Storie originali > Fantasy
Segui la storia  |       
Autore: BabaYagaIsBack    26/02/2023    0 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

 

"You can run
But you can't hide
Time won't help you
'Cause karma has no deadline"

True Friends, Bring me the Horizon


 

 

Levi bussò un paio di volte. Lo fece con poca insistenza e tanta curiosità, bramando quella non risposta che stavano ricevendo. In cuor suo si stava convincendo che quell'atteggiamento da parte di chiunque fosse in casa lo autorizzasse poi a sfondare la porta e far gazzarra come un vero teppista che cerca di riprendersi un territorio sottrattogli da una gang rivale. Aveva voglia di sgranchire i muscoli, di avvertire l'adrenalina corrergli lungo il corpo ed era stato così sin dalla sera precedente, quando aveva visto Zenas e Alexandria ridotti uno schifo dopo una semplice scaramuccia con gli adepti di quella dannatissima setta.
Entrare nell'edificio era di certo la priorità assoluta visto che nell'arredo al suo interno era conservata una storia centenaria e nei nascondigli dietro ai muri o sotto le assi del pavimento abbastanza ɛvɛn da rimettere in sesto i suoi fratelli, ma non poteva negare di sperare almeno in una piccola zuffa. Ne aveva bisogno.
Così, all'ennesimo colpo di nocche, storcendo la bocca, Nakhaš si volse verso i fratelli e Noah. Sui loro visi poteva leggere una tensione che condivideva parzialmente e una stanchezza che cercava in tutti i modi di far capolino, anche se nessuno di loro, al momento, voleva dargliene modo.

«Penso ci toccherà sfondare la porta» disse con un sospiro, come se fosse qualcosa all'ordine del giorno nonché la stessa scocciatura di sempre. A quella proposta Alexandria incrociò le braccia al petto, portando tutto il peso del corpo su una gamba: «Sei serio? L'ultima volta che "abbiamo" sfondato una porta Zenas per poco non mi ammazzava!»
Levi soffocò una risata evidentemente inappropriata, sfuggendo allo sguardo della sorella. Sì, lo ricordava bene. Troppo, se doveva essere del tutto onesto, ma al momento pensare a quello spiacevole inconveniente gli provocò un'ilarità poco condivisa. Non a caso Akràv abbassò gli occhi sulle misere aiuole lì attorno, Z'èv corrugò le sopracciglia e Noah si fece sfuggire un «Come?» inorridito.
«Sono dettagli, akhòt! Mi sembra che alla fine tu sia viva e vegeta, no?»
Ma da lei non ricevette alcuna risposta di conforto: «Facile a dirsi quando non sei tu la vittima» sibilò; e non aveva nemmeno tutti i torti a ritenersi offesa.
«Hai altre proposte?»
Noah si sporse di lato prima che lei potesse rispondere e indicando un punto alle spalle di Nakhaš suggerì: «Potremmo entrare da lì.»
Il Generale volse il capo all'indietro, lo fece in quel suo modo inumano che generò una melodia di scricchiolii tutt'altro che piacevole e, come c'era da aspettarsi, ciò che i suoi occhi videro fu una delle tante finestre aperte.
«Eviteremmo di rompere la porta e mettere in allarme gli inquilini. Sempre che siano in casa...» ed effettivamente Noah non aveva tutti i torti, anche se la sua proposta andava a escludere parte della violenza a cui Levi stava anelando.
Sbuffò prendendo a massaggiarsi il setto sotto il ponte degli occhiali.
«Ottima idea, akh» e per un momento, dopo aver pronunciato quell'ultima parola, si sentì una specie di nodo in gola. Era forse la prima volta che si riferiva al nuovo Hagufah con quel termine, chiamandolo fratello... aveva un ché di insolito - e probabilmente anche lui lo percepì tale, visto che di risposta fece un cenno vago, timido come quello di un bimbo che viene lodato di fronte alla classe.
Senza esitazione scavalcarono l'aiuola, si acquattarono lungo la parete esterna e avanzarono cautamente fino all'imposta più vicina, quella che Levi ricordava essere il salotto. Si sollevò gli occhiali sulla testa per essere certo di poter vedere in mezzo alle ombre interne, poi si allungò sinuosamente fino al misero davanzale e iniziò a spiare. Dentro, la stanza non sembrava essere particolarmente cambiata.
La libreria che occupava tutta la parete sinistra era stata dipinta di bianco e i libri che ne riempivano gli scaffali davano l'impressione di essere sempre gli stessi se non addirittura di più. Piante dai lunghi rami pendevano, in imbracature di corda, dalle travi del soffitto. L'enorme quadro raffigurante una barca a vela latina, preso all'incirca nel 1832 da Zenas nell'atelier di un artista poco conosciuto e con cui Hamza aveva una specie di relazione, stava ancora al suo posto davanti alla finestra, in modo da osservare il mare, e lì accanto, sulla parete di destra, il caminetto faceva da abbellimento. Di diverso, oltre a quei piccoli dettagli, c'erano poi un divano beige relativamente nuovo, una poltrona dello stesso set e il tappeto peloso.

