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Autore: Nao Yoshikawa    13/02/2023    1 recensioni
Sequel di "Everybody wants love".
Sono passati tre anni, i bambini sono cresciuti e gli adulti sono maturati (più o meno). Nuove sfide attendono i personaggi e questa volta sarà tutto più difficile. Dopotutto si sa, la preadolescenza/adolescenza non è un periodo semplice. E non sono facili nemmeno i vecchi ritorni.
Ciò che è passato deve rimanere nel passato.
Non pensarci.
Non pensarci e andrà tutto bene.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio, Renji Abarai, Urahara Kisuke
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo diciotto


Orihime era arrivata con il cuore in gola nell’ufficio del preside Genryuusai Yamamoto. Era la prima volta che veniva chiamata dalla scuola, i suoi figli non le avevano mai dato preoccupazioni di quel tipo. Si era preoccupata a morte quando le era stato detto che il suo Satoshi era rimasto coinvolto in una rissa. Ulquiorra le diede una carezza sulla schiena e poi erano entrati. Lì ad attenderli, c’erano Ichigo e Rukia, Chad e Karin e anche Nnoitra e Naoko.
I quattro ragazzini se ne stavano seduti. Naoko avrebbe desiderato sparire, perché si sentiva colpevole. Come aveva potuto essere così superficiale? Satoshi si massaggiava una guancia e Kaien se ne stava a braccia conserte, anche se ad una certa Ichigo lo fulminò con lo sguardo e si rimise dritto. Kohei si dondolava sulla sedia e Karin cercava di tranquillizzarlo.
«Emh, salve» disse Orihime. «Ma che succede?» domandò rivolta più che altro ai suoi amici.
«Bene, signori Schiffer, adesso che siamo tutti qui, posso finalmente parlare» disse il vecchio Yamamoto. «I vostri figli sono stati coinvolti in una rissa.»
Nnoitra guardò sua figlia, sorpreso.
«Ti batti anche con i maschi? Questa è la mia ragazz-AHI!»
Neliel gli aveva dato una gomitata per zittirlo, non era il caso di fare battute di spirito.
«Tecnicamente io mi sono solo messa in mezzo per separarli» sussurrò Naoko, mortificata.
«Già, anche io» borbottò Kaien. «Perché devo finire nei guai anche io? Ho solo cercato di evitare che Kohei ammazzasse Satoshi. Se non ci penso io a certe cose, non ci pensa nessuno.»
«Kaien Kurosaki, farai meglio a stare zitto» disse duramente Ichigo. In realtà si sentiva un po’ colpevole, perché mai suo figlio doveva prendersi tali responsabilità?
«Io pretendo ordine» disse severamente Yamamoto. «Quindi la rissa è avvenuta tra Sado e Schiffer, dico bene?»
«Sì, però ha cominciato lui» disse Satoshi. Era stufo, era anche stato preso inutilmente a pugni.
«Io non sono cattivo, io sono buono. Matu sei cattivo, siete cattivi tutti!» singhiozzò Kohei. C’era voluto tanto per farlo calmare e rischiava di scoppiare di nuovo da un momento all’altro. A Naoko tremò il labbro.
«È colpa mia. Loro hanno litigato per me!»
«… Avete seriamente litigato per questo?» Kaien si sollevò, ma ci pensò Yamamoto a farlo sedere di nuovo.
«SILENZIO. Il motivo non è importante, ma questa è una scuola, non un circo. Solo gli animali non controllano i propri istinti, voi siete forse animali? Non mi pare proprio. Visto e considerato tutto, ve la caverete con una nota di demerito. È la prima volta per voi e mi auguro non ce ne sia una seconda. Ma tu, Kurosaki, mi pare sia stato già fin troppo coinvolto.»
Kaien deglutì a vuoto. Non voleva essere sospeso. Era stanco, lui cercava sempre e solo di proteggere tutti.
«Senta, non sia troppo duro con lui» Ichigo intervenne. «Questa volta ha solo cercato di non peggiorare le cose.»
