Storie originali > Fantascienza
Segui la storia  |       
Autore: J85    12/03/2023    0 recensioni
Quinto ed ultimo capitolo del pentagono di racconti con protagonista Sara Silvestri.
Nello specifico, si tratta di una mia personale rivisitazione del manga "Cyborg 009", in cui la storia è stata decisamente modificata.
Inoltre, questa storia a capitoli servirà ad esplorare il mio personale universo narrativo, sviluppato durante tutti questi anni di passione per tutti questi anni di scrittura e immaginazione.
Per uno strano scherzo del destino, nove persone, di varie nazionalità e professione, si ritrovano con la propria vita totalmente stravolta dall'essere stati trasformati in mutanti, ognuno con un suo potere specifico.
Ad aiutarli, arriverà proprio la nostra Sara che li addestrerà per affrontare al meglio l'organizzazione criminale nota come Spettro Bianco, in tutta una serie di avventure, compresi what if e crossover.
Genere: Avventura, Azione, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: Cross-over, Raccolta, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO 21

8 storie”




Una moltitudine di lapidi, delle più svariate forme e colori, schierate su una grande porzione di metri quadrati. Attorno ad esse, mura solide per proteggere la giusta pace delle persone che vi riposavano.

“Berny, si può sapere cosa ci facciamo in un cimitero?” domandò spazientito Johnny Wayne.

“Ehi! Me l’hai chiesto tu, no? Per me questo è il luogo migliore dove poter godere di un po’ di tranquillità” replicò stizzito Bernardo Borghi.

“Certo… ma non intendevo l’essere circondato da morti!”.

“Perché? In un cimitero cosa pensavi di trovarci?”.

“Ma io non ci volevo proprio venire in un cimitero!”.

“Che hai paura dei fantasmi? Guarda piuttosto quel ragazzino. È da solo eppure mi sembra bello tranquillo”.

Nel dire ciò, il messicano indicò un bambino, di circa 12 anni, vestito con una maglietta verde sbiadita e dei jeans scuciti, che si aggirava sperduto tra le lapidi.

“A me sembra piuttosto spaesato...” si preoccupò l’americano “andiamo a sentire se ha bisogno di un aiuto”.

I due mutanti si avvicinarono al giovane che, di rimando, li fissò sorpreso.

“Ciao amico, ti serve una mano?” lo salutò il biondo.

“Sto cercando una tomba...” replicò tranquillo.

“Beh, direi che sei nel posto giusto!” cercò di non essere eccessivamente ironico il baffuto “Ti ricordi per caso il nome scritto sulla tomba?”

“Non so”.

“Non te lo ricordi o non sei sicuro?” proseguì Johnny.

“Non so”.

“Facciamo così: iniziamo dal principio! Era un uomo o una donna?” domandò Bernardo.

“Un uomo”.

“Oh, bene! Non ti ricordi il suo nome?”.

Il ragazzino rimase muto.

“Magari un soprannome… oppure l’iniziale?”.

Nel mentre, delle nuvole scure di pioggia si misero a copertura del sole. Un tuono rimbombò sopra tutto il camposanto.

“Fidati di noi, ragazzo” lo tranquillizzò il velocista “mi basta anche solo un indizio e sono in grado di trovartela in un attimo!”.

Il giovane erano ancora piuttosto titubante “R-Ricordo che c’era un albero...”.

Altro tuono.

“Perfetto!” esultò incautamente il mutaforma “Quanti alberi ci saranno mai in questo cimitero?!”.

“Ok, vado e torno!”.

Il pilota di Formula 1 sfrecciò come una delle sue monoposto. Tempo pochi secondi e fu di ritorno.

“Credo proprio di averla trovata! È… dov’è andato il bimbo?”,

Borghi si voltò verso lo spazio vuoto alla sua sinistra, dove fino ad allora era stato il ragazzo senza nome.


Al limitare del sepolcreto, vicino al tronco di un giovane olmo, vi era un semplice sepolcro. Sulla terra scura era conficcata una croce bianca in legno. Su di essa un’incisione:


Al nostro adorato figlio

che adorava riposare sotto gli alberi




In quella zona di mondo le nevi era realmente perenni. Le temperature difficilmente superavano i -40° C. Nessuno poteva vivere in quelle condizioni così estreme. Eppure...


un‘automobile, attrezzata di tutto punto per non temere quelle avversità, stava procedendo lentamente la neve ghiacciata presente al suolo.

“”Ma è possibile che, per una volta che ci mandano in missione all’estero, dobbiamo ritrovarci sempre nei posti più inospitali che ci siano al mondo!” non abituato a certe velocità talmente rallentate, il nervosismo di Johnny Wayne raggiungeva vette ben più elevate di quelle rocciose che li sovrastavano.

Seduto al sedile del passeggero, Chang Yu si godeva beatamente la gita fuori porto.