«Non sembra esserci qualcuno. Voi avvertite qualcosa?» Parlò piano, tanto che per un istante si chiese se anche Akŕav, in fondo alla fila, lo avesse udito.
Con la coda dell'occhio vide Alex scuotere la testa e la sua risposta gli bastò per prendere la decisione di entrare.
Si mosse svelto, sicuro, e il suo corpo produsse solamente un fruscio leggero che si confuse con quello delle tende spostate dalla brezza. I piedi affondarono nell'enorme tappeto, attutendone il tonfo. Era dentro e il profumo di casa lo investì, lasciandolo stordito. Si respirava ancora la nodosità del legno, la sua presenza sopra il capo e sotto le scarpe e, senza doversi sforzare, la traccia lieve di incenso al sandalo.

Casa, si ripeté nella mente, ora osservando con più trasporto il salotto. Quanti ricordi aveva di quel posto e quanti stavano provando ad assalirlo. Così deglutì tutto - saliva, nostalgia, dolcezza e anche amarezza - poi si volse per aiutare la sorella.
Alexandria aveva appena appoggiato il sedere sul davanzale quando lui le cinse la vita, facendola sussultare. Nakhaš sentì il corpo di lei irrigidirsi, tentare la fuga e, se non l'avesse tenuta abbastanza saldamente, sarebbe balzata a terra mandando in fumo lo sforzo di non fare rumore.
Le dita della ragazza si strinsero repentinamente poco sopra i suoi polsi, impedendogli di compiere qualsiasi altro movimento, e gli occhi screziati di rosso si puntarono nei suoi, rivelando un certo disagio.
«Mi hai presa alla sprovvista» le sentì sussurrare.
«Scusa» Levi si morse una delle punte della lingua: «sono stato un gentiluomo per troppo tempo, penso sempre abbiate bisogno di me, Contessa.» Ma non fece in tempo ad allargare il sorriso che lo sguardo di Alexandria volse altrove, facendogli dubitare di aver usato le parole più appropriate.
L'aiutò a scendere.

Dannazione, pensò subito dopo averla lasciata andare. Sapeva che con lei doveva stare attento, era sempre stato così. Dal giorno in cui l'aveva conosciuta fino a quel momento - e Salomone glielo aveva detto più volte, si era premurato di ricordaglielo.
Tornò alla finestra, stavolta nel tentativo di aiutare Noah e, con lui, Zenas. Con la gamba ancora provata dallo scontro e la sua stazza, Akràv sarebbe di certo stato quello più goffo. Ci vollero quindi un paio di tentativi e di grugniti soffocati prima che anche lui riuscisse a mettere piede in casa. Una volta dentro, anche nella sua espressione fu possibile leggere le stesse emozioni che aveva provato Levi poco prima.

«Casa, eh?»
Già, casa.

Alexandria e Noah nel mentre avanzarono nel corridoio, lei cercando di fiutare qualcosa, lui per mera curiosità. Si volsero dal lato opposto all'ingresso, così quando fu il turno di Nakhaš di uscire dal salotto, per scrupolo, guardò verso la porta che non gli avevano lasciato sfondare.
Accanto all'uscio, sull'appendiabiti, erano stipati pochi capi: due giacche dal taglio vintage e alcuni foulard variopinti che davano colore alla pallida carta da parati messa a nuovo.
Chiunque avesse preso residenza lì non doveva avere una famiglia numerosa, questo era certo. Doveva trattarsi di una, massimo due persone.

