Serie TV > Altro - Fiction italiane
Segui la storia  |       
Autore: ClodiaSpirit_    12/03/2023    0 recensioni
[Un Professore]
[Un Professore][Un Professore]Simone e Manuel sono rispettivamente un principe elfo e un guerriero.
E' un AU FANTASY. Un po' ispirata a LOTR e un po' con licenza poetica.
- - -
Sei un elfo, sei un soldato, sei un comandante.
Si ripetè in testa prima di approcciarsi all'altra metà del suo stesso esercito. Invece che sciolto, Simone risultò rigido di fronte alla vista di quell'intero schieramento, composto da facce sconosciute, in aspettative, altre invece note perché di gente cresciuta nella sua Terra. Per la prima volta, avvertì dopo tanto tempo, la paura attraversargli ogni fibra del corpo dalla punta delle orecchie fino ai piedi sospesi perché in groppa alla sua fidata cavalla.
Sei anche un principe, aggiunse.
Genere: Angst, Fantasy, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: Otherverse, Soulmate!AU, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Edhel.

Elfo.


Hrívë - Inverno


Tanti anni prima.

Quando attraversò l'erba alta, le sue piccole gambe si nascondevano e solo i suoi ricci neri spuntarono come ciuffi ribelli e disordinati. In mezzo alla foresta, Simone si divertiva a osservare i piccoli bruchi o semplicemente le farfalle che si nascondevano con le ali chiuse - forse perché impaurite - da occhi di curiosi e indiscreti. Non sembrava sentire freddo avvolto in quella sua veste giallo scuro con una cintura ricamata in vita e con un orlo così delicato, che anche un esile ramo avrebbe potuto romperne e spezzarne la trama.
Seppur all’apparenza poteva trasmettere un’aria calma e pacata, ogni qual volta che usciva da Boscoverde per respirare quell’aria senza la necessità di dover vedere gli altri inchinarsi alla sua uscita o ritorno da palazzo oppure per guardare altrove con un certo sdegno in viso, il piccolo elfo si rabbuiava quasi, cercando di capire il perché di quei comportamenti.     
Simone, al di là del sangue nobile, era un elfo come tanti altri. 
Correva come ogni volta lungo quel solito cammino che collegava la valle che portava al ruscello - di acqua quasi sempre fredda - , alla prima radura ricoerta di verde e pioppi, larici, betulle, i castagni, i meleti. Sospirava nella pace davanti a quel verde che profumava di bagnato e fresco o almeno, che suggeriva con quel suo colore la speranza. Colore, che sarebbe rimasto fino alla prima dell’entrata del pieno mese invernale, e i cui pomeriggi che lo avrebbero preceduto, erano dedicati alla raccolta nelle zone più rigogliose della foresta con sua madre.
Simone era a tutti gli effetti, a discapito del pensiero degli altri, un elfo, nonostante fosse nato da una mortale e una creatura della sua stessa specie.
Non ne aveva mai subito però il peso della differenza, lui amava i suoi genitori e loro avevano sempre cercato di proteggerlo e crescerlo nell’amore.
Non aveva mai respirato la parola diversità dentro le mura del palazzo.                                                             
Simone era oltre che un elfo, proprio questo: una legittima e piccola anima curiosa che indagava attorno a sé, osservatrice di tutto quanto potesse trasmettergli un piacevole stupore e meraviglia. Alimentato da una grande sete di conoscenza e di scoperta.
La natura lo faceva sentire in pace e connesso col mondo.
 
Sua madre, lo richiamò con quella sua voce ovattata e dolce, mentre teneva due ceste per braccio per raccogliere erbe e farne poi dei decotti, dei filtri o per guarire i suoi clienti, attenta a non sgualcire o a rovinare la lunga veste rossa che portava addosso e il mantello più pesante che le avvolgeva la schiena e le spalle.Lo vedeva però, Cora. Vedeva perfettamente suo figlio che nel tentativo di farle uno scherzo, falliva miseramente per via di qualche riccio fuori posto sulla testa, in piena vista.
Sapeva anche che Simone stava ridendo sotto i baffi, trattenendo appunto un gorgoglio o qualsiasi rumore potesse darne la prova.

« Simone dove ti sei cacciato? » pronunciò la donna con finta apprensione.

Non era la prima volta che Simone ci provava: era uno dei suoi giochi preferiti insieme a quello di tagliare le mele a metà, solo usando una singola freccia tendendo il suo piccolo arco.
Il piccolo elfo ridacchiò nascosto in mezzo ai ciuffi d'erba, convinto che fosse appena diventato invisibile agli occhi di sua madre. Osservò una piccola coccinella su uno stelo, forse anche quella creatura si stava chiedendo cosa c'era di tanto buffo nello stare accovacciati, con le mani attorno alle gambe e un nascente ghigno che cercava di essere trattenuto.
Cora aggirò la sua posizione per raggiungere a passo di danza quasi, il punto dove l'erba cresceva più alta e più selvatica.
Si piegò appena dietro Simone e gli tirò una delle orecchie. Simone spalancò gli occhi.

« AH AH! Beccato! » esclamò soddisfatta mentre Simone si alzava e imbronciato si portava le mani sui fianchi.

« Mi ero nascosto così bene questa volta! » borbottò deluso e sconfitto.