Non si era accorto di come suo figlio tremasse. Era nervoso e gli veniva anche da piangere, ma lui non avrebbe pianto davanti a nessuno, era la sua filosofia.
«Questo è quello che faccio sempre, a dire il vero» iniziò a dire a bassa voce. «Ho cercato di proteggere Kohei e Satoshi, ma non ci sono riuscito. E ho sempre cercato di proteggere mio fratello e Yuichi. Lo so che è sbagliato ricorrere alla violenza, ma non sopporto quando qualcuno parla male di mio fratello. Dicono delle cose orribili. Se io non li avessi spaventati, quelli avrebbero potuto fargli male. Se non ci penso io a questo, chi lo farà?»
Rukia si portò una mano davanti le labbra. In Kaien in quel momento ci rivedeva Ichigo in tutto e per tutto, perché anche suo marito era così.
«Non è quello che hai detto le ultime volte, Kurosaki. Avresti dovuto dirlo subito, lo sai che la violenza genera solo altra violenza.»
«Lo so, ma a cosa sarebbe servito? Voi adulti non ci ascoltate mai» borbottò strofinandosi una mano sul viso per evitarsi di piangere. Ichigo sentì la rabbia abbandonarlo. Suo figlio aveva usato i modi sbagliati, ma per una giusta causa. Kaien era come lui.
Naoko si mise a singhiozzare.
«Non pianga, signorina Gilga. Non ho intenzione di espellere il signor Kurosaki. Adesso che è finalmente stato chiaro, non avrà più motivo di essere violento, mi auguro.»
Kaien gonfiò le guance.
«Se mi assicura che nessuno farà male a mio fratello, allora va bene» decise.
 
 
Era stato davvero stancante. Nnoitra si massaggiò la testa, esausto.
«Adolescenti… quindi cos’è questa storia? Tu e Satoshi siete tipo fidanzati? Ma non siete troppo giovani?»
Naoko era altrettanto esausta e ancora un po’ piagnucolante.
«Per favore, sono distrutta. Mammina» piagnucolò poi, abbracciando Nel. Quest’ultima ricambiò l’abbraccio.
«Avremmo tempo per parlare di questo, dopo.»
Intanto, Karin si stava inchinando ripetutamente davanti a Orihime e Ulquiorra.
«Sono veramente dispiaciuta. Kohei non è ancora del tutto bravo a gestirsi. Satoshi si è fatto molto male?»
«No, ha solo un graffio» la rassicurò Orihime. In realtà era stato più Satoshi a far male a Kohei, piccolo e agile com’era, lo aveva colpito dritto sullo stomaco.
«Voglio andare a casa» borbottò Kohei. Karin prese la sua mano e poi guardò Chad.
«Sì, andiamo a casa. Anche perché ci sono un po’ di cose che gradirei sapere.»
Chad provò un moto di terrore. Sua moglie era appena tornata e le cose andavano già male.
 
«Non siete arrabbiati con me… giusto?»
Kaien era terrorizzato all’idea che i suoi genitori ce l’avessero con lui. Si sentiva esausto. Essere un protettore era davvero stancante.
«No, Kaien. Però tu sei un bambino e non è responsabilità tua pensare a certe cose» spiegò dolcemente Rukia. «Però non sono sorpresa… somigli a tuo padre.»
Ichigo arrossì. Era strano, era come se lui e sua moglie avessero perso la loro intimità, questo non gli piaceva. Portò una mano tra i capelli di Kaiene e poi gli baciò la testa.
«Adesso però lascia fare a noi adulti. Tu avrai tempo per questo.»
Kaien annuì, le lacrime in bilico tra le ciglia. Iniziava già a sentirsi più leggero.
 
Per Miyo era stato necessario andare a cercare Rin. Di solito non si allontanava mai durante la lezione, ma aveva il terribile presentimento che la sua amica non stesse bene. Rin non stava bene da un po’ in realtà e la cosa stava diventando pericolosa, a suo dire. Andò nel bagno delle ragazze e lo trovò vuoto, almeno ad una prima occhiata.
