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Autore: adrienne riordan    20/02/2023    0 recensioni
[La calaca de azùcar]
La vita a Esqueleto sembra tranquilla ma non lo è affatto. A farne le spese saranno i suoi abitanti, quelli nuovi, quelli vecchi e... quelli antichi.
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai
Note: Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Giorno 8 ottobre “Infezione”

Sapevo che questo momento sarebbe arrivato: il quarto volume di Calaca ha finalmente rivelato l’identità della dea Mictlancihuatl e, devo dire, è stata davvero una bella sorpresa per me, molto gradita (anche se, devo ammetterlo, i segni per riconoscerla, nel fumetto, c’erano pure stati ma, col senno di poi, sono capaci tutti). Vedere *quel personaggio* (no spoiler) interagire con Dorian, quando pensavo che fosse tutt’altra divinità, mi ha sciolto in un brodo di giuggiole!

Credo dunque che, per quanto abbia amato il mio personaggio originale, Alma, sia ormai giunto il momento di chiudere questo mio arco narrativo parallelo, creato dal mio iniziale bisogno di colmare quasi due anni di attesa per il terzo volume, chiusa in casa a causa della pandemia, per poi adattare le future storielle, eventualmente partorite dal mio neurone fanwriter, alla trama ufficiale. Questa narrazione parallela non si concluderà certo con questo capitolo, ma non mi sembra il caso aspettare altri due anni per farlo; d’altro canto, non me la sento nemmeno di interrompere questo ciclo di fanfiction: giacché il mio neurone aveva plottato altri prompt per quel lontano e famigerato goretober, tanto vale buttar fuori tutte le idee. Questo capitolo, ad esempio, era in bozza da mesi, e finalmente sono riuscita a scriverlo. Ho in preventivo gli ultimi due capitoli, dopodichè adios hermana (semicit.).

 

Infezione

“Allora, è grave?”. La voce, ad un orecchio attento, lasciava trasparire un certo nervosismo mentre il richiedente scrutava l’amico, intento a valutare la paziente seduta davanti a loro. Quest’ultima non faceva altro che passare il suo sguardo incredulo tra le due divinità che, di fatto, l’avevano tagliata fuori dai loro discorsi fin dall’inizio, pur essendone palesemente l’oggetto. Tale scetticismo, dopotutto, era abbastanza giustificato, dal momento che le due divinità stavano trattando Mictlancihuatl come una fanciulla gravemente malata, condizione decisamente impossibile nel Mictlan. Era da diversi secoli che l’anima dell’umana sacrificata viveva nella morte; le malattie non erano più un problema Laggiù, tra defunti e divinità immortali. Non che se la fosse passata bene, i primi tempi: subiva angherie da, praticamente, tutti (beccate di quaglie e morsi di ragno a random, servitori di Mictlantechutli pronti a picchiarla al minimo sbaglio di lei, su ordine del sovrano stesso – anzi, talvolta ordinava pure una razione in anticipo) ma, nell’ultimo periodo, stava bene. Mictlancihuatl eseguiva alla perfezione anche i compiti prima impossibili per lei, e questo aveva ridotto enormemente il numero di punizioni subite. Ragni e barbagianni si avvicinavano a lei per farsi fare una carezza. La fanciulla non sembrava più temere quel luogo lugubre, anzi, talvolta la si poteva sentire canticchiare mentre andava di qua e di là, impegnata in qualche faccenda ancora prima che le venisse assegnata.

Se già il contrasto tra la sua… vitalità e la domanda era strana, il culmine della stranezza era che, a porre quella domanda, era stato nientemeno che il Signore del Mictlan in persona. Che Mictlantechutli si interessasse alla salute della più disprezzata tra i suoi sottoposti raggiungeva l’apice del grottesco. Tuttavia, il numero di stranezze accumulate dalla sua servitrice stava via via aumentando: una situazione del tutto inedita. Aveva deciso che la situazione non poteva più essere ignorata quando nessun servitore, inspiegabilmente, osava più avvicinarsi a lei malgrado gli ordini ricevuti dal sovrano. Ma non poteva essere considerata disobbedienza: in totale conflitto tra due forze opposte (non toccarla oppure farle del male), il servitore coinvolto finiva semplicemente… col rompersi, letteralmente.

