Giorno
8 ottobre “Infezione”
Sapevo
che questo momento sarebbe
arrivato: il quarto volume di Calaca ha finalmente rivelato
l’identità della
dea Mictlancihuatl e, devo dire, è stata davvero una bella
sorpresa per me,
molto gradita (anche se, devo ammetterlo, i segni per riconoscerla, nel
fumetto, c’erano pure stati ma, col senno di poi, sono capaci
tutti). Vedere
*quel personaggio* (no spoiler) interagire con Dorian, quando pensavo
che fosse
tutt’altra divinità, mi ha sciolto in un brodo di
giuggiole!
Credo
dunque che, per quanto
abbia amato il mio personaggio originale, Alma, sia ormai giunto il
momento di
chiudere questo mio arco narrativo parallelo, creato dal mio iniziale
bisogno
di colmare quasi due anni di attesa per il terzo volume, chiusa in casa
a causa
della pandemia, per poi adattare le future storielle, eventualmente
partorite
dal mio neurone fanwriter, alla trama ufficiale. Questa narrazione
parallela non
si concluderà certo con questo capitolo, ma non mi sembra il
caso aspettare
altri due anni per farlo; d’altro canto, non me la sento
nemmeno di
interrompere questo ciclo di fanfiction: giacché il mio
neurone aveva plottato
altri prompt per quel lontano e famigerato goretober, tanto vale buttar
fuori tutte
le idee. Questo capitolo, ad esempio, era in bozza da mesi, e
finalmente sono
riuscita a scriverlo. Ho in preventivo gli ultimi due capitoli,
dopodichè adios
hermana (semicit.).
Infezione
“Allora,
è grave?”. La voce, ad
un orecchio attento, lasciava trasparire un certo nervosismo mentre il
richiedente scrutava l’amico, intento a valutare la paziente
seduta davanti a
loro. Quest’ultima non faceva altro che passare il suo
sguardo incredulo tra le
due divinità che, di fatto, l’avevano tagliata
fuori dai loro discorsi fin dall’inizio,
pur essendone palesemente l’oggetto. Tale scetticismo,
dopotutto, era
abbastanza giustificato, dal momento che le due divinità
stavano trattando
Mictlancihuatl come una fanciulla gravemente malata, condizione
decisamente
impossibile nel Mictlan. Era da diversi secoli che l’anima
dell’umana
sacrificata viveva nella morte; le malattie non erano più un
problema Laggiù,
tra defunti e divinità immortali. Non che se la fosse
passata bene, i primi
tempi: subiva angherie da, praticamente, tutti (beccate di quaglie e
morsi di
ragno a random, servitori di Mictlantechutli pronti a picchiarla al
minimo
sbaglio di lei, su ordine del sovrano stesso – anzi, talvolta
ordinava pure una
razione in anticipo) ma, nell’ultimo periodo, stava bene.
Mictlancihuatl eseguiva
alla perfezione anche i compiti prima impossibili per lei, e questo
aveva
ridotto enormemente il numero di punizioni subite. Ragni e barbagianni
si
avvicinavano a lei per farsi fare una carezza. La fanciulla non
sembrava più
temere quel luogo lugubre, anzi, talvolta la si poteva sentire
canticchiare
mentre andava di qua e di là, impegnata in qualche faccenda
ancora prima che le
venisse assegnata.
Se
già il contrasto tra la sua…
vitalità e la domanda era strana, il culmine della stranezza
era che, a porre
quella domanda, era stato nientemeno che il Signore del Mictlan in
persona. Che
Mictlantechutli si interessasse alla salute della più
disprezzata tra i suoi
sottoposti raggiungeva l’apice del grottesco. Tuttavia, il
numero di stranezze
accumulate dalla sua servitrice stava via via aumentando: una
situazione del
tutto inedita. Aveva deciso che la situazione non poteva più
essere ignorata
quando nessun servitore, inspiegabilmente, osava più
avvicinarsi a lei malgrado
gli ordini ricevuti dal sovrano. Ma non poteva essere considerata
disobbedienza: in totale conflitto tra due forze opposte (non toccarla
oppure
farle del male), il servitore coinvolto finiva
semplicemente… col rompersi,
letteralmente.
