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Autore: Nao Yoshikawa    20/02/2023    1 recensioni
Sequel di "Everybody wants love".
Sono passati tre anni, i bambini sono cresciuti e gli adulti sono maturati (più o meno). Nuove sfide attendono i personaggi e questa volta sarà tutto più difficile. Dopotutto si sa, la preadolescenza/adolescenza non è un periodo semplice. E non sono facili nemmeno i vecchi ritorni.
Ciò che è passato deve rimanere nel passato.
Non pensarci.
Non pensarci e andrà tutto bene.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Yaoi, Yuri | Personaggi: Kuchiki Rukia, Kurosaki Ichigo, Nuovo personaggio, Renji Abarai, Urahara Kisuke
Note: AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Byakuya era sempre stato bravo ad ascoltare, ecco perché aveva lasciato Rukia parlare senza mai interromperla. Molte delle cose che gli confidò quella sera, in realtà le conosceva già. Ma non Renji, lui era piuttosto stupito.
«Accidenti» commentò alla fine. «È un bel po’ di roba da digerire.»
Rukia tirò su col naso. Adesso il suo pianto si era calmato, faceva sempre bene sfogarsi con qualcuno. Poi si strofinò gli occhi. Byakuya non si era mai sentito così vicino a sua sorella come in quel momento. Sapeva bene cosa volesse dire perdere la persona che si amava. Con la differenza che la sua non era stata una relazione nascosta e Rukia si era portata addosso quel peso da sola. Se gliene avesse parlato, lui le sarebbe stato accanto senza giudicarla. Ma non era il momento di parlare di questo.
«Sì, io capisco. Se Ichigo ha detto di non volerti lasciare, sono certo che non lo farà. Avrà bisogno di tempo.»
«Non si fiderà mai più di me» sussurrò Rukia.
«La fiducia è una cosa preziosa, ma fragile. Così facile da perdere e così difficile da riconquistare. Ma tu puoi riuscirci. Dovete parlarvi, tutti e due. Passata la rabbia, lui capirà» disse Byakuya, pratico come sempre. Renji invece era la parte emotiva.
«Non immaginavo avessi vissuto una cosa del genere. Pesante per entrambi, io sarei impazzito a mantenere un segreto del genere per oltre vent’anni.»
Rukia abbassò lo sguardo e compì un profondo respiro. Adesso stava un po’ meglio, anche se sapeva che ora sarebbe stato tutto in salita.
«Ho fatto finta che non fosse mai successo. Ma questo non basta a evitare il dolore, adesso sto male il doppio. E, Byakuya, pensavo ti saresti arrabbiato.»
«Io?» domandò suo fratello. Ma non era sorpreso, in effetti. Lui era sempre stato uno molto ligio, uno che rispettava le regole e il buon senso. Forse, vent’anni prima avrebbe trovato fuori luogo la relazione di Rukia con un uomo più grande. Ma adesso vedeva le cose sotto un’altra prospettiva.
«Non sono arrabbiato» la tranquillizzò. «Posso solo consigliarti, sei una donna adulta.»
Anche se per lui sarebbe rimasta sempre la sua sorellina. Rukia sorrise, sollevata. E Renji si gongolò.
«Però, saremmo due bravi genitori, vero? Io quello simpatico ed emotivo e tu quello bravo a parlare e noioso.»
«Noioso?» domandò Byakuya, già offeso. Rukia rise di nuovo, ma questa volta un po’ più forte.
 
 
Quella mattina Kohei stava facendo colazione, ma non era affatto facile. Amava far colazione con zuppa di miso e pesce, ma odiava togliere le spine. Ed era un’operazione meticolosa, che andava fatta con la massima cautela e attenzione, perché già una volta gli era capitato di ingoiarne una. Mentre lui mangiava, Karin e Chad discutevano. In realtà parlavano a bassa voce nell’altra stanza, non volevano che loro figlio sentisse.
«Mi dispiace, io ho soltanto detto a Kohei che deve lottare per quello che vuole. Con lottare non intendevo dire che doveva picchiare Satoshi.»
