Serie TV > Sherlock (BBC)
Segui la storia  |       
Autore: Eris_artem    11/03/2023    2 recensioni
John Watson è un veterano di guerra, ferito, depresso e squattrinato. L'ultima persona che vorrebbe incontrare è un alpha belloccio ma arrogante, eccentrico e vanitoso come Sherlock Holmes. Peccato che rischi di diventare il suo coinquilino... ma non è ancora detta l'ultima parola!
*ATTENZIONE: questa storia è un'omega!verse. alpha!Sherlock, omega!John*
Genere: Avventura, Noir, Omegaverse | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Lestrade, Quasi tutti, Sherlock Holmes, Sig.ra Hudson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Capitolo Secondo

 

Alpha idioti a Scotland Yard

 

 

 

Purtroppo per il consulente investigativo − o quel che era − John Watson era un veterano ferito. Ferito e claudicante. Gli ci vollero quattro minuti buoni per scendere tutti i gradini della palazzina, e meno male che l’appartamento era al primo piano.

Una volta sceso in strada, trovò Sherlock Holmes che lo aspettava sul sedile posteriore di un taxi.

«Si sbrighi, John. Lasci perdere quella stupida stampella!».

Le vene sul collo di Watson si gonfiarono. «La stupida stampella mi serve», ringhiò.

L’altro non alzò nemmeno la testa dal cellulare, ma a John parve di sentire un ‘Ridicolo’ provenire da qualche parte, sotto i ricci.

Ricci che forse si sarebbe concesso di guardare più a lungo, se fossero appartenuti ad un uomo meno irritante…

La sua testa ebbe uno scatto improvviso, come per scacciare fisicamente l’idea. Per fortuna, Holmes era troppo preso da se stesso per notarlo… John non se la sentiva di escludere che fosse capace di leggere il pensiero che si cela dietro un gesto involontario.

Prese posto di fianco a lui. «Se posso chiederlo, dov’è che andiamo?»

«A Scotland Yard, ovviamente»

 

C’era solo una cosa peggio della pioggia in Afghanistan − ed era la pioggia a Londra. 

O meglio, riformulò Watson, il traffico londinese quando piove. Quella che si stava scatenando fuori dal finestrino era senza dubbio una visione premonitrice dell’Inferno.

Erano bloccati nell’ingorgo da dieci minuti quando Sherlock Holmes alzò finalmente gli occhi dal telefono.

«Non ha ancora iniziato con le domande».

Watson non era sicuro di volergli dare quella soddisfazione. Ma alla fine la curiosità prevalse sull’orgoglio. «Come faceva a sapere che è un nobile? Impara tutti i giornali a memoria?», domandò ironico.

«Non sia ridicolo», rispose Holmes con sussiego. «Memorizzo solo le colonne laterali, gli annunci di privati e i necrologi. Gli articoli interessanti, quelli che parlano di me o di casi risolti, li conservo in un archivio ordinato alfabeticamente. Mi è tornato utile, qualche volta»

«Non ci credo» disse John con un ghigno.

Sherlock Holmes si voltò verso di lui. Era il principio di una risatina, quello che gli increspava le labbra? «Ammetto che in parte è per vanità», disse. «Ma saper selezionare le notizie giuste, soprattutto tra quelle che appaiono frivole o di nessuna importanza, è uno degli aspetti più importanti nella mia professione».

«E lei è bravo a leggere i necrologi?», lo canzonò John. Avrebbe voluto che la sua voce suonasse più ironica. Invece c’era quella nota fastidiosa di… ammirazione. Niente di buono. Niente di buono poteva venire a un omega che ammirasse un alpha.

«Può giudicare da sé», rispose Holmes con un sorrisetto.

John preferì virare su un altro aspetto dell’argomento. «Mi dica di Lord Frenkel. Cos’ha trovato su di lui sui giornali?»

«Nel Luglio 2009 si sono celebrate le sue nozze d’argento. Un trafiletto sul Mirror. Il ricevimento ha avuto luogo in uno dei migliori hotel di Londra, tra pochi invitati.»

«Tutto qui?»

«No, c’era anche una fotografia», rispose Holmes. «Si vedeva poco però, solo le due figure in primo piano. I festeggiati», precisò, col tono di chi è costretto a evidenziare l’ovvio.