“In effetti, trovo molto, molto strano vedere un tuo servitore così in forma, dopo tutto il tempo trascorso dalla sua dipartita” commentò perplesso Painal, il dio della medicina venerato dai guaritori mortali, mentre, con piglio da luminare consumato, teneva una presa salda sulla mandibola di Mictlancihuatl, guadagnandosi un’occhiataccia torva (per quanto possibile dalle ossa fisse) della fanciulla, e scrutava le orbite oculari, le cavità nasali e la bocca.

“Da quanto tempo è in queste condizioni?” proseguì scrutando tra i capelli sciolti della sua paziente.

“Da circa un secolo… dopo un incidente” rispose Mictlantechutli dopo una breve riflessione.

“Lo chiamate incidente? Davvero?!” sbottò la ragazza.

“Parla solo se interpellata!” la ammonì il re.

“Sì, mio Signore” aveva risposto in modo rispettoso, ma del tutto privo della paura che avrebbe avuto un tempo. Altro sintomo strano. Il suo silenzio, comunque, non durò molto: “Ehi!” esclamò indignata, mentre Painal provvedeva ad abbassarle le spalline del vestito, e schioccò un rapido ma deciso schiaffetto alla mano del dio. Se lo avesse fatto a Mictlantechutli, il suo scheletro sarebbe diventato seduta stante becchime per quaglie; in effetti, qualunque altra divinità avrebbe potuto richiedere la medesima punizione, a tale oltraggio. Painal si lasciò sfuggire, al contrario, un sorriso divertito, seppur appena accennato. Anche quella reazione della fanciulla, nella sua mente analitica, era diventato un indizio pronto ad avvicinarlo ulteriormente ad un’ipotesi diagnostica piuttosto interessante. Si prestò dunque a parlare direttamente a lei, per la prima volta:

“Devo valutare la qualità del tuo respiro, signorina. Abbassa leggermente le spalline, in modo da lasciare libera la schiena” spiegò pazientemente, come se si rivolgesse a una bambina con la paura dei dottori. Grottesco voler esaminare uno scheletro come se fosse stato un corpo completo, ma chi era Mictlancihuatl per dubitare delle azioni di un medico divino?

“Ma io sto bene, divino Painal” obiettò la ragazza. Conosceva di vista quella divinità, andava spesso a trovare Mictlantechutli. Aveva intuito il rapporto tra le due divinità ma, intelligentemente, non se ne era mai curata. Non erano affari suoi, dopotutto.

“È questo il problema. E ora, fa’ quello che dice il medico” si intromise, tutt’altro che con delicatezza, il Signore del Mictlan.

Mictlancihuatl diede le spalle alle due divinità e scoprì la sua schiena, come le era stato ordinato.

“Fai dei respiri profondi… così…” beh, almeno Painal era professionale. Passò un lungo minuto, mentre la divinità esaminava il suo respiro, dopodiché la lasciò rivestirsi.

“Bene, ho finito. Ora vorrei farti qualche domanda, se non ti dispiace” la stava davvero trattando con gentilezza? Era davvero una situazione inedita, da quando Malintzin era morta.

“Allora, il tuo Signore mi ha detto che soffri di mal di testa”.

“Non sempre, solo qualche volta” confermò la ragazza.

“Quando?”

“Quando loro sono troppo agitati. Mi danno sui nervi”.

“Loro chi?”

“I morti, divino Painal”

“Sei dispiaciuta per la loro condizione?”