Chad era affranto. Lui detestava la violenza, per lui si doveva arrivare alle mani solo nel caso in cui fosse necessario proteggere qualcuno in caso di pericolo. Era ciò che stava cercando di insegnare a suo figlio, ma non ci stava riuscendo. In realtà dubitava di star riuscendo in qualcosa.
«Nostro figlio prende tutto molto alla lettera. Ah, e quella brutta crisi… non capitava da tanto» Karin si portò una mano sul viso. L’adolescenza era difficile per tutti, per Kohei un po’ di più.
«Gli sei mancata» disse ad un tratto Chad. «Tu sei molto più brava di me a dare consigli. La verità è che sono terrorizzato dagli adolescenti. Io ero mite e tranquillo alla sua età. Kohei ha una personalità che non so come prendere.»
Alle volte non sapeva come rapportarsi con quel figlio che gli somigliava nel fisico, ma non nel carattere. Questo secondo lui, perché Karin invece le somiglianze le vedeva eccome.
Si avvicinò. Per carattere e per deformazione professionale, alle volte tendeva a essere un po’ severa. Ma non a casa sua, a casa sua voleva essere Karin e basta.
«Io invece dico che vi somigliate molto, siete entrambi sensibili, taciturni, grandi e grossi ma dal cuore tenero. E vi piacciono gli animali. Lo sai, tutti i genitori arrivati a questo punto non sanno mai bene cosa fare. Anzi, penso che non lo sappiamo mai. Non lo sapevamo quando è nato, né quando è arrivata la diagnosi dell’Asperger. In questo siamo tutti uguali.»
Karin gli si era seduta in braccio e Chad l’aveva stretta a sé. A volte si sentiva come se fosse più lui bisognoso di lei, rispetto a Kohei.
«L’uomo che Kohei diventerà un giorno dipenderà anche da come lo stiamo crescendo. È una responsabilità grossa.»
«Se sarà un uomo come te, allora, avremo fatto un ottimo lavoro.»
E poi lo baciò. Non si erano ancora dedicati a quello.
Kohei aveva appena finito di mangiare. Fece per andare da loro, ma quando li vide così vicini si voltò dall’altro lato. Le persone che si volevano bene si baciavano. Era una cosa che a lui disgustava un po’, Naoko era la sua eccezione. Ma Naoko non l’avrebbe baciato mai. E forse nessuno.
 
Gin Ichimaru era generalmente la persona meno tesa che potesse esistere. Non quella mattina. Era arrivato in studio prima di Aizen e quest’ultimo, lavorandoci insieme da anni, aveva notato subito il suo nervosismo: non riusciva a star fermo, gli cadeva tutto di mano.
«Abbiamo preso troppo tè stamattina? Sembri con la testa tra le nuvole, Gin» gli disse.
«Te e sei accorto, eh? E io che pensavo di poterlo nascondere» gli sorrise in modo ironico, ma poi divenne serio. «No, è che… sono preoccupato. Sono preoccupato perché Rin è strana, temo le stia succedendo qualcosa. E sono preoccupato perché la mia domestica ha provato a baciarmi e io l’ho rifiutata, quindi adesso temo che voglia vendicarsi.»
Aizen lo guardò con un’espressione leggermente sorpresa. Non immaginava che avesse tanto da dire.
«D’accordo, con calma. Per quanto riguarda tua figlia, posso capirti benissimo, età infernale questa. Per il secondo punto… questa non me l’aspettavo di certo.
Gin sospirò. Non era da lui preoccuparsi in questo modo.
«Non so se sto diventando paranoico, però…queste cose possono succedere, e per la gente di un certo calibro come noi è ancora peggio. Non voglio finire sulla bocca di tutti, ricordi quando è successo anche a te?»
«Parli del mio tradimento? Grazie per avermelo ricordato» disse Aizen. «Comunque direi di non pensarci troppo, è solo una ragazzina, le passerà.»
Di sicuro Aizen aveva ragione, niente di male poteva accadere, lui aveva la coscienza pulita. Quasi sussultò quando gli squillò il cellulare: era Rangiku e ciò bastò ad aumentare la sua preoccupazione, visto che in genere sua moglie non lo chiamava mai a lavoro.