«Rin, per caso sei qui dentro?» domandò, facendosi avanti. Udì dei sospiri. Rin aprì la porta, se ne stava vicina al WC, il viso sudato e i capelli in disordine.
«Non ti si può nascondere proprio nulla, eh?»
A Miyo parve fragile come mai prima di allora e si avvicinò per sostenerla.
«Rin. Rin, accidenti. Perché fai questo? Mi stai spaventando, giuro» singhiozzò senza riuscire a impedirselo.
Cara, dolce Miyo. Le stava causando un sacco di preoccupazioni.
«Mi dispiace, è che non mi piace il mio corpo…» ammise sottovoce, aggrappata a lei.
«Ma questo non è il modo giusto, così ti fai del mal» la strinse più forte e decise dentro di sé, senza dirlo ad alta voce, che avrebbe parlato con i suoi genitori. Forse Rin se la sarebbe presa con lei, ma temeva che le accadesse qualcosa di ben peggiore.
 
 
Ichigo si era beccato una strigliata da Kurostuchi (il quale non era stato troppo severo. Anche se la mia Ai non mi ha mai causato questi problemi, ci aveva tenuto a precisare). Quando era arrivato, aveva salutato distrattamente Ishida, a sua volta silenzioso e poco reattivo. Chissà se con Ichigo avrebbe potuto parlare? Dopotutto era il suo migliore amico e aveva bisogno di liberarsi del casino che aveva in testa. Hanataro invece era in parte di buon umore (lui e Natsumi si messaggiavano un sacco e avevano deciso di uscire insieme). In parte era nervoso perché il perfetto nuovo arrivato Akon Higarashi lo innervosiva con quel suo essere così efficiente. E quindi aveva preso a essere scorbutico. Lui.
«Se non ti servo alloro puoi benissimo cavartela da sola, Higarashi» gli aveva detto.
«Ma cosa… ma che ho fatto?» aveva domandato lui. «Ehi, guarda che sto chiedendo a te.»
Kurotsuchi però li aveva fulminati con lo sguardo.
«Siete forse bambini? No, quindi non litigate e preparate la sala operatoria, piuttosto.»
Come se non bastasse, Urahara gli girava attorno da una buona mezz’ora. Aveva la brutta sensazione che dovesse confidargli qualcosa.
«Urahara, mi stai innervosendo? Che cosa vuoi?» domandò. Dopo anni si era oramai rassegnato ad ascoltare i suoi problemi. Kisuke, dal canto suo, non sapeva come raccontargli ciò che era accaduto senza risultare un pervertito. Meglio non essere troppo diretti.
«Senti, Kurotsuchi. Cosa ne pensi del sesso a tre?»
Mayuri si bloccò, guardandosi attorno. Ma come osava fare certe proposte indecenti? A lui poi, sul posto di lavoro?
«Sono favorevole, ma mi sembra un po’ troppo chiedermi di unirmi a te a Yoruichi.»
«E-eh? No, veramente parlavo di me, Yoruichi e Soi Fon.»
I due si guardarono per qualche silenzioso attimo.
«Ovviamente» disse Mayuri. «Aspetta, tu e l’ex quasi amante di tua moglie? Ti piace complicarti la vita, ma avevo intuito che sarebbe finita così.»
Kisuke rise, in imbarazzo.
«Sei bravo con i sentimenti.»
«No, è che eravate così arrapati che non ho potuto fare a meno di notarlo. Un po’ di contegno, suvvia. Cosa ti tormenta?» domandò e intanto sperò di non pentirsene.
«Ecco… non so, è successo tutto così in fretta. Insomma, che piega prenderà la cosa? Capiterà ancora? Soi Fon potrebbe essere mia figlia. Ah, non posso credere che sia successo.»
