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Autore: Orso Scrive    14/03/2023    1 recensioni
Alan Knight, agente dell’Interpol, prosegue l’inseguimento dei due ladri d’antichità, Smith e Fournier, che era quasi riuscito ad acciuffare in Egitto. La sua caccia lo conduce tra le cupe foreste dell’Africa Nera, luoghi selvaggi e inesplorati, che celano insidie misteriose…
(Storia scritta nel 2017)
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO QUINTO

 

 

Le ore della notte trascorsero placidamente e l’alba inondò di luce il villaggio fortificato senza che né le scimmie né altri pericoli ne avessero disturbato il riposo, proprio come il vecchio guerriero aveva assicurato.

Quando Knight si svegliò, Mugambi si era già ridestato e non era più nella stanza, mentre i due ladri, più svigoriti rispetto a loro, riposavano ancora. Il poliziotto si rivestì in fretta, quindi si diresse verso l’esterno, dove trovò la guida intenta a scambiare delle parole con Nagwazi. L’aria del mattino era fresca, ma lo sarebbe rimasta per poco tempo ancora, dopodiché il calore del sole africano sarebbe tornato a rodere la terra con la sua canicola quasi insopportabile.

«Prima di mangiare, il re del villaggio vorrebbe fare la tua conoscenza» gli disse il congolese, vedendolo arrivare. «Io farò da interprete.»

«Molto bene» approvò Knight e, subito, il vecchio li condusse in direzione dell’altro grande palazzo che racchiudeva la piazza sterrata. Sicuramente, lo si poteva considerare come l’edificio più sontuoso dell’intero villaggio: alle pareti esterne erano appese lance, scudi e maschere cerimoniali, intagliate nel legno, di incredibile bellezza e l’ingresso, vigilato da due guerrieri, era celato da una cortina di stoffa bianca. Per il resto, però, oltre alla grandezza, non differiva di molto da tutte le altre capanne circostanti.

Nagwazi li guidò all’entrata del palazzo dove, senza fermarsi a parlare con le guardie, scostò le tende per farli passare. Il vasto interno, illuminato dalla luce del sole mattutino che pioveva da alcune alte finestre prive di vetri, conteneva uno svariato numero di tappeti gettati qua e là sul pavimento di terra battuta, altri scudi, lance e maschere appesi alle pareti, oltre a diversi trofei di vario tipo e, contro il muro di fondo, in direzione Sud, un grande trono ottenuto da un unico blocco legno di teak. Alcune porte che si aprivano lungo le pareti dovevano certo condurre ai locali privati in cui viveva il re.

Nagwazi fece accomodare sui tappeti i due ospiti, quindi andò a porsi sul fianco sinistro del trono ed annunciò, ad alta voce, subito tradotto da Mugambi a favore di Knight: «Ecco Wamkulu Koposa, re dei guerrieri della foresta, signore del meridione, l’invincibile, della stirpe di Mefumu il grande!»

Immediatamente, dal lato destro del trono, da una porta che, essendo immersa nella semioscurità, il poliziotto non aveva notato, emerse un giovane e aitante uomo, di forse vent’anni o poco più, ma con lo sguardo saggio di una persona molto più anziana, il quale, dopo aver sorriso benevolmente ai suoi ospiti, andò a sedersi sopra l’alto scranno.

Il sovrano iniziò subito una conversazione, alla quale Knight poté rispondere con l’ausilio di Mugambi.

«Ti do il benvenuto al mio villaggio, straniero. So che tu, la tua guida e gli uomini che hai condotto con te siete scampati ad un attacco dei primati della foresta, resi schiavi dalle scimmie giganti, nostre secolari e mortali nemiche. Avete avuto fortuna a sopravvivere.»

«Ti ringrazio a nome mio e dei miei compagni, grande re. Se non fosse stato per l’intervento dei tuoi uomini guidati da Nagwazi, non saremmo qui, adesso.»

«Nagwazi è stato per lunghi anni il più devoto luogotenente di mio padre. Adesso, egli è per me un valente consigliere, un prezioso alleato ed un fedele amico. Dimmi, straniero, quale motivo ha condotto te ed i tuoi compagni ad attraversare le fitte foreste dell’Africa centrale?»