 John sorrise, ma poi rammentò qualcosa che gliene fece passare la voglia. «Quindi il figlio doveva essere già morto, all’epoca», osservò, rivolto più che altro a se stesso.

«Quale figlio?» domandò Holmes, d’un tratto attento.

«Il figlio di Lord Frenkel e della sua… sposa». Era stato sul punto di dire omega, ma per qualche motivo la parola gli era rimasta in gola.

Holmes adesso sembrava decisamente irritato. «Avevo capito. Ma io non sapevo che avessero un figlio. Perché io non sapevo che avessero un figlio e lei sì?».

«Non saprei», rispose John sarcastico. «Lei gliel’ha chiesto?»

Holmes decise di fare l’offeso per il resto del viaggio.

 

La sua ostinazione, però, era evidentemente più debole del desiderio di mettersi in mostra, perché una mezz’ora più tardi, quando il taxi si fermò davanti alla sede del distretto di polizia, Holmes aveva rinunciato alla sua espressione sostenuta per rivolgersi a John con rinnovato buon umore:

«Non si faccia impressionare dagli alpha gonfi di steroidi che ronzano qui. Sono tutti idioti»

John sbuffò.

«Ne dubita?» chiese Holmes. Un sorrisetto ironico comparve sulle sue labbra. «Aspetti di conoscere Lestrade. Forse l’ispettore più ottuso che la polizia londinese ricordi. E, mi creda, non è un primato da poco».

John non replicò nemmeno a quest’affermazione perentoria. Iniziava a capire che quello strano uomo amava essere contraddetto quasi quanto amava contraddire gli altri − probabilmente perché questo gli dava l’occasione di fornire saggi delle sue stupefacenti capacità.

Quasi a conferma della sua ipotesi, la voce di Holmes tradì un pizzico di irritazione quando riprese a parlare: 

«L’ispettore Lestrade ieri mattina ha richiesto la mia presenza per discutere il caso di quei due gentiluomini massacrati. Ho sperato fin dall’inizio che lo affidasse a me, ma quell’uomo è davvero testardo…anche per essere un poliziotto.»

«Quindi era stato contattato dalla polizia?», chiese Watson con una certa esultanza.

Holmes gli rivolse uno sguardo perplesso. «Beh, sì»

«Era un trucco», disse Watson, allegro. «Un’ora fa, lei ci ha sorpreso rivelando che Lord Frenkel aveva ricevuto delle minacce di morte e che questo fatto era collegato agli omicidi di due alpha»

«Lo ricordo perfettamente.»

«Beh, ha barato. Lo ha saputo dalla polizia, non lo ha intuito magicamente da solo»

«Io non intuisco magicamente», replicò Holmes. La sua voce ora nascondeva un ringhio sommesso. «Io applico rigorosamente la scienza della deduzione. Se le mie ricostruzioni non si basassero su dei dati, allora sì che sarebbero magiche, vale a dire inaffidabili, indecorose, non scientifiche»

Watson aveva intenzione di provocarlo, non di offenderlo. Temendo di essersi spinto troppo oltre, stava per scusarsi con Holmes, ma quello non gliene diede il tempo.

«E in ogni caso, sono venuto a conoscenza di almeno uno degli omicidi prima della polizia», disse. «Il secondo, per la precisione. Per di più, la polizia non sa nulla di Lord Frenkel e del suo acino d’uva, perché né io né lui abbiamo alcuna intenzione di denunciare il fatto.»

«E perché mai?»

«Perché come le ho già detto, caro dottor Watson, Scotland Yard è un covo di imbecilli in divisa. Il mio cliente sarà molto più al sicuro se la polizia rimarrà all’oscuro di questa storia.»

 

Su una cosa di sicuro Holmes non si era sbagliato. Lì dentro era pieno di alpha

Appena ebbero varcato l’ingresso della sede centrale del distretto di polizia, John fu colpito da una moltitudine di odori che gli fece girare la testa. Troppe scie diverse si sovrapponevano le une alle altre, ed erano tutte ugualmente forti e acri. 

Si respirava un’aria stressata, tesa; la percentuale di individui beta o – era quasi ridicolo pensarlo – omega, lì dentro, doveva essere minima.

Dietro le porte dei vari uffici si udivano voci imperiose che discutevano, davano ordini, esercitavano la propria autorità. Di tanto in tanto, una porta sbatteva, accompagnata da imprecazioni.

