Anime & Manga > Capitan Harlock
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Autore: Alexander33    15/02/2023    2 recensioni
Una ragazza poco raccomandabile dispersa tra le pieghe del tempo, un sos misterioso, una soluzione da trovare, un cuore spezzato da guarire.
Genere: Avventura, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harlock, Nuovo personaggio, Tadashi Daiwa, Yattaran
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Il Gate era terminato.

 Questa notizia le fece tremare il cuore. Va bene: nessuno l’avrebbe costretta ad adoperarlo per tornare da dove era venuta; ma le faceva una strana impressione.

Nessuno dei due ne era a conoscenza, ma lei e Harlock avevano avuto il medesimo sentimento di repulsione, al punto che Kaya non volle nemmeno vederlo.

 

Non che si aspettasse baci, abbracci o chissà cosa, ma Yattaran ci rimase male, e Tadashi con lui.

In fondo erano riusciti in un’impresa senza precedenti, una porta sul passato, lì, a portata di mano; ma per il capitano e la diretta interessata era una specie di mostro.


«Non mi piace… non ce la voglio quella macchina infernale qui a bordo…» borbottó mentre sorbiva un bicchiere di rosso in compagnia di Meeme.

 

«Daró ordine che venga smantellata quanto prima. Non ha senso tenerla qui. Tra poco Kaya diventerà mia moglie, e la sua vita passata cesserà di esistere.»

 

Sembrava più riflettere a voce alta che parlare con lei.

 

«Ne hai paura…» osservò Meeme, stupita.

Non conosceva questo sentimento nel suo capitano.

 

«… ha qualcosa che non so spiegare. Non lo conosco e non so controllarlo. Non sembra proprio l’abbia costruito Yattaran, piuttosto uscito direttamente dall’inferno.»

 

Meeme sorrise «Ti spaventa perché sai che potrebbe portarti via Kaya. È solo questo.»

 

«Sì, probabilmente hai ragione tu. Sta di fatto che non ce lo voglio…» Buttó giù una lunga sorsata di vino.

«Domani daró l’ordine, e mi toglieró questo peso.»

 

Sopraggiunse Kaya che era ancora impegnata ad imparare da Kei, erano due notti che non chiudeva occhio e a stento si reggeva in piedi.

 

Meeme si alzò interrompendo ciò che stava suonando.

 

«Vi lascio, Kaya ha urgente bisogno di stendersi».

 

La tavola apparecchiata attendeva solo lei. Si accostò aprendo i vassoi con il cibo tenuto in caldo; stancamente si lasciò cadere a sedere e prese a tormentare con la forchetta quel che aveva nel piatto senza dire una parola.

 

Harlock la osservava con tenerezza: avrebbe voluto che si riposasse, ma lei, testarda, aveva preteso di adempiere ai suoi impegni della giornata ad ogni costo.

 

Le palpebre pesanti facevano sempre più fatica a lasciare aperte le porte sul mondo circostante, chiuse gli occhi solo per un attimo e cadde in un sonno profondo.


 

Arcadia aveva i capelli intrecciati e raccolti sulla nuca in una coda di cavallo che le arrivava alla vita. Gli occhi neri e profondi come l’opale, brillavano in speranzosa attesa.

Le rivolse un sorriso.

 

«Qualcuno ti aspetta, non farlo attendere…»

 

Il luogo era il medesimo, ma ogni volta mutavano le condizioni atmosferiche. Questa volta era una giornata primaverile, col sole tiepido e una brezza frizzante. Il prato era punteggiato di piccole margherite bianche e rosa; qualche nuvola vaporosa correva nel cielo azzurro tenue.

 

«Mi sono stufata dei tuoi messaggi in codice! Se vuoi che ti prenda in considerazione parla chiaro! Diamine! Sei proprio sua figlia…» sbottó Kaya. Ormai questa storia dei sogni era diventata stressante.

 

La ragazza non se l’aspettava e sussultó.

