalità mai aveva assunto stupefacenti o medicinali che potessero alterare il livello di attenzioe; Frank, per quanto spacciatore schifoso, l’aveva sempre tenuta alla larga e messa in guardia da ogni tipo di droga.


«La vedi questa?» le disse, mentre stava sporzionando la polvere in dosi che poi avrebbe venduto.

«Questa è merda. Veleno. Non prenderla mai, hai capito? Ci fa vivere bene, venderla va bene, ma non usarla mai. Se mi accorgeró che solo ci pensi, ti daró una lezione che ricorderai per sempre.»

Aveva solo dodici anni, ma ancora ricordava le esatte parole.


L’Arcadia era formata da tante persone diverse: qualcuno più vizioso di altri, ma nessun tossico nel vero senso della parola. Ma si poteva comunque trovare “qualcosa” che facesse al caso suo.

 

«Qualcosa per non dormire? Non ti basta un energizzante?»

 

«No! Altrimenti mi facevo un caffè! Devo stare in piedi tutta la notte… non mi basta.»

 

Akira faceva il magazziniere di bordo.

Alzó le spalle e andó a frugare tra le sue scorte.

Era poco più grande di lei: perennemente con la cicca in bocca, le braccia tatuate. Ogni tanto si faceva uno spinello, ma guadagnava bene vendendo medicinali e droghe leggere, che Zero avrebbe sicuramente trovato discutibili. Harlock tollerava questo mercanteggiare, purché rientrasse nel consumo occasionale e non compromettesse l’efficienza e la salute di nessuno e Akira era ben attento a rispettare, e far rispettare, queste regole.

 

«Sei fortunata… mi è rimasto qualcosa.»

 

Le mise in mano una pillola dentro una bustina di pvc trasparente.

 

«una sola?» chiese delusa.

 

«Sì, una sola. E se ne vuoi altre dovrai aspettare altri 7 giorni. Sono le regole. O così o il capitano mi toglie la concessione al commercio, mi dispiace.» Le tese la mano.

Una notte senza sogni valeva ben una moneta d’argento.




 

Inghiottì la capsula subito dopo cena.


«Ti senti poco bene?»

«Un po’ di mal di testa, nient’altro..»

 

Dopodichè chiacchierarono e fecero progetti davanti a una bottiglia di liquore dolce, e quella fu l’ultima cosa che ricordó.

 

Si sveglió con una terribile emicrania e la nausea.

 

«Cos’è successo? Non sarebbe dovuta andare così…»

 

«Sei crollata sul tavolo. Deliravi. Chiamavi l’Arcadia, quasi fosse una persona… Si puó sapere cosa hai preso?» Lo sguardo di Harlock era severo e indagatore.

 

Kaya si morse il labbro, cercó di alzarsi ma le vertigini la portarono a stendersi nuovamente.

 

«Solo una pillola per non dormire…»

 

«Sei una sciocca, non si bevono alcolici se prendi un medicinale. Lo sanno anche i bambini… Perché non vuoi dormire?»

 

Ecco perché si era sentita male! Che stupida… Ora che giustificazione avrebbe dato? Non voleva più mentire, o nascondere quel che stava succedendo.

 

«Volevo liberarmi dei sogni… per una notte almeno.»

 

«Ancora con questi sogni? Di nuovo questa storia?»

 

«Non volevo assillarti con delle sciocchezze. In fondo si tratta solo di… sogni.»

 

«Devono essere spaventosi se sei arrivata al punto di non voler dormire.»

 

«No. Tutt’altro. Solo che… Vogliono che faccia delle cose.»

 

«Spiegati meglio… È inquietante.» Prese una sedia e la mise accanto al letto, sedendosi a cavalcioni con gli avambracci appoggiati allo schienale.

 

«Beh… c’è una ragazza che insiste, dice che devo lasciarti. Andarmene…»

 

Harlock si passó le mani sul viso, sospirando. Non era uno psicologo, ma era sicuro di avere capito tutto.

 

«A questo siamo arrivati? La tua ossessione per Mayu è arrivata a questo punto? Kaya dimmi, hai bisogno di aiuto?»

 

“Ci avrei scommesso le testa. Ovvio mi prenda per pazza… Adesso mette in mezzo lo strizzacervelli. Potrebbero sbattermi in una cella imbottita e dimenticarsi che esisto.”

 

«Va bene… era una scusa! Volevo sballarmi un po’… e mi ero scordata che non si bevono alcolici…»

 

Harlock la osservó, poco convinto. 

«Sicura? Non ti bastava bere qualche bicchiere in più?»