«Sì, mia cara?» rispose, cercando di apparire tranquillo.
«Gin! Oh, Gin! Io giuro che l’ammazzo quella poco di buono!»
«… Eh? Ma che è successo?» domandò Gin, temendo già la risposta.
Rangiku, nell’enorme soggiorno di casa sua, camminava nervosa bevendo champagne. Ma nemmeno un po’ d’alcol l’avrebbe aiutata!
«È successo che quella stronza scrive sui suoi social delle cose terribili sul tuo conto! Questa è diffamazione, qui se c’è qualcuno che denuncia, quelli siamo noi! Gin, voi siete avvocati, parla con Aizen, parla con chi vuoi, MA FA QUALCOSA!»
Gin dovette allontanare il cellulare dall’orecchio.
«Rangiku, calmati, ti prego.»
«Io non mi calmo. Non permetterò a quella di rovinarti la vita. Sei tu quello che è stato molestato. E anche diffamato. Dobbiamo fare qualcosa!»
Bevve un altro sorso di champagne. Quello non ci voleva, lo pensarono entrambi. Gin non si faceva mai prendere dal panico, anche quando di panico ne provava eccome.
«Va bene, stai… cerca di calmarti, d’accordo? Risolveremo questa cosa prima che diventi un fuoco impossibile da gestire e…»
«Puoi scommetterci che sarà così. Anzi, adesso vengo subito da te!»
Chiuse la chiamata. Aizen era rimasto immobile.
«Ebbene?»
«Ebbene, mi sa che avevo già sottovalutato senza rendermene conto.»
 
Rangiku posò la flûte e afferrò la borsa. Nessuno avrebbe rovinato la sua famiglia, suo marito. Era davvero furiosa e si sentiva anche in colpa, dopotutto era stata lei ad assumere Loly. Afferrò la borsa e aprì la porta. Quasi non si scontrò con Shinji.
«Oh! Shinji!»
«Rangiku. Per caso stavi uscendo?»
«Sì, è un’emergenza. Devi dirmi qualcosa? Ci impiegherai molto?» domandò impaziente. Shinji si irrigidì, fiero.
«Sì, perché riguarda tua figlia. Se vuoi ti do un passaggio, ma devi ascoltarmi attentamente.»
Rangiku all’improvviso si dimenticò di quel problema. Anzi, è più corretto dire che lo mise da parte. Mentre Shinji l’accompagnava da Gin, rimase rigida al suo posto ad ascoltare.
«È successo qualcosa?» domandò. Il solo pensiero lo era insopportabile.
«Miyo mi ha detto che è preoccupata perché Rin ultimamente digiuna e… mi ha anche detto che l’ha vista provocarsi il vomito» le disse senza girarsi attorno, sarebbe stato inutile.
«Ma cosa… ma cosa stai dicendo?» domandò. In realtà, non appena le fu detta quella cosa, ricollegò tutto: l’inappetenza di Rin, il suo essere strana e sfuggente, la sua insicurezza che era venuta fuori pian piano. «Vuoi dire che mia figlia forse è bulimica? O anoressica?»
«Io questo non lo so, so quello che mi ha detto Miyo. E visto che oramai sono un adulto responsabile, dovevo parlare con te. Se fosse successo a mia figlia, avrei voluto saperlo.»
Rangiku congiunse le mani, le strinse forte l’una sull’altra. Ecco cos’era che faceva star male la sua Rin. E adesso? Perché i problemi arrivavano sempre insieme?
«Io… ecco… grazie per avermelo detto.»
«Non mi ringraziare, ringrazia Miyo, altrimenti non ne avrei saputo niente. Vuoi che ci fermiamo a prendere dell’acqua?» poteva solo immaginare il suo shock. Rangiku scosse la testa. Niente panico, si disse. Avrebbe trovato un modo per aiutare sia Gin che Rin. Prima doveva parlarne con suo marito, però.
«Sto bene, io… siamo arrivati. Tu non scendi?»