«Non conosco tutto nemmeno io! Ti sto dicendo ciò che apprendo da mio nonno di volta in volta… Lo devi incontrare. Devi trovare il modo di entrare nella sala del computer. Altro non so… ma fallo in fretta!»

 

«Entrare nella sala del computer?! Non conosco il codice! Potrei chiedere ad Harlock di…»

 

«No!!! Lui non deve sapere nulla! Cambieresti il corso degli eventi… Tochiro è stato molto chiaro su questo punto! Harlock potrebbe avere reazioni che non possiamo prevedere. Non è pronto a perderti…»

 

«Hei! Vacci piano ragazzina! Ancora non ho deciso se seguirti in questa follia…» Fece un sorriso sbilenco «le cose sono un tantino cambiate dall’ultima volta…» alzó la mano sinistra muovendo le dita, dove un piccolo bagliore catturó l’attenzione di Arcadia.

 

«Cosa significa?» Il tono era preoccupato.

 

«Proposta di matrimonio… Mi ha chiesto di sposarlo…»

 

La ragazza sbarró gli occhi

«no! Non ci credo!»

 

«Credici tesoro! Adesso non sono più così convinta di darti retta… Non mi era mai successo di essere così felice… Solo una stupida butterebbe nel cesso un’opportunità simile… Una stupida come tua madre!»

 

Arcadia ammutolì e gli occhi le si riempirono di lacrime. 

 

Kaya si sentì in colpa

«su dai… troverai un altro modo per conoscerlo… io potrei parlargli di te. Sono sicura che cercherebbe tua madre in lungo e in largo pur di…»

 

Ma la ragazzina scuoteva il capo, singhiozzando

«No! Non chiedermi come e perché… ma so che tu sei stata mandata nel suo tempo per permettere lo scambio. Se non ci sarà io conosceró mio padre tra moltissimi anni… forse mai!» La disperazione di quella ragazzina era seria e sincera.

 

“È sua figlia… il suo sangue…” e nel cuore di Kaya avvenne qualcosa che nemmeno lei seppe spiegare, una tenerezza, un caldo sentimento che le rapì il cuore. Lì davanti non c’era Mayu ma una bambina, una ragazzina che voleva disperatamente trovare suo padre… e quel padre era l’uomo che Kaya amava. Cosa avrebbe fatto Harlock se avesse saputo di sua figlia?

Kaya lo sapeva: avrebbe buttato all’aria una galassia intera pur di ritrovarla. E i dubbi si sciolsero come neve al sole.

 

L’abbracció come se fosse sua, baciandole i capelli e stringendola forte.

«Sta tranquilla… ci penseró io a te… non piangere.»





 

I rapporti tra lei e Tadashi erano piuttosto superficiali. Dopo un esordio promettente si era tutto risolto in una bolla di sapone, nel momento esatto in cui Tadashi si era reso conto che il capitano l’aveva presa in simpatia; ma adesso aveva bisogno di lui.

Solo tre persone, compreso Harlock, erano a conoscenza della chiave numerica per accedere alla sala computer e tra queste non c’era Kei, per sua sfortuna. Avvicinare lei sarebbe stato molto più semplice.

Ma Kaya era decisa ad aiutare quella ragazzina ad ogni costo: tutto era finito in secondo piano, matrimonio compreso.


Avvicinó il ragazzo in un momento di pausa, era difficile trovarlo solo. Aveva dovuto tenerlo d’occhio per due giorni interi prima di sorprenderlo senza nessuno intorno al distributore automatico lungo il corridoio che conduceva agli ascensori. Gli si avvicinó rovistandosi nelle tasche

«Accidenti! Ho scordato la tessera del caffè… me ne offriresti uno?»

 

Tadashi non si fece pregare. Coinvolgerlo in una conversazione leziosa non fu difficile. Quando si rese conto che il ragazzo era rilassato in sua compagnia sganció la bomba.


«Tadashi… devo entrare nella sala del computer… stanotte.»