“In
effetti, trovo molto, molto
strano vedere un tuo servitore così in forma, dopo tutto il
tempo trascorso
dalla sua dipartita” commentò perplesso Painal, il
dio della medicina venerato
dai guaritori mortali, mentre, con piglio da luminare consumato, teneva
una
presa salda sulla mandibola di Mictlancihuatl, guadagnandosi
un’occhiataccia
torva (per quanto possibile dalle ossa fisse) della fanciulla, e
scrutava le
orbite oculari, le cavità nasali e la bocca.
“Da
quanto tempo è in queste
condizioni?” proseguì scrutando tra i capelli
sciolti della sua paziente.
“Da
circa un secolo… dopo un
incidente” rispose Mictlantechutli dopo una breve riflessione.
“Lo
chiamate incidente? Davvero?!”
sbottò la ragazza.
“Parla
solo se interpellata!” la
ammonì il re.
“Sì,
mio Signore” aveva risposto
in modo rispettoso, ma del tutto privo della paura che avrebbe avuto un
tempo.
Altro sintomo strano. Il suo silenzio, comunque, non durò
molto: “Ehi!” esclamò
indignata, mentre Painal provvedeva ad abbassarle le spalline del
vestito, e
schioccò un rapido ma deciso schiaffetto alla mano del dio.
Se lo avesse fatto a
Mictlantechutli, il suo scheletro sarebbe diventato seduta stante
becchime per
quaglie; in effetti, qualunque altra divinità avrebbe potuto
richiedere la
medesima punizione, a tale oltraggio. Painal si lasciò
sfuggire, al contrario, un
sorriso divertito, seppur appena accennato. Anche quella reazione della
fanciulla, nella sua mente analitica, era diventato un indizio pronto
ad
avvicinarlo ulteriormente ad un’ipotesi diagnostica piuttosto
interessante. Si
prestò dunque a parlare direttamente a lei, per la prima
volta:
“Devo
valutare la qualità del tuo
respiro, signorina. Abbassa leggermente le spalline, in modo da
lasciare libera
la schiena” spiegò pazientemente, come se si
rivolgesse a una bambina con la
paura dei dottori. Grottesco voler esaminare uno scheletro come se
fosse stato
un corpo completo, ma chi era Mictlancihuatl per dubitare delle azioni
di un
medico divino?
“Ma
io sto bene, divino Painal” obiettò
la ragazza. Conosceva di vista quella divinità, andava
spesso a trovare
Mictlantechutli. Aveva intuito il rapporto tra le due
divinità ma,
intelligentemente, non se ne era mai curata. Non erano affari suoi,
dopotutto.
“È
questo il problema. E ora, fa’
quello che dice il medico” si intromise, tutt’altro
che con delicatezza, il
Signore del Mictlan.
Mictlancihuatl
diede le spalle
alle due divinità e scoprì la sua schiena, come
le era stato ordinato.
“Fai
dei respiri profondi… così…”
beh, almeno Painal era professionale. Passò un lungo minuto,
mentre la divinità
esaminava il suo respiro, dopodiché la lasciò
rivestirsi.
“Bene,
ho finito. Ora vorrei
farti qualche domanda, se non ti dispiace” la stava davvero
trattando con
gentilezza? Era davvero una situazione inedita, da quando Malintzin era
morta.
“Allora,
il tuo Signore mi ha
detto che soffri di mal di testa”.
“Non
sempre, solo qualche volta”
confermò la ragazza.
“Quando?”
“Quando
loro sono troppo
agitati. Mi danno sui nervi”.
“Loro
chi?”
“I
morti, divino Painal”
“Sei
dispiaciuta per la loro
condizione?”
“Beh,
non proprio. Voglio dire,
mi hanno mandato loro a morire, no? E comunque, alcuni di loro creano
troppo…scompiglio. Persino il mio Signore, ad un certo
punto, si spazientisce,
si dirige nel Chiucnāhuāpan, il settore più profondo del
Mictlan, dove soggiornano
tutte le anime dei defunti, e ZAC!” mimò un
fendente nell’aria “fa a pezzi i
più facinorosi con la sua falce!”.