“Non arrabbiarti Johhny, non ti fa bene alla salute. Poi lo sai com’è fatta Sara: appena vengono rivelate delle attività inusuali, ci manda subito ad indagare”.

“Lo so! A quanto pare ci ha preso tutti per una banda di investigatori dilettanti!”.

“Magari troviamo qualche locanda pittoresca del posto, dove preparano dei piatti squisiti e poco conosciuti...”.

“Locanda? Ma non lo vedi che siamo circondati dal nulla assoluto!”.

“I miei occhi ci vedono benissimo, Onorevole Johnny. Forse sono i tuoi che, annebbiati dalla collera, non hanno notato quell’abitazione sulla sinistra.”

Di fatti, poco più avanti al loro percorso, era comparsa dal nulla una casa a due piani. Tutto l’edificio era fabbricato in legno, con il tetto in paglia secca.


Una volta parcheggiato di fronte alla costruzione, la coppia di mutanti scese e, entrambi infagottati nei rispettivi giubbotti termici, si presentò davanti alla porta d’ingresso.

Il cinese bussò con garbo. dall’altra parte della soglia, nessuno rispose.

Evitando che il compagno ripetesse tale azione, l’americano afferrò la maniglia e spinse. l’uscio era già aperto.

Guardinghi più che mai, i due entrarono silenziosamente dentro.

“Pare non vi sia nessuno...” azzardò il Soggetto N. 6.

“Ehilà!” urlò di colpo il Soggetto N. 9, spaventando anche l’altro tipo in rosso e giallo.

L’eco si propagò per tutta la casa, praticamente vuota. Nessuna risposta.

D’un tratto, il pavimento iniziò a tremare.

“Direi che quell’urlo era decisamente da evitare...” lo riprese Chang, reggendosi allo stipite che aveva più vicino.

“Oh dai! Non crederai davvero che, con un semplice grido, io posso aver provocato un’intera valanga?” si difese Johnny.

Dall’esterno, un rumore di confusione aumentava sempre il proprio frastuono.

“A me pare proprio così...” sempre più tremolante l’asiatico.

Con gli occhi sempre più sbarrati dalla sorpresa, il velocista afferrò l’altro per le spalle.

“Reggiti forte, Chang!”.

Afferrandolo stretto per il giaccone, lo statunitense portò fuori l’amico in un lampo.

La valanga, tanto temuta, sotterrò quasi l’edificio. Ma non i nostri eroi.

“Vedi, Johnny...” spiegò con una calma olimpica il cinese “in certe zone innevate, basta anche un rumore leggermente più forte di quelli naturali che, a causa della natura instabile della neve, d’altronde stiamo comunque parlando di semplice acqua, si può facilmente provocare una valanga come quella di poc’anzi...”.

“Piantala, Chang! Ora non ti vorrai mica mettere a farmi la lezione di storia naturale!” sbottò furioso l’americano “Qualunque cosa sia stata, l’importante è che ci siamo salvati!”.

“Perdonatemi, ma non potevo fare altrimenti.”.

Quella voce, così lieve e così sottile, spiazzò i due mutanti, che si voltarono lentamente.

Una donna alta, dalla carnagione pallida come il kimono che indossava, li stava fissando seria. A spezzare tutto quel candore, vi erano soltanto i capelli corvini di lei che, nella loro notevole lunghezza, ricadevano su tutto il suo abito.

“Qui da noi viene chiamata punizione del muro di ghiaccio” concluse.

“E tu chi sei?” chiese il biondo.

“Non mi occorre un nome, tutti mi conoscono come la Principessa del Ghiaccio”.

“Yuki onna…” sussurrò quasi l’asiatico.

Lei si voltò, piegando la bocca in un mezzo sorriso “Esatto. Sono conosciuta anche così”.

“Continuo a non capire…” il velocista si grattava il capo.

La Principessa sbuffò leggermente. Appena alzato il suo braccio destro, dalla mano aperta fu sparato un raggio congelante che colpì il mutante confuso.

L’altro tizio in rosso e giallo fissava divertito il suo compagno, ridotto ora ad una bella statua di ghiaccio.

“Ora hai capito?”.

Evitando di attendere una risposta che non sarebbe mai arrivata, il Soggetto N. 6 utilizzò un soffio termico ben calibrato per riportare alla mobilità l’amico.

“Cazzo! Questa non me l’aspettavo davvero!” esclamò tremante l’uomo scongelato.

“Se volete” riprese la parola la criocinetica “per oggi potrete essere nostri ospiti”.

“Perché “nostri”?” si girò incuriosito il pirocinetico.


Entrati attraverso un’apertura ben nascosta dai ghiacci, il trio si ritrovò dentro a quello che, a tutti li effetti, pareva l'enorme salone di un palazzo reale.