« Potrai provare a nasconderti, stella mia, ma tua madre riuscirà sempre, » Cora se lo tirò al petto, e gli baciò rapida la testa riccia « sempre a trovarti »

Simone si attaccò ai fianchi di sua madre, osservando come i capelli lunghi e ricci le ricadessero quel giorno sciolti e liberi lungo la schiena. Ci aveva sempre visto la figura di una principessa, nonostante tutti gli altri avevano l'abitudine malsana di chiamarla strega o anche demonio. Certo, le sue erano orecchie normali, non appuntite come le sue da elfo perché da umana, ma questo non significava fosse un mostro.
I mostri esistevano solo nelle favole. O almeno così, a Simone piaceva credere.
Lui e suo padre la amavano molto così per com'era: libera e piena di vita, piena d'amore da dare e altrettanto da ricevere. Anche quando si scottava con un decotto oppure gli diceva cose che lui ancora non poteva ben capire, Simone la incorniciava come l’essere più vicino alla dedizione e cura degli altri. Sua madre era il suo mondo intero e Simone sapeva che il suo cuore sapeva bene che la avrebbe sempre voluta affianco.
Quelle parole fattucchiera o meretrice Simone non riusciva proprio a capirle. Sua madre non era una strega e gli aveva spiegato che l’altra parola non fosse altro che una cattiveria con cui la gente si riempiva la bocca perchè ignorante e invidiosa.  Gli altri non riuscivano a vedere la donna che vedeva lui. E forse era meglio. Così non gliela avrebbero portata via, nessuno avrebbe osato togliergli il suo mondo.
Era forse meglio che solo lui e suo padre, capissero quanto bella e rara fosse Cora.
Quel pensiero lo portò a chiedersi in modo inevitabile anche cosa volesse dire quel termine che invece usavano con lui, ben diverso però da principe. Aveva un suono meno lezioso, quasi più acido e pruriginoso, lamentoso. Di disprezzo.  Se lo chiedeva spesso la notte e tutte quelle volte in cui avrebbe voluto che le sue orecchie non fossero così sensibili agli suoni o il suo naso così pronto e veloce a sentire gli odori.

« Mamma, ma che vuol dire Thaurer? »

Simone pronunciò un elfico corretto, così come lo aveva sentito dire ad alcuni altri elfi, che però avevano diversi capelli rispetto a lui. I loro erano più lunghi, del suo stesso colore o semplicemente più chiari. Aveva solo sette anni all'incirca, ma sapeva che lo sguardo un po' ossessivo e certe volte anche accompagnato da un grugnito di alcuni suoi coetanei, non fosse una cosa tanto positiva.
Cora smise di carezzare la testa del figlio all'improvviso per guardarlo bene. I suoi occhi le rivelavano sempre tutto ciò che non andava.

« Simone, chi ti ha detto questa cosa?»

Il piccolo elfo lo bisbigliò impaurito.

« Nessuno »

Simone si mordicchiò piano le piccole labbra. Poi però due dita di Cora gli sollevarono il viso e sua madre guardò oltre quegli occhi già abbastanza pieni e grandi per la sua età. Suo figlio le rimaneva ancora abbracciato.

« E perché vuoi saperlo allora? » Cora alzò un sopracciglio.

Simone scrollò le spalle, cercando di dissimulare indifferenza, ma in realtà l'unica cosa che voleva era sapere il significato di quella parola. Non la aveva mai sentita pronunciare al palazzo, con i suoi genitori.

« L'ho sentita in giro, mentre giocavo » arricciò il naso.
 
« E’ davvero così importante per te saperlo? »
Simone annuì testardo e così a Cora non restò che sospirare consapevole, poi riprese ad accarezzare i ricci di Simone con un lento movimento della mano, lasciando che le dita fossero leggere come gocce di pioggia.

« Significa abominio, Simone. Alcune volte, viene usato come aggettivo: abominevole. »

La donna osservò l'espressione del piccolo cambiare disegnando una 'o' con le labbra e rattristandosi nello sguardo.

« Ma non è una parola che può descriverti, dovunque tu la abbia sentita, » poi si accovacciò, posando le due ceste a terra, le mani si portarono sul viso del figlio, aveva già un naso dritto e dei lineamenti così spiccati « tu sei molto di più stella mia, tu sei speciale »

Il sorriso di Cora riscaldò gli occhi di Simone che restrinse appena la boccuccia e poi incurvandola in un breve sorriso.

« Io non sono come tutti gli altri bambini, mamma » ammise cosciente.

Aveva sette anni e mezzo sì, ma non era stupido.

« No, appunto, » spiegò Cora portando le mani sulle sue piccole spalle « tu sei il bambino più luminoso che ci sia. E in più ti svelerò un segreto: nessuno è uguale a qualcun altro, anche se sembra sia così a volte. E' un impressione sbagliata che ci facciamo degli altri e che gli altri si fanno di noi, ma prima dobbiamo solo conoscerli. E loro devono conoscere noi. Non bisogna mai giudicare qualcuno perché diverso. O perché è speciale. »

Gli sguardi che i bambini gli riservavano mentre inseguiva una libellula oppure mentre giocava fingendo di trovarsi in chissà quale immaginario di fantasia col suo piccolo arco e frecce, sembravano gli stessi che gli adulti rivolgevano a sua madre. In quello, Cora e Simone erano diversi e simili insieme.

« Anche tu sei speciale, mamma » Simone le regalò un sorriso e afferrò una delle due ceste poggiate tra l'erba. « E non devi ascoltare nemmeno tu la gente e quello che dice » continuò prendendo coraggio Simone « io ti difenderò sempre. Papà è un re e anche lui lo farà con me. »

Gli occhi di sua madre avevano il suo stesso colore, il suo stesso taglio, la stessa propensione ad amare. Simone ci si specchiò: e subito si sentì meglio.

« Elemmírë » sussurrò Cora.

Stella splendente.

Cora gli diede un rapido bacio sulla fronte e vedendolo cambiare piano d'umore, cercò di fare anche lei di fare lo stesso. Prese la cesta alla sua sinistra e poggiò la mano sulla sua spalla, strizzandola appena.