“A
quel punto, ti passa il mal di
testa”
“Non
sempre, divino Painal”
“Come
fa a passare?”
“Mi
passa soprattutto quando loro
si sentono al sicuro nella loro nuova casa”
“Capisco.
Bene, cercherò
di individuare la causa dei tuoi mal
di testa, signorina…?”
“Mictlancihuatl”
rispose la
fanciulla, usando il nuovo nome con cui era conosciuta in quel luogo.
“Che
nome interessante” commentò
il Medico con educazione.
“Il
mio Signore è preoccupato per
i miei mal di testa?” chiese con tono molto, molto scettico.
“Torna
a sorvegliare le ossa,
ragazza” la congedò il sovrano e la fanciulla
reagì prontamente all’ordine.
Fece la riverenza ad entrambi – più profonda e
ossequiosa per il suo re,
naturalmente – e lasciò la stanza.
“Sei
preoccupato per i suoi mal
di testa, Mictlantechutli?” al contrario della ragazza,
Painal pose la domanda
con un misto di ilarità e serietà.
“Neanche
per sogno” esclamò il
sovrano, senza lasciar spazio al minimo dubbio sulla questione.
“Tuttavia, un
morto non può provare sensazioni fisiche, nel mio Regno.
Niente fame, niente
sete, niente dolore. Niente di niente”. Andò ad
accomodarsi sul proprio trono,
dopodiché fece accomodare l’amico.
“E,
se chiamati al tuo servizio,
non sentono nemmeno di avere una coscienza”.
Painal
lo sapeva. La popolazione
umana di quel tempo aveva un grande pregio, agli occhi dei loro
governanti: era
estremamente ubbidiente. Nessuno metteva in dubbio gli ordini,
l’idea di
rivoltarsi contro i propri padroni non passava nemmeno per
l’anticamera del
cervello. Se il destino di quella gente era quello di servire, lo
avrebbe fatto
con dedizione assoluta, anche perché la punizione, in caso
di mancanze, sarebbe
stata terribile. I governanti terreni erano come dei sulla terra; era
logico
che, una volta chiamati a servire gli dei nell’altra
vita, in uno
qualsiasi degli Oltretomba esistenti, l’ubbidienza sarebbe
stata totale e
assoluta. La conversazione appena avvenuta lo confermava:
l’agitazione non era
tollerata e veniva repressa senza alcuna pietà.
C’era
tuttavia una caratteristica
che accomunava le anime dei sacrificati nei Giorni dei Morti, designate
a
servire il Signore del Mictlan: nel momento in cui tornavano in
possesso delle
loro ossa, diventavano letteralmente delle marionette senza alcuna
coscienza di
sé stessi. Le ossa dei defunti erano gelosamente custodite
in un settore,
mentre le anime dimoravano in un altro settore del Mictlan. Possedere
le ossa
di qualcuno equivaleva a possedere il potere su quell’anima.
Per poter servire
il proprio Signore, le anime tornavano in possesso delle ossa, per
divina
intercessione. Ma l’energia del Mictlan, come un parassita,
esigeva un prezzo
per l’utilizzo di qualcosa che non apparteneva più
alle anime, pur mantenendo
un legame, ma al Mictlan stesso: progressivamente, la magia, al pari di
una
grave infezione, annullava la volontà di quelle anime,
rendendole schiavi senza
voce, fino al momento della sostituzione con altri servitori meno
danneggiati.
Non vi era la minima possibilità di disubbidienza e solo la
volontà del Sovrano
avrebbe implicato di nuovo la separazione tra ossa e anima –
e, forse, l’anima
avrebbe potuto ritornare in sé … o rimanere
danneggiata per l’eternità.
Lo
stesso destino sarebbe spettato
a Malintzin. Piano piano, la sua mente si sarebbe azzerata. Nel
frattempo,
avrebbe passato le pene dell’inferno, prima di diventare una
marionetta a sua
volta. Anzi, nei piani di Mictlantechutli, il suo tormento sarebbe
dovuto
proseguire anche dopo tale lobotomia.