Su un piano rialzato attaccato ad una delle pareti ghiacciate, erano poggiati due maestosi troni, ovviamente anch’essi composti dal ghiaccio più lucente.

Nelle vicinanze di uno di quelli, un uomo enorme, con possenti muscoli forgiati nel ghiaccio, li fissava con i suoi occhi totalmente scuri, sormontanti da stallatiti puntati verso l’alto a fargli da capigliatura.

Notata tale presenza, la donna delle nevi si rivolse agli ospiti.

“Lui è mio marito, il Principe del Ghiaccio”.

Wayne gli restituì lo sguardo torvo “Non sembra molto loquace”.

“Non ha mai parlato”.

“Ricordo di aver letto leggende in cui le yuki onna sposano invece un essere umano” esclamò sorpreso Yu.

“Sì, beh...” la Principessa del Ghiaccio titubò “quella è storia passata...”.

Il padrone di casa, sempre silente, indicò imperioso la lunga tavola ghiacciata al centro della sala.

La donna annuì servile, poi si rivolse nuovamente ai mutanti.

“Vogliate gentilmente accomodarvi al tavolo per la cena”.

“Molto volentieri!” si esaltò il cuoco “Cominciavo ad avere un certo languorino!”.

I quattro personaggi si sedettero, prendendo posto ognuno a un relativo lato del rettangolo apparecchiato.

Una volta accomodati, sulla spalla destra della Principessa comparve una donna minuscola, dall’altezza di una ventina di centimetri circa, anch’essa ghiacciata come gli altri due, che le sussurrò “Mia signora, la informo che la cena è pronta”.

“Ti ringrazio, Grandine” replicò lei “Fai pure servire il pasto”.

La cena, in quell’ambiente così particolare ed esclusivo, passò in maniera decisamente piacevole. Gustando uno squisito, e inaspettato, stufato di renna, gli Humana poterono così stringere un’importante nuova alleanza.




Un fulmine rosso e giallo fece il suo ingresso nella villa/quartier generale.

“Buongiorno a tutti!” salutò il Soggetto N. 9, appena rallentò.

Davanti a sé, ad occupare una parte del tavolo usato anche per i pasti, il Soggetto N. 1 era impegnato con l’esecuzione di compiti scolastici impostigli dal gruppo.

Ma la cosa che sorprese il biondo fu che, a dare una mano didattica al ragazzino, non vi era la solita Soggetto N. 3, ma bensì Sara Silvestri.

“Dov’è Frédérique?” chiese lui.

“Oggi è arrivata sua sorella da Parigi, sono su in camera di Frédérique” gli rispose la bionda, senza nemmeno alzare la testa dal quaderno del suo studente.


Nella camera della francese, le due sorelle non davano riposo alle proprie voci, raccontandosi tutto quello che passava loro per la mente.

“… Ogni volta che ti vedo sei sempre più grande!” si complimentò la sorella maggiore.

“Figurati! Non mi sembra vero che sono potuta venire nel tuo luogo di lavoro!” le sorrise di rimando la sorella minore, seduta sul letto, con le gambe tenute piegate al suo petto dalle sue braccia.

Fu proprio grazie a quella posizione che la mutante poté notare, ai polsi dell’ospite, dei braccialetti del tutto simili a delle catene.

“Come mai quelle catene?”.

“A dir la verità non c’è un motivo preciso, ma so che in un vecchio anime si allenano così delle giocatrici di pallavolo”.

“Che scema che sei! E sarebbe per questo? Ma poi da quanto segui gli anime?”.

“Beh...” Sophie si fece rossa in viso “da quando frequento un ragazzo...”.

L’altra balzò seduta dalla posizione semisdraita in cui era.

“Cosa?! Davvero?! E chi è?”.

“Lui ecco… è… thailandese”.

“Ma è inconcepibile tutto ciò! Così porterei il disonore nella nostra onorata famiglia!” la ballerina imitò la falsa scandalizzata.

La pallavolista sbuffò in una risata “Vaffanculo! Comunque si chiama Ii Cha”.

“E come vi siete conosciuti?” le si avvicinò ulteriormente, tenendosi il viso tra le mani.


Al piano inferiore, un nuovo membro della squadra fece il suo ingresso nel salotto.

“Stasera mangiamo cinese!” annunciò felice il Soggetto N. 6.

“Wow! Siamo in vena di grandi novità oggi…” ironizzò lo statunitense.


Come prevede la buona educazione, gli Humana invitarono la sorella della loro compagna a rimanere a pranzo con loro.

La ragazza accettò all’istante.


“Quindi sei anche tu una sportiva come me, Sophie!” intavolò un discorso il pilota di Formula 1.

“Esatto!”.

“Che sport pratichi?” domandò il cuoco.

“Pallavolo”.

“Come sta andando?” riprese l’altro.

“Molto bene! Tra qualche giorno abbiamo la finale per il campionato nazionale juniores!”