 

Tadashi la guardó sgomento, con il sorriso che si riserva ai pivelli inesperti

«non puoi! Nessuno puó entrare li dentro se non in compagnia e su permesso del capitano…»

 

«Sì ma…» Kaya gli cinse il collo con le braccia, allacciando le dita dietro la sua nuca e osservandolo con aria maliziosa «tu conosci il codice per entrare… e se lo volessi…»

 

«Ho detto di no!» con un gesto brusco si sciolse dalle sue braccia «non posso e non voglio disobbedire a un ordine! E poi… che cosa devi fare nella sala del computer? Stai architettando qualcosa?!»

 

Kaya l’osservava, imperturbabile.

 

«Non ci siamo capiti… tu stasera mi porterai li dentro. Devi fidarti di me! E se non lo farai, mi strapperó i vestiti di dosso e mi metteró a urlare come un’aquila, e racconteró ad Harlock che hai tentato di abusare di me…»

 

Tadashi impallidì «tu sei completamente impazzita!»

Si rese conto di essere caduto come uno stupido in una trappola tanto semplice quanto efficace.

 

«Ho detto che devi fidarti di me! Non fare domande e non parlarne con nessuno. Ti do la mia parola che ciò che andró a fare non danneggerà né la nave né nessuno di voi… Tochiro ha qualcosa per me…»

 

Tadashi la guardó e si convinse che quella ragazza era semplicemente folle. Harlock l’amava e lei stava per tradirlo… se fosse andato da lui a raccontare di tutta questa faccenda sicuramente non gli avrebbe creduto. Non restava altro da fare che cedere al ricatto e osservare. Se l’avesse sorpresa a fare un passo falso l’avrebbe uccisa.





 

«Sei così strana in questi giorni…» Harlock stava bevendo un caffè e l’osservava da sopra il bordo della tazza.

 

«Perché? Sono solo più impegnata… Sei tu che vuoi che io impari da Kei…»

 

«Ti alzi dal letto e sparisci per quasi tutto il giorno. Ho l’impressione tu mi stia evitando. Non ti sarai pentita?»

 

Kaya si sentì stringere il cuore, gli gettó le braccia al collo e lo abbracció più stretto che potè, respirando a fondo il suo profumo inconfondibile.

 

«Non lo pensare nemmeno! Non hai idea di quanto io sia felice, ed è solo tuo il merito!» Gli diede un bacio sulla bocca.

 

«Puoi impegnarti un po’ di più, futura sposa…»

 

A queste parole gli occhi di Kaya si riempirono di lacrime, fu come ricevere un pugno nello stomaco. 

 

«Cronaline che ti succede?»

 

E quando la chiamava così traboccava tenerezza, e amore… e protezione… e altre tremila sensazioni talmente intense e dolci che le facevano sempre venire voglia di spogliarsi e saltargli addosso. Stavolta rimase immobile, con le lacrime che le rigavano le guance. 

 

«Niente. È che ti amo troppo…» Deglutì a fatica. Il nodo in gola le fece male, stava scoppiando a piangere ma pensó subito al visetto pallido di Arcadia e trovó la forza di sorridere.

 

«Ti amo davvero troppo…» con una mano gli accarezzó il viso, guardandolo come fosse l’ultima volta.

 

Kaya indossava ancora la corta camiciola che usava per dormire. Aveva i capelli arruffati e gli occhi ancora pieni di pezzetti di sogno. La trovó irresistibile nella sua innocente e pulita normalità.

 

Con calma le sbottonó la lunga fila di bottoncini che tenevano chiuso l’indumento, finché non le scivoló dalle spalle e finì a terra, in un mucchietto ai suoi piedi, lasciandola nuda, fatto salvo per lo slippino.

 

«Fammi vedere quanto».

Kaya s’accostó e lo bació dapprima sul volto e sulle labbra. Poi scese pigramente sul collo e le spalle, e ancora più giù fino a raggiungere i fianchi. Arrivata lí tiró giù quel tanto che bastava il bordo dei boxer e continuó ad assaggiare ciò che si celava sotto.