Eppure,
questo non avvenne mai. Nessuna
infezione l’aveva mai danneggiata:
Mictlancihuatl non perse mai la sua
coscienza. Non perse mai il controllo sulle sue ossa.
“Avevi
accennato ad un incidente.
Puoi descrivermi cosa è successo di preciso?”.
“Non
ho altro modo per definirlo,
non mi era mai capitato niente di simile prima d’ora. Avevo
fatto rinchiudere
Mictlancihuatl dentro una piccola caverna, come punizione per un suo
atteggiamento insolente”. In realtà, la ragazza
non aveva fatto nulla di male:
obbediva agli ordini senza discutere, com’era giusto che
fosse. Eppure, dopo
aver scoperto l’identità di Quetzalcoatl e il
motivo per cui era lì, non aveva fatto
granché per mostrare quel che pensava della situazione. Non
aveva più fede. Era
ubbidiente come sempre, ma ogni sua fibra trasmetteva freddezza e
disprezzo
verso entità che riteneva, giustamente, più
grandi di lei ma che si erano
comportati, nei suoi confronti, come i più meschini tra gli
umani. Eseguiva gli
ordini, questo sì, ma non in modo abbastanza devoto
e questo,
ovviamente, fu sufficiente a Mictlantechutli per punirla. “Vi
rimase per molti
giorni, e non aveva fatto altro che gridare per il terrore di
quell’antro tanto
angusto da essere come una tomba. Poi, un giorno, quelle grida
cessarono.
Xolotl, su mio ordine, la liberò, convinto di trovarla
impazzita. La trovò
invece appoggiata alla nuda pietra, protesa ad ascoltare qualcosa con
la
massima attenzione. I fiori che aveva portato con sé dal
mondo dei vivi avevano
attecchito al suolo del Mictlan”. Non
aggiunse altro, pensieroso. La donna, da quel giorno, aveva continuato
a subire
in silenzio, ma non aveva più guardato il suo Signore con
terrore. Anzi, era
tornata ad esserci persino un rinnovato atteggiamento di riverenza nei
confronti del sovrano – solo nei suoi. Tra un dovere e un
supplizio, tuttavia,
il re aveva notato come l’inquietudine di un’anima
sveglia in un mondo di morti
le crescesse dentro: da dove veniva tale inquietudine? Cosa la
provocava? Non
lo sapeva lei, non lo sapevano Mictlantechutli e Xolotl. A quella
inquietudine,
aveva trovato un’unica valvola di sfogo: sistemare le ossa
accatastate che
aveva trovato per caso. Il suo tesoro.
“Sembra
felice del compito che le
hai affidato” commentò l’amico,
rammentando l’ultimo comando del sovrano alla
ragazza e la sua leggerezza nel correre a svolgerlo.
“Le
piace sorvegliare il mio
tesoro”.
Painal
non aveva remore a parlare
con schiettezza al sovrano del Regno dei morti. Mictlantechutli, dal
canto suo,
si era sempre sentito libero di parlare con lui altrettanto
liberamente. I
Giochi tra le due divinità erano leggendari: da essi
dipendeva la decimazione,
o meno, del genere umano. Mictlantechutli lanciava la sfida: quante
perdite ci
sarebbero state, prima che l’epidemia diffusa con un certo
tasso di mortalità
venisse debellata? Painal donava indizi agli umani: spettava a loro
trovarli,
utilizzarli e, con l’aggiunta di un po’ di
benevolenza divina, salvarsi. Da un
lato, tali Giochi erano utili alle due divinità immortali
per ammazzare
il tempo e la noia; dall’altro lato, tali calamità
erano utili all’umanità
stessa che accresceva, vincendo, la durata media di vita e la sua
qualità. Al
pari di una pianta che non cresce sana e forte senza una bella
potatura, allo
stesso modo, un’epidemia ogni tanto non poteva che fare bene,
su larga scala.
Se non fossero divinità, il loro atteggiamento avrebbe
potuto essere considerato
oltremodo cinico e abominevole; ma d’altronde, come sarebbe
stato possibile
ottenere un bene superiore se non attraversando le
difficoltà e sacrificando sé
stessi? Xipe-Totec stesso non aveva dato il mais agli umani: aveva dato
loro
gli strumenti per procurarselo. Gli umani non usavano correttamente gli
strumenti donati? Avevano ignorato per negligenza le tecniche di
coltura?