«E io non posso credere che tu faccia la bella vita, mentre io qui devo sopportare anche quell’arpia della mia ex. Mi sta facendo diventare pazzo, ma non cederò ai suoi trucchi psicologi, non sono così stupido» Mayuri spostò senza accorgersene l’argomento su di sé. Ma non poteva farci nulla, era più forte di lui.
«Davvero? E che cosa può mai farti? Avanti, dimmi perché non la tolleri. Di me puoi fidarti, io…»
L’unico modo per zittire Kisuke Urahara era accontentarlo, purtroppo.
«Mi ha tradito, d’accordo? E prima che tu me lo chieda, non ho alcun trauma da superare. Semplicemente mi è sgradita, non capisco cosa le passi per la testa e io odio non sapere.»
Kisuke fece per dire qualcosa, ma capì presto che non era il luogo adatto per parlarne. Questo però non se lo aspettava. Ma dopotutto, quante cose ancora non conosceva di quello che definiva il suo amico più importante?
 
«Ah-ah! Non ci posso credere. Stupido Shinji, sei geloso!»
Hiyori era come al solito una persona estremamente pacata e comprensiva. E che soprattutto non inferiva.
«Ma che geloso, che geloso! Io e Sosuke siamo sposati, non sono geloso. Ma mi sento inutile» Shinji abbassò la voce. Non aveva intenzione di farsi sentire dagli altri membri della band. Non era mai stato un tipo che si definiva inutile, ma ultimamente un po’ ci si sentiva.
«Oh, non farmi essere sdolcinata adesso. Non sei inutile, fai un sacco di cose. Per la questione di Miyo, penso non sarei stata preparata nemmeno io. Anche se comunque c’è da dire che non sarei andata in panico» ammise Hiyori. Shinji alzò gli occhi al cielo.
«Il fatto è che Momo Hinamori sembra sempre circondata da quell’aura di perfezione intoccabilità. Alle volte ho paura che Sosuke si accorga di aver fatto un err-AHI!»
Hiyori lo aveva calciato sotto il tavolo. Sempre a lamentarsi quell’idiota del suo ex.
«E dacci un taglio, quello non guarda nessuno se non te, non è ora di farsi venire i complessi, da quando sei così?»
«… Da quando un tredicenne ha ferito la mia autostima» ammise, annoiato. E già, ancora non riusciva a farsi amico il suo figliastro. Ci aveva impiegato una vita per diventare il marito di Sosuske, sperava che con Hayato il processo fosse accelerato.
Miyo entrò nella sala prove, gettando lo zaino da una parte.
«Mamma, papà, dobbiamo parlare» disse seria.
E Shinji pensò questa è la parte in cui non devo farmi prendere dal panico. Perché l’adulto sono io.
 
 
Momo era tesissima all’idea di rivelare a Toshiro (e ad Hayato soprattutto) della sua gravidanza. Anche se non era stato programmato, si sentiva molto felice, anche un po’ spaventata all’idea di ricominciare dopo tredici anni. La situazione era molto tranquilla, Hayato mangiava in silenzio, Toshiro invece parlava con lei, ma Momo era molto distratta.
Va bene, si era detta, o ora o mai più, devo dirglielo adesso.
Drizzò la schiena, bevendo un sorso d’acqua.
«Ecco… scusate. Dovrei dirvi una cosa.»
Hayato sollevò lo sguardo su sua madre, Toshiro si fece serio.
«Che è successo?» domandò facendo una smorfia.
«Non è niente di male, state tranquilli. Ecco…» le sue guance si colorarono di un delicato rosso. «Dovevate essere voi i primi a sapere che io…»
Si sfiorò il ventre con una mano. Hayato la osservò con attenzione. Aveva già capito ancora prima di Toshiro.
«Che sono incinta» disse sottovoce. Seguì un silenzio profondo, nessuno dei due reagì. Toshiro ad un certo punto tornò in sé.
«Tu… eh? Davvero? D-da quanto? Non mi sono accorto di niente. Tu stai bene?»