«Saluta tuo marito e il mio per me. E… Rangiku. Tua figlia è sicuramente molto sensibile e questo mondo fa davvero schifo alle volte. Non che io voglia dare consigli, sto ancora imparando, però… mi incazzo parecchio quando prendono di mira le anime più sensibili.»
Rangiku gli sorrise. Anche Shinji gli parve un’anima sensibile in quel momento, ma non disse nulla. Condividevano la stessa determinazione, malgrado la paura.
 
Tutti al St. Luke non facevano altro che parlare di Senjumaru Shutara. Nemu se n’era fatta una ragione, ma la cosa era piuttosto deprimente. Non che la invidiasse (anche se si sentiva parecchio brutta e anonima da quando era arrivata), ma tutti i suoi complessi da ragazzina insicura erano tornati. Perché Mayuri era passato da una come Senjumaru ad una come lei? Forse solo perché fisicamente le somigliava un pochino? Era terribile. E quella donna infernale la salutava sorridendo compiaciuta, fermandosi a parlare con lei. Sapere che poi lavorassero insieme stava mettendo a dura prova i suoi nervi. Sì, sarebbe scoppiata di lì a breve. Mayuri non l’avrebbe tradita, il problema non era lui, erano le sue insicurezze. Della loro storia poi non sapeva niente: come si erano conosciuti? Si erano amati? E perché si erano lasciati? Mayuri sembrava avere molto rancore nei suoi confronti. Eppure, nel vederli parlare, non poteva fare a meno di provare una sensazione spiacevole, di nausea.
«Mamma! Ma ci sei?»
Ai era appena arrivata, con ancora addosso la sua divisa.
«Tesoro… scusa, stavo solo pensando»
Ai gonfiò le guance.
«Sei gelosa, lo so bene! Non mi piace quella donna, ma papà sa il fatto suo. Noi Kurotsuchi siamo troppo intelligenti per farci fregare» disse Ai con un orgoglio che fece sorridere Nemu.
«Ah sì? E tu invece vieni qui un po’ troppo spesso.»
Ai arrossì.
«Lo faccio… in nome della scienza, è…per un progetto. C-ci vediamo dopo!» mentì, sapendo di non essere credibile.
 
«Lo sai, il fatto che tu venga a parlarmi ogni volta che mia moglie ci guarda, mi fa pensare che sia un modo infantile per farla ingelosire.»
Senjumaru si avvicinava sempre troppo a lui, non capendo che il suo fascino non sortiva alcun effetto. Dubitava fosse lì per portarselo a letto, allora cosa? Voleva solo fargli male ancora?
«Mi credi davvero così infantile? O forse… oh» Senjumaru sorrise compiaciuta. «Forse è tua moglie ad essersi effettivamente ingelosita. Che tenerezza…»
«Mi stai annoiando, tu brutta…»
Mayuri si astenne dal dire qualche brutta parola proprio mentre era a lavoro. Nemu, stufa di starsene lì a sentirsi di troppo, malgrado quello fosse suo marito e il suo posto di lavoro, si avvicinò ai due.
«Mayuri, caro. Io stacco prima stasera, ovviamente ti aspetterò.»
Nemu si era stretta al suo braccio con fare possessivo, il che non era da lei, di solto era piuttosto mite.
«Ah. Sì, certo, non preoccuparti» disse Mayuri avvertendo per la prima volta del disagio. Tra sua moglie e Senjumaru non correva buon sangue, e grazie tante.
«Ma che adorabile coppia, siete molto uniti, vedo» commentò.
«Sì, è così. Noi ci amiamo come il primo giorno. E se te lo chiedi, facciamo anche molto sesso.»
Mayuri sgranò gli occhi e guardò sua moglie. Era forse impazzita?
«Ma davvero? Ma pensa, anche noi ne facevamo molto. In effetti era l’unica cosa in cui funzionavamo.»
«Oh, che seccatura, dovete per forza parlare delle mie abilità sessuali? Senjumaru, di queste scene ne faccio volentieri a meno» disse, severo ma anche più nervoso di quanto avesse voluto. Senjumaru però lo ignorò.