«Aspetta.» La voce di Alexandria, seppur un soffio, lo fece voltare di scatto. Aveva la mano stretta intorno al braccio di Noah, bloccato a metà del primo gradino che portava al piano superiore, e lo guardava dritto in viso, preoccupata: «Non muoverti senza uno di noi, okay? È pericoloso.»
Di fronte alla scena una sorta di gelosia lo colse alla sprovvista. C'era qualcosa, in quello sguardo, in quel loro toccarsi, che lo urtava più di quanto si sarebbe mai aspettato. Riflettendoci non avrebbe saputo dire con precisione chi, tra di loro, gli procurasse tanto fastidio, se  Alexandria Orsòlya Vàradi che a dispetto di qualsiasi previsione aveva messo di farsi remore riguardo a Noah, o proprio lui, che senza rendersene conto aveva finito con il ghermirla a sé esattamente come nelle vite precedenti.

Quando stavolta i denti affondarono nella lingua, Levi poté sentire in bocca il retrogusto del sangue.

Involontariamente le gambe si mossero. A grosse falcate divorò lo spazio che lo separava da loro, si fece così vicino da poter sentire il profumo della pelle di Alex, il deodorante di Noah. Sapeva di star agendo nel modo sbagliato, di star dando campo libero all'animale in lui e se ne rese maggiormente conto quando, ancor prima di raggiungerli, la pupilla della sorella gli si incollò addosso, facendogli formicolare le mani e stringere i pugni.
L'Hagufah si volse nella sua direzione: «Qualcosa non va, Levi?»
Sì, lui, il suo desiderio, la bramosia che montava all'improvviso e senza controllo.
Nakhaš si bagnò le labbra: «No, è solo che preferirei non vi allontanaste» mentì: «Ancora non sappiamo chi abita qui.»

Alexandria annuì e solo a quel punto mollò la presa sul braccio di Noah, alleggerendo il petto del fratello.

Finalmente.

«Direi di controllare il piano inferiore, allora. Che ne pensi?»  Senza aspettare la sua risposta, Z'èv riprese la perlustrazione, ma le bastarono pochi passi prima di fermarsi nuovamente.
«Che hai?» le chiese notando le sopracciglia corrugate.
Con il naso rivolto verso l'alto Alexandria si mise a fiutare l'aria al pari di un cane da tartufo e dalla sua espressione fu chiaro che qualcosa la stesse allertando.
Mosse un altro passo, poi fece una sorta di giravolta lenta. Non stava capendo da dove la traccia arrivasse né dove stesse portando, era ovvio, ma qualcosa di più strano sembrava preoccuparla.
«Akhòt...?»
«Dio, non... non può essere.»
Poi un'ombra e un tonfo.
Z'èv sussultò presa alla sprovvista e d'istinto Nakhaš afferrò l'Hagufah tirandoselo alle spalle per fargli da scudo. Ancora una volta. Sempre. Salomone in fondo veniva prima di tutto: prima della sua carne millenaria, del suo cuore umano, della sua anima mostruosa.

Lo sguardo di Levi saettò intorno a  loro alla ricerca del pericolo, certo di trovarlo. Osservò ogni angolo del corridoio, su lungo la scala che portava al piano superiore e poi giù verso l'ingresso, incapace di scorgere qualsiasi cosa. Ma come era possibile? Poi, come nei peggiori film horror, il braccio di Zenas spuntò dal vano che portava al salotto. La mano spalancata sul pavimento, le dita ancorate al parquet in cerca di aiuto. E poi i grugniti soffocati, come se avesse la faccia schiacciata al pavimento.
Cosa cazzo stava succedendo?
In un gesto rabbioso l'arto dell'uomo sparì nuovamente nella stanza dove la colluttazione stava avendo luogo e al suo posto un paio di cesoie da giardinaggio rimbalzarono contro il muro, rovinandolo.
Per un momento Levi non riuscì a ragionare, incerto se lasciare Noah alla mercé di possibili aggressori o se correre da Akràv in difficoltà; poi l'istinto, oppure il cameratismo che provava per i fratelli, lo fece scattare in avanti.
Si precipitò nella stanza pronto a colpire l'aggressore, il corpo teso e guizzante, le mani pronte a stringere. Caricò il colpo senza riflettere, agendo con una naturalezza che nemmeno lui ricordava, ma un grido alle sue spalle lo bloccò al pari di un incantesimo.

«È Colette!»
E immense iridi nere si alzarono ferocemente su di lui, facendogli perdere un battito.

 

 
 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantasy / Vai alla pagina dell'autore: BabaYagaIsBack