“Allora verremo tutti a fare il tifo per te!” esultò la sorellona Arone.


Ogni promessa va mantenuta. Il giorno della finale, tutti gli Humana, compresa Sara Silvestri, erano schierati sugli spalti del palazzetto che la ospitava, striscioni compresi.

La gioia instillata nel cuore dalla visita a sua sorella portò Sophie a disputare una straordinaria partita. Il risultato finale fu una vittoria schiacciante per 3 set a 0.




Columbia Britannica


Tornato al suo accampamento indiano d’origine, il Soggetto N. 5 riconobbe subito il tipì che stava cercando.

Appena entrato nella tenda, vide subito accovacciata una persona. Seduto per terra, a gambe incrociate, il capo indiano stava con la schiena dritta e gli occhi chiusi.

La cosa che saltava immediatamente all’occhio, del suo abbigliamento infine tipico dei nativi d’America, era la testa di serpente poggiata sopra la sua testa umana.

Il rettile ti fissava come se, nonostante il suo attuale stato di cadavere, la sua letalità non fosse scomparsa.

“Grande capo Serpente Pazzo” esordì il mutante “come vedi, ho risposto alla tua chiamata. Posso saperne il motivo?”.

Per qualche secondo, l’interpellato non rispose. Poi spalancò gli occhi.

“Ci attende una difficile caccia” proruppe.

“Chi sarà la nostra preda?”.

“Un essere malvagio”.

“Cosa ha fatto questo essere di così malvagio?”.

“Alcuni dei nostri, una sera, lo hanno visto abbattere una decina dei nostri cavalli. Quel mostro succhiava via il loro sangue con le zanne”.

“Siamo sicuri di questa affermazione?”.

“Purtroppo sì. Geran, abbiamo bisogno del tuo aiuto per catturare questo mostro” concluse solenne Serpente Pazzo.

L’energumeno ci riflette su.

“Da quando sono con i miei nuovi compagni, tra le tante assurdità che ho visto con i miei stessi occhi, sono venuto a conoscenza di una strana creatura che potrebbe essere proprio ciò che andremo a cacciare: i visi pallidi lo chiamano Chupacabra”.

“Qui non avrai i tuoi compagni a coprirti le spalle. Cosa hai deciso, possente Geran?” gli domandò il grande capo.

“Potete contare sul mio spirito”.

Sul viso del richiedente si dipinse un sorriso inquietante. Improvvisamente, scattò in piedi e, uscendo dal tipì, iniziò ad urlare e danzare di gioia, nel classico stile pellerossa, coinvolgendo con sé tutta la tribù.


Quella sera stessa, la trappola era stata messa in atto.

Come esca, era pronta al sacrificio una giovane giumenta dal manto bianco, lasciata legata ad un palo di legno conficcato nel terreno.

Acquattati e ben nascosti dietro a degli alti cespugli, vi erano Giunan, Serpente Pazzo e altri due membri della tribù Shoshoni.

Per ore, non accadde assolutamente nulla. Sdraia al suolo, la cavalla si stava appisolando, così come gli essere umani che la scrutavano in segreto.

A un certo punto, l’equino balzò in posizione eretta. Gli indiani tornarono pienamente vigili e pronti all’azione.

Nonostante la naturale oscurità, si vide avvicinare qualcosa. La taglia era quella di un cucciolo di orso. La luna emetteva dei bagliori riflettendo su quelli che, allineati su tutta la sua schiena, parevano degli aculei.

“Tenetevi pronti” bisbigliò il capo.

L’essere, seppur guardingo, si avvicinava a scatti alla preda. Quest’ultima, percependo l’avvicinarsi della minaccia, scalciava come un’ossessa.

“Aspettiamo che attacchi. Dobbiamo avere la conferma certa che sia lui la causa delle nostre perdite” comandò il mutante.

Appena detto, la creatura balzò in groppa alla cavalla e, come i vampiri europei, la addentò selvaggiamente al collo.

Fu questo il segnale per far scattare i quattro. Le urla di battaglia fecero voltare il mostro, a cui luccicarono gli occhi dalla rabbia.

Prima che l’animale cadde a terra esanime, il Chupacabra balzò di nuovo, questa volta atterrando sul collo di uno degli altri due pellerossa.

Come fatto con il quadrupede, anche il bipede fu azzannato al collo.

Mentre il sangue spruzzava fuori dalla ferita mortale, Serpente Pazzo gli si avventò contro impugnando il suo tomahawk. Il fendente tagliò soltanto l’aria.

La creatura si era lanciata, sorvolando la testa del capo indiano, contro una nuova vittima umana.

Solo che, questa volta, a venire morso fu il Soggetto N. 5.

In realtà, quello si rivelò infine soltanto un tentativo di morso. Le zanne, a contatto con la pelle indistruttibile del colosso, si spezzarono di netto.