«Scommetto che non ti ha detto perché ce l’ha tanto con me. E dire che siete sposati da anni.»
Nemu spalancò gli occhi. Di sicuro Senjumaru non stava mentendo, non gli stava dando quell’impressione. Guardò suo marito, il quale era arrossito.
«Come al solito non hai rispetto per niente e nessuno.»
La stretta della sua mano sulla spalla di Nemu si era fatta più forte. Perché doveva essere costretto ad affrontare un passato oramai così lontano? Nemu invece aveva perso l’uso della parola. In confronto a quella donna, si sentiva sempre in svantaggio.
 
Ai diventava davvero una gran chiacchierona in compagnia di Akon, le piaceva usare grandi paroloni per mostrarsi grande. In realtà Akon la stava ascoltando distrattamente, visto che era alla ricerca del senapi Yamada e ora lo stava cercando ovunque.
«Emh… tu ce l’hai la fidanzata?» si azzardò a chiedere, dal momento che erano abbastanza in confidenza.
«No… A dire il vero no. Ma dove sarà il senpai Yamada?»
Ai arrossì. Bene, al diavolo la timidezza, ce la poteva fare.
«Oh, capisco. Allora… allora perché non ci fidanziamo noi due?»
Questo servì ad attirare finalmente tutte le attenzioni di Akon. Il medico pensava che scherzasse, ma la sua espressione era fin troppo seria.
«… Come, prego?»
«Oh, ovviamente non intendo adesso. È illegale, e poi mio padre ti staccherebbe la testa. Posso aspettare qualche anno.»
La dichiarazione da parte di una dodicenne non se l’aspettava di certo. Ai risultava anche tenera, il problema era la sua serietà.
«Non pensi che sono un po’ troppo vecchio per te?»
«Dodici anni è la stessa differenza che c’è tra i miei genitori. Quando io avrò vent’anni, tu ne avrai trentadue, così potremmo stare insieme senza problemi, no?»
Come poterle spiegare che una cosa del genere era altamente improbabile? E Yamada senpai intanto continuava a non trovarsi, ma che fine aveva fatto? Aprii una porta, lì si trovava più che altro uno dei magazzini: al suo interno c’erano Hanataro Yamada e Natsumi avvinghiati che si baciavano come se non ci fosse un domani. Oh! Hanataro, così timido e all’apparenza innocente, era stato beccato a palpeggiare una ragazza che, bisognava ammetterlo, aveva sognato quel momento per tanto.
«A-Akon… Ai?!» esclamò il giovane chirurgo, rosso in viso. Ai fece per dire qualcosa, ma non riuscì a dire niente. Natsumi fece spallucce.
«Che volete che vi dica, quando la passione arriva, non c’è niente da fare. Ora scusate, eravamo impegni, non dite a nessuno che siamo qui. Ciao, ciao.»
Con molta nonchalance, Natsumi richiuse la porta, lasciando i due lì a bocca aperta.
«Interessante» commentò Ai.
«Ti prego, non dirlo. Comunque… io credo davvero che dovresti frequentare qualcuno della tua età. Ci deve essere qualcuno che ti piace.»
Ai arrossì e immediatamente le venne in mente Hikaru. Loro si erano sempre piaciuti e non aveva certo smesso di essere così. Ma doveva ammettere che lo aveva messo da parte parecchio.
«Sì, c’è un ragazzo che mi piace. Però mi piaci anche tu. Pensi sia possibile?»
Akon sospirò. Le portò una mano sopra la testa.
«L’amore è una cosa molto complicata, tu stai iniziando a scoprirlo adesso. Ascolta questo consiglio come se fossi… una specie di tuo fratello maggiore, diciamo. Se quel ragazzo ti piace, dovresti farti avanti. Sei una ragazzina intelligente, brillante e molto matura per la tua età.»
Ai arrossì. Certo, era fastidiosa l’idea di essere rifiutata, ma era una possibilità che aveva tenuto di conto.
«Vuol dire che se avessimo avuto la stessa età, ci saremmo messi assieme?»
