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Autore: Europa91    04/03/2023    3 recensioni
Otto anni dopo l’incidente di Suribachi, Verlaine viene informato della morte di Rimbaud.
“Arthur era morto. Il partner che lo aveva salvato dal laboratorio del Fauno e la persona che aveva tradito. (…)
Lo avrebbe salvato, avrebbe trovato un modo per riaverlo nella sua vita.”

Qualche stagione prima di Dazai e Odasaku, c’era stato qualcun altro che aveva provato a cambiare il corso del destino.
[Spin off di “In Order to Save You”]
[Contiene Spoiler della Novel Stormbringer]
Genere: Angst, Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Arthur Rimbaud, Chuuya Nakahara, Nuovo personaggio, Paul Verlaine
Note: What if? | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'People Exist To Save Themselves'
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V Stagione - L’époux infernal








 

«Quand il me semblait avoir l'esprit inerte, je le suivais, moi, dans des actions étranges et compliquées, loin, bonnes ou mauvaises: j’étais sûre de ne jamais entrer dans son monde. À côté de son cher corps endormi, que d’heures des nuits j’ai veillé, cherchant pourquoi il voulait tant s’évader de la réalité.»*


 

Une Saison en Enfer – L’époux infernal








 

Francia


 

- Il giorno dopo -


 

Verlaine non aveva chiuso occhio. Aveva passato il resto della nottata a rimuginare sul proprio sogno, interrogandosi sul passato, ma principalmente su Rimbaud. Da quando aveva maturato la decisione di utilizzare l’Abilità di Carroll, l’essere artificiale si era domandato spesso quale potesse essere il proprio “mondo ideale”. Non era stata una scelta facile, ma ponderata. Non si fidava di quell’inglese ma, soprattutto, non aveva idea di quale fosse il piano di Baudelaire. Il suo fine ultimo. Ci doveva essere qualcosa che nonostante tutto ancora gli sfuggiva. Da quando aveva ricevuto la prima telefonata della spia, Verlaine aveva sospettato potesse trattarsi di una trappola, tuttavia era stato al gioco.

All’inizio, si era trattato di semplice curiosità. Una parte di lui, aveva sempre desiderato conoscere quell’uomo, che per lungo tempo non era stato altro che un nome sugli appunti del proprio compagno. Un nome che era rimasto sospeso tra loro. Rimbaud non aveva mai rivelato troppo sul proprio amico d’infanzia, così Verlaine si era limitato a trarre da solo le proprie conclusioni. Dopo aver conosciuto di persona Charles Baudelaire la sua opinione in merito non era cambiata.

Non poteva fidarsi di lui. Non poteva confidare in nessuno. Rimbaud era stata una pericolosa eccezione e non serviva ricordare come fossero andate a finire le cose tra loro.

Questa volta però aveva la possibilità di rivedere Arthur, anche se si trattava solo di un’illusione.

Verlaine si sarebbe addormentato grazie all’Abilità di Carroll e a quel punto, il suo corpo sarebbe rimasto indifeso, alla mercé dei propri nemici. Forse il Poète stava solo aspettando un’occasione simile per farlo fuori o più banalmente, voleva vendicarsi per quanto successo ad Arthur.

Paul non era uno stupido, sapeva che agli occhi della spia lui era il solo responsabile per la morte di Rimbaud. Che gli assassini materiali fossero stati dei giapponesi dall’altra parte del mondo poco importava, Charles Baudelaire lo aveva investito del ruolo di nemico e come tale lo avrebbe trattato. Quello gli era fin troppo chiaro. Lo era stato sin dal loro primo incontro al Café, quando Baudelaire aveva candidamente ammesso che desiderava rimediare ai suoi errori.

La cosa che ancora sfuggiva al Re degli Assassini, era il perché Charles lo avesse coinvolto in quel assurdo piano.

C’erano un milione di modi in cui avrebbe potuto sbarazzarsi di lui, alcuni decisamente meno impegnativi che prendere d’assalto una prigione di massima sicurezza. Sicuramente un agente di quel calibro conosceva i suoi punti deboli, eppure aveva optato per un piano arzigogolato e impossibile. Fino a quel momento Baudelaire si era limitato a giocare con lui, donandogli una flebile speranza. Forse era stato proprio quello a indurlo ad accettare.

Devi vagliare attentamente ogni informazione in tuo possesso e non escludere nulla. A volte la realtà si può nascondere proprio dietro al particolare più banale.