 

Il capitano chiuse gli occhi e gettó il capo all’indietro.


Harlock si era fatto una doccia, si era vestito ed era uscito dopo averle dato un bacio e una carezza.

Lei era rimasta a letto, con un pensiero opprimente. Quella forse poteva essere l’ultima volta che gli aveva dimostrato il suo amore.

Non voleva essere triste. Lasció che il ricordo e le sensazioni che le aveva lasciato poco prima prendessero il sopravvento e si concentró su ció che l’aspettava quella giornata. 

Uscì dagli alloggi di Harlock per passare dalla sua cabina. Aprì un cassetto e si infiló in tasca l’ocarina.

Tutto era pronto.



 

Si erano dati appuntamento in tarda serata. Tadashi arrivó in ritardo, con incedere nervoso e scocciato. A malapena le rivolse un cenno di saluto.

 

«Stammi lontana, dopo le minacce di ieri non devi avvicinarti a meno di un metro!»

 

Tadashi digitó il codice di 10 cifre sul tastierino accanto alle porte automatiche che immettevano nella sala del computer centrale.

Appena varcata la soglia la ragazza lo chiamó

 

«Hey Tadashi, cosa diavolo è quello?»

 

Il ragazzo si giró e Kaya gli assestó un cazzotto in pieno viso, facendolo crollare a terra tramortito.

 

«Mi dispiace, ma mi devi lasciare il tempo di finire questa cosa…»

 

Non era mai stata lì dentro. Quel macchinario era enorme, imponente; sapere che lì dimorava l’anima di una persona le fece venire i brividi.

 

«Eccomi, sono qui! Cosa vuoi da me?» la sua voce eccheggió cupa tra le alte pareti metalliche.

 

“Sei proprio stupida… pensi forse ti risponda?”

 

Si giró ad osservare Tadashi: era nel mondo dei sogni, ignaro di tutto, e lo invidió.

 

Improvvisamente le lucine e i bip sommessi della macchina sembrarono impazzire, in un caleidoscopio di colori e suoni che le fecero girare la testa vorticosamente. Chiuse un attimo gli occhi e scivoló a terra.

 

“Un altro sogno! Maledizione!”

 

Immersa in un limbo bianco, davanti a lei stava un uomo di bassa statura, dal viso gentile, con spessi occhiali da vista.

 

«Tu sei Kaya! È un vero piacere conoscerti! Il mio amico Harlock ha scelto proprio bene… questa volta sì. È sempre stato un po’ pasticcione nelle questioni di cuore.» Rise affabilmente.

 

«Ma bando alle ciance! Ascoltami, perché non avremo molto tempo. Ora ti consegneró un cristallo… lo userai per alimentare il gate dimensionale. Alla sommità dell’arco c’è un piccolo alloggio: posizionerai lì quel che ti daró. La macchina farà tutto da sola. Quando si formerà la singolarità avrai solo pochissimi minuti per entrarci…» Esitó, e gli occhi gentili la fissarono con commozione.

 

«Ti do la mia parola che tornerai al tuo tempo, alla tua realtà, esattamente nell’istante preciso nel quale sei partita.»

 

«Io… non la voglio la mia realtà! Fa schifo, è una merda…»

 

«lo so, Arcadia mi ha raccontato. E mi ha chiesto se c’è un modo per non farti tornare… e purtroppo ti dico che non c’è. Rimane ancora un mistero tutta questa storia. Forse le preghiere di mia nipote sono state così intense da muovere a compassione anche il tempo… chi lo sa?»