 

«Beh, la colpa è mia… Avevo sentito parlare della merce di Akira e di quanto fosse buona… Pensavo che una notte intera a farci le coccole potesse essere una buona idea…» Dicendo questo mise una mano sulla patta dei pantaloni di Harlock, che fece un sorriso sghembo.

 

«… E invece ho rovinato tutto!» Si tiró su, avvicinando il viso al suo e gli leccó le labbra come un cono gelato.

 

Harlock le prese il viso e portó i suoi occhi a infilarsi nel suo «non mi stai raccontando storie? È la verità?» la scrutava sospettoso; l’istinto gli diceva che qualcosa non andava.

 

Era vero, stava cercando di nascondere ciò che aveva provato a confessare in un primo momento, ma era altrettanto vero che passare una notte intera a farsi sbattere come il sacchetto del pandoro con lo zucchero era il suo sogno erotico preferito… non era certo una bugia. Lo comunicó talmente bene con lo sguardo che Harlock si tolse i pantaloni e la raggiunse sotto le coperte.


Aveva fatto marcia indietro; ancora non capiva bene il perché. Non era stata la paura dell’essere presa per pazza: aveva una prova inconfutabile che testimoniava la sua integrità mentale. Le era preso il panico… qualcosa l’aveva trattenuta: come un paio di braccia che ti impediscono di gettarti dalla finestra.

E forse era meglio così. Sapere di avere una figlia; posto che quella che gli appariva in sogno lo fosse veramente, l’avrebbe certamente mandato più in confusione di quanto lo fosse lei… Sapere che la donna che aveva amato più di se stesso aveva preferito fuggire e nascondersi, pur di non fargli sapere che sarebbe diventato padre, l’avrebbe addolorato troppo.

 

Che quelle grane se le sbrigassero tra di loro… in compenso ci aveva guadagnato la miglior scopata di sempre. 


Yattaran voleva vedere Harlock nel laboratorio dove continuava la fabbricazione del Gate; si stava vestendo per raggiungerlo. Aveva infilato la maglia a collo alto per metà quando si fermó a guardarla.

 

«Non ti sognare di tornare a comprare roba. La prima cosa che faró oggi sarà una lavata di testa ad Akira che non scorderà più, per averti venduto quella mercanzia…»

 

Kaya si lasció cadere sul materasso sbuffando

«mi sembra di essere nella casa del grande fratello…»

 

«Come dici?!»

 

«niente… mi sono capita io!»



 

Ci andava mal volentieri. Detestava quell’aggeggio mostruoso che stavano costruendo; si stava pentendo di aver dato loro il permesso per realizzarlo, in fondo non sarebbe servito a nulla, vista la piega che avevano preso gli avvenimenti. Sarebbe stata una porta sulla vecchia vita di Kaya e si sarebbe sentito molto meglio se questa porta fosse stata invalicabile.

 

Harlock aveva evitato di entrare nel laboratorio e quando vi fece ingresso restò impressionato.

 

«È veramente bellissimo… e terribile.» mormorò.

 

«Yattaran perché questa foggia particolare?»

 

Il corpulento ufficiale alzó le spalle. 

«Farla rettangolare mi sembrava banale. Un sogno mi ha suggerito questa forma. Bello vero?»

 

“Sogni… sempre questi sogni…”

 

Il laboratorio di Tochiro aveva un soffitto molto alto: sfiorava i 6 metri, e il semicerchio di lucido metallo, formato da blocchi a simulare dei mattoni di un arco a tutto sesto, arrivava ai 4 metri abbondanti. Emanava una sensazione inquietante, quasi sinistra.

Non ci avrebbe dormito sonni tranquilli lì dentro, con quel macchinario che destava inquietudine.

 

«Lo considero il mio capolavoro!» Ne andava incredibilmente orgoglioso, a ragione.

 

«Ho contribuito anch'io, ma Yattaran è il vero genio.» Puntualizzó Tadashi.

 

Il pensiero che la sua Cronaline sparisse dentro quel mostro di metallo era inquietante.

 

«Ottimo lavoro… ma resterá inattivo. Non lo potrai collaudare, mi rincresce.» 

 

«Dipende da Kaya… non è vero?»

 

«Certamente, è lei che non vuole tornare. E comunque manca l’energia per farlo funzionare. O mi sbaglio?»

 

«Non ti sbagli: se non dai l’autorizzazione per accedere al computer centrale niente energia.  L’importante è che, se un giorno cambiasse idea, Kaya potrebbe comunque decidere di tornare a casa.»

 

Harlock uscì dal laboratorio con una brutta sensazione. Non gli piaceva avere a bordo quella macchina.

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