Dopo qualche attimo di incredulità per l’accaduto, il Chupacabra iniziò a guaire come un coyote ferito.

Gli altri pellerossa posarono le armi. Mentre il terzo membro andò a constatare la morte del loro compagno, il capo si avvicinò a Giunan.

Questo teneva la preda sospesa in aria stretta per i suoi aculei, come si fa con un gatto e la sua collottola.

“Che vuoi farne di lui, Geran? Vuoi che ci occupiamo noi di rendere il suo spirito a Manitù? Oppure so anche di un certo Marco Oliveira, un calciatore brasiliano, che adora questo genere di trofei”.

“Vedo che il tuo ritorno tra il mondo dei vivi ti sta creando nuove conoscenze, Grande Capo Serpente Pazzo” era compiaciuto il nerboruto “ma, se per voi non è un disturbo, darò questo scherzo di natura ad un mio conoscente, di nome Benjamin Luhan”.

“Gli Shoshoni ti saranno eternamente grati, possente Geran!”.

E subito si esibì in una nuova danza tribale, questa volta per festeggiare una nuova incredibile vittoria.




Nel 1977 fu girato, nella suggestiva montagna Torre del Diavolo sita nello stato americano del Wyoming, la pellicola fantascientifica intitolata “Incontri ravvicinati del terzo tipo”. Regia di Steven Spielberg.

Nessuno avrebbe mai creduto che tale film sarebbe diventato una previsione verso il futuro.


“Forse a prendere due passeggeri con me ho un po’ esagerato…”.

Questo pensava il Soggetto N. 9 mentre, sfrecciando a piedi, come suo solito a grande velocità, teneva stretto con un braccio il Soggetto N. 3 e con l’altro il Soggetto N. 1.

nel contempo, gli altri due stavano ben stretti al velocista, con gli occhi chiusi per evitare anche solo il contatto visivo con quel mondo così rapido.

In pochi minuti, la meta fu raggiunta. Con due mutanti su tre ancora traballanti, ora il trio aveva di fronte proprio quel monumento naturale.

“Dunque Igor mi confermi che l’obiettivo è questo?” chiese l’americano.

“Confermo, Johnny” rispose il russo.

“Non… ci… credo…” sillabò ad occhi spalancati la francese.

“Che succede, Frédérique?” domandò il biondo.

“Ho visto cosa c’è lassù in cima…”.

“Non sapevo ci fosse qualcosa sopra il monte Torre del diavolo”.

“E noi come facciamo a salire fino sulla vetta?”.

In risposta al ragazzino, i loro sei piedi si sollevarono improvvisamente da terra.

“Ma che ca…” imprecò lo statunitense.

“Lo stai facendo tu, Igor?” ipotizzò spaventata Frédérique.

“Assolutamente no!” il telepate era altrettanto terrorizzato “Non ce la farei mai a sollevarci così tutti e tre insieme!”.

Il terzetto in rosso e giallo saliva sempre più in altezza. I loro occhi fissavano la parete rocciosa graffiata che gli scorreva davanti. D’un tratto, la parete finì.

“Non è possibile…” anche Johnny rimase spiazzato.

Adagiata sulla sommità piatta della montagna, li stava attendendo quella che a tutti gli effetti pareva un’astronave.

Nuovamente in grado di muoversi, gli Humana tentennarono su come precedere.

“Ora che facciamo?” Wansa cercavo l’aiuto degli adulti.

“Ho una strana sensazione…” informò gli altri Arone.

“Tutto è strano da quando siamo in questo gruppo!” esclamò Wayne.

Accompagnato da un leggero sibilo, una rampa comparve dalla parte inferiore del velivolo e si andò a poggiare sul terreno polveroso.

I tre si misero in posizione di attacco.

Con passi lenti e felpati, qualcuno scese giù. La sua forma era del tutto umanoide, se non fosse per il volto che ricordava quello di uno smilodonte. Gli abiti ricordavano quelli di un nobile lord. I suoi occhi totalmente rossi fissavano impassibili i tre mutanti.

“Perdonatemi per l’attesa…”.

“Merda! Sa parlare!” bisbigliò colpito il pilota di Formula 1.

“Innanzitutto, vi comunico che vengo in pace. Il mio nome è Murwi e sono, purtroppo, l’ultimo esponente della razza degli Zoomen”.

“Zoomen?” ripeté inebetita la ballerina.

“Esattamente. Da quasi un anno abbiamo dovuto effettuare un atterraggio di fortuna proprio sopra questa altura”.

“Come mai? Vi è successo qualcosa?” era curioso il Soggetto N. 1.

“Sì, abbiamo avuto, qui sul pianeta Terra, un violento scontro a fuoco con l’astronave di una razza a noi ostile: i Mechatron”.

“Allora sono anche loro qui tra noi?” sentenziò il Soggetto N. 3.