«… Non lo escludo. Comunque adesso sarà meglio tornare indietro. Altrimenti Kurotsuchi potrebbe davvero tagliarmi la testa.»
 
 
Ishida quel giorno non riusciva a lavorare. Non sapeva cosa stesse succedendo, ma il suo malessere era aumentato. Aveva un mal di testa lancinante e, inoltre, vedeva cose. Non che avesse le allucinazioni, ma all’improvviso arrivavano dei flashbacks. O almeno credeva si trattasse di questo. Si trattava di scene frammentarie, senza un ordine preciso. E, soprattutto, di sensazioni. Senso di colpa. Vergogna. Qualcuno che lo toccava, ma non era una bella sensazione. Si trattava di un adulto di cui avrebbe dovuto fidarsi. Sarà il nostro piccolo segreto. Non devi dirlo a nessuno, questa cosa rimane fra te e me, vero Uryu?
Non voleva che chiamasse il suo nome. Si sciacquò la faccia a osservò il suo riflesso allo specchio. Improvvisamente era come vedersi di nuovo dodicenne, timido, spaurito, indifeso. Il sé stesso di tanti anni prima stava gridando, stava riemergendo per far sentire la sua voce. Ma cos’erano quei ricordi? Erano successi davvero o li aveva solo sognati?
Si portò una mano tremante sul viso. Improvvisamente era come avere un nodo in gola, come non poter più respirare. Si accasciò. Avrebbe tanto voluto sentirsi protetto in quel momento.
 
Ichigo era andato alla ricerca del suo collega. Non parlavano in modo decente da un pezzo, non gli aveva nemmeno parlato di ciò che era successo a Kaien a scuola. Però non gli importava, era preoccupato per il suo migliore amico, soprattutto dopo aver parlato con Tatsuki.
«Ishida, oh! Ma dove sei? Non è da te sparire!»
I bagni fu il primo posto dove lo cercò, in realtà senza che se ne rendesse conto era il suo istinto a guidarlo. Ishida in effetti era lì, se ne stava accasciato pallido e visibilmente sconvolto.
«Ehi… ehi, che c’è? Ti senti male?» Ichigo si chinò subito di lui. Ishida lo guardò e poi gli si aggrappò addosso.
«Adesso capisco… adesso ricordo. Io con Yuichi ho sbagliato tutto.»
Yuichi? Cosa c’entrava adesso?
«Piano, respira. Di cosa stai parlando?»
Ishida continuava a scuotere la testa. Non sembrava lucido, era tremendo vederlo così, col fiato corto e fuori controllo, lui che invece il controllo lo aveva sempre avuto.
«Io dico sempre di essere preoccupato che a Yuichi possa accadere qualcosa. Ma forse non è questo… forse… forse quel qualcosa è successo a me. Forse sto diventando pazzo, perché ho iniziato a ricordare delle cose e io…»
Ichigò spalancò gli occhi. Capì subito cosa stava accadendo e come primo istinto lo abbracciò.
«Va tutto bene, ci sono io. Adesso nessuno può farti male. Devo chiamare Tatsuki.»
Ishida stava piangendo. Ed era dilaniante vederlo così. Ma perché lui, che era il suo migliore amico da tanti anni, non si era mai accorto di nulla?
 
Di quanto successo, So Fon, Yoruichi e Kisuke non ne avevano ancora parlato. Ma avrebbero dovuto e sapevano tutti e tre che da questo non si scampava di certo. Yoruichi stava correggendo una pila di compiti nel suo ufficio, ma era distratta. Soi Fon era appena tornata, aveva avuto ben due colloqui di lavoro e c’era una buona possibilità che uno dei due andasse in porto.
«Yoruichi, io… posso dare una mano in qualche modo? Preparo la cena?» si offrì Soi Fon.
«Non preoccuparti per quello, è ancora preso. Piuttosto noi dovremmo parlare» Yoruichi si tolse gli occhiali da lettura e la osservò. C’era stato un tempo in cui si erano sentite molto attratte l’uno dall’altro, ma quella era stata solo un’attrazione, Soi Fon molto più immatura. Adesso però le cose erano diverse e ad essere coinvolti erano in tre. Kisuke entrò in soggiorno ed ebbe l’istinto di tornare indietro, ma non lo fece.