“Beh, non proprio. Voglio dire, mi hanno mandato loro a morire, no? E comunque, alcuni di loro creano troppo…scompiglio. Persino il mio Signore, ad un certo punto, si spazientisce, si dirige nel Chiucnāhuāpan, il settore più profondo del Mictlan, dove soggiornano tutte le anime dei defunti, e ZAC!” mimò un fendente nell’aria “fa a pezzi i più facinorosi con la sua falce!”.

“A quel punto, ti passa il mal di testa”

“Non sempre, divino Painal”

“Come fa a passare?”

“Mi passa soprattutto quando loro si sentono al sicuro nella loro nuova casa”

“Capisco. Bene,  cercherò di individuare la causa dei tuoi mal di testa, signorina…?”

“Mictlancihuatl” rispose la fanciulla, usando il nuovo nome con cui era conosciuta in quel luogo.

“Che nome interessante” commentò il Medico con educazione.

“Il mio Signore è preoccupato per i miei mal di testa?” chiese con tono molto, molto scettico.

“Torna a sorvegliare le ossa, ragazza” la congedò il sovrano e la fanciulla reagì prontamente all’ordine. Fece la riverenza ad entrambi – più profonda e ossequiosa per il suo re, naturalmente – e lasciò la stanza.

“Sei preoccupato per i suoi mal di testa, Mictlantechutli?” al contrario della ragazza, Painal pose la domanda con un misto di ilarità e serietà.

“Neanche per sogno” esclamò il sovrano, senza lasciar spazio al minimo dubbio sulla questione. “Tuttavia, un morto non può provare sensazioni fisiche, nel mio Regno. Niente fame, niente sete, niente dolore. Niente di niente”. Andò ad accomodarsi sul proprio trono, dopodiché fece accomodare l’amico.

“E, se chiamati al tuo servizio, non sentono nemmeno di avere una coscienza”.

Painal lo sapeva. La popolazione umana di quel tempo aveva un grande pregio, agli occhi dei loro governanti: era estremamente ubbidiente. Nessuno metteva in dubbio gli ordini, l’idea di rivoltarsi contro i propri padroni non passava nemmeno per l’anticamera del cervello. Se il destino di quella gente era quello di servire, lo avrebbe fatto con dedizione assoluta, anche perché la punizione, in caso di mancanze, sarebbe stata terribile. I governanti terreni erano come dei sulla terra; era logico che, una volta chiamati a servire gli dei nell’altra vita, in uno qualsiasi degli Oltretomba esistenti, l’ubbidienza sarebbe stata totale e assoluta. La conversazione appena avvenuta lo confermava: l’agitazione non era tollerata e veniva repressa senza alcuna pietà.

C’era tuttavia una caratteristica che accomunava le anime dei sacrificati nei Giorni dei Morti, designate a servire il Signore del Mictlan: nel momento in cui tornavano in possesso delle loro ossa, diventavano letteralmente delle marionette senza alcuna coscienza di sé stessi. Le ossa dei defunti erano gelosamente custodite in un settore, mentre le anime dimoravano in un altro settore del Mictlan. Possedere le ossa di qualcuno equivaleva a possedere il potere su quell’anima. Per poter servire il proprio Signore, le anime tornavano in possesso delle ossa, per divina intercessione. Ma l’energia del Mictlan, come un parassita, esigeva un prezzo per l’utilizzo di qualcosa che non apparteneva più alle anime, pur mantenendo un legame, ma al Mictlan stesso: progressivamente, la magia, al pari di una grave infezione, annullava la volontà di quelle anime, rendendole schiavi senza voce, fino al momento della sostituzione con altri servitori meno danneggiati. Non vi era la minima possibilità di disubbidienza e solo la volontà del Sovrano avrebbe implicato di nuovo la separazione tra ossa e anima – e, forse, l’anima avrebbe potuto ritornare in sé … o rimanere danneggiata per l’eternità.

Lo stesso destino sarebbe spettato a Malintzin. Piano piano, la sua mente si sarebbe azzerata. Nel frattempo, avrebbe passato le pene dell’inferno, prima di diventare una marionetta a sua volta. Anzi, nei piani di Mictlantechutli, il suo tormento sarebbe dovuto proseguire anche dopo tale lobotomia.