« Dai, adesso aiutami a raccogliere almeno qualche altra bacca ed erba prima che cali il sole, mh? »

Simone annuì convinto, lasciandosi guidare da sua madre alla ricerca di fiori inediti, erbe speciali e curative non ancora ricoperte dalla prima nevicata o gelata della stagione invernale. « Prima ci sbrighiamo, e prima ritorniamo a casa da tuo padre, prima preparerò la cena »
Gli occhi di Simone si illuminarono a quelle parole e subito si mise in cammino, preso da un’energia vitale eccessiva per un bambino. Cora cercò di tenere il passo dietro suo figlio, alzando la gonna del vestito e sorridendo mentre guardava Simone girarsi ogni tanto, gridarle eccitato di sbrigarsi, che non vedeva l’ora di ritornare a casa per cenare tutti insieme, saltare superando qualche sasso sul cammino.                       

« Rallenta o ti farai male! »

Cora si reggeva la veste e sembrava danzare per inseguire il passo a saltelli di Simone.

« Se mi farò male ci sarai tu a curarmi » le rispose prontamente Simone arrestandosi per un secondo, una piccola fossetta gli bucava la guancia candida e gli occhi erano più vividi.

« Simone » mormorò sua madre a pochi metri allungando il passo. Poi lo osservò mentre si incantava a guardare lo stelo di un fiore bianco, Cora si chinò a prenderlo staccandolo delicatamente dal terreno e glielo donò. Il sorriso si fece larghissimo ora sul viso del piccolo « Io sarò sempre con te »
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Quando il sole toccò la punta delle montagne in lontananza, Cora sapeva che avrebbero dovuto sbrigarsi per percorrere la strada che avrebbe portato lei e Simone a casa. Si erano attardati a raccogliere qualche altra erba che ricordava di aver finito per ungenti e per filtri medicinali. Con entrambe le ceste ferme ai gomiti, afferrò la mano di suo figlio e cominciò quindi a camminare con lui rifacendo la stessa strada, ma al contrario. La pelle di Simone risultò fredda però al tatto, si mordeva un po’ le labbra e si strofinò il naso con il polso della mano sinistra.

« Mamma, ho freddo » si lamentò il piccolo elfo.

Cora avvolse il corpicino di Simone con un pezzo del suo mantello che il bambino, strinse a sé con la mano opposta. sapeva di lavanda.
Poi, la loro stretta tornò più solida di prima.

« Tesoro, manca poco e saremo a casa »

Lungo il cammino però, trovarono due carri con quattro cavalli a sbarrare la strada per più di un metro. Sicuramente era qualche ospite in visita o c’era stato qualche invito speciale a palazzo.
Che strano pensò Cora, suo marito il re non la aveva informata. Presa quindi da un’idea fulminea, Cora pensò a una possibile scorciatoia che tagliava per una via parallela. Avrebbero impiegato meno tempo ad arrivare e avrebbe risparmiato a suo figlio di congelarsi. La via era ricoperta di pioppi, abeti e betulle. Il verde li avrebbe protetti. Lo sguardo di Simone si fece quindi confuso una volta che sua madre lo trascinò per l’esatta via opposta, superando un piccolo ponte per inoltrarsi dentro un’altra area del bosco.

« Mamma ma dove stiamo andando? » la guardò, una smorfia sulla bocca.

« Pazienta stella mia, pazienta » sua madre gli scoccò un bacio sulle piccole nocche intrecciate alle sue e insieme proseguirono. Simone decise quindi di tramutare la punta del suo naso già più fredda, in un altro pensiero che lo tenesse occupato.

« Cosa mangeremo stasera? »

Cora sorrise, adocchiando la grande betulla dalle foglie sul verde freddo quasi violaceo per via del cambio di temperatura e dell’inverno ormai alle porte.

« Zuppa di patate e… »

Simone era già eccitato all’idea.

« E? »

« E carne di lepre. E forse anche il dolce.»

« Anche il dolce? » chiese sorpreso.

Cora annuì.
L’ultima volta che aveva mangiato il dolce per cena, era stato solo una settimana prima perché Cora si era ammalata ed era spettato alla servitù del palazzo preparare i pasti e a suo padre coordinarla. Sua madre amava cucinare e quando non lo faceva, lo addormentava con delle canzoni della sua infanzia.Quella era un’altra cosa che aspettava una volta ritornato a casa: addormentarsi sul suono della sua voce.
All'improvviso, quei pensieri vennero però bloccati perché le sue orecchie si attivarono. Simone sentì un rumore, come un fruscio rapido e nato così com’era morto. Qualcosa era nascosto vicino a loro. Forse un grosso animale. Qualcosa che produceva quel rumore si muoveva tra gli alberi, in mezzo ai cespugli, nella terra. Simone si sentì afferrare la mano ancora più forte e ritornò a guardare davanti a sé.
 
« C'è qualcuno... ho sentito qualcosa. Qualcuno ci sta seguendo » bisbigliò, ma sua madre sembrò non ascoltarlo. Stavano già cambiando strada, sarebbero arrivati a casa soltanto arrivando alla fine del percorso.
Altri quattro passi e il rumore si presentò di nuovo. Le sue orecchie erano fin troppo sensibili. Simone si girò di scatto.

« Mamm

Simone non ebbe il tempo di finire perché quattro uomini uscirono fuori dagli alberi e uno di loro afferrò sua madre tenendola per i capelli e l'altro le legò le mani dietro la schiena. Le ceste caddero a terra rovesciandosi e spargendo il loro contenuto ovunque. Quei tipi erano vestiti da vagabondi quasi, con lunghe tuniche nere e incappucciati sulla testa: Simone distingueva soltanto gli occhi, entrambi di colore grigio lucente, non come i suoi di colore castano.
 
« SIMONE VAI A CASA! » urlò Cora rapida, cercando di divincolarsi da quegli uomini, la gola le si contrasse « CORRI DA TUO PADRE »
 
Simone annuì veloce, nonostante il cuore - anche se troppo piccolo - , gli stesse già facendo male per quanto risuonava forte dentro la gabbia toracica, cominciò a correre. Le gambe si mossero scattando in avanti, spinto anche dalle braccia. Fece però pochi metri, raggiunse quasi la fine del percorso, poiché uno di quegli uomini riuscì ad acciuffarlo tenendolo per la veste.
 