«Eeeehi. Come siete serie, ragazze mie» disse con un sorriso. Yoruichi lo guardò male e lui tornò subito a essere serio.
«Sì, lo so. Dobbiamo parlare. È solo che è una situazione un po’ strana. Spero che non ti sia sentita forzata, Soi Fon. Perché non so se potrei perdonarmelo.»
Soi Fon arrossì, anche un po’ piccata.
«Sono abbastanza matura da pensare con la mia testa ed è stato questo il caso.»
Kisuke arrossì. Di certo non era sua intenzione farla passare per una bambina, anzi.
«È stata una cosa consenziente e voluta da tutti e tre. Anche se mi rendo conto che, visti i retroscena e la differenza di età, risulti un po’ strano» ammise Yoruichi. Era sempre meglio essere chiari in quelle situazioni, peccato che di chiaro ci fosse ben poco.
«Oh, beh… l’età non è un problema. Solo… vorrei sapere adesso cosa siamo» disse Soi Fon. Era quello che avrebbero voluto sapere anche i due coniugi. Quello che c’era stato era stato bello. Inoltre andavano d’accordo e si trovavano bene insieme anche nella convivenza, anche nella vita di tutti i giorni. Ma questo quindi che voleva dire^
«Oh» Kisuke si portò una mano tra i capelli. «Non ho mai avuto una relazione a tre.»
«M-ma Kisuke!» esclamò Yoruichi. «Nessuno ha parlato di questo…»
Era assurdo. O almeno credeva. Non era come se già avessero una relazione a tre? Già vivevano insieme, avevano anche fatto sesso. Ma c’erano troppe cose di cui tenere conto, i suoi figli ad esempio e anche il fatto che, essendo Soi Fon molto giovane, avrebbe anche potuto cambiare idea.
«Va bene, ma mi sembra sgradevole definirci amanti. A me Soi Fon piace, mi è simpatica, è matura, è intelligente e poi… beh, è anche molto dominante a letto, ho apprezzato.»
Tipico di Kisuke Urahara affermare certe cose con estrema facilità. Soi Fon arrossì e si nascose il viso dietro le mani. Era tutto troppo per lei.
«Vi prego, non siete costretti a…»
«Va bene, calma» Yoruichi prese in mano la situazione. «Siamo andati a letto insieme una volta e mi rendo conto che potrebbe riaccadere, considerando che c’è una forte attrazione tra tutti e tre. Ma iniziare una relazione è una cosa seria, dobbiamo capire se può funzionare, soprattutto, se Soi Fon sarebbe disposta.»
La guardarono entrambi e Soi Fon divampò. Perché tutte le attenzioni erano su di lei? Riguardava anche loro!
«E…e voi allora?»
«Noi? Noi siamo sempre stati molto aperti» disse Kisuke. «Però, ecco… tu sei una ragazza così giovane e piena di sogni, magari non hai voglia di impegnarti con due vecchi come noi.»
Yoruichi gli lanciò una gomitata.
«Vecchia a chi?»
Soi Fon si mise a ridere. D’accordo, si era detta. La fiamma per Yoruichi si era riaccesa e ne era nata una nuova per Kisuke Urahara. E lei piaceva a loro. Non aveva mai nemmeno avuto una relazione tradizionale, non osava nemmeno pensare come fosse averne una a tre. Però in quel posto si sentiva a casa, forse voleva pur dire qualcosa.
«Io… vorrei continuare a vivere così e… a vedere cosa succede» disse soltanto. Era rischioso, certo. Ma oramai era successo, per cui era inutile farsi troppo problemi.
«D’accordo, allora vediamo che succede» disse Yoruichi. «Possiamo fare tutto con calma e…»
«Se vuoi puoi dormire con noi, il letto è grande… AHI!» gridò Kisuke.
Sua moglie lo aveva appena colpito di nuovo.