C’era preoccupazione nella sua voce. Tenerezza e anche un tremolio. Forse emozione… felicità?
«Dovrei essere di cinque settimane, ma devo ancora fare un controllo. Piuttosto, tu sei sicuro di stare bene?»
Toshiro annuì e prese le sue mani. Avrebbe avuto un figlio, lui! A dire il vero era una cosa su cui aveva fantasticato spesso in passato. Ma negli ultimi tre anni si erano dedicati ad altri aspetti delle rispettive vite.
«Sto bene. Sono solo molto sorpreso e felice. Oh, Momo…»
Abbracciò la sua compagna e le baciò la fronte. Hayato invece era rimasto lì, senza dire una parola. Ci mancava anche questa. Non era pronto a quel cambiamento, poco importava che avesse molti mesi davanti.
«Hayato, tesoro. Tu non dici niente?» domandò timorosa. Hayato avrebbe voluto dire che l’idea non lo entusiasmava granché. Non perché fosse geloso, assolutamente no! Però gli faceva comunque strano l’idea.
«Penso che sia fantastico, davvero. Congratulazioni ad entrambi» disse, educato ma fin troppo distaccato.
Momo si alzò e andò ad abbracciare anche lui.
«Sono sicuro che sarai un bravo fratello maggiore» le disse.
Hayato ebbe fin da subito dei dubbi, ma preferì non dirlo. Dava già abbastanza dispiaceri a sua madre con il suo atteggiamento scorbutico. Ma intanto si chiedeva e che bisogno c’è di me adesso?
Poi guardò Toshiro.
Proprio adesso che stavamo iniziando a costruire un rapporto più stretto, non avrà più motivo di voler continuare.
Hayato dopo cena disse di dover tornare a casa di suo padre. Aveva accampato la scusa di avere dimenticato i libri e gli appunti dei compiti da fare per l’indomani lì e che quindi sarebbe dovuto tornare. Non aveva nemmeno accettato un passaggio, sarebbe andato a piedi. Si sentiva arrabbiato, malgrado non volesse affatto sentirsi così.
Tornò nell’altra casa ed entrò di scatto, entrando a passi pesanti.
Shinji era lì che si agitava e pensava. Miyo gli aveva confessato quello che stava accadendo a Rin e la cosa lo aveva un po’ turbato. Un po’ tanto. Fosse successo a sua figlia, avrebbe voluto saperlo. Ora gli toccava parlare con Gin. Doveva dirlo a Sosuke? No, si disse. Poteva anche cavarsela da solo, poteva anche dirglielo in un secondo momento. Non poté non udire i passi pesanti di Hayato, il quale era entrato buttando in un angolo il suo zaino.
«Ehi!» sbottò Shinji, che poco gradiva quelle brutte maniere. Gli bastò guardarlo qualche istante per capire che Hayato stava trattenendo a stento le lacrime.
«Emh… che succede?» domandò, preoccupato. Hayato scosse la testa.
«Non succede niente.»
«Oh, ti prego! E me lo dici con quella faccia?»
Hayato si asciugò le lacrime. Gli veniva da vomitare o forse erano solo le parole che bramavano di venire fuori.
«Mia madre è incinta» sussurrò, asciugandosi veloce una lacrima che gli solcava una guancia. Shinji spalancò gli occhi, sorpreso ma non troppo. In effetti aveva visto Momo strana di recente.
«Non mi sembri contento» disse, attento a non ferirlo in nessun modo. Non lo avrebbe giudicato per la sua evidente gelosia, Hayato si atteggiava a grande, ma non lo era.
«Non sento niente, infatti» mentì. Poi drizzò le spalle, tutto fiero, e gli passò accanto. Per quella sera non voleva parlare con nessun altro. Shinji sospirò e si poggiò al muro: adesso ad avere bisogno di aiuto erano in due. Sosuke uscì dal suo studio, aveva sentito le loro voci senza però capire il discorso.
«Ma che è successo?» domandò a Shinji.