« LASCIATE ANDARE MIA MAMMA! » urlò Simone scalciando e rifilando un morso sulla mano del tipo losco che lo aveva sollevato. Solo allora Simone capì che non era un uomo, e se ne accorse dalle orecchie: era un elfo, proprio come lui.

I capelli erano biondi e tesi in cima una specie di crocca, mentre quelli del balordo che stringevano sua madre, erano legati dietro da una stretta treccia e neri, neri come la pece e inoltre vestiva di una piccola voglia sulla mascella.
 
« Che facciamo col marmocchio? » sputò fuori l'elfo ben impostato.

« LASCIATE SIMONE, LASCIATE MIO FIGLIO! » cercò di divincolarsi Cora, sputando addosso al bastardi che teneva bloccato Simone contro la sua volontà « Lui è uno di voi! Non avete nulla contro di lui, è solo un bambino, per favore. Ha una vita da vivere, lui merita di vivere. Vi prego, non fategli male. » pregò Cora supplicando e guardando ogni elfo che lo aveva accerchiati.

L'elfo che teneva ferma Cora le puntò la lama di un pugnale alla gola. Simone urlò.
 
« Zitta, donna! » poi osservò il piccolo che si dimenava tra le braccia forzute dell'altro suo compare. Gli occhi di Simone erano già lucidi.
 
« Non fategli del male! » continuò Cora senza arrendersi. Delle lacrime le scendevano e le rigavano già le guance. Le labbra rosse della sua unica principessa si abbinavano ora ad altro: Simone notò che la lama del pugnale che quell'uomo le stava puntato addosso, le aveva disegnato un rivolo di sangue rosso lì, sul collo. « Ve ne prego, farò ciò che volete ma non fate male a mio figlio. Vi darò ciò che volete: oro, argento. Sapete chi è mio marito, no? Vi darò tutto ciò che volete. Gioielli, cibo… un lavoro! »

Cora corrugò la fronte e piegò la bocca.
L'elfo ghignò pieno di disprezzo e osservò meglio il piccolo elfo che cercava di liberarsi dalle mani dell'altro suo compare, strette attorno al suo piccolo collo.
 
« Non è certo l'oro o tuo figlio che ci interessa, strega, però anche se piccolo potrebbe parlare e noi questo non lo vogliamo! » disse duro il capo.

« LASCIATELA! » Simone scalciò con tutta la sua forza con le gambe, ma le braccia dell'elfo stringevano sulla sua vita stritolandola e un lamento affaticato e incrinato possedette il suo corpicino. « Mio padre è il re! E ve la farà pagare! »
Un altro elfo si avvicinò a Simone e sfoderò un piccolo pugnale affilato che indirizzò proprio sulla sua guancia.
 
« SMETTETELA! » urlò sgolandosi Cora, disperata.


L'elfo strinse le sue braccia dietro la schiena schiacciandole ancora di più e Simone morse ancora la mano del tipo che lo teneva. Al che l'elfo che teneva la donna le sussurrò forte all'orecchio.
 
« CONTROLLA TUO FIGLIO STREGA, ALTRIMENTI FARA' LA TUA STESSA FINE! »

Cora annuì deglutendo, serrò gli occhi ed emise un esile respiro. La sua stella più luminosa avrebbe continuato a vivere e lo avrebbe deciso unicamente lei. Cora sperava solo di avergli potuto dare e insegnare tutto ciò che necessitava per il resto della sua vita. Sperava di aver dato tutto l'amore che aveva potuto all'unico uomo della sua vita, suo padre.
 
« Simone, » Cora guardò suo figlio, gli occhi marroni gentili, la lama alla gola. Sua madre parlò con un tono fin troppo basso e forzato « sto bene. Vedi? Sto bene. » cercò di tranquillizzarlo ma Simone non le credeva.

Non aveva mia visto quegli elfi nella sua terra, ma il loro sguardo, il loro sguardo era simile al modo in cui altri avevano guardato lui e sua madre.

« Sto bene. Questi uomini ci lasceranno andare » annuì cercando di convincere più suo figlio.     
Lei, lei già sapeva a cosa sarebbe andata incontro. Ma suo figlio, suo figlio sarebbe vissuto. Suo figlio avrebbe visto ancora il sole sorgere e calare, la luna la sera, sarebbe cresciuto e sarebbe diventato un uomo che senza dubbio la avrebbe resa fiera.
« Dobbiamo solo fare ciò che ci dicono e ci lasceranno andare. Sta calmo, stella mia, torneremo a casa. Te lo prometto » concluse, mentendo.

Simone annuì lentamente.

« M-mamma » arricciò la piccola bocca. Simone, era sul punto di piangere e sua madre gli fece un sorriso.

« Quindi che facciamo con lui? » ripeté all'improvviso un altro di loro non lasciandosi per niente ammorbidire da quella scena.
Simone osservò quelle brutte facce, allungò una mano e sua madre la raggiunse. Cora guardò suo figlio nello stesso identico modo di poco prima.
 
Stella mia, sto bene, gli sussurrò.

L'elfo gli concesse unicamente questo per un solo secondo prima di allontanarli di nuovo. Poi rispose alla domanda.
 
« Il marmocchio verrà con noi. Sarà un monito, » ghignò l'elfo, gli occhi grigi si accesero brillando spietati « una testimonianza: per suo padre, il Re »
 
 
 
 
 
 
 
Se pensava che fosse stato meno difficile crescere con la presenza di sua madre, Simone in quel momento non aveva più dubbi. Quando vennero trascinati in una specie di paesino – forse dimenticato e indipendente – proprio a qualche chilometro di distanza, l’atmosfera fu subito chiara: una serie di sguardi accolsero Simone e Cora come due stranieri tra le grinfie di scellerati e traditori.
Se pensava sarebbe stato difficile spiegare ciò che avrebbe visto, Simone, non ne aveva idea.
Cora venne afferrata per i capelli e portata sopra una piccola struttura rialzata e rinforzata di legno, come un piccolo pulpito da cui prestare un dibattito. Al centro del palco, un lungo palo, più alto dei due rapitori, portava arrotolata una corda alla massima cima. 
I due elfi fecero un ampio discorso politico, da cui sembrava derivarne tutta la devozione e rivoluzione da parte del pubblico in ascolto: una trentina di elfi, per lo più. Intrattenerono seguiti da fischi, scrosci di appalusi, acclamazioni. Quel lungo discorso era pieno di verbi, vocaboli, imprecazioni in lingua che Simone registrò poche parole che aveva studiato e capito da poco scempio, innaturale, disordine, infezione, mostruosità e infine, quella che conosceva meglio se non l’unica, Istari.
Strega.