Come ogni altra volta che si era trovato in ambienti affollati di alpha, John Watson alzò le proprie difese. Era un soldato, era stato in guerra: era in grado di gestire i propri impulsi. Ignorare le scie più invitanti, resistere alla tentazione di respirare a pieni polmoni le ondate di ferormoni che gli arrivavano alle narici, rimanere padrone di sé anche qualora un alpha gli avesse rivolto delle attenzioni o degli ordini erano tutte cose che sapeva di poter fare. Non solo: negli anni, aveva costruito il rispetto di sé stesso sulla base di quelle capacità, aveva trasformato l’orgoglio di saper resistere in fierezza. Da molto tempo, ormai, l’idea di non riuscire a controllarsi era diventata semplicemente inaccettabile. E così ogni debolezza era stata bandita, e il piacere che si prova cedendo alla forza di un alpha era un lontano ricordo, relegato agli anni di un’adolescenza quasi del tutto dimenticata.

Avevano a malapena mosso due passi nell’ingresso dell’edificio, quando una donna alpha in tailleur si fece loro incontro con cipiglio battagliero. Era riccia, scura e – Watson s’irrigidì istintivamente – aveva un’aria decisamente aggressiva.

«Holmes», sibilò la donna appena gli fu di fronte.

«Donovan», rispose lui, in tono allegro.

«Che ci fai qui?»

Per tutta risposta, Holmes strizzò l’occhio a John. «Una degli agenti di cui le ho parlato, dottore. Non c’è bisogno che ci accompagni, Donovan, ricordo dov’è l’ufficio dell’ispettore»

Scattò in avanti ignorando l’alpha incazzata, che aveva tutta l’aria di una che l’avrebbe aggredito se solo avesse potuto farla franca. Lei allora si girò verso John.

«Chi diavolo è lei?», gli ringhiò contro.

John Watson serrò le mascelle. Si impedì di assumere un’aria sottomessa e aprì la bocca per rispondere.

Holmes lo precedette: «Lui è con me».

La donna che rispondeva al nome di Donovan si voltò di scatto verso di lui. «Ma chi è?», ripeté.

«È con me». La voce di Holmes si era fatta bassa. Aveva preso una nota autoritaria, che sorprese un po’ John, ma che non intimorì affatto la poliziotta. 

«Questa storia deve finire», ringhiò lei.

«Sì? Sono sicuro che anche l’Ispettore Capo la pensa così», sogghignò Holmes.

Quella frase determinò la resa della donna. «D’accordo, geniaccio» disse, «ma il tuo amico dev’essere perquisito».

Senza che gli fosse data la possibilità di protestare o di prepararsi psicologicamente, John fu trascinato dall’agente Donovan in una stanzetta che dava sul corridoio principale. La donna lo squadrò da capo a piedi, poi gli ordinò di levarsi il maglione e di aprire le braccia a croce.

John era infastidito dal suo tono, ma obbedì.

L’alpha gli tastò i fianchi, controllò le tasche dei combat throusers – due davanti, due dietro, una all’altezza del ginocchio destro –, poi risalì lungo il busto.

«Sembri a posto», sbuffò.

Lui fece per riprendersi il maglione, ma lei lo fermò: «No. Non abbiamo finito».

John le rivolse uno sguardo perplesso. «Niente armi».

«Potresti avere della droga»

«Droga?» esclamò Watson. «Andiamo, non–»

«Via camicia, pantaloni e mutande», continuò l’alpha, senza nemmeno ascoltarlo.

«Questo è un abuso!» sbottò Watson. «Non c’è una sola ragione al mondo per sospettare–»

«Vai in giro con Sherlock Holmes, è una buona ragione per sospettare qualsiasi cosa. Togliti i vestiti!» ordinò lei, perentoria.

John non vide altra soluzione. Schiumando rabbia, si spogliò, lentamente. Era consapevole che la sua scia stava mutando, e che lei poteva sentirla. La stanza era poco più che uno sgabuzzino, per metà occupata da archivi accatastati che raggiungevano il soffitto. C’era già poca aria. John percepì che anche la scia della donna era cambiata leggermente, in risposta ai suoi ferormoni: ora era meno acida, meno aggressiva; avere davanti agli occhi un omega nudo, evidentemente, non le dispiaceva.

«Sei gravido?» domandò, secca.

«No», rispose John ancor più secco.

«In calore?»

«Lei che ne dice?», ringhiò John.