“Temo di sì. Oh, ma non preoccupatevi. Diciamo che con loro è più una rivalità di concetto che una vera e propria questione bellica”.

“Che vuol dire?” chiese delucidazioni il Soggetto N. 9.

“Nello specifico, noi preferiamo omaggiare la natura e la forza che essa dona, mentre loro idolatrano le macchine e qualsiasi cosa sia meccanico”.

“Allora tu sei l’unico sopravvissuto allo schianto?” ripeté quanto appena detto Frédérique.

“Ahimè sì. Ho scelto di rimanere comunque qua dentro perché, nonostante per quelli della mia razza sia da considerarsi come un cimitero, solo da qui riesco a controllare le onde Zoomen”.

“Che cosa sono?” domandò Igor.

“Sono onde invisibili, come ad esempio quelle elettromagnetiche, che si propagano dal nostro veicolo spaziale in tutto il mondo”.

“Cosa?” si allarmò all’istante Arone “Ma sono pericolosamente?”.

“Assolutamente no! Solo che, sugli esseri umani, hanno un curioso effetto collaterale”.

“Che sarebbe…” lo invitò a proseguire Wayne.

“Sarebbe che può far mutare il loro aspetto in esseri che voi classificate come genere animale”.

“Aspetta… ma questa è l’Animorph Squad!” si ricordò di colpo il Soggetto N. 9.

“Esattamente! Negli ultimi tempi, tutti i terrestri attualmente coinvolti hanno deciso di unirsi in questo curioso nome collettivo”.

“Non è possibile…” rimase sbalordito il biondo.

“Posso assicurarti che lo è” replicò l’alieno “anzi, per l’occasione, vi presento una caso più unico che raro”.

Si voltò verso la direzione da cui era sceso “Vieni pure, Evelyn”.

Questa volta scese un personaggio che, almeno in apparenza, era del tutto umano. O meglio umana, visto che si trattava di una giovane donna, nonostante il colore dei capelli di un bianco candido.

“Salve!” salutò i presenti.

“Tu chi sei?” Frédérique era sempre più sorpresa.

“Mi chiamo Evelyn Blake e vengo dal New Jersey. Nome in codice: Animorph Lass”.

“La mia allieva qui presente è un caso più unico che raro!” riprese la parola Murwi “Difatti lei è in grado, a differenza dei suoi compagni che possono con un unico animale, di mutare il proprio aspetto in una qualsiasi forma animale presente in natura!”.

“Che figata!” si fece scappare il Soggetto N. 1.

“Puoi darcene una dimostrazione?” il Soggetto N. 9 sembrava comunque scettico.

“Volentieri!” sorrise lei di rimando.

Dopo qualche secondo di concentrazione, la sua forma iniziò a mutare e, come nello stile del Soggetto N. 7, il suo aspetto era ora totalmente irriconoscibile.

Un piccolo gufo li osservava con i suoi enormi occhi castani, sbattendoli non all’unisono.

Il trio in rosso e giallo era senza parole.

Nuova trasformazione ed ora era un rinoceronte. Poi un coccodrillo.

“Bene, non esagerare Evelyn!” la richiamò all’ordine il suo maestro.

A quel richiamo, Animorph Lass riprese la sua forma originale.

“Scusatemi. Comunque faccio anche parte dei Global Defenders. Ormai abbiamo superato i 20.000 membri!”.




Indianapolis


“Se Frédérique può ospitare la sua famiglia nella villa, allora anch’io voglio tornare alla mia, di famiglia!” pensava fiero di sé Johnny Wayne, mentre osservava, dal paddock, gli ultimi preparativi per quella corsa.

Ad ospitare l’evento il mitico Indianapolis Motor Speedway.

“Pronto per la gara?” gli chiese Minetaro Shiroyama, affiancandolo.

“Come sempre! E tu, sushi boy?”.

“Io vengo dall’Istituto Shiroiwa, una scuola piena di fenomeni, vuoi che non sia in grado di affrontare così tanti campioni?”.

Di fatti, la corsa a cui si apprestava a prender parte, non era relativa al campionato mondiale di Formula 1, ma una gara d’esibizione con altri campioni di tale sport.

Una volta dentro la monoposto, l’americano si ripeté mentalmente tutte le tredici curve che doveva superare prima di tagliare il traguardo. E ricominciare da capo.

Dopo il classico giro di prova, i bolidi erano pronti a scattare. Tutti i semafori rossi accessi insieme e poi spenti all’unisono.

Scatto bruciante che permise a Johnny di superare due piloti: il primo era un altro pilota altrettanto esperto di quel circuito, Frank Capua, mentre il secondo era Bobby Deerfield, presentatosi con una vettura vintage a sei ruote.

Tra la prima e la seconda curva fu in grado di passare oltre all’italiano Paolo Cortesi, finito lungo oltre il tragitto.