In tutto questo Simone si ribellò e dando una gomitata al suo rapitore, salì sul palco e i due uomini lo presero in giro. Cora con le lacrime a rigarle le guance sussurrò qualcosa a uno di loro e quello ci pensò per bene. Annuì incrociando le braccia e spintonò la donna, la quale cadde in ginocchio davanti al figlio.
Simone la guardò con occhi fin troppo grandi e Cora, lo avvolse a sé stringendolo più forte che poteva. Le manine di Simone si aggrapparono al suo collo.

« M-mamma ora possiamo andare, v-vero? » gli tremò la voce e più stringeva sua madre, più Cora non avrebbe voluto lasciarlo andare.

« Simone, ascoltami »

La voce di sua madre suonò come un canto, velluto, la più bella che Simone ricordava. Cercò di calmare suo figlio, accarezzandogli la schiena. « Devi promettermi che sarai forte » Cora deglutì e sganciando l’abbraccio, accarezzò piano anche la sua testa con entrambe le mani « che ti prenderai cura di tuo padre, » Simone cominciò ad oscillare con la testa ripetutamente, cominciò a piangere silenziosamente e Cora gli baciò la fronte « che non smetterai di vedere il sole o le stelle sorgere solo perché non riuscirai a vedermi. Ma soprattutto Simone, devi promettermi che non dimenticherai cosa significa amare. Perché tu hai un cuore grande e non devi lasciare che niente, niente lo annulli. Devi vivere. »
Simone incurvò le labbra, piazzò le due mani sul viso di sua madre e cercò di capire perché era accaduto loro tutto quello, perché proprio a sua madre, perché proprio a qualcuno che non aveva fatto niente di male.

« M-mamma »

« Promettimelo »

Simone annuì lentamente e parlo pianissimo.

« T-te lo prometto »

Cora sorrise in mezzo alle lacrime, poi passò le mani sul collo e sganciò la collana che aveva in dosso. La depositò tra le mani del figlio e le coprì con le sue.
« Io sarò sempre con te stella mia. »

Simone si fissò le mani e fu allora che i due uomini cominciarono a spazientirsi. Cora si girò un momento e giunse le mani mormorando.

Solo un altro minuto.

« Mamma, perché me la d-dai, è t-tua- » Simone fu attraversato dal primo singhiozzo.

Cora gli accarezzò il viso: cercò di percorrere un’ultima volta i suoi occhi grandi, il suo naso dritto, la sua bellezza esterna e la sua innocenza da cui scaturiva solo bisogno d’affetto, comprensione, amore, coraggio.

« Da oggi, appartiene a te. Qui dentro, » disse accarezzando la pietra e osservando poi suo figlio « ci siamo io e tu, anche se non riesci a vederci. » Simone si buttò al collo di sua madre un’ultima volta e Cora cercò di ricordare e registrare anche quella sensazione. « Ti voglio bene Simone. Ricordalo sempre. »

Simone stava già piangendo come un fiume in piena, le iridi liquide e la bocca completamente umida.

« Anch’io m-mamma, ti v-voglio bene »

Accovacciati così in un abbraccio che sarebbe stato eterno, passarono qualche istante, prima che Cora venisse trascinata per la veste e fatta salire su una sedia di legno marcio che a stento reggeva il suo stesso peso, trasportata di mano in mano, direttamente da un aiutante in mezzo alla platea.  A Simone invece, pensò lo stesso tipo robusto di prima, che lo tenne stretto per la vita mentre si dimenava.    
Durò pochissimo, ma fu efficace per segnare la sua piccola vita.
Simone venne tenuto stretto, mentre il suo viso venne costretto a guardare, alzato dalla mano del rapitore.
E così Simone osservò quella distruzione. Interna ed esterna.                                                    
Osservò in che modo gli uomini creavano un nodo della stessa larghezza per farlo passare oltre la testa di sua madre. Osservò come gli occhi di Cora lo guardarono cercando di sorridergli. Seguì il suo labiale.
Non avere paura.
Simone annuì lentamente, ma sapeva di stare mentendo a sua madre anche se da lontano, da spettatore.
Osservò anche come ad un certo punto, la sedia fu sottratta dai piedi della donna e le sue gambe cominciarono a cercare un appoggio.
Sua madre sembrò costretta a sfidare la gravità.
Simone credeva di fermare quel momento facendosi sentire, come se la sua voce potesse cambiare le sorti di una donna la cui immagine pareva quella di un angelo punito a causa dell’ignoranza e incapace di atterrare, dopo aver volato libero e spensierato.
Simone urlò, dimenandosi, si agitò contro le braccia dell’energumeno che lo tenevano. La gola gli faceva male, le piccole vene sporsero fuori spiccando sulla pelle candida. Ma non servì a nulla e lui non riusciva a fermarsi.                                                                 
In mezzo al clamore della platea che rideva e sorrideva sguaiatamente, la pioggia, invece, scendeva dai suoi occhi mentre osservava sua madre perdere conoscenza a poco a poco, la forza abbandonarla e i suoi occhi lasciare la vita e rimanere fissi, nel vuoto. Appannando il bel mondo che aveva descritto a suo figlio fino a quel momento.
Mamma, gridò senza che nessuno gli desse importanza.
Mamma, gridò Simone una volta che il corpo di sua madre venne adagiato per terra ed esibito, mostrato come premio di giustizia.
Mamma, gridò Simone quando qualcuno non distinse bene chi, per via dello sguardo appannato, di lasciare un messaggio per il Re, prima che due di loro lo prelevassero insieme al corpo di sua madre e lo lasciassero come ricordo, davanti le porte di Boscoverde.
Mamma, sibilò stringendosi senza più trattenersi, al corpo freddo e steso in mezzo all’erba di Cora, senza notare che qualche curioso abitante stava già inorridendo alla scena che stava vedendo.
 