«Sono domande di routine» rispose la donna. «Adesso rilassati e piegati in avanti, mani sulle ginocchia».

John assunse la posizione. Si rese conto di essere sudato. «Deve per forza farlo lei?» chiese, a disagio. Possibile che non si rendesse conto di quant’era umiliante per un omega essere nudo di fronte a un’alpha? Poteva essere addirittura pericoloso.

«Sono io che mi occupo delle perquisizioni», tagliò corto la donna. «Ora tossisci due volte».

John obbedì.

«Bene» disse la donna. «Almeno non ti ha fatto nascondere anfetamine nel posteriore. Immagino che ci toccherà ringraziarlo».

«Posso rivestirmi?» domandò John, ignorando la sua acrimonia.

«Sì».

Si girò, per lasciargli un minimo di privacy. John gliene fu grato. Si era accorto di essere più sudato del previsto. Sperava solo che lei non l’avesse notato.

«Potrei avere bisogno di un bagno», mormorò, quand’era ormai vestito.

Lei alzò gli occhi al cielo. «Cosa credi che sia questo posto? Un distaccamento dell’appartamento di Sherlock Holmes?», ringhiò. «È il dipartimento di polizia!»

«Quindi non c’è un bagno?» la rimbeccò John, strafottente.

«Certo che c’è» rispose lei. «Ti accompagno. Datti una mossa».

Uscirono dalla stanzetta e lei si diresse spedita in fondo al corridoio; John la seguì. Girarono a destra e si trovarono di fronte ad una porta contrassegnata dalla scritta ‘WC − Omega’.

«Datti una mossa», gli disse di nuovo l’agente.

Il bagno riservato agli omega era piccolo e male assortito − mancavano persino gli asciugamani, e John sospettava che la carta igienica fosse lì per caso. Comunque, lui era stato abituato peggio. Gli bastarono un paio di minuti per darsi una ripulita e sciacquarsi il collo, i polsi e l’incavo dei gomiti. In quel modo, sperava di aver lavato via buona parte del proprio odore. Non poteva permettersi di aizzare tutti gli alpha del dipartimento di polizia con una scia che gridava ‘omega disponibile’.

Quando uscì, si sentiva leggermente meglio. La donna lo stava aspettando; era soprappensiero  e John notò che era piuttosto attraente quando non aveva quella smorfia acida sulla faccia. Appena lei lo notò, comunque, la smorfia tornò al suo posto.

«Ti senti bene?»

«Bene» disse John.

«Sicuro di non essere…?»

«Piuttosto sicuro, grazie. Non sono gravido. Non sono nemmeno vicino al calore», rispose John piccato.

«Me ne sarei accorta», rispose lei, piccata. «Non sono come il tuo amichetto».

Detto ciò, girò sui tacchi e lo piantò in asso.

John capì che avrebbe dovuto trovare da solo l’ufficio dell’Ispettore capo.

 

Non serviva il talento di Sherlock Holmes per capire che la porta contrassegnata dalla targa ‘Ispettore Capo Lestrade’ portava all’ufficio dell’Ispettore capo Lestrade. 

Dunque John bussò e, senza aspettare di essere invitato a farlo, abbassò la maniglia ed entrò nella stanza.

Gli occhi cerchiati di rosso che lo fissarono per qualche secondo con stupore appartenevano ad un uomo che non poteva essere altri che l’Ispettore Lestrade. Erano occhi scuri e profondi, che John giudicò belli nonostante l’aria affaticata che conferivano al volto.

«Donovan», sibilò Holmes.

L’ispettore Lestrade lo fissò con aria interrogativa.

John, invece, arrossì. Doveva aver percepito il mutamento nella sua scia, e aver dedotto cos’era appena successo. Decise di troncare l’argomento sul nascere, presentandosi:

«John Watson. Piacere»

Lo sguardo di Holmes indugiò su di lui per una frazione di secondo, ma poi si posò di nuovo su Lestrade.

«Il dottor Watson è arrivato appena in tempo per consigliarti di ricominciare a fumare. Hai una pessima cera.»

Il poliziotto si alzò con un movimento un po’ goffo, e si fece incontro a Watson per stringergli la mano. «Gli piace scherzare», disse, con un tono un po’ cupo. «Dio solo sa quanto vorrei sapere come ha fatto a capirlo»

«Non glielo chieda», rispose Watson, prontamente. «Non gli dia questa soddisfazione».