«Mi sembrava di aver appena detto che ci saremmo andati piano!»
 
Yami ascoltava distrattamente le chiacchiere dei suoi genitori e di Soi Fon, anche se non era molto interessata alla conversazione. Se ne stava contro il muro, seduta, Kisuchi il gatto sulle sue gambe. La sua vita non stava andando a rotoli, no affatto. Poteva gestirlo, che le importava se l’avevano violata in quel modo? Comunque non poteva parlarne con nessuno, sua madre le avrebbe detto che era colpa sua. Le veniva da piangere perché lei non aveva fatto niente di male, eppure sentiva gli occhi giudicanti di quei maledetti che osservavano un suo scatto fatto in un momento intimo.
Hikaru la vide e le si sedette accanto.
«Yami. Senti, di questa cosa…»
«No, non ne parleremo con nessuno. Preso se ne dimenticheranno»
Hikaru però era preoccupato.
«Yami, io mi preoccupo per te, e anche Ai. Guarda che lo so che stai male, lo sento. Sento sempre tutto ciò che senti tu, è il super potere dei gemelli.»
Yami non disse niente. Non voleva prendere quel discorso.
«Hikaru. Tu mi vuoi bene anche se sono così?» domandò. Hikaru si sorprese. Così come? Per lui sua sorella era una persona, ma anche la metà di sé stesso. L’abbracciò.
«Sempre.»
 
 
Tatsuki era arrivata in ospedale col cuore in gola. Lo sapeva, era sicura che sarebbe successa una cosa del genere mentre non c’era, accidenti.
«Mamma, dov’è papà? Posso andare da lui?» domandò Yoshiko in braccio a lei, un po’ imbronciata.
«Adesso arriva. Stai tranquilla.»
Yuichi non c’era, anche se era stato avvisato di quanto accaduto. Kanae e Ryuken invece, i genitori di Uryu, c’erano eccome.
«Come sta mio figlio? Posso vederlo?» domandò Kanae e Ichigo.
«Non preoccupatevi, Uryu sta bene. Cioè… fisicamente sta bene, psicologicamente non molto» sussurrò. Ryuken sospirò, serio.
«Non potrebbe stare bene, ovviamente. E io che credevo che la sua sindrome post traumatica da stress fosse passata.»
Ichigo si irrigidì a sua volta.
«Sì, Tatsuki mi ha accennato, ma trovo comunque assurdo che abbiate lasciato correre. Insomma, ha perso la memoria, non mi sembra che una persona del genere possa definirsi guarita!»
«Non parlare di cose che non sai, ragazzino. È molto più complicato di quanto pensi. Tu non c’eri» Ryuken gli arrivò vicino, guardandolo con sfida.
«Beh, ci sono adesso» ribatté lui.
«Vi prego» disse Kanae. «Adesso non è il momento.»
Quella donna aveva ragione. Era inutile starsene lì a discutere.
«Comunque potete andare da lui.»
Anche Ichigo era sconvolto. Non aveva mai visto Ishida ridotto così male. Adesso tutto iniziava ad avere senso ed era spaventoso.
 
Tatsuki fu la prima ad entrare, con in braccio la piccola che era impaziente.
«Pa-pà!»
Uryu adesso si era ripreso, ma aveva comunque un’espressione stravolta. A Tatsuki parve per la prima volta sfibrato, stanco. Ma nonostante ciò sorrise.
«Ciao piccola. Tatsuki.»
Sua moglie si avvicinò e lo abbracciò, baciandogli la fronte.
«Uryu… va tutto bene, okay? Scusa… lo sapevo e non ti ho detto niente.»
Lui ricambiò la stretta, debolmente.
«Non è colpa tua. Alcuni ricordi sono pericolosi proprio perché non fanno rumore. Ma ora capisco. Ora capisco tutto.»
Si era detto, ho la PSDT. Inconsciamente, doveva averlo sempre saputo. Il solo pensiero di ciò che gli veniva in mente, lo nauseava. Si sentiva sconfitto, ma se era arrivato a quel punto nella sua vita, allora forse non era poi così sconfitto.
   
 
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