 
 
 
 
 
 
Lossë
Un mese dopo.
 
I colpevoli vennero condannati circa un mese dopo dal Re. Le carrozze non erano mai arrivate a Boscoverde. Era tutto stato un piano architettato alla perfezione, simulando la presenza di ospiti che in realtà erano solo bugiardi. Si scoprì che il piccolo raduno di riottosi ad est della foresta, era parte di quei traditori del Regno che aveva disconosciuto da tempo la scelta del Re di sposare una mortale, - macchiando così la loro specie - e aveva operato in segreto. Coloro che avevano aderito rientrarono nella scelta politica del sovrano di comportarsi con giustizia in modo da riportare l'ordine. Perciò, il Re li aveva esiliati nello stesso modo in cui aveva fatto uccidere i rapitori con un’esecuzione pubblica.
Simone aveva aiutato suo padre in questo, ma riuscendo a descrivere ciò che aveva visto con difficoltà dopo giorni di silenzio e pianti. Non aveva parlato per più di due settimane, usando minimamente la sua piccola voce con e monosillabi e non aveva più osato allontanarsi dalla sua stanza. Aveva descritto, solo un mese dopo le fattezze di quegli stessi elfi, rispondendo ad ogni domanda che il padre gli chiedeva.
Giustizia era stata fatta davanti al popolo del Regno, ma da quel momento il Re si distaccò da suo figlio, lasciandolo a più momenti di solitudine che di compagnia.

Come se fosse un ricordo troppo vivido di ciò che aveva perso, suo padre preferì rintanarsi in un posto più antico e oscuro: il passato.

Ecco perché Simone, si concedeva quelle piccole fughe fuori dal Palazzo, dopo aver sentito suo padre piangere e singhiozzare per buona parte della giornata. Non osava avvicinarsi perché le prime volte che aveva provato a farlo, ad avvicinarsi, non era andata bene. Una volta suo padre aveva negato il suo dolore, e la seconda aveva ordinato a una delle sue guardie di riportarlo in camera.
Suo padre era diventato chiuso, schivo, rattrappito nella sua stessa sofferenza.

Non potendo condividere e unirsi entrambi nello stesso dolore, Simone trovò conforto nella natura. Inevitabilmente, ritornò nello stesso posto in cui era stato felice l'ultima volta: il campo d'erba all'aperto dove aiutava sua madre nella raccolta di piante.
Dopo un mese sembrò respirare di nuovo. Aria un po' più fredda però fuoriusciva dalla sua bocca, questa volta.  Quando Simone camminò sopra quell'erba, era già entrato l'inverno e al neve copriva gli steli, le chiome degli alberi, i petali dei fiori, di cui alcuni sradicati dal terreno. Una zona era stata recintata all'estrema destra adibita al pascolo, mentre per il resto, non era cambiato nulla. Gli sembrò di vederla proprio lì, con un sorriso dolce e dalle labbra rosse e calde: sua madre.
Fece fatica a credere fosse falsa, sembrava così reale. Ma era la sua testa che la teneva ancora con sé: i suoi cappelli, le sue fattezze, il suo sorriso. La voce di sua madre invece, gli era già cominciata a sfuggire come acqua, tantoché quando quel fantasma creato da Simone provò a parlare non ne uscì fuori alcun suono.
Simone si stropicciò gli occhi e sua madre sparì. Scacciò una lacrima col dorso della mano e cominciò a camminare avvolto nel suo mantello blu scuro. Indossava dei piccoli guanti e il ciondolo di una pietra gli pendeva sul collo.

Quel posto ricoperto di neve gli era sempre sembrato più magico, fino a un anno prima e invece ora, nella neve non ritrovava lo stesso stupore. La stessa gioia di stendersi sopra l'erba e lasciarsi ricoprire dal bianco o giocarci creando piccole palline da tirare a sua madre.
Simone si inoltrò lungo quell'immensa distesa bianca, pensando a come sua madre avrebbe decisamente scelto quella giornata gelida per preparargli un dolce tipico fatto in casa oppure per stare con lui abbracciato sopra il suo stesso letto.
A un attratto i suoi occhi vennero colpiti da qualcosa.
Notò qualcosa in mezzo a due grossi cipressi. In realtà non se ne accorse subito, per via del bianco totale che gli impediva di distinguerne subito la forma.
Si avvicinò piano e si accorse di una recinzione abbastanza strana, con un tronco appena d'albero incrinato e che si stava sradicando dal terreno. Le radici erano appena visibili poiché ricoperte dal manto bianco, le vene di quell’essere vivente stavano soffocando.Alzando lo sguardo, Simone aggrottò la fronte: attorno alla base del ceppo solido girava un filo spinato, la cui lunghezza proseguiva per un buon tratto fino a quando, non incontrò quattro zampe bianche - così come il manto dell'animale - di cui una bloccata insieme al collo della piccola creatura che ne era intrappolata.
Simone girò intorno al piccolo puledro inginocchiandosi nella neve. Il filo passava intorno al collo e ruotava lungo lo zoccolo sinistro, il volto dell'animale era paralizzato dalla paura e le narici si dilatavano costantemente.
Qualche cacciatore aveva voluto tendere una trappola a quella povera bestia e lei c'era finita dentro. Sicuramente nel tentativo di dimenarsi aveva abbattuto il tronco più fradicio dell'albero.
Simone si frugò dentro la piccola tasca della veste che portava quel giorno, quella che non usava mai per uscire, ma per stare comodamente a casa e ne uscì un coltellino dalla lama affilata.
Da almeno un mese, Simone aveva imparato a portarlo sempre con sé, casomai fosse successo qualcosa. Lo aveva rubato dall'argenteria del palazzo e nessuno ancora ne aveva fatto reclamo.
Molto delicatamente, Simone afferrò con la mano inguantata il filo che teneva bloccato lo zoccolo del puledro e puntando il coltellino dalla parte della punta iniziò a tagliarlo con un movimento orizzontale.
L'animale cominciò a emettere qualche suono e Simone provò a calmarlo, guardandolo negli occhi.