Conseguenza: carestia. Gli umani volevano vivere più a lungo
e nel pieno della
loro forma fisica? Dovevano cercare un rimedio alle malattie. Logico,
no? Poi,
chiaro, poteva sempre accadere che qualche divinità si
svegliasse la mattina
con l’idea: “oggi sono un po’
incazzato, aspetta che distruggo il mondo e i
suoi abitanti”.
“Pensavo
che la permanenza della
fanciulla nel tuo reame dovesse essere una condizione penosa”
commentò il dio
medico.
“Fornisce
un servizio
particolarmente utile. Non avevo idea che le quaglie stessero beccando
le ossa…
stupidi pennuti… se ne era accorta lei”.
“Ossa
danneggiate…”
“Sì,
agitano le anime a cui
appartengono e questo porta caos nell’ultimo livello del
Mictlan,
costringendomi ad intervenire per ripristinare
l’ordine” prese una piccola
pausa, prima di concludere “Ma da quando la sorveglianza
è stata potenziata,
quel problema specifico non si è più
ripresentato”.
“Quindi
le hai ordinato di fare
la guardia”.
“Non
l’ho fatto”.
“Come?”
“Pensi
davvero che avrei mai dato
fiducia ad una come lei al punto da farla avvicinare al mio tesoro? Era
lei che
andava lo stesso. E, vedendo che se la cavava bene, l’ho
lasciata proseguire”.
“Una
sua libera iniziativa…”
commentò con l’aria di aver acquisito un
importante indizio.
“Non
è stata l’unica”.
“Parlamene”.
“È
in grado di uscire dal Mictlan,
poi torna con le ossa disperse nel mondo”.
“Le
hai dato la dispensa di
uscire dal Mictlan? Ma che ti dice il cervello?”
“Esce
da sola”. Questo sconvolse
davvero Painal. Era la cosa più assurda di tutte quelle che
aveva appena finito
di sentire.
“Non
è possibile, per un morto,
uscire dal Mictlan da solo!”
esclamò inorridito.
“Quei
fiori…” mostrò alcuni
boccioli seminascosti nel terreno – Painal sgranò
gli occhi: quindi crescevano davvero
delle piante nel Mictlan? - “le
indicano
la strada. Xolotl non riesce ad estirparli”.
“Ma…perdersi
non è l’unico pericolo.
C’è di tutto lungo la strada, senza la guida di
Xolotl, un’anima umana
resterebbe intrappolata”.
“Eppure,
per lei è una
passeggiata”
“Non
fugge. Hai detto che torna
con altre ossa”.
“Nessuno
ha la tendenza a
fuggire. Nemmeno le anime più agitate ci provano. Questa
è la loro dimora,
ormai”.
“La
loro casa…” Painal
rammentò che era così che la fanciulla aveva
definito il Mictlan: casa. “Anime
che non si agitano più quando le loro ossa… non
sono più disperse. Quando sono al
sicuro”. Una casa ha il dovere di essere un luogo
sicuro, ipotizzò Painal,
collegando i punti e ottenendo un cenno affermativo da Mitlantechutli.
“Ma
lei che ci guadagna a
comportarsi così? È a tal punto così
altruista verso il suo vecchio popolo?”
concluse il suo ragionamento.
Il
Signore dei morti, se avesse
potuto farlo, avrebbe fatto una smorfia di disgusto nel sentire
l’aggettivo altruista,
e rispose “Anch’io l’avevo interrogata in
tal senso. Ha detto che lo faceva per
lenire il suo mal di testa”.
“Dunque
è questa la medicazione
che mette in atto…” si diede la risposta da solo
con un profondo cenno di
assenso. “E scommetto che tu la lasci fare”.
La
conferma non tardò ad
arrivare. “Ridurre il valore di parte del mio tesoro
annientando le anime a
esso collegato era estremamente antieconomico, oltre che una
seccatura”.