«Sono entrato con Mugambi nelle tue terre, signore, per poter catturare due malvagi uomini che si sono macchiati di innumerevoli crimini, nel loro lontano paese.»

«Sarebbe stato sufficiente che tu li avessi lasciati avanzare nella foresta e le scimmie non avrebbero dato loro alcuno scampo. Non è la prima volta che un uomo bianco entra in questi luoghi e non ne riemerge vivo. Purtroppo, non sempre siamo potuti intervenire in tempo per scongiurare il peggio.»

Il doloroso pensiero di Robert Park attraversò la mente di Knight, sul cui viso si dipinse un’espressione accigliata.

«Un mio amico, alcuni anni fa, si perse proprio in queste foreste. Creduto morto, venne invece ritrovato presso la costa, anche se ormai irrimediabilmente pazzo.»

Il re annuì gravemente.

«Credo di capire a chi tu ti riferisca. Non ero ancora divenuto sovrano, a quel tempo. Le scimmie lo catturarono e lo portarono al cospetto del loro signore, la gigantesca scimmia nera che vive nelle profondità più oscure ed irraggiungibili della foresta, in luoghi dove nessun uomo ha mai messo piede riemergendone poi vivo o, comunque, sano di mente. Per interi anni, il tuo amico fu schiavo delle scimmie, patendo indicibili tormenti; benché ne fossimo al corrente, non potemmo fare nulla per aiutarlo, poiché avventurarci nel pieno del regno di quelle bestie avrebbe senz’altro significato la nostra fine. Da tempo, infatti, la nostra società è in decadenza ed i nostri guerrieri non sono più numerosi quanto in passato, all’epoca del nostro splendore.» Il tono del sovrano si fece triste e amaro, mentre continuava a raccontare: «Alcune spedizioni di uomini bianchi giunsero sulle sue tracce, ma non potemmo fare nulla per impedire che anch’esse cadessero vittima delle scimmie. Tuttavia, in un modo incredibile, l’uomo di cui parli riuscì a sottrarsi da solo alla prigionia e fuggì, cercando scampo da quella misera sorte. Furibonde, le scimmie si misero sulle sue tracce ma, per sua somma fortuna, lo trovammo prima noi: mio padre, infatti, aveva sparpagliato per la foresta dei drappelli per contenere i nostri nemici, i quali stavano iniziando a minacciare di approssimarsi troppo al fiume. L’uomo fu condotto al villaggio e curato; appena fu nuovamente in grado di camminare, lo conducemmo ai confini della foresta, nei pressi del mare, dov’era all’ancora una nave europea, i cui marinai lo scorsero e lo recuperarono. Mi dispiace che non sia guarito dalla sua follia. Sono contento, tuttavia, che egli sia giunto a casa ancora vivo e spero che l’aver aiutato te, che sei un suo amico, possa in qualche modo aver contribuito a redimerci dal non aver osato tentare di salvarlo quando ancora la sua mente era sana; tuttavia, la fine miserabile di tutti gli atri uomini bianchi giunti in suo soccorso non potrà mai essere compensata. Sappi, però, che noi non abbiamo alcuna colpa: tutti i nostri tentativi di dissuaderli dal penetrare nelle foreste furono vani, di fronte alla loro ostinazione.»

Percependo il tono amareggiato di Wamkulu, Knight tentò di confortarlo.

«Non t’angustiare, re. Coloro che furono inviati alla ricerca di Robert Park avevano ordini precisi e nessuno, neppure un grande sovrano come te, sarebbe mai riuscito a distoglierli dai loro propositi. Sappi, però, che ti sono infinitamente grato per ciò che il tuo popolo si prodigò a fare per loro e per il mio amico Park.»

Wamkulu Koposa chinò il capo in segno di riconoscenza. «La tua gratitudine mi è d’infinito conforto, sappilo. Adesso, però, problemi più gravi mi angustiano: Nagwazi, difatti, mi ha riferito di avervi tratti in salvo dalle scimmie nella vecchia casa, lungo il fiume. È proprio così?»

«È esatto» confermò Knight, non riuscendo a comprendere perché quella notizia preoccupasse tanto il re. La risposta ai suoi dubbi non espressi, tuttavia, non tardò a farsi udire.