Gli insegnamenti di Rimbaud gli tornarono alla mente. Era più forte di lui. Una parte di Arthur sarebbe sempre rimasta radicata all’interno della sua psiche. Forse quello era solo uno dei tanti motivi che impedivano al biondo di accettarne la morte.

Pensare al proprio compagno portava solo alla nascita di nuovi interrogativi che andavano a sommarsi ai già numerosi turbamenti che agitavano il suo animo. Una parte di Verlaine aveva accettato da tempo di provare qualcosa per Rimbaud, per quell’uomo che gli aveva donato oltre che un nome, anche una nuova esistenza. Tuttavia, aveva preferito soffocare quel tipo di sentimento, relegandolo in un angolo remoto della propria mente. Dopotutto lui era una bestia priva di emozioni, un’anima artificiale, pallida imitazione di un essere umano. Non poteva permettersi di provare qualcosa di simile.

Sicuramente, anche Carroll e Baudelaire la pensavano in quel modo. Dal loro sguardo traspariva quel tipo di sentimento. In fondo, per il resto il mondo Black No.12 era solo un mostro portatore di distruzione. Un’arma, un esperimento, un oggetto.

Solo Arthur Rimbaud aveva provato a convincerlo del contrario. E ora lui era morto.

Verlaine era ancora perso nei propri pensieri che non fece caso al leggero bussare che proveniva dalla porta della stanza, o almeno fino a quando non vide spuntare il volto sorridente di Baudelaire.

«Bonjour mon ami. Hai avuto un altro incubo?» il biondo preferì ignorarlo, iniziando a prepararsi per la colazione. Avrebbe tanto desiderato uccidere Baudelaire. Levargli dal viso quell’espressione così falsa. Riconosceva però di avere ancora bisogno di lui.

Una volta esaurita quella utilità se ne sarebbe sbarazzato con piacere. Sorrise pregustandosi il momento.


 

***


 

Lewis Carroll non avrebbe mai pensato di evadere dal carcere di massima sicurezza di Meursault. Come non si sarebbe mai immaginato di finirvi rinchiuso. I suoi colleghi della Torre dell’Orologio non erano mai stati in grado di capirlo, ma in fondo non ci avevano neppure provato. Era stato più semplice etichettare Lewis come un traditore, un pazzo, e seppellirlo nell’oscurità di una prigione.

Era così che a Londra si affrontavano i problemi, insabbiandoli. Come se il nascondere una cosa servisse a cancellarne per sempre l’esistenza. L’intelligence inglese non era altro che un corpo d'élite al servizio della corona. Il suo unico errore era stato quello di sfidarne l’autorità e tentare una rivoluzione. Gli anni di guerra avevano messo a dura prova tutti loro. Carroll aveva pensato che un cambiamento fosse necessario.

Aveva seriamente rischiato di impazzire, rinchiuso tra quelle mura, senza alcuna possibilità di avere contatti con il mondo esterno. Dopo quasi quattro anni di prigionia, Baudelaire e il proprio amico erano comparsi dal nulla e lo avevano salvato. Una parte di lui ancora stentava a crederlo.

Lewis Carroll aveva udito spesso il nome di Charles Baudelaire. Era un giovane francese con un’Abilità di controllo mentale potentissima.

Era stato nelle fasi finali della Grande Guerra che Baudelaire aveva iniziato a farsi notare, soprattutto sul fronte tedesco.

Quando il conflitto era scoppiato, a Lewis e ai propri colleghi inglesi, era stato fornito un elenco completo dei Trascendentali, ovvero degli individui dotati di Abilità Speciali più pericolosi sul continente, ai quali dovevano prestare attenzione.

La nazione francese non aveva mai rappresentato una grande minaccia, ma con la perdita di Parigi la situazione era cambiata.

Era stato in quel periodo che Charles Baudelaire aveva fatto la propria comparsa, conquistando in poco tempo la scena internazionale.

Carroll ricordava come nelle fasi finali del conflitto, avesse iniziato a girare una voce tra gli ambienti dell’intelligence europeo. Secondo diverse fonti, la nazione francese aveva acquisito un’arma potentissima, in grado di porre fine alla guerra, ma che per qualche ragione si rifiutava di usare.

Con il termine dello scontro, ogni segreto era venuto alla luce.

I francesi avevano recuperato un essere artificiale, un certo Black No.12. Una creatura nata in un laboratorio, risultato di anni di esperimenti sulle Abilità Speciali. Come potenza e pericolosità era da considerarsi di pari livello a un Trascendentale, se non addirittura superiore.