« Sta calmo, calmo »

Il cavallo però continuò, non volendo ascoltare Simone che d'un tratto si ricordò le parole di qualche saggio del paese.

"Le femmine di cavallo sono meno docili a volte anche più dei maschi. Te ne accorgi dalla tempra."

Effettivamente, Simone cercò di esplorare quegli occhi neri e profondi seppur fosse ancora una puledra e avesse pochi anni di vita per via della stazza esile e della lunghezza del suo corpo.
Ricordava ancora bene le lezioni di suo padre in merito.
E cercò anche di leggere bene il carattere irrequieto che portava ora, la puledra a scalciare con entrambe le zampe.
Finalmente, dopo un bel po', Simone riuscì a spezzare il filo e con la stessa mano e aiutandosi con l'altra liberò la zampa della poveretta, la quale provò ad alzarsi ma Simone la spinse giù delicatamente sulla neve.
Il bambino osservò il suo collo, tracce di rosso segnavano il bianco, segno che il filo aveva già iniziato il lavoro per cui era stato creato.
Simone si armò di pazienza e si dedicò al filo che le passava attorno al collo. Con estrema delicatezza taglio più punti, in modo che l'animale non ne restasse ferito una volta che si sarebbe mosso. Proprio allora la puledra ricominciò a nitrire e Simone riprese come poteva a tranquillizzarla.

« Calma, sta buona, ho quasi finito » mormorò dolcemente.

Strinse le labbra tra i denti, corrugò la fronte proprio nel momento in cui con più pazienza tagliò l'ultimo pezzo col piccolo strumento. Si ferì nel farlo, si lamentò appena bucandosi un guanto che si intinse di sangue, ma non mollò l'operazione.
Una volta che il filo spinato cedette, alzò delicatamente il collo dell'animale e lo fece passare sopra. Poi, Simone prese quel lungo filo con una mano e lo buttò a qualche metro di distanza.

« Ecco fatto! » esclamò Simone soddisfatto e asciugandosi la fronte col dorso della mano. « C’ho messo un po’, ma ora sei libera »

La cavalla restò però distesa, respirava restando inerme sul manto gelido.
 
Simone non aveva nulla con sé e pensò che se sua madre fosse stata viva, avrebbe saputo subito come curare quelle ferite che sarebbero rimaste come un segno indelebile sul suo corpo.
Piccole cicatrici per volere di una mente al di sopra della sua, più alta e stupida: che fosse di natura umana o di natura elfica, poco importava.
Perciò, afferrò qualche porzione di neve unendo le mani e la depositò sulle zone ferite, credendo di alleviare un po' il dolore dell'animale.
La puledra nitrì un po’ per lasciare poi un piccolo sbuffo e soffio e poi si tranquillizzò. 
Simone allungò con estrema lentezza una mano sulla guancia pelosa e bianca dell’animale e la guardò meglio, concedendosi la sua stessa calma riacquisita: le narici dell'animale si muovevano meno freneticamente e il respiro sembrava essersi fatto regolare.
I grandi occhi neri sembravano due grandi pozze spaventate e che a poco a poco, inglobarono la stessa figura del piccolo elfo, che ci si specchiò dentro.

Inaspettatamente, la fronte della puledra cercò il viso del suo piccolo liberatore, gli tirò qualche ricciolo con i denti, in segno di ringraziamento: il suo pelo era freddo, ma Simone avvertì tutt'altro. Fu il primo gesto di calore e affetto che Simone riceveva dopo un mese di dolore. Il primo che qualcuno gli manifestava come se gli stesse dicendo ci sono io con te adesso.
Simone guardò ancora dentro quelle iridi nere in mezzo a tutto quel bianco. Il bianco significava purezza, il nero invece gli sembrava disperazione.
Quelle iridi lo catturarono in modo premuroso: si sentivano sole. Così come lo era appena diventato lui da un mese.
Era un segno, era destino che fosse successo proprio lì, con l'ultimo posto, l'ultima presenza e momento di gioia con sua madre.

"Papà come si dice neve nella nostra lingua?"

« Lossë » sussurrò Simone accarezzando il manto della puledra « ti chiamerò proprio così, Neve. »
 
 






**





 
 
Lothron,
mese di partenze.
 
Il giorno della partenza arrivò, tutto era stato preparato e calcolato nei minimi dettagli: la spedizione prevedeva sette soldati, ognuno di età nettamente superiore a Simone, con lo specifico compito di proteggerlo. Suo padre sarebbe stato irremovibile solo al pensiero di dimezzarne il numero. Metà delle truppe di soldati elfi sarebbero partite con il principe e le sue guardie, mentre il resto dei combattenti - i migliori guerrieri mortali, reclutati circa due settimane prima - sarebbero stati raggiunti a metà confine tra la Terra di mezzo e le Terre degli elfi.
Pribora era a un'ora e mezza di cammino a piedi da Lórien - la terra dell'oro nonché foresta della terra di mezzo, posta tra tra due fiumi - e a un'ora seguendo il trotto dei cavalli. 
Dunque le guardie e il principe con i soldati di Boscoverde si sarebbero spostate a nord-est nella prima mattinata, facendo qualche piccola sosta lungo la strada.
Simone era abbastanza agitato e aveva deciso di fare una passeggiata, da solo, all’alba. Per ricreare un nuovo tempio, bisognava partire prima da se stesso: avrebbe dovuto issare ancora una volta, plasmarne le fondamenta da solo. E forse, la natura che da sempre lo aveva circondato, avrebbe potuto dargli un primo indizio su come fare. Il sonno era stato l’ultimo dei suoi pensieri.
La prima colazione la aveva fatta lontano dagli occhi di suo padre, in modo lento, davanti alla prima luca che batteva da una delle tante finestre.