Durante l’esecuzione della quarta curva, superò di slancio Denny Swift. Per assurdo, più abituato a correre sotto la pioggia che con l’asfalto asciutto.

Altre due curve e di nuovo un dirizzone. Con il suo slancio, arrivarono altri due sorpassi. l’altro nipponico Jiro Kanzaki, proveniente dalla Formula 3, e il francese Jean-Pierre Sarti, finito anche lui fuori pista.

Nella serpentina delle curve 8, 9 e 10, scavalcò Smith della Ferrari, già di suo un gran risultato da annotare.

Nel breve dirizzone tra la undicesima e dodicesima curva, lasciò dietro di sé il suo connazionale Joe Tanto, il pilota più anziano della corsa.

Nel lungo-linea tra la 12 e la 13, sorpassò altri due piloti: una macchina tutta variopinta, che procedeva a scatti, e il transalpino Arezi.

Nella curva parabolica che portava al traguardo, fu il momento dell’austriaco Kurt Langer di arrendersi.

Ma gli occhi di Johnny non era fissati sul traguardo. Il suo obiettivo era il prossimo pilota da superare. La leggenda Michel Vaillant.

Questo sì che sarebbe stato un avversario tosto. Ma Wayne era pronto ad affrontarlo a cuor sereno. Canticchiando “Supreme” di Robbie Williams.




Il trillo del campanello della villa degli Humana. Un suono più unico che raro.

Ad aprire la porta andò Frédérique Arone, già conscia di chi poteva trovarsi di fronte.

“Benvenuta!” la accolse con il suo migliore sorriso smagliante.

dall’altra parte della porta vi era una semplice ragazza sui trent’anni, con i capelli neri raccolti in una coda di cavallo, addosso una giacca scura, gonna fino al ginocchio a scacchi bianchi e neri, calze scure e stivaletti bassi.

“Perdonatemi per il ritardo ma non sono molto pratica di questa zona”.

“Non si preoccupi! Dunque lei deve essere la cosiddetta “la tata leggendaria”, Rose Smith?” la fece accomodare.

“Oh, quello è soltanto un frivolo soprannome. Pensi che alle volte mi chiamano anche “the witch”… ”.

“Davvero?” fu sorpresa la francese “Comunque non si preoccupi, con questo ragazzino non le servirà alcun tipo di incantesimo!”.

“Anche perché, per quelli, abbiamo già Laura del Monster Commando” proseguì mentalmente il discorso.

“Lo spero…” replicò la nuova arrivata.

“Il nostro ragazzino, si chiama Igor Wansa, è tranquillissimo. Oltre a fare i compiti, i suoi passatempi sono dei più classici: leggere, disegnare, guardare la tv…” le spiegò a grandi linee.

Dietro le due signorine, con una lentezza che proprio non gli apparteneva, comparve Johnny Wayne, vestito con un abito elegante grigio.

“Buongiorno, lei è la baby-sitter?”.

“Sì, salve. Mi chiamo Rose Smith”.

“Piacere mio Rose. Io sono Johnny” le strinse la mano “andiamo, Frédérique? Che sennò rischiamo di fare tardi al teatro”.

“Sì, certo!” la ballerina sussurrò quasi all’orecchio della bambinaia “Per qualsiasi problema, il mio numero di cellulare ce l’ha, le basta mandare un messaggio”.

“Non si preoccupi, me la saprò cavare!”.


Una volta in macchina, la coppia si scambiò due battute.

“Strano davvero che ora Sara ci permetta addirittura di affittare una baby-sitter…” rifletté turbato lui.

“Magari l’ha fatto per concederci ancora un altro po’ di svago” ipotizzò lei “e poi io era da tanto che aspettavo di poter tornare a teatro a vedere “Il fantasma dell’Opera”!”.


Una volta da sola in quella immensa villa, Rose fece la conoscenza del Soggetto N. 1, con il quale instaurò fin da subito un buon rapporto.

Mentre lo studente proseguiva con i suoi compiti a casa, la donna pareva assente.

“Chissà poi cos’è questo Monster Commando?” pensò preoccupata.

Ancora fissi sul quaderno a righe, gli occhi di Igor si spalancarono a quei pensieri, voltandosi “Come fai a sapere del Monster Commando?!”.

“C-Come?” anche Rose era altrettanto spiazzata.

“Da chi lo hai saputo?” questa volta, la domanda era stata inviata telepaticamente dal russo.

“AH!” la tata, presa alla sprovvista, si cappottò indietro con la sedia.

Effettuando subito una capriola all'indietro sul tappeto, si rimise subito in posizione eretta.

“Chi è stato?”.

Wansa la fissava basito.

“Oh mio dio! Sei stato tu!”.

Lui non rispose.

Per tutta risposta, la donna scappò in cucina, sbattendosi rumorosamente la porta alle spalle e incastrato la sua gonna tra di essa e lo stipite.