Lewis Carroll non era uno stupido. Aveva riconosciuto subito Verlaine, ancora prima di vederlo all’opera.

La Torre dell’Orologio era a conoscenza di ogni mossa della bête e negli anni, ne aveva monitorato ogni movimento. Dopo essersi liberato dal controllo dei Poètes, quel mostro aveva iniziato a lavorare come assassino su commissione, facendosi ben presto un nome nell’ambiente. In seguito Carroll era stato arrestato e fino a pochi giorni prima non aveva idea di cosa fosse successo al resto del mondo intorno a lui.

Era stato Baudelaire ad istruirlo su quanto avvenuto durante la sua assenza, mentre si allontanavano dalla devastazione provocata da quel mostro privo di umanità.

Carroll aveva avuto modo di osservare Black da vicino mentre scatenava il proprio potere, distruggendo indiscriminatamente ogni cosa fosse entrata nel proprio raggio d’azione. Non aveva mai assistito a niente di simile. Per un attimo, pensò che se a quel tempo la Francia avesse liberato una tale furia, la guerra in Europa si sarebbe risolta nel giro di pochi giorni e forse, il destino di molti sarebbe stato diverso.

Gli erano bastate nemmeno ventiquattr’ore in sua compagnia per capire però quanto il soggetto in questione fosse instabile. Paul Verlaine rappresentava una lama a doppio taglio, era troppo difficile da controllare o prevedere.

Fu in quel momento che Charles Baudelaire nominò per la prima volta Arthur Rimbaud.

Anche quel nome non gli era nuovo. Carroll ricordava di aver letto spesso di lui nei rapporti dei servizi segreti inglesi, come anche del fatto che fosse un vecchio amico di Dame Agatha Christie.

Il famoso Arthur Rimbaud, la spia della quale si erano perse le tracce al termine della guerra. In quei giorni, Baudelaire gli aveva rivelato di come fosse finito in Giappone, dove poi era morto, rimanendo coinvolto nelle dispute di un’Organizzazione locale. Lewis stentava a crederlo. Ma più di ogni altra cosa, era stata la reazione di Verlaine ad averlo lasciato senza parole.

«È come un cucciolo al quale hanno ucciso la mamma» aveva frettolosamente liquidato la questione Charles. Carroll aveva sospettato ci fosse dell’altro, ma aveva preferito non fare domande.

Baudelaire disprezzava Verlaine, non serviva essere un genio per capirlo, eppure avevano progettato insieme la sua fuga. Lui era solo una pedina in un gioco più ampio di cui non era certo di voler conoscere tutti i dettagli.

Lewis aveva compreso come Verlaine desiderasse semplicemente riavere Rimbaud, ma non aveva ancora intuito quali fossero i desideri che muovevano Baudelaire. C’era qualcosa di misterioso nel comportamento della spia francese che non riusciva ad interpretare o afferrare.

Quella notte, il biondo aveva svegliato tutti in preda ad un incubo e per la prima volta, Carroll aveva intravisto un briciolo di umanità in quell’essere portatore di morte e distruzione. Per una frazione di secondo, Verlaine gli era sembrato un normale essere umano, alle prese con le proprie paure ed insicurezze.

Era chiaro che quel mostro stesse soffrendo. Perché era dolore, il sentimento che aveva potuto scorgere in quelle iridi apparentemente fredde come il ghiaccio.

«Non credevo che un simile essere fosse in grado di sognare» era stato il solo commento di Baudelaire una volta rimasto solo con Lewis.

Dopo quell’episodio, i due uomini si erano recati nella piccola cucina al piano di inferiore di quel rifugio improvvisato, con l’intento di bere qualcosa di caldo. Carroll aveva fissato il Poète a lungo non sapendo come replicare a quell’affermazione. Era stata una sorpresa anche per lui.

«Credo che tutti possano farlo» si era limitato a rispondere, versando l’infuso di tè bollente, e porgendo a Charles una tazza «Ecco perché la mia Ability è così temuta. Perché io posso rendere quelle fantasie reali»

«Tu doni alla gente la possibilità di vivere nel proprio mondo ideale» fu l’unico commento della spia.

«Anche il più bello dei sogni può sempre trasformarsi in un incubo»

Charles prese un lungo sorso prima di rispondere, alzando il capo per incrociare finalmente lo sguardo dell’altro;

«È esattamente quello che voglio. Rinchiudere Black in un mondo di sofferenza senza fine. Voglio che paghi per i propri peccati. Per ciò che ha fatto a Paul»

Per la prima volta Lewis Carroll si domandò chi fosse il vero mostro.