«E ciò è grave, parecchio grave, poiché da moltissimi anni, ormai, le scimmie non osavano avventurarsi così distanti dalle loro sedi. A lungo, infatti, siamo riusciti ad arginarle, impedendo loro di lasciare il cuore più profondo delle grandi foreste. La loro presenza sul fiume mi dice che, per il futuro, ci aspetteranno nuove guerre. Ma non voglio allarmarti con queste storie: abbiamo sempre contenuto quelle bestie e lo faremo anche questa volta, sebbene non nasconda che i miei guerrieri non sono più numerosi come furono in passato. Tu ed i tuoi compagni sarete nostri graditi ospiti finché non sarete tornati in buona salute, dopodiché potrete lasciare il villaggio con la mia assicurazione che non avrete più nulla da patire a causa di quelle maledette bestiacce.»

Il poliziotto scrutò il fiero volto del re della foresta, un volto giovane ma già segnato da incredibili esperienze, che di certo avrebbero vinto un qualsiasi suo coetaneo nato in Europa o in America; poi, guardò anche quello vecchio e sapiente di Nagwazi. Entrambi erano uomini ardimentosi, consapevoli di essere gli ultimi avanzi di un’antica potenza, ma non per questo remissivi a compiere il loro dovere. Non c’era alcuna traccia di rassegnazione, nei loro sguardi sicuri. Sapeva di avere un compito da portare a termine, quello di condurre in carcere Smith e Fournier; e, data la grande distanza che avrebbe dovuto percorrere prima di giungere a destinazione, era consapevole che non sarebbe stato per nulla facile, poiché i due astuti ladri avrebbero messo a segno qualsiasi tentativo pur di sottrarsi nuovamente alla sua stretta. Tuttavia, adesso, non voleva abbandonare a se stessi quegli uomini: lo avevano salvato da un atroce destino, avevano strappato il suo amico Robert dalla morte ed ora, pertanto, non poteva andarsene così, senza fare nulla.

«Mio re» disse, quindi. «Tu mi hai salvato dalle grinfie di quegli animali impazziti e mi hai offerto ospitalità, senza chiedere nulla in cambio. Ora, permetti che ti ricambi: mi offro come volontario per partecipare ad una spedizione contro le scimmie giganti.»

Wamkulu sorrise di fronte a quella proposta che rasentava la follia, pur dimostrando l’immenso coraggio di cui era dotato Alan Knight.

«Straniero, tu non conosci queste foreste. Io prendo atto con benevolenza delle tue intenzioni, ma non posso in alcuna maniera accettarle. Finiresti col metterti nuovamente in sommo pericolo. Lascia a noi questa oscura faccenda, come è sempre stato.»

Knight non rispose subito. Il fatto era che, per quanto lo riguardava, addentrarsi in quelle fitte boscaglie avrebbe finalmente significato vincere le proprie paure, persino quelle più recondite, che non avrebbe mai osato rivelare ad alta voce. Un agente della polizia internazionale come lui non poteva certo permettersi di provare spavento nei confronti dell’ignoto; superare quell’ultimo ostacolo lo avrebbe reso in grado, per l’avvenire, di affrontare qualsiasi pericolo.

«Insisto» affermò, con convinzione. «Intendo approfittare del periodo di forzata convalescenza dei miei due prigionieri per poter accompagnare i tuoi uomini nelle foreste. Poi, potrei esserti utile anche in un’altra maniera: ho lasciato delle armi da fuoco di riserva, nella mia imbarcazione, ed esse potranno esserti vantaggiose; insegnerò io stesso ai tuoi uomini ad utilizzarle. Sarà sufficiente tornare indietro per recuperarle. Così armati, pochi dei tuoi uomini potranno tenere efficacemente testa alle scimmie, molto più di quanto abbiano fatto finora con l’ausilio di lance e frecce. Il progresso tecnologico, ne sono certo, sopperirà facilmente al numero esiguo dei tuoi guerrieri.»

Il sovrano soppesò per qualche istante quelle parole. Accettare di utilizzare armi da fuoco avrebbe significato rinunciare ad antichissime tradizioni, certo, ma avrebbe anche reso molto meno penoso il compito dei suoi soldati. Alla fine, dunque, si decise a rispondere positivamente.