Un ghigno increspò la bocca di Lestrade.

«È stata una deduzione banale», disse Holmes, ignorando deliberatamente le parole di Watson. «Ti sei sbarazzato dei posacenere»

«C’era un posacenere», mugugnò Lestrade.

«Ce n’erano due», lo rimbeccò Holmes. «Non che servisse questo dettaglio, comunque. Sei stressato, non puzzi di fumo e hai un cerotto alla nicotina sul braccio sinistro».

Lo sguardo di Watson si spostò sul braccio dell’Ispettore, che indossava una camicia a maniche lunghe. Come diavolo…?

«È destrorso», spiegò Holmes, come se avesse colto la sua perplessità. «Statisticamente più probabile che ce l’abbia a sinistra»

«Ma chi ti dice che abbia un cerotto?» protestò Lestrade.

«Hai appena smesso di fumare, è altamente probabile che tu abbia un cerotto alla nicotina»

«Questo è… è…»

«Tautologico?» suggerì John.

Il viso di Holmes si tirò in un sorriso teatrale. «La verità lo è spesso».

Si diresse verso una delle due sedie che stavano di fronte alla scrivania dell’Ispettore, e vi prese posto. «Penso che a questo punto potresti invitare anche il dottor Watson ad accomodarsi».

L’Ispettore rimase come interdetto ancora per un attimo. Poi scosse la testa e farfugliò un «Ma certo, prego» rivolto a John, facendogli cenno di sedersi.

«Cos’hai per me?», chiese Holmes impaziente.

«Delle raccomandazioni, per cominciare. Questa è un’indagine di polizia, e per di più una delicata, Sherlock. Non…»

«Non farò di testa mia, non diffonderò informazioni riservate, non ostacolerò la polizia», recitò Holmes.

«Sono serio», sbuffò Lestrade.

«Anch’io. Ho risolto metà dei casi di omicidio avvenuti in questa città negli ultimi cinque anni. Pensi che non capisca quanto è importante agire con cautela?», disse Holmes, con un sorriso da schiaffi stampato sulla faccia. «E comunque mi hai chiesto tu di venire».

«E tu ti sei portato un amico. Alla faccia della discrezione», borbottò Lestrade.

«Il dottor Watson è un mio… collaboratore temporaneo.»

Lestrade scoccò a John un’occhiata sospettosa, a cui lui rispose con un sorriso molto innocente.

«Comunque sia, anche lei è vincolato al silenzio.»

John non batté ciglio.

«Dunque?», chiese Holmes, ormai impaziente.

«Dunque ci sono stati due omicidi, e non sappiamo dove sbattere la testa», ammise Lestrade.

«Ovviamente.» 

L’ispettore non lo guardò male, stavolta. Watson sospettava che non ne avesse più la forza.

«Due uomini, alpha, di mezza età, di buona estrazione sociale. Le vittime non avevano nemici, stando alle dichiarazioni dei loro famigliari. Nessun movente evidente. Non è stato lasciato alcun messaggio sui corpi… a parte le mutilazioni post mortem

«Che tipo di mutilazioni?», chiese John.

«Sono stati asportati loro i genitali», gli rispose l’Ispettore Lestrade, cupo. «Con un coltello da cucina, in entrambi i casi. Un lavoro poco fine. Sangue e carne maciullata in gran quantità. Sembrava di avere davanti gli scarti di un mattatoio»

«Terribile», commentò Holmes, con tono leggero. 

Nemmeno John rimase molto impressionato. Nessun orrore che potesse essere evocato con parole umane avrebbe mai eguagliato quello che lui aveva visto coi suoi occhi, in guerra.

Lestrade mugugnò.

«Di quali altri fatti è a conoscenza la polizia?», domandò Holmes.

«Abbiamo escluso che le due vittime avessero legami particolari. È comunque possibile che si conoscessero… facevano parte di un ambiente in cui si conoscono tutti. Sembra che fossero iscritti allo stesso circolo di bridge, ma Sir Lionet non si faceva vedere a un torneo da anni, benché pagasse regolarmente l’iscrizione»

«E voi state… ehm, seguendo questa pista?», domandò John.

Lestrade si strinse nelle spalle. John ebbe l’impressione che Holmes stesse reprimendo una risatina, ma decise di ignorarlo e continuò:

«Non avevano nient’altro in comune? Politica, ad esempio?»