Furono organizzati i bagagli del Principe tramite dei piccoli sacchi con tutto l'essenziale e sacchi più grandi contenenti i vestiti su un solo carro e almeno altri tre in legno massiccio usato per il trasporto dei viveri, delle risorse per i soldati e trainati davanti alla fila, da tre cavalli e da tre delle sue guardie. Tutto sembrava ormai pronto per l'imminente viaggio.
Una volta che Simone uscì fuori da Palazzo, osservò per l'ultima volta le grandi mura circondare da due grandi alberi per ogni lato. La struttura in pietra svettava e rampicanti naturali di piccoli fiori sbocciavano all'altezza della finestra della sua camera.
I cavalli dell'esercito erano già pronti e sellati e si stavano ammucchiando davanti la sua casa.
Una delle guardie gli tese il piccolo morso di gomma e la sella tra le sue mani. Poco dopo, la cavalla bianca si avvicinò al suo padrone.
 
« Grazie »
 
La guardia chinò brevemente il capo in segno di rispetto e portò una mano aperta sulla corazza dell'armatura.

« Quando siete pronto, Principe, aspettiamo un vostro comando. È tutto pronto per partire. »
 
Simone annuì, e vedendo la guardia allontanarsi verso gli altri soldati, sospirò. Mise delicatamente il morso a Neve, facendolo passare sulle orecchie, e poi fissandolo sul muso. Gli occhi di Neve erano così carichi, che Simone pensò che gran parte della sua forza sarebbe derivata anche quel giorno, soltanto dalla sua fedele compagna.
Poi, Simone posizionò la sella sul suo dorso.
Osservò meglio il grande portone di casa: non riusciva a pensare a quante volte aveva rifuggito quell'ambiente nella speranza di avere la sua occasione di scappare e adesso, poteva farlo solo andando in contro alla morte, in contro a una versione di sé che non conosceva.
Quello poi, per sua sorpresa venne aperto. La figura di suo padre si rivelò, leggermente accecata dal sole, con la sua veste lunga color cremisi, morbida sulle braccia e che gli fasciava un po' di più il busto. Simone notò che non indossava la sua corona, quella mattina.
Simone finì di sistemare la sella a Neve e poi si avvicinò alla figura del Re.

« Che ci fate già sveglio? »

Elrohir sembrò adirarsi a quella domanda.
 
« A un padre è forse vietato salutare un figlio che parte per la guerra? »
 
Simone si morse il palato.  Internamente quella sarebbe stata una frase piena di senso se solo non avesse passato anni a dover colmare da solo i suoi stessi vuoti. Il Principe annuì.
Gli occhi di Elrohir caddero con particolare attenzione sul suo collo. E Simone istantaneamente si portò proprio lì, la mano destra, a sfiorarne la base della pietra. Per un secondo, gli occhi dell'uomo sembrarono riempirsi di qualcosa vicina all'emozione e Simone pensò di star sognando a quella reazione.
 
« Hai deciso di portarla con te? » il tono di suo padre sembrò sincero, indicò quel ciondolo irregolare e Simone pensò che forse quel granello d'amore riusciva ancora a portarlo dentro al cuore.

« Lei è sempre con me »
  
Questa volta fu Elrohir ad annuire, giungendo le mani in grembo.
Restarono fermi come due estranei poi, senza sapere cosa dirsi. Simone si girò verso una delle sue guardie e fece un cenno d'assenso.
Poi ritornò a suo padre.
 
« Bene allora... è giunto il momento. » esordì, a bassa voce.

Elrohir sospirò e annuì, contrasse la mascella. Poi avvicinò a sé il figlio, portando le sue mani su entrambe le spalle di Simone. Parlò nella loro lingua natia, deciso e breve.

« Quel marth  »
 
Buona fortuna.

Simone avrebbe voluto rispondere grazie ma fece unicamente un breve sorriso verso suo padre. Quel sorriso sembrò essere recepito come l'ottima messa in mostra di una sicurezza che in realtà non c'era. Strizzò le sue spalle e Simone si diede il tempo per memorizzare l'unico gesto che suo padre gli concedeva dopo anni. Poi annuendo più per sé stesso, che per chiunque altro, gli diede le spalle.
Fortuna o no, sua madre lo avrebbe protetto. Sperò che sua madre, lo avrebbe accompagnato benedicendolo. Qualunque sarebbe stato l'esito di quel viaggio.
Simone montò sulla sua cavalla, accarezzò il pelo della sua criniera e un piccolo suo sbuffo, trovò il segnale che non poteva più sottrarsi a quella responsabilità.

« Miei soldati, è giunto il momento » intonò Simone alzando il tono, afferrò le redini del morso del suo cavallo e girandosi verso le sue truppe gridò con potenza « andiamo! »

Amin khiluva lle a' gurtha ar' thar risposero gli elfi.
 
Se mi seguirete fino alla morte e oltre, non lo so, so solo che da oggi inizia un'era nuova.

Il suo cuore si fece più veloce. Non seppe se perché metteva in dubbio quella stessa fiducia o se per l'ignoto in cui si stava inoltrando.
Simone incitò il cavallo e la carovana di soldati, con al vertice il principe affiancato dalle guardie, si mosse verso la sua missione.

 
 
   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Altro - Fiction italiane / Vai alla pagina dell'autore: ClodiaSpirit_