«L’aiuto che mi proponi, in questo caso, è bene accetto. Ti darò due guerrieri affinché possiate raggiungere la canoa nel punto in cui l’hai lasciata, ma non permetterò in alcuna maniera che tu esponga la tua vita al sommo rischio di cadere vittima delle scimmie giganti.»

«Re, devi capire che non è solo per dimostrare qualcosa a te ed al tuo popolo, che intendo inoltrarmi nelle boscaglie misteriose. Devi comprendere, signore, che è una faccenda anche mia personale: una paura mi affligge da tempo e, forse, affrontandola a viso aperto, potrò finalmente sconfiggerla. Sparare ad alcune di quelle bestie, poi, sarà un modo per vendicare il senno perduto del mio caro amico Robert Park. Inoltre…»

«Inoltre?» lo incalzò il sovrano, incuriosito.

Knight si torse i baffi, nervoso, quasi avesse timore a proseguire. Adesso, però, era infine giunto il momento di esprimersi, di rendere tramite le parole i dubbi che lo assillavano da tempo, perseguitandolo in ogni momento.

«Mio signore, quando parlai con Robert Park, dopo il suo ritorno a Londra, egli, nel mezzo del suo delirio, fece un nome. Un nome che m’insegue da tempo, incuneandosi nei miei sogni, un nome di cui neppure il fido Mugambi è a conoscenza. Ma esso era sulle labbra di Park e deve averlo udito qui e non altrove. Forse, se scenderò tra le foreste, ne scoprirò l’origine. Anche per questo, quindi, vorrei andare laggiù.»

«Favoriscimelo» lo invitò il re, conciliante. «Forse, io stesso potrò darti una risposta, senza che tu abbia bisogno di andare più lontano di dove già ti trovi.»

«Ebbene, il nome che da anni mi perseguita è questo: Tumbili!»

Al suono di quella parola, il re e Nagwazi si scambiarono un’occhiata contrita, poi il sovrano si coprì il volto con le mani, con aria afflitta. Knight fu stupito di osservare quella reazione inaspettata e rimase interdetto di fronte all’improvviso mutismo dimostrato dal re. Tuttavia, fu Nagwazi, con voce commossa, a rispondere per lui.

«Il nome che tu hai pronunciato è fonte, per tutti noi, d’immenso dolore e dispiacere.»

«Mi dispiace… Io non volevo offendere…» tentennò Knight, credendo di aver proferito, senza volerlo, il nome proibito di una qualche divinità locale. Si sentì decisamente in imbarazzo, ma Nagwazi l’interruppe.

«Hai frainteso. Non è un’offesa per noi, il nome di Tumbili, bensì è un ricordo doloroso. Vedi, è una storia triste ma, se lo vuoi, te le narrerò egualmente.»

Il poliziotto, effettivamente, non vedeva l’ora di udirla dalla viva voce di qualcuno che la conoscesse. Da troppo tempo, infatti, quel nome gli volava attraverso la mente, dandogli quasi una sensazione di paura o, comunque, restituendogli un senso di stranezza incomprensibile; neppure lui sapeva bene spiegare che cosa gli avesse originato quella sensazione, sebbene fosse quasi certo che il fatto di averlo udito proferire dalle labbra di un povero pazzo avesse contribuito decisamente al suo sgomento. Per anni, quindi, si era costruito stranissime immagini mentali riguardo al significato di quel nome, sulla storia che vi si nascondeva dietro. Finalmente, dopo tanto tempo, ogni cosa gli sarebbe stata spiegata e non avrebbe più avuto alcun motivo di temere quello strano epiteto.

Tuttavia, capendo che per gli uomini della foresta il nome Tumbili era qualcosa di molto concreto e deprimente, cercò di non mostrarsi impaziente, nel dire: «Ti ascolterò con molto interesse, grande guerriero. Ti prego di soddisfare la mia curiosità, se ciò non ti sarà troppo penoso. Ma se, per te, rievocare certe circostanze, non sarà fattibile, non vorrò insistere affinché tu continui a narrarmi le cose riguardo a Tumbili.»

Nagwazi lo fissò qualche istante negli occhi, come se volesse sondargli la sincerità nel fondo dell’anima poi, abbassato lo sguardo a terra, prese a raccontare, con voce secca, quasi rauca.

 

 
   
 
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