«Beh» rispose lui stancamente. «A quanto pare Momo è incinta e tuo figlio non l’ha presa bene.»
Sosuke sospirò, massaggiandosi stancamente una tempia. Non sembrava sorpreso.
«Gli parlerò.»
Shinji allora si mise a pensare. Non c’era bisogno che ci parlasse Sosuke, poteva risolvere lui quel problema. Avrebbe aiutato sia Miyo che Hayato, avrebbe dimostrato che lui era capace di aiutare i suoi figli, che poteva riuscirci. Sosuke lo avrebbe ammirato, Hayato si sarebbe fidato e Miyo sarebbe tornata ad essere tranquilla. Sì, era una cosa in cui doveva riuscire a tutti i costi.
 
Quella sera era tutto molto silenzioso, forse anche troppo per Kiyoko. Satoshi si era procurato un brutto graffio a causa della rissa e se ne stava lì a cercare di fare i compiti. Anche Ulquiorra era silenzioso e se ne stava lì che cercava di dipingere. Kiyoko guardò sua madre come per dire come si rompe questo silenzio?
Orihime ricambiò lo sguardo e decise di fare qualcosa. Era stata una giornata piena di tensioni, meglio non peggiorare le cose.
«Emmh, volete vedere un film?» suggerì, allegra. Satoshi la guardò e poi sospirò.
«Scusa, non mi va tanto.»
Allora Kiyoko si alzò. Non si sentiva più tanto arrabbiata con Satoshi (in realtà nemmeno con Naoko, ma non aveva avuto tempo di chiarire con lei.)
«Satoshi, dai. Vieni, ti faccio vedere le foto che ho scattato oggi.»
Suo fratello sospirò. Sembrava infastidito.
«Non mi va.»
Kiyoko si impuntò. E va bene, lei era stata la prima a maltrattarlo, ma adesso stava cercando di rimediare, voleva tirarlo su.
«Avanti, per favore! Non sono più arrabbiata con te.»
«Però io non voglio parlare con nessuno.»
«Ma perché no?»
«Ma si può sapere che cavolo vuoi?! Lasciami in pace!»
Era la prima volta che Satoshi aveva uno scatto di rabbia tanto potente. Era sempre stato tranquillo e mite. Ma anche i più tranquilli a volte si arrabbiavano. Proprio non capivano l’umiliazione che sentiva addosso per colpa di quella rissa? A lui la violenza non piaceva, aveva caratterizzato i primi anni della sua infanzia, eppure si era ritrovato sia a riceverla che a darla. Ulquiorra posò il pennello, assumendo ad un tratto un’aria severa.
«Satoshi, questo non è il modo di parlare a tua sorella.»
«… Non è mia sorella» sussurrò con un filo di voce, ma si pentì subito di averlo detto. Orihime si portò una mano davanti la bocca, affranta e sconvolta. Ma mai quanto Kiyoko.
«Che cosa hai detto?» domandò Ulquiorra, avvicinandosi a lui. «Prova a ripeterlo. Le parole hanno delle conseguenze. Tu non puoi pensare di dire qualcosa e credere che la gente non rimanga ferita.»
Orihime si avvicinò a suo marito, stringendogli un braccio.
«Non essere troppo duro» sussurrò.
«Non sono duro, io gli sto dando un insegnamento» anche se si rendeva conto di essere più nervoso del solito. Stava facendo il possibile per Satoshi. Ma forse lui non si sentiva parte di quella famiglia. Nulla di più sbagliato in realtà, ma nemmeno Satoshi avrebbe saputo spiegare il suo caos emotivo. Il ragazzino, nel momento in cui lo aveva visto nervoso venirgli incontro, si era avvicinato a Kiyoko, stringendole il braccio. Per lui aveva sempre funzionato così: se qualcuno è arrabbiato, se fai un errore, allora vieni picchiato. Poi si portò una mano davanti al viso, tremando appena.
«Satoshi?» domandò Kiyoko, che aveva già intuito. Orihime si mise in mezzo, chinandosi su di lui.