Lestrade rispose che erano iscritti a due partiti diversi, che non risultava avessero investito nelle stesse attività; Sir Lionet frequentava una certa chiesa nel West End, Lord Mulray era ateo; l’uno aveva come hobby la pesca, l’altro era animalista. Non c’era traccia di collegamento, nemmeno la più labile.

Holmes, a questo punto, sbuffò. Gli altri due si voltarono a guardarlo – Lestrade con un sopracciglio pericolosamente alzato – e aspettarono che parlasse.

Lui non tardò ad accontentarli.

«La polizia», scandì, «non sa fare altro che ignorare gli indizi. Sembra che vi divertiate a farlo. Più sono evidenti, e più sforzi fate per non vederli». Sospirò, con aria teatrale.

L’ispettore non tradì segni di irritazione o di impazienza, ma John avrebbe scommesso che una delle sue gambe avesse iniziato a ballare, sotto la scrivania ingombra di pratiche.

«Tanto per cominciare, non è nei loro conti in banca che troverete la vostra pista, come il dottor Watson la chiama. È chiaro che cambiali e obbligazioni non hanno nessun peso in questa storia. Siamo davanti a due delitti che potremmo definire passionali»

«Abbiamo vagliato quell’ipotesi», lo interruppe Lestrade con voce stanca «e non regge. Nessuno dei due aveva amanti.»

«Niente di così ovvio, naturalmente», lo rimbeccò Holmes. «No… la traccia c’è, ma ancora non la vedete. Il dottor Watson prima ha parlato di politica. Non era del tutto fuori strada. Che cosa otteniamo se sommiamo la politica ai sentimenti?» domandò.

Nessuno dei suoi interlocutori ne aveva la minima idea. John si sforzò di trovare un senso alle parole di Holmes, di seguire la via che il suo dito indicava, ma niente.

Lui alzò gli occhi al cielo, e chiese: «Erano sposati? Con donne o uomini? Omega o beta?»

«Entrambi sposati con donne omega», rispose Lestrade. «E allora?»

«E allora dovete cominciare a farvi le domande giuste. Per esempio, che rapporto avevano con le mogli? Che vita facevano condurre loro?»

Lestrade alzò le spalle. «Se sospetti che ci sia dietro una storia di violenza domestica devo deluderti, non abbiamo nessun elemento per sospettarlo».

«L’alta società inglese è piuttosto conservatrice, certi panni tende a lavarli in privato», rispose Holmes. «Ma di solito queste storie saltano fuori ugualmente, se si sa a chi chiedere. No, non è questo che dobbiamo cercare».

«E allora cosa?»

Holmes rimase zitto per un minuto o due.

«Le due omega sono la chiave della vicenda», mormorò infine. Aveva l’aria assorta, mentre dondolava la gamba destra, accavallata sull’altra con indolenza.

«Le abbiamo interrogate», rispose Lestrade. «Niente. Sono entrambe distrutte, ma non ne sanno niente.»

«Dovete scavare nel passato di queste donne.» 

L’ispettore si strinse nelle spalle, nuovamente. «Lo abbiamo fatto, Sherlock. Non c’è proprio niente di sospetto. Sono stati matrimoni d’amore, lunghi e felici…»

Holmes sbuffò, impaziente.

«Credimi, non troverai nulla su quelle due donne. Amavano i loro mariti e sono devastate dalla loro perdita. Comunque, se lo ritieni utile puoi parlare con Lady Mulray: da qualche giorno non si stacca dalla sede dell’associazione di volontariato di cui fa parte.»

Gli occhi di Holmes si illuminarono, per un attimo. «Quale associazione?»

«Amici di O. Si occupano di prestare soccorso a… persone in difficoltà.»

A Watson non era sfuggita l’esitazione di Lestrade, che aveva prontamente distolto lo sguardo da lui. Probabilmente si trattava di una di quelle associazioni che si occupavano di aiutare gli omega.

«Finalmente un’informazione interessante»

«Pensi che l’associazione c’entri qualcosa?», chiese l’ispettore. «Onestamente non credo che…»

«Eppure penso che non possa essere che così», disse Holmes, tranquillo. «Naturalmente non si tratta che di un sospetto, per il momento. Dovrò indagare per conto mio per…»

«Ma non ha senso, Sherlock», protestò Lestrade, «l’Associazione di cui stiamo parlando è al di sopra di ogni sospetto. E poi, l’altra vittima non aveva alcun collegamento con tutto questo. Non risulta che Sir Lionet abbia mai fatto il volontario, né in un centro anti-violenza né in un canile, se è per quello!»