Passato qualche minuto di totale silenzio e immobilità, con Igor che fissava impassibile la porta, finché si aprì uno spiraglio.

Facendo affacciare appena la testa, la signorina Smith balbettò “T-Tu… r-riesci a leggermi i pensieri?”.

“Sì” altra risposta mentale.

“Oh mio dio! Io credevo di essere l’unica al mondo a poterci riuscire!”.

“Il mondo è più strano di quello che pensi” riprese a parlare a voce il telepate.

“Da quanto hai questo potere?”.

“Beh… diciamo che non è tantissimo…”.

“Io praticamene da quando avevo la tua età!”.

La bambinaia sprizzava gioia da tutti i pori.

“Aspetta che lo sappia tutta la mia famiglia…”.

“Nessuno deve saperlo”.

“Cosa? Ah ok, preferisci mantenere il segreto, dato che sei ancora così piccolo”.

“Diciamo così”.

“Giusto! Quindi non posso nemmeno dirlo al mio amico Kazuki Kato” ponderava lei mentre si tamburellava la tempia sinistra col dito “sai, lui ha lasciato l’Istituto Matsuda di Yokohama e ora fa lo spazzacamino”.

“Mi dispiace, ma davvero nessuno deve sapere di questi nostri poteri. Fidati che, altrimenti, le cose potrebbero peggiorare parecchio”.

“Oh, capisco…”.

“Ma stai tranquilla che in un altro gruppo, si chiamano i Global Defenders, una come te potrà rivelarsi molto utile”.

“Come Mary Poppins?” sorrise sognante Rose Smith.




Johnny si svegliò di soprassalto. Tutto il suo petto nudo sudato, così come la fronte con i biondi capelli appiccati sopra. Con gran fatica, si mise a sedere sul bordo del letto.

“Che sia qualcosa che ho mangiato?”.

Ancora in boxer, si alza in piedi.

“Dove sono gli altri?”.

Come suo solito, fa per scattare, ma qualcosa non funziona. La sua supervelocità è totalmente assente.

“Ma che succede?”.

Esce dalla stanza con un semplice passo svelto. Scende le scale.

In cucina trova Frédérique, intenta a sorseggiare una tazza di caffè. Anche in questo caso, c’è qualcosa che davvero non quadra. Infatti, la francese pare una bella statuina, completamente in blocco.

“Ma che cazzo succede?! Frédérique! Che stai facendo? Mi senti?” cerca di smuoverla a forza l’americano.

La donna sembra pesante come un macigno.

“Forse il mio potere sta smattando? Il mio DNA sta mutando di nuovo?” si mette le mani nei capelli madidi “Sara! Devo trovare Sara!”.

Riparte con lentezza alla ricerca dell’italiana. La trova qualche stanza più in là, intenta a massaggiarsi le tempia. Anche lei immobile.

“Anche lei? Ma com’è possibile? Cosa mi sta succedendo?”.


Cercando una maniera di uscire da quella specie di blocco temporale, il Soggetto N. 9, vestitosi con il solito costume rosso e l’enorme H gialla davanti, si mise a correre per tutto il grande giardino della villa.

“Non posso finire così i miei giorni!” pensava disperato il velocista “Ho dovuto rinunciare alla Formula 1, ma almeno ho trovato un gruppo di amici con cui impegnarmi per qualcosa di davvero importante per il mondo!”.

Ormai insperata, qualcosa si mosse. Un uccellino, posato sull’asfalto volò via per non essere travolto dall’umano. Per poi rimanere bloccato a mezz’aria.

“Si è mosso!” esultò nella sua testa Wayne.

Tale esultanza fu interrotta da una voce “Johnny…”.

“Sara! Sei tu?”.

“Dacci ancora un attimo…”.

“Cosa?”.

Fu un attimo. l’uccellino volò finalmente via. Il suo passo accelerò di colpo, raggiungendo una velocità oltre le umane capacità. Rischiando di andare a sbattere contro il tavolino da esterno, Johnny rientrò nell’abitazione. Per poi scontrarsi contro Frédérique.

“Oddio!” fu l’unica cosa che riuscì a dire Arone, prima di cadere all’indietro per l’urto.

Fortunatamente, il colpevole dell’accaduto fu rapido abbastanza da prenderla al volo ed evitargli un nuovo colpo.

La stessa sorte non toccò invece alla tazza da caffè che aveva in mano, la quale si andò a schiantare sulle mattonelle del pavimento, finendo spezzata in mille pezzi.

“Che è successo, Johnny?”.

“Io so correre!”.

Alle loro spalle, Silvestri entrò nella stanza.

Scusami Johnny se non ti ho avvertito prima, ma il nostro capo ha tentato un esperimento mentale su di te, cercando di bloccare i tuoi superpoteri”.

  
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Fantascienza / Vai alla pagina dell'autore: J85