 

***


 

Charles Baudelaire non era pentito della propria decisione. Aveva scelto di rivelare il proprio intento a Carroll perché sapeva che non lo avrebbe tradito. Nella situazione nella quale si trovavano, Verlaine era il meno affidabile. Ma quella non era certo una novità, era una variabile che la spia aveva preso in considerazione sin dal principio.

Avevano finito di consumare il tè in silenzio per poi tornare ognuno nelle proprie stanze. A lui era toccata la più piccola, a sole due porte di distanza da quella del biondo essere artificiale. Charles era rimasto sinceramente sorpreso nell’udire quel urlo. Come dall’espressione sconvolta comparsa sul viso di Verlaine.

Sapeva di non doversi fidare. Quello era un mostro. Poteva avere l’aspetto di un essere umano ma Black non era come loro. Non lo sarebbe mai stato.

Questa era l’unica verità che avrebbe mai accettato. Era più facile in quel modo. Odiare un mostro non era la stessa cosa che odiare un essere umano.

In quel momento, il proprio cerca persone abbandonato sul letto, prese a suonare con insistenza. Riconobbe immediatamente il numero sul display. Si affrettò a recuperare un cellulare usa e getta dal proprio bagaglio.

«Complimenti. Siete finiti in prima pagina» furono le prime parole di Stendhal. Gli angoli della bocca di Baudelaire si incurvarono in un sorriso spontaneo. Qualsiasi preoccupazione riguardo a Verlaine era passata in secondo piano, al solo udire la voce del proprio superiore.

«Quanto sono furiosi ai piani alti?» domandò divertito, non facendo nulla per mascherare il proprio stato d’animo.

«Per ora nessuno ti ha ancora collegato all’incidente e sai che farò quanto possibile per coprirti Charles, ma non scherzare col fuoco» il Poète si lasciò cadere sul proprio letto, abbandonandosi ad un sospiro stanco;

«So quello che faccio. Non sono un bambino» mormorò nascondendo il volto contro un cuscino;

«Hai visto di cosa è capace quell’essere» si, lo aveva visto, ma non avrebbe mai dato al proprio superiore una tale soddisfazione;

«Sai che anche i mostri possono sognare?» decise di cambiare argomento per alleggerire la tensione che si era venuta a creare tra di loro.

«Charles» Non poteva vederlo, ma era sicuro che Henry avesse alzato gli occhi al cielo;

«Poco fa, Black si è svegliato in preda ad un incubo. Spero si tratti solo del suo senso di colpa»

«La vendetta non ti riporterà indietro Arthur»

Ma lo farà una pagina del Libro.

Concluse nella propria mente.

Quando aveva scelto di rivelare il proprio piano a Stendhal, aveva omesso quel piccolo particolare. Baudelaire sapeva come il superiore non sarebbe mai stato d’accordo con quell’idea.

In quegli anni il loro rapporto era mutato. L’odio che inizialmente provava nei confronti di Henry si era pian piano trasformato in rispetto ma c’erano ancora tante cose su di lui, troppe, che Charles faticava a comprendere.

Aveva solo una certezza alla quale aggrapparsi, Henry Stendhal sarebbe sempre rimasto fedele al proprio lavoro. A quei Poètes che continuavano ad usarli come pedine. I loro superiori avevano giostrato la guerra da dietro le quinte, scegliendo e preparando con cura ogni mossa sulla scacchiera internazionale. Baudelaire si era stancato di essere un cagnolino fedele. O forse, non lo era mai stato. Aveva scelto quella vita per Paul, e ora che non c’era più non aveva motivo di continuare con quella recita.

La nazione che per più di dieci anni aveva servito, non si era fatta problemi a ignorare Rimbaud. A dimenticarlo. Una volta finita la guerra non avevano più bisogno di lui. I Poètes avevano preferito abbandonare Paul al proprio destino, lasciandolo morire in una terra straniera, senza alcun ricordo del proprio passato.

Anche loro un giorno, avrebbero dovuto pagare per quella colpa.

«Charles» la voce di Stendhal lo costrinse ad interrompere qualsiasi altro pensiero o proposito bellicoso;

«Non dico che sia facile, ma prima o poi dovrai accettare la scomparsa di Rimbaud» odiava quando il proprio superiore utilizzava quel tono di voce. Quando tentava di essere una persona ragionevole.