Eppure, questo non avvenne mai. Nessuna infezione l’aveva mai danneggiata: Mictlancihuatl non perse mai la sua coscienza. Non perse mai il controllo sulle sue ossa.

“Avevi accennato ad un incidente. Puoi descrivermi cosa è successo di preciso?”.

“Non ho altro modo per definirlo, non mi era mai capitato niente di simile prima d’ora. Avevo fatto rinchiudere Mictlancihuatl dentro una piccola caverna, come punizione per un suo atteggiamento insolente”. In realtà, la ragazza non aveva fatto nulla di male: obbediva agli ordini senza discutere, com’era giusto che fosse. Eppure, dopo aver scoperto l’identità di Quetzalcoatl e il motivo per cui era lì, non aveva fatto granché per mostrare quel che pensava della situazione. Non aveva più fede. Era ubbidiente come sempre, ma ogni sua fibra trasmetteva freddezza e disprezzo verso entità che riteneva, giustamente, più grandi di lei ma che si erano comportati, nei suoi confronti, come i più meschini tra gli umani. Eseguiva gli ordini, questo sì, ma non in modo abbastanza devoto e questo, ovviamente, fu sufficiente a Mictlantechutli per punirla. “Vi rimase per molti giorni, e non aveva fatto altro che gridare per il terrore di quell’antro tanto angusto da essere come una tomba. Poi, un giorno, quelle grida cessarono. Xolotl, su mio ordine, la liberò, convinto di trovarla impazzita. La trovò invece appoggiata alla nuda pietra, protesa ad ascoltare qualcosa con la massima attenzione. I fiori che aveva portato con sé dal mondo dei vivi avevano attecchito al suolo del Mictlan”.  Non aggiunse altro, pensieroso. La donna, da quel giorno, aveva continuato a subire in silenzio, ma non aveva più guardato il suo Signore con terrore. Anzi, era tornata ad esserci persino un rinnovato atteggiamento di riverenza nei confronti del sovrano – solo nei suoi. Tra un dovere e un supplizio, tuttavia, il re aveva notato come l’inquietudine di un’anima sveglia in un mondo di morti le crescesse dentro: da dove veniva tale inquietudine? Cosa la provocava? Non lo sapeva lei, non lo sapevano Mictlantechutli e Xolotl. A quella inquietudine, aveva trovato un’unica valvola di sfogo: sistemare le ossa accatastate che aveva trovato per caso. Il suo tesoro.

“Sembra felice del compito che le hai affidato” commentò l’amico, rammentando l’ultimo comando del sovrano alla ragazza e la sua leggerezza nel correre a svolgerlo.

“Le piace sorvegliare il mio tesoro”.

Painal non aveva remore a parlare con schiettezza al sovrano del Regno dei morti. Mictlantechutli, dal canto suo, si era sempre sentito libero di parlare con lui altrettanto liberamente. I Giochi tra le due divinità erano leggendari: da essi dipendeva la decimazione, o meno, del genere umano. Mictlantechutli lanciava la sfida: quante perdite ci sarebbero state, prima che l’epidemia diffusa con un certo tasso di mortalità venisse debellata? Painal donava indizi agli umani: spettava a loro trovarli, utilizzarli e, con l’aggiunta di un po’ di benevolenza divina, salvarsi. Da un lato, tali Giochi erano utili alle due divinità immortali per ammazzare il tempo e la noia; dall’altro lato, tali calamità erano utili all’umanità stessa che accresceva, vincendo, la durata media di vita e la sua qualità. Al pari di una pianta che non cresce sana e forte senza una bella potatura, allo stesso modo, un’epidemia ogni tanto non poteva che fare bene, su larga scala. Se non fossero divinità, il loro atteggiamento avrebbe potuto essere considerato oltremodo cinico e abominevole; ma d’altronde, come sarebbe stato possibile ottenere un bene superiore se non attraversando le difficoltà e sacrificando sé stessi? Xipe-Totec stesso non aveva dato il mais agli umani: aveva dato loro gli strumenti per procurarselo. Gli umani non usavano correttamente gli strumenti donati? Avevano ignorato per negligenza le tecniche di coltura? Conseguenza: carestia. Gli umani volevano vivere più a lungo e nel pieno della loro forma fisica? Dovevano cercare un rimedio alle malattie. Logico, no? Poi, chiaro, poteva sempre accadere che qualche divinità si svegliasse la mattina con l’idea: “oggi sono un po’ incazzato, aspetta che distruggo il mondo e i suoi abitanti”.