 

La figura che un tempo fu Tochiro Oyama sospiró

 

«giovane Kaya la vita è in mano tua, e puoi cambiarla se vuoi. Non ti mancano né la forza né l'intelligenza. Forse prima ti mancava lo scopo… Harlock ti ha insegnato ad avere fiducia in te, e dimostrato il tuo valore…»

 

«Io lo faccio per loro… perché li amo. Voglio siano felici… del resto non mi importa…»

 

«E lascia ti ringrazi a nome di Arcadia e di Harlock… e sì, anche di quella testona della mia figliola! Kaya il tuo sacrificio non sarà vano…»

 

«Aspetta! Dì ad Arcadia che… le voglio bene. Questa faccenda mi ha dato modo di conoscerla e di amarla… la considero come la figlia che io e lui non avremo mai…»

 

Tochiro annuì

«glielo diró appena mi sarà possibile… ma ora te ne devi andare! Tra non molto Tadashi riprenderà i sensi e la prima cosa che farà…»

 

«… sarà correre da Harlock per avvertirlo del mio tradimento!» finì Kaya.

 

«Ora ti risveglierai. Davanti a te, sul computer si aprirà un piccolo alloggiamento e vi troverai ciò che occorre per far funzionare il Gate. Addio Kaya, e grazie ancora…»

 

Bruscamente il sogno s’interruppe e Kaya si ritrovó a stropicciarsi gli occhi sul pavimento davanti al computer.

 

Si alzó in piedi, e come promesso davanti a lei, nell’enorme macchina si aprì un’apertura dove trovó una pietra.

 

Kaya la raccolse: era una sorta di diamante completamente nero, lucido, grande quanto il palmo della sua mano. Nelle sue profonditá brillavano minuscoli puntini di luce… sembrava un pezzo di cielo stellato tra le sue mani. Spalancó la bocca, meravigliata.

 

Tadashi si mosse… Kaya cominciò a correre in direzione del laboratorio.



 

Si tiró in piedi barcollando… quella puttana l’aveva colpito così forte da fargli perdere i sensi… avrebbe avvisato Harlock del tradimento e poi l’avrebbe uccisa con le sue mani.




 

«Cosa cazzo ti stai inventando Tadashi? Perché avrebbe fatto una cosa simile?» Harlock era furioso e incredulo dopo le accuse mosse da Tadashi alla sua Cronaline. 

 

«Non lo so! Blaterava di qualcosa che le doveva dare Tochiro… sicuramente una scusa…»

 

A quelle parole Harlock sbarró l’occhio

 

«come hai fatto a non capire? Non ha tradito nessuno… lei vuole andarsene!» si alzó di scatto «chiama Yattaran, mandalo al laboratorio: SUBITO!»

 

Mentre correva per i corridoi silenziosi della nave, pensava disperatamente “fa che arrivi in tempo! Ti prego!”



 

Il Gate era davanti a lei. Un semicerchio perfetto di blocchi di lucido metallo scintillante: sembrava un antico architrave ma il metallo gli conferiva un’aria quasi mistica.

 

Aveva poco tempo, con lo sguardo cercó l’alloggiamento per sistemarvi la pietra e lo trovó subito. Era troppo in alto! Si guardó attorno, cercando qualcosa sulla quale salire;  dietro la consolle per attivare il Gate c’erano due casse, che erano rimaste lì dalla costruzione.

Faticosamente ne spinse una sotto l’arco e ci si arrampicó su; dovette alzarsi sulle punte dei piedi per raggiungerlo. Riuscì a incastrare la pietra e non accadde nulla.

Svelta scese dalla cassa e l’allontanó dall’ingresso del Gate.

Forse doveva accenderlo? Accidenti! il pannello dei comandi era così complicato!

 

All’improvviso una luce forte attiró la sua attenzione.

La pietra si era illuminata, e le piccole stelle al suo interno stavano liberando la loro luce che veniva assorbita all’interno del semicerchio metallico, che divenne traslucido.

Al centro dell’apertura stava succedendo qualcosa: era come se lo spazio fisico fosse diventato liquido, come guardare attraverso uno specchio deformante.

Poi si formó un piccolo vortice al suo centro.

 

E in quell’istante irruppe Harlock.

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