«Tu sai cosa provavo per lui. Sei l’unico che conosce tutta la storia. Quindi come puoi chiedermi di fare una cosa simile?»

«Sono passati quanti anni? Sette, forse otto da quando Arthur ha lasciato l’Europa»

«La guerra si era appena conclusa.» si trovò ad ammettere «Non potevo raggiungerlo. Allora non sapevo nemmeno dove fosse finito. Non lo sapeva nessuno, era una missione top secret.»

«Non è colpa tua, Charles» Baudelaire strinse i pugni.

«Lo so. La colpa è di quel mostro che riposa nella stanza accanto. Dovresti vedere quanto gli somiglia Henri, ha i suoi stessi modi di fare. È irritante»

«Pensavo che sareste andati d’accordo. Dovreste avere parecchie cose in comune» Baudelaire affondò nuovamente il viso nei cuscini.

«È un essere artificiale»

«Che come te ha perso qualcuno di importante»

«Secondo i rapporti sull’incidente di Suribachi che abbiamo visionato, è stato Verlaine a ribellarsi alla sua autorità. Quel mostro ha tradito il proprio partner, il proprio Paese»

«Tu per primo dovresti sapere che ciò che compare sui documenti ufficiali e la realtà dei fatti non sempre coincidono»

«Non perdonerò mai quel mostro e non ho intenzione di cambiare il mio piano» fu allora che Stendhal scelse di dichiarare la propria resa. Sapeva quanto Charles potesse rivelarsi testardo e non aveva voglia di iniziare uno scontro con lui.

Non sarebbe servito a nulla.

Avrebbe continuato ad osservare quella situazione da lontano, come un mero spettatore, intervenendo solo in caso di bisogno. Non dubitava di Baudelaire, ma conosceva fin troppo bene i sentimenti che lo tenevano ancorato a Rimbaud, o meglio, al suo ricordo.

Anche lui aveva la propria parte di colpa di quella storia. Non era stato in grado di addestrare a dovere Charles. Non era riuscito a fargli dimenticare quel suo primo e sfortunato amore. Stendhal aveva fallito. Lo aveva fatto nel momento in cui aveva incrociato per la prima volta quegli occhi blu.

«Ti concedo una settimana, anzi cinque giorni. È il massimo che posso offrirti» rispose dopo una lunga pausa servita solo per accendersi una sigaretta;

«Andrà tutto bene, Henri»

«Henry» entrambi sorrisero prima di riagganciare.

Baudelaire passò il resto della nottata diviso tra i ricordi di un passato che si faceva sempre più lontano e le aspettative per un futuro radioso. Forse Stendhal aveva ragione, in quegli anni non aveva fatto altro che idealizzare Paul. Avevano trascorso solo una notte insieme. La loro relazione si era conclusa ancora prima di iniziare.

Si, lui e quel mostro erano davvero simili, anche se non lo avrebbe mai ammesso ad alta voce. Entrambi erano rimasti incatenati al passato, ad una stagione delle loro vite ormai sfiorita che non sarebbe più tornata. Baudelaire era incapace di fermarsi, e accettare quella realtà. La vendetta rappresentava solo la via più semplice attraverso la quale affrontare il proprio dolore e senso di colpa.

Quando in quella mattina di tanti anni prima era stato preso in consegna dai Poètes non era stato in grado di fare nulla.

Era stato posto di fronte ad una scelta. Come Rimbaud, aveva intravisto un’opportunità e l’aveva colta. Scegliendo di rinunciare per sempre ai propri sentimenti insieme a quell’amore appena sbocciato.

Charles si era ripetuto più volte di averlo fatto solo per Paul. Per proteggerlo. Come sempre era stato più facile cullarsi con una bugia piuttosto che affrontare la realtà.

All’inizio, una parte di lui era stata felice di entrare a far parte dell’intelligence. In questo modo, Baudelaire aveva potuto finalmente comprendere i sentimenti dell’amico. Per la prima volta anche lui si era sentito parte di un qualcosa di grande. Si era solo illuso.

La guerra avrebbe presto distrutto ogni sua fantasia adolescenziale e gli avrebbe mostrato il mondo per quello che era.

Solo i più forti sopravvivono, i deboli vengono schiacciati.


 

***


 

«Bonjour mon ami. Hai avuto un altro incubo?»