“Isolati
nel Chiucnāhuāpan,
avresti anche potuto ignorare le anime. Non si sarebbero mai mossi da
lì, che
lo volessero o no” replicò Painal. Forse non
conosceva tutti i misteri di quel
luogo, ma diverse frequentazioni col sovrano nella sua terra non lo
rendevano
nemmeno così ignorante.
“Il
Mictlan non regge
l’agitazione di chi vi abita. Questa è la mia
terra, devo preservarla ed averne
cura. E comunque, portando le ossa disperse nel Mictlan, la ragazza
accresce il
mio tesoro”.
“Così,
quello che sembrava un favore
alle anime degli umani, risulta essere, in realtà, un
servizio a te e al
Mictlan. Un servizio non richiesto da te esplicitamente”.
“Quindi
qual è la tua
conclusione, dottore?”
“La
mia conclusione? Arriverà
solo quando risponderai ad una mia ultima domanda, Mictlantechutli. So
che
potrà sembrarti sfacciata e, se non vorrai rispondere a me,
non me ne risentirò”.
“Avanti”
lo esortò il sovrano.
“Il
sacrificio della fanciulla… non
era destinato a te, vero?”
-
Fine
NOTE
Questo
capitolo ha collegato
diversi elementi citati in altri capitoli: il peso di un debito
sull’anima, il
valore dei cempasuchil…. Spero che i passaggi risultino
chiari! Nel prossimo
capitolo torneranno l’odio di Xocipilli verso Quetzalcoatl e
tutte le
macchinazioni descritte nelle mie prime fanfiction.
Piccola
curiosità che non
interessa a nessuno: quando Mictlantechutli dice di aver chiuso
Mictlancihuatl
in uno spazio stretto come una tomba per punizione, ecco, questo si
collega al
figlio di Coatlicue nella tomba del cimitero. Se Dorian è
impallidito al
racconto del supplizio è perché si sta rendendo
conto che Alma sta iniziando a
ricordare cose spiacevoli che lui le aveva fatto dimenticare (infatti
Alma ha
una memoria solo parzialmente recuperata: dovesse recuperarla per
intero,
morirebbe).
Finalmente
si inizia a delineare
come è avvenuto il passaggio di Mictlancihuatl da semplice
serva a qualcosa di…
uhm… molto vicino ad una divinità. Dunque, non
volevo esser troppo esplicita ma
nemmeno troppo sibillina. Mi sono presa tante libertà, lo
riconosco, ma mi è
tanto piaciuta la definizione di come nasce una divinità nel
terzo volume di
Calaca che già una cosa posso dire: per quella definizione,
la “mia” Mictlancihuatl
non può essere una divinità. Due piccoli indizi
su questo erano sparsi nei
capitoli della fanfiction ben prima della pubblicazione del terzo
volume, qui
ne lascio un altro: un parallelismo con il Tartaro, una parte
dell’Oltretomba
greco, e non solo con esso, ma se lo dico, si scopre subito dove voglio
andare
a parare. A proposito della domanda di Painal, ho letto diversi siti,
sperando
di leggere dettagli sulla nascita della Signora del Mictlan. Uno mi ha
colpito abbastanza.
In nessuno di essi era scritto che il sacrificio della bambina era
destinato a
una divinità del Mictlan o al signore
del Mictlan. Diceva
qualcos’altro. E, se si legge tra le righe del mito, una
fantasia abbastanza
bacata e becera può farti facilmente immaginare cose.
Ah
sì, Painal: divinità dei
medici, della medicina e dei mercanti. Sta a vedere che, con quel mercanti,
in realtà è il nome divino di Aidan, il
commerciante di Esqueleto! Ma, a questo
giro, faccio finta che sia solo il dio della medicina, e visto che a
Esqueleto
c’è un chirurgo… per me sarà
Sigfried – almeno finchè un nuovo volume
frantumerà anche questa certezza! Sì, quello che
sbrodola dietro a Morrigan (e
chi ha letto il quarto volume SA!) XD! Che abbia reso involontariamente
proprio
Dorian e Sigfried due amiconi al tempo degli Aztechi mi fa abbastanza
sbellicare dalle risate. LOL.