Holmes non si scompose. «Se i criminali lasciassero una lettera di spiegazioni alla polizia ogni volta che compiono un delitto, ispettore, vivremmo in un mondo assai didascalico». E aggiunse, con un certo sussiego: «Pensate a quanto sarebbe noioso.»

Lestrade aveva l’aria di uno che non avrebbe trovato noiosa una vacanza. Lo sguardo che rivolse a Holmes sembrava suggerire al detective privato di risparmiarsi certe ironie. «Potrebbe trattarsi di un serial killer che sceglie le sue vittime tra alpha benestanti», ragionò.

«Sarebbe inusuale», osservò Holmes mansueto, «ma non impossibile. Continui»

«Oppure potrebbe sceglierli a caso. Magari li punta, li segue fino a casa e lì li uccide. Poi li mutila. In ogni caso, riteniamo che la mano omicida sia la stessa in entrambi i delitti».

«Almeno su un elemento siamo d’accordo», rispose Holmes. «Sono lieto che la polizia sia abbastanza saggia da indagare sulle attività benefiche di Lord e Lady Mulray. È una decisione che condivido».

«Ma veramente…», iniziò a protestare Lestrade.

«Dal canto mio», continuò Holmes, ignorandolo, «ho delle ipotesi che intendo verificare al più presto. Avrai mie notizie entro domani sera». Diede un’occhiata al proprio orologio da polso, e si alzò per dirigersi verso il cappotto, abbandonato su un appendiabiti vicino alla porta.

Lestrade gli rivolse uno sguardo grave. «Sherlock.»

Holmes indossò il cappotto.

«Se hai delle informazioni, non puoi nasconderle alla polizia. Non posso continuare a coprirti coi miei colleghi. Non sei esattamente la mascotte del Dipartimento…»

La porta si richiuse dietro Holmes con un rumore secco.

John Watson fissò sbalordito l’Ispettore di polizia, che non mascherò un sospiro. Più rassegnato che stizzito, Lestrade gli strinse la mano, congedandolo.

 

 

Erano le otto passate quando Watson rincasò. Mise dell’acqua a bollire e si lasciò cadere sulla sedia (l’unico mobilio a disposizione in quel monolocale economico e angusto), mentre riviveva la giornata appena trascorsa.

Il suo futuro coinquilino era pazzo. E, ancora peggio, era un alpha. Prudenza, razionalità e buonsenso sconsigliavano a gran voce di trasferirsi a Baker Street. Eppure, per qualche motivo insondabile, John sentiva di avere voglia di farlo… Forse perché Holmes, per quanto eccentrico, non sembrava un uomo pericoloso. O forse perché quella folle giornata era la prima a distinguersi dalle mille giornate incolori che l’avevano preceduta.

E poi, non aveva molte alternative: la sua pensione da reduce bastava a malapena per continuare a vivere in quel buco. Tornare a Londra gli era sembrata una buona idea, dopo il congedo, ma poche settimane erano bastate a convincerlo che sarebbe presto finito come tanti ex soldati di cui aveva avuto notizia. Diversi si erano dati all’alcol, qualcuno viveva per strada. Aveva addirittura sentito di un tale che, tornato dall’Iraq, aveva fatto irruzione in un tribunale con un maiale. Chissà come se l’era procurato. 

Erano pochi quelli che riuscivano a reinserirsi. Lui stesso, benché fornito di una laurea a pieni voti e di un buon impiego prima di arruolarsi, faticava a trovare lavoro – faticava anche a presentarsi all’ufficio di collocamento, a dir la verità.

La vita non è misericordiosa, pensò mentre sorseggiava il suo tè amaro, specie con omega, soldati e medici depressi. Una vera fortuna far parte di tutte e tre le categorie.

Queste lugubri riflessioni furono interrotte dal cellulare che si illuminava.

 

Si ricordi il contratto.

SH

 

John bloccò lo schermo con un gesto stizzito. 

Subito dopo, un altro messaggio.

 

A Baker Street c’è qualcosa che le appartiene.

SH

   
 
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Sherlock (BBC) / Vai alla pagina dell'autore: Eris_artem