Poco prima dell’alba, Baudelaire aveva sentito dei rumori provenire dal corridoio e aveva intuito che Verlaine si fosse svegliato. Doveva controllarlo, ma soprattutto voleva sincerarsi delle sue condizioni. In seguito allo spettacolo di quella notte sapeva di potersi aspettare di tutto. Dopo aver bussato, non ricevendo alcuna risposta il Poète era entrato nella stanza, sorprendendo il biondo intento a vestirsi.

Nessuna traccia di turbamento distorceva i tratti di quel viso angelico. Baudelaire odiò quella perfezione.

Verlaine si limitò ad ignorarlo senza degnarlo di una risposta. Si chiese come potesse il proprio amico controllare un mostro simile.

Solo quando furono tutti e tre seduti intorno al tavolo della cucina il biondo si decise a parlare;

«Mi scuso per lo spettacolo increscioso al quale avete assistito» Charles nascose il proprio sorriso di scherno dietro una tazza di caffè. Non si aspettava un comportamento simile.

«Almeno ora sappiamo che anche tu puoi sognare» il commento di Carroll però, rischiò di fargli andare la bevanda di traverso.

«Non ho avuto un incubo. Era solo il ricordo di una stagione ormai passata» contro ogni aspettativa la spia francese dall’altro capo del tavolo annuì.

«Quando il passato decide di tornare a farci visita non è mai facile» concesse, abbassando la propria tazza.

«Prima che mi imprigionassero, molta gente ricorreva al mio aiuto» esordì Carroll, facendo voltare entrambi i francesi verso di lui;

«Erano persone per lo più tormentate dagli incubi della guerra. Gente comune, uomini, donne, ma anche personalità di spicco della politica e altri dotati di Abilità che avevano combattuto al fronte e rivedevano nei propri sogni i volti dei loro nemici. Grazie al mio potere gli fornivo una via di fuga. Alleviavo le loro sofferenze regalandogli una realtà ideale nella quale potersi rifugiare»

«Ho già accettato la vostra proposta, non devi fare nulla per convincermi, risparmiati questi discorsi » concluse Verlaine andandosene lasciando i presenti senza parole.

«Che significa?» si affrettò a domandare Baudelaire, alzandosi di scatto con l’intento di affrontarlo. Il biondo si fermò a qualche metro dalla porta,

«Semplicemente che Carroll utilizzerà la sua Abilità su di me. Voglio vedere questo mio mondo ideale e incontrare nuovamente Rimbaud. Sia ben chiaro, non mi fido ancora delle tue intenzioni Charlie ma voglio tentare. In qualsiasi caso basterà svegliarmi per rompere l’incanto, giusto?»

Lewis si limitò ad annuire mentre osservava il biondo lasciare la stanza. Il francese invece si rimise a sedere, imprecando sottovoce per quel soprannome e per la somiglianza tra i modi di fare di Verlaine e quelli del proprio defunto amico.

«Non credevo avrebbe mai accettato» esordì dopo qualche secondo Carroll, versandosi dell’altro tè «è stato fin troppo collaborativo»

«L’incubo di questa notte deve avergli fatto cambiare idea» ipotizzò Baudelaire.

«Pensate che il vostro piano possa funzionare?»

«Non ho il minimo dubbio. Paul è stato la persona più importante della sua vita, farebbe di tutto per riaverlo»

Quelle parole valevano anche per lui.


 

***


 

Forse aveva accettato con troppa facilità, ma il desiderio di rivedere Arthur era più forte di qualsiasi cosa. Erano passati otto anni da quel giorno in Giappone. Dal loro litigio, dal suo tradimento. Verlaine non aveva il minimo dubbio su cosa avrebbe chiesto a Carroll.

«Vorrei non aver mai tradito Rimbaud. Vorrei che quella missione fosse andata diversamente»

Baudelaire storse il naso. Non aveva bisogno di conoscere tutti i dettagli. Sarebbe stato come gettare del sale su una ferita ancora fresca. L’uomo accanto a lui invece, non sembrava essere della stessa opinione;

«Riesci ad essere più preciso?» domandò Carroll facendo un paio di passi in avanti;

«Io e Rimbaud dovevamo infiltrarci in una base nemica e recuperare un essere artificiale simile a me. Questa era la nostra missione» a quelle parole, Charles si fece più attento. Aveva letto più e più volte il rapporto sull’incidente di Suribachi ma il racconto di Verlaine gli avrebbe fornito una nuova versione dei fatti;

«Scoprimmo che quell’essere era solo un bambino. Arthur voleva consegnarlo al governo francese ma io sono opposto. Questo è stato il motivo del nostro litigio. Ho cercato di dare un futuro migliore a quella creatura. Non volevo che diventasse come me, che crescesse sapendo di non possedere un’anima»

Per la seconda volta nel giro di ventiquattr’ore Baudelaire pensò a quanto lui e quel mostro fossero simili. Probabilmente anche lui avrebbe tentato di far ragionare il proprio compagno. Arthur era stato cresciuto dai Poètes Maudits, allevato per essere una spia, come poteva permettere a quella storia di ripetersi? Al suo posto, anche Charles si sarebbe rifiutato di consegnare quel ragazzino alla Francia.