«Ehi, è tutto a posto. Nessuno ti farà del male» sussurrò abbracciandolo. Ulquiorra tornò a respirare, cosa che aveva smesso di fare senza nemmeno rendersene conto. Satoshi aveva pensato che volesse picchiarlo? Non lo avrebbe mai fatto. Ma solo per quel momento, aveva dimenticato del suo passato fatto di violenza. Ma era stato comunque un grande errore da parte sua. Provò a dire qualcosa, ma alla fine decise di non dire niente. Era meglio che ci pensasse Orihime, lei era sempre stata più brava. Li lasciò da soli, ma Kiyoko gli corse subito dietro e lo afferrò per mano. Lui la guardò.
«Tu non hai paura di me?» le domandò. Kiyoko scosse la testa.
«Non potrei mai. Ma Satoshi non ha avuto un papà come l’ho io. Per lui certe cose devono essere difficili da dimenticare. Anzi, forse non li dimenticherà mai. Io almeno non ci riuscirei.»
Kiyoko come al solito parlava come una ragazzina molto più grande e matura della sua età. Come al solito, da lei avrebbe avuto da imparare. Le accarezzò la testa.
 
 
Masato non aveva il coraggio di parlare con Kaien e Kaien non aveva il coraggio di parlare col gemello. Così tra loro regnava il silenzio più totale. Masato giocava con Kon, Kaien giocava ai suoi videogiochi, ma nessuno dei due riusciva ad essere davvero coinvolto da quello stavano facendo. Dalla loro cameretta non si udiva il solito chiacchiericcio, se n’erano accorti anche Rukia e Ichigo.
«Che giornata» sospirò Ichigo massaggiandosi la testa. «Ero così arrabbiato con Kaien. E sono stato così duro, quando lui alla fine è tale e quale a me.»
Rukia, seduta di fronte a lui, si sentì piccola.
«Kaien è un bravo bambino, cerca solo di proteggere chi gli sta intorno. Dovremo parlare con entrambi.»
«Sì, dovremo.»
Poi calò il silenzio. Era strano non avere nulla da dire. In realtà di cose da dire ce n’erano anche troppe, ma nessuno dei due aveva voglia di discutere.
«Tu sei proprio sicuro di non volermi lasciare?» domandò Rukia. Si sentiva una bambina a porre quelle domande, ma aveva così bisogno di certezze. E Ichigo avrebbe tanto voluto non essere arrabbiato, passarci su. Ma era difficile, faceva male. Si sentiva deluso.
«No, te l’ho detto. Ma ti sarei grato se non mi nascondessi più nulla.»
«Non c’è altro. Sono davvero… dispiaciuta per quello che ho fatto. Ma tu non sei mai stato un sostituto.»
Ichigo si fece rigido, senza però rispondere. Non faceva altro che ossessionarsi con quel pensiero, con l’essere solo un sostituto di Kaien, quello che gli somigliava come una goccia d’acqua ma che era arrivato dopo.
«Quanto siete stati insieme?» domandò invece. Non aveva idea di cosa servisse saperlo, però voleva saperlo.
«Sei mesi» sussurrò Rukia, torturandosi le dita.
«E perché quando ci siamo conosciuti, mi hai detto che eravate soltanto amici?»
Proprio non riusciva a sopportare l’idea che gli avesse mentito sin dall’inizio.
«Perché… della nostra storia non sapeva niente nessuno. Dovevo proteggere la sua memoria e anche il nostro segreto.»
Ichigo rise, ma d’amarezza. Si sentiva tagliato fuori, poco importava che fosse successo più di vent’anni prima. Per anni aveva vissuto nella convinzione di essere stato il suo primo amore, adesso si ritrovava ad apprendere una verità diversa.
«Lui ti ha toccata? Ci facevi sesso, con lui?»
«Ichigo, ti prego…» sussurrò.
«È una domanda lecita, mi pare» disse, duramente. Rukia sospirò, affranta.