“Pensavo che la permanenza della fanciulla nel tuo reame dovesse essere una condizione penosa” commentò il dio medico.

“Fornisce un servizio particolarmente utile. Non avevo idea che le quaglie stessero beccando le ossa… stupidi pennuti… se ne era accorta lei”.

“Ossa danneggiate…”

“Sì, agitano le anime a cui appartengono e questo porta caos nell’ultimo livello del Mictlan, costringendomi ad intervenire per ripristinare l’ordine” prese una piccola pausa, prima di concludere “Ma da quando la sorveglianza è stata potenziata, quel problema specifico non si è più ripresentato”.

“Quindi le hai ordinato di fare la guardia”.

“Non l’ho fatto”.

“Come?”

“Pensi davvero che avrei mai dato fiducia ad una come lei al punto da farla avvicinare al mio tesoro? Era lei che andava lo stesso. E, vedendo che se la cavava bene, l’ho lasciata proseguire”.

“Una sua libera iniziativa…” commentò con l’aria di aver acquisito un importante indizio.

“Non è stata l’unica”.

“Parlamene”.

“È in grado di uscire dal Mictlan, poi torna con le ossa disperse nel mondo”.

“Le hai dato la dispensa di uscire dal Mictlan? Ma che ti dice il cervello?”

“Esce da sola”. Questo sconvolse davvero Painal. Era la cosa più assurda di tutte quelle che aveva appena finito di sentire.

“Non è possibile, per un morto, uscire dal Mictlan da solo!” esclamò inorridito.

“Quei fiori…” mostrò alcuni boccioli seminascosti nel terreno – Painal sgranò gli occhi: quindi crescevano davvero delle piante nel Mictlan? -  “le indicano la strada. Xolotl non riesce ad estirparli”.

“Ma…perdersi non è l’unico pericolo. C’è di tutto lungo la strada, senza la guida di Xolotl, un’anima umana resterebbe intrappolata”.

“Eppure, per lei è una passeggiata”

“Non fugge. Hai detto che torna con altre ossa”.

“Nessuno ha la tendenza a fuggire. Nemmeno le anime più agitate ci provano. Questa è la loro dimora, ormai”.

“La loro casa…” Painal rammentò che era così che la fanciulla aveva definito il Mictlan: casa. “Anime che non si agitano più quando le loro ossa… non sono più disperse. Quando sono al sicuro”. Una casa ha il dovere di essere un luogo sicuro, ipotizzò Painal, collegando i punti e ottenendo un cenno affermativo da Mitlantechutli.

“Ma lei che ci guadagna a comportarsi così? È a tal punto così altruista verso il suo vecchio popolo?” concluse il suo ragionamento.

Il Signore dei morti, se avesse potuto farlo, avrebbe fatto una smorfia di disgusto nel sentire l’aggettivo altruista, e rispose “Anch’io l’avevo interrogata in tal senso. Ha detto che lo faceva per lenire il suo mal di testa”.

“Dunque è questa la medicazione che mette in atto…” si diede la risposta da solo con un profondo cenno di assenso. “E scommetto che tu la lasci fare”.

La conferma non tardò ad arrivare. “Ridurre il valore di parte del mio tesoro annientando le anime a esso collegato era estremamente antieconomico, oltre che una seccatura”.