«Allora ti mostrerò una realtà in cui il tuo partner ha accolto questo tuo desiderio»

Verlaine annuì prima di chiudere gli occhi e cadere in un sonno profondo.

Baudelaire osservò Carroll attivare la propria Abilità. Non vi era nulla di eclatante o scenografico, erano dei semplici fasci di luce viola che raggiungevano la mente del biondo avvolgendola. Fece un paio di passi in avanti.

«Ha funzionato?» domandò incerto, non staccando lo sguardo dal volto addormentato di Verlaine. Anche in quelle condizioni, l’essere artificiale era bellissimo, etereo.

«Perché non verifichi tu stesso?» il francese annuì richiamando un paio di petali tra le proprie mani. Di fronte all’espressione interrogativa di Carroll si trovò a spiegare;

«Les Fleurs du Mal. La mia Abilità. Posso controllare la mente di chiunque entri in contatto con i petali di questi fiori»

«Lo so, avevi accennato ad una cosa simile e penso di averti visto all’opera durante l’evasione» Charles si sporse quel tanto che bastava per poggiare un paio di petali sulla fronte di Verlaine

«In questo modo posso entrare nella sua mente. Vedere cosa sogna. Il suo mondo ideale»

«Non puoi interferire con la mia Abilità» si affrettò a fargli notare l’inglese

«Lo immaginavo. Mi limiterò ad essere un mero spettatore»

«Mi hanno dato del pazzo ma a quanto pare non sono l’unico» Charles gli regalò un sorriso stanco.

«Che cos’è l’amore se non il bisogno di uscire da se stessi»

«Sei un vero poeta» fece una pausa, prima di aggiungere «È una ben povera memoria quella che funziona solo all’indietro»

«Cosa vorresti dire?»

«Prendilo come un consiglio, non puoi vivere costantemente nel ricordo del passato. Di ciò che è stato. Tu e questo mostro siete più simili di quanto entrambi vogliate ammettere. Ma non siete gli unici che hanno perso qualcuno di caro»

«Tu?»

«C’è stato un tempo in cui anche io avevo una vita, una famiglia.» Baudelaire scelse di rimanere in silenzio;

«La guerra mi ha portato via ogni cosa. Grazie alla mia Abilità riesco a condurre gli altri in un mondo ideale, ma non posso utilizzarla su me stesso. Ci ho provato così tanto che forse sono davvero finito con l’impazzire.»

La guerra in Europa aveva cambiato l’esistenza di molti, anche quella di Charles. Lo scontro che per anni aveva dilaniato il vecchio continente si era concluso, ma le ferite che si era lasciato dietro sanguinavano ancora.

Senza rendersene conto, Baudelaire si era trovato a combattere in prima linea, per difendere quella nazione che tanto aveva odiato. Era stato per lungo tempo in Germania, facendo ritorno in patria solo in seguito alla caduta di Parigi. Aveva sentito delle voci secondo le quali Paul e il suo mostro fossero presenti durante quella battaglia, ma aveva scelto di non approfondirle. Aveva sofferto per dieci anni, piangendo l’amico su di una tomba vuota, non avrebbe retto di nuovo un tale dolore.

Alla fine lo aveva perso comunque e la vendetta era la sola cosa che gli era rimasta. Fu allora che Lewis riprese con il proprio racconto;

«È stata una delle mie figlie a scegliere il nome della mia Abilità, mi disse che sarebbe tanto voluta andare in quel Paese delle Meraviglie che tanto decantavo nelle mie storie. Cercavo di regalare loro una realtà migliore, nascondendogli per quanto possibile la crudeltà di questo mondo. Ogni sera, prima di metterle a letto raccontavo loro delle favole. Alla fine l’ho accontentata. Quando ho ritrovato la mia piccola Alice, sepolta tra le macerie della nostra abitazione era in fin di vita. Ho usato il mio potere su di lei, per farle vivere i suoi ultimi istanti in pace. È spirata tra le mie braccia» Charles chinò il capo in segno di rispetto, mentre l’inglese si asciugava le lacrime che avevano iniziato a rigargli le guance.