«Sì…»
Ichigo strinse i pugni sotto il tavolo.
«Capisco. E immagino che tu gli abbia detto che lo amavi, che volevi sposarlo e farci una famiglia.»
«Ero innamorata e avevo solo quindici anni, certo che gliel’ho detto!» tentò di giustificarsi.
«Ma quelle cose le hai dette anche a me! Quanto vere erano? Come faccio a sapere che amassi me e non il fatto che ti ricordavo lui?»
Rukia poté giurare di aver visto i suoi occhi diventare lucidi. Era stata una sciocca. Se avesse condiviso il suo dolore con Ichigo, ai tempi, lui non l’avrebbe giudicata. E invece aveva nascosto tutto, soffrendo da sola. E adesso stava causando dolore anche all’uomo che amava.
«Io ho amato Kaien, ma ho amato anche te e ti amo tutt’ora» sussurrò. Ichigo credeva al suo amore presente. Era del prima che dubitava. Allora su cosa si basava la loro relazione? Sui non detti e le bugie?
«Devi darmi tempo, Rukia» disse Ichigo solamente. Rukia annuì e trattenne le lacrime perché non voleva piangere davanti a lui. Con la scusa di andare al kombini per prendere del latte, si infilò invece nella sua auto. Voleva parlare con qualcuno, ma Kukaku doveva essere a lavoro, ed era tardi per far visite ad una delle sue amiche. Ma con suo fratello forse poteva permettersi un’improvvisata.
 
Renji e Byakuya stavano, senza saperlo, preparando entrambi una perfetta proposta di matrimonio. Byakuya era uno più discreto ed elegante, non gli piacevano i fronzoli. Ma sapeva che Renji era un tipo un po’ più stravagante, quindi voleva fare qualcosa che gli piacesse. Idem Renji, non voleva fare nulla di troppo strano, doveva ricordarsi della modestia e della sobrietà.
«Io non ne capisco niente di proposte di matrimonio» sussurrò, parlando a Zabimaru. «Non posso certo chiederglielo qui e ora. Vediamo… in riva al mare? Però fa troppo freddo. Un pic nic? Ah, soffrirei troppo d’allergia. Forse dovrei optare per una classica cena a lume di candela? Non so che fare» borbottò. Yumichika gli aveva dato un sacco di consigli, ma il suo amico era sempre troppo esagerato. Byakuya uscì in quel momento dal bagno, indossava i pantaloni della tuta e aveva i capelli umidi.
«Perché ti sento borbottare da mezz’ora?»
«Eh? No, niente…»
Byakuya si sedette accanto a lui.
«Ascolta, pensavo… perché non facciamo una vacanza?» domandò, sperando di non risultare troppo strano, non era da lui proporre vacanze. Renji in effetti fu stupito.
«In vacanza, davvero? Ma non devi lavorare?»
«Sì, ma posso prendere delle ferie. Pensavo alla Thailandia»
Sarebbe stato perfetto, un posto esotico in cui fare una dichiarazione.
«Thailandia? Mi piace, non ci sono mai stato. A volte hai delle idee interessanti, amore mio.»
Byakuya assottigliò lo sguardo.
«Ho sempre delle idee interessanti.»
Dopodiché afferrò Renji per la nuca e lo baciò, insinuando la lingua tra le sue labbra. Renji lo strinse a sé e sarebbero stati entrambi ben felici di fare l’amore, peccato che i piani saltarono ben presto.
«Mmh, ma… ma a chi è a quest’ora?» domandò.
«Non lo so, vado a vedere» Byakuya si alzò, scocciato, indossando una maglietta.
Tra tutti non si aspettava di vedere sua sorella, gli occhi arrossati dal pianto e che sembrava così piccola.
«Rukia?» domandò. Lei non disse niente. Si fece avanti e lo abbracciò, malgrado suo fratello non fosse mai stato amante di certe effusioni. Ma a lei non avrebbe mai detto no, così la strinse a sé.
 
 
 
   
 
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