“Isolati nel Chiucnāhuāpan, avresti anche potuto ignorare le anime. Non si sarebbero mai mossi da lì, che lo volessero o no” replicò Painal. Forse non conosceva tutti i misteri di quel luogo, ma diverse frequentazioni col sovrano nella sua terra non lo rendevano nemmeno così ignorante.

“Il Mictlan non regge l’agitazione di chi vi abita. Questa è la mia terra, devo preservarla ed averne cura. E comunque, portando le ossa disperse nel Mictlan, la ragazza accresce il mio tesoro”.

“Così, quello che sembrava un favore alle anime degli umani, risulta essere, in realtà, un servizio a te e al Mictlan. Un servizio non richiesto da te esplicitamente”.

“Quindi qual è la tua conclusione, dottore?”

“La mia conclusione? Arriverà solo quando risponderai ad una mia ultima domanda, Mictlantechutli. So che potrà sembrarti sfacciata e, se non vorrai rispondere a me, non me ne risentirò”.

“Avanti” lo esortò il sovrano.

“Il sacrificio della fanciulla… non era destinato a te, vero?”

- Fine

 

 

NOTE

 

Questo capitolo ha collegato diversi elementi citati in altri capitoli: il peso di un debito sull’anima, il valore dei cempasuchil…. Spero che i passaggi risultino chiari! Nel prossimo capitolo torneranno l’odio di Xocipilli verso Quetzalcoatl e tutte le macchinazioni descritte nelle mie prime fanfiction.

Piccola curiosità che non interessa a nessuno: quando Mictlantechutli dice di aver chiuso Mictlancihuatl in uno spazio stretto come una tomba per punizione, ecco, questo si collega al figlio di Coatlicue nella tomba del cimitero. Se Dorian è impallidito al racconto del supplizio è perché si sta rendendo conto che Alma sta iniziando a ricordare cose spiacevoli che lui le aveva fatto dimenticare (infatti Alma ha una memoria solo parzialmente recuperata: dovesse recuperarla per intero, morirebbe).

Finalmente si inizia a delineare come è avvenuto il passaggio di Mictlancihuatl da semplice serva a qualcosa di… uhm… molto vicino ad una divinità. Dunque, non volevo esser troppo esplicita ma nemmeno troppo sibillina. Mi sono presa tante libertà, lo riconosco, ma mi è tanto piaciuta la definizione di come nasce una divinità nel terzo volume di Calaca che già una cosa posso dire: per quella definizione, la “mia” Mictlancihuatl non può essere una divinità. Due piccoli indizi su questo erano sparsi nei capitoli della fanfiction ben prima della pubblicazione del terzo volume, qui ne lascio un altro: un parallelismo con il Tartaro, una parte dell’Oltretomba greco, e non solo con esso, ma se lo dico, si scopre subito dove voglio andare a parare. A proposito della domanda di Painal, ho letto diversi siti, sperando di leggere dettagli sulla nascita della Signora del Mictlan. Uno mi ha colpito abbastanza. In nessuno di essi era scritto che il sacrificio della bambina era destinato a una divinità del Mictlan o al signore del Mictlan. Diceva qualcos’altro. E, se si legge tra le righe del mito, una fantasia abbastanza bacata e becera può farti facilmente immaginare cose.

Ah sì, Painal: divinità dei medici, della medicina e dei mercanti. Sta a vedere che, con quel mercanti, in realtà è il nome divino di Aidan, il commerciante di Esqueleto! Ma, a questo giro, faccio finta che sia solo il dio della medicina, e visto che a Esqueleto c’è un chirurgo… per me sarà Sigfried – almeno finchè un nuovo volume frantumerà anche questa certezza! Sì, quello che sbrodola dietro a Morrigan (e chi ha letto il quarto volume SA!) XD! Che abbia reso involontariamente proprio Dorian e Sigfried due amiconi al tempo degli Aztechi mi fa abbastanza sbellicare dalle risate. LOL.

  
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