«Mi dispiace Lewis»

«Aveva sette anni e mezzo, se fosse ancora viva ora ne avrebbe quasi sedici»

«Non so davvero cosa dire»

«Non devi dire nulla. Era semplicemente il suo destino. Come me, anche voi dovete accettare la realtà, ovvero che non si possono riportare in vita i morti» guardò prima Charles poi Verlaine addormentato a qualche metro da loro.

L’inglese sapeva che quelle parole si sarebbero perse nel vento. Lo aveva capito osservando gli sguardi di quei due uomini pronti a tutto, tranne che ad affrontare la realtà.

Baudelaire sapeva che Carroll aveva ragione, tuttavia l’esistenza stessa del Libro gli forniva una speranza. Grazie ad una pagina avrebbe potuto riscrivere completamente la realtà insieme alla loro storia.

Doveva solo consegnare Verlaine ai propri superiori, ma prima si sarebbe divertito nel vederlo soffrire.


 

***


 

- Qualche stagione prima -



 

«Ogni giorno andiamo all’inferno, un passo alla volta»

Arthur aveva alzato gli occhi dal taccuino sul quale stava scrivendo solo per osservare meglio la figura di Charles, in piedi a qualche metro da lui. Era uno dei loro pomeriggi insieme e si trovavano in un piccolo parco parigino.

«Si può sapere di cosa stai parlando?» domandò il moro.

«Riflettevo sulla guerra. Ogni giorno sembra che il suo scoppio sia imminente ma alla fine non succede nulla. Sembra una lenta discesa verso gli inferi. Un’agonia»

«Charlie» lo rimproverò, decidendo di mettere via il proprio taccuino.

«Cosa ho fatto di male ora?»

«Nulla. Ma non parlare in questo modo, sembra quasi che tu voglia la guerra» fu il turno di Baudelaire di sbuffare;

«Ora non iniziare a fare i tuoi soliti discorsi»

«Questo non è un gioco Charles. Ci sono un sacco di cose in ballo. Questo scontro, se mai ci sarà, cambierà le sorti dell’intero continente, come le vite di milioni di persone»

«In questo momento sto parlando con Paul o con Arthur?» il moro alzò gli occhi al cielo, odiava quando il proprio amico lo trattava in quel modo. Aveva scelto di essere una spia, perché Charles non perdeva mai l’occasione di fargliene una colpa? Non capiva perché non potesse essere felice per lui.

«Stai parlando con me» si limitò a rispondere.

«Se dovessimo entrare in guerra tu cosa farai?» Rimbaud lo fissò per qualche secondo confuso,

«Mi limiterò a seguire gli ordini come ho sempre fatto» gli sembrava una risposta ovvia ma come sempre l’amico non era d’accordo;

«E da quale parte starai Paul?»

«Servirò il mio Paese»

«E se ti chiedessero di fare qualcosa di orribile?»

«Mi sembra di avertelo detto. Io sono un assassino. Ho già tolto delle vite. Non sono più il ragazzino che conoscevi Charlie» Baudelaire si zittì;

«E se io dovessi combattere al fronte?» a quello Arthur non aveva pensato;

«Ho prestato un regolare servizio militare, possono chiamarmi in qualsiasi momento e spedirmi in prima linea»

«La guerra non scoppierà. Farò il possibile per evitare che accada» Charles sorrise. In tanti anni le espressioni di Paul non erano cambiate, sotto quel pesante cappotto c’era ancora il ragazzino gentile che ricordava.

«Se proprio andremo all’inferno mi piacerebbe farlo insieme» ma lo disse talmente piano che Rimbaud non riuscì a sentirlo.

Avrebbe tanto desiderato condividere quell’entusiasmo e quella fiducia, ma qualcosa in Baudelaire gli suggeriva di non fidarsi di quei Poètes che già una volta gli avevano portato via quanto di più caro avesse al mondo.

Una settimana dopo, Arthur Rimbaud partì per Londra. In contemporanea Charles Baudelaire iniziò la propria discesa verso gli inferi entrando nell’intelligence.















 

*«Quando mi sembrava che avesse lo spirito inerte, io lo seguivo, lontano, in azioni strane e complicate, buone o cattive: ero sicuro di non poter mai entrare nel suo mondo. Quante ore ho vegliato vicino al suo corpo addormentato, cercando di capire perché volesse tanto evadere dalla realtà.»


 



 

  
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