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Autore: Orso Scrive    15/03/2023    1 recensioni
Alan Knight, agente dell’Interpol, prosegue l’inseguimento dei due ladri d’antichità, Smith e Fournier, che era quasi riuscito ad acciuffare in Egitto. La sua caccia lo conduce tra le cupe foreste dell’Africa Nera, luoghi selvaggi e inesplorati, che celano insidie misteriose…
(Storia scritta nel 2017)
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO SESTO
 

 

«Moltissimi anni fa, un colono europeo, un tedesco chiamato Klaus, si trasferì a vivere con la propria moglie, la signora Claudia, in quella casa diroccata che avete veduto lungo il corso del fiume, impiantandovi tutto attorno una piantagione di tabacco» disse. «A quel tempo, io ero solamente un bambino. Il figlio del colono, di nome Gunter, divenne per me un caro e buon amico e crescemmo insieme. Quando fummo ormai divenuti adolescenti, egli s’innamorò di mia sorella, Kukongola. Essendo a quell’epoca già morti i miei genitori, egli la chiesa in sposa a me ed io, naturalmente, fui felicissimo di concedere la mano della mia adorata sorella al migliore tra i miei amici. Il matrimonio venne celebrato dal nostro sciamano, proprio qui, in questa sala, alla presenza mia, del re Mitima e di parecchi invitati. Essi vissero a lungo felici nella casa sul fiume, dove nacque il loro primo ed unico figlio, che venne chiamato Tumbili.»

Quei ricordi avevano illuminato il volto del vecchio guerriero con un sorriso sincero, un sorriso che, però, scomparve non appena egli ebbe ripreso il suo racconto.

«Ma la loro felicità, a quanto pare, non era destinata a durare: quando il bambino, che divenne amico del nostro futuro re, aveva solamente sette anni, alcune scimmie, fattesi audaci, compirono un’incursione contro la casa colonica, distruggendola. Quando accorremmo, trovammo solo cadaveri. Il mio povero amico, la mia infelice sorella, tutti i loro famigliari e i lavoratori della piantagione… morti! Ma il bambino… il piccolo Tumbili… non c’era più. Rapito da quelle abominevoli bestie! La nostra reazione fu rabbiosa, incontenibile: inseguimmo quei mostri a lungo e infliggemmo loro perdite tali che, da allora, e sono passati oltre quindici anni, quasi non mostrarono più alcun segno di vita. Ma il povero e piccolo bambino… non lo trovammo mai più.»

Il re abbassò la mano che gli copriva gli occhi e puntò lo sguardo verso Knight.

«Come?» domandò, con tono atono. «Come può, il tuo amico, avere pronunciato il nome di Tumbili, il mio sventurato compagno perduto? Nessuno, in questo villaggio, per il triste e dolorso ricordo che ne consegue, pronuncia mai il suo nome. Di certo, non lo facemmo innanzi a quel povero pazzo.»

Il poliziotto scosse il capo. «Non lo so, signore. Egli pronunciò questo nome in un momento di delirio, sebbene, devo ammetterlo, con il sorriso sulle labbra. Ma se non lo ha sentito presso di voi, c’è una sola spiegazione possibile: a dirglielo dev’essere stata qualche scimmia.» Knight si rese conto troppo tardi di aver appena pronunciato una stupidaggine.

Nagwazi, che si era intristito nel raccontare la storia, udendo pronunciare quella frase ghignò divertito.

«Ma no, le scimmie non parlano. Per quanto evolute possano essere diventate, per quanto intelligenti si siano dimostrate, esse rimangono pur sempre degli animali, privi di parola. È impossibile che a fare il nome di Tumbili sia stato uno di quei bestioni.»

Knight era sul punto di ribattere qualcos’altro, ma il re lo prevenne, sollevando una mano.

«La notizia che ci hai portato è quasi incredibile. Eppure, non abbiamo alcun motivo di dubitare di te, poiché non avresti nessun motivo di mentire; il fatto stesso che tu conosca quel nome è segno della tua buonafede. Dovremo indagare su questo mistero, per svelare il perché l’esploratore pazzo fosse al corrente del nome di Tumbili. La risposta potrebbe essere semplicissima, magari una delle donne del villaggio, parlando con un’altra mentre si prendevano cura di lui, lo pronunciò per qualche motivo, lasciandolo impresso nella fragile memoria di Robert Park. Se sarà possibile, lo scopriremo. In quanto a te, non voglio trattenerti oltre. Mi è stato riferito che ieri sera, arrivati al villaggio, non avete cenato, perciò immagino che tu ed i tuoi amici sarete parecchio affamati. Ritornate pure nell’alloggio che vi abbiamo assegnato e, così, riceverete la vostra colazione. Sull’onorare la tua promessa di regalarci delle armi da fuoco ed insegnarci ad usarle, non voglio metterti alcuna fretta. Quando ti sentirai di farlo, potrai accompagnare due miei guerrieri a recuperarle.»

«Mio sovrano, io mi sento benissimo» replicò Knight, sicuro di sé. «Sarò lietissimo, quindi, di mettermi in cammino subito dopo avere mangiato.»

Wamkulu Koposa sorrise amabilmente, poi s’alzò dal trono e raggiunse rapidamente Knight, il quale si sollevò immediatamente dal pavimento per ricevere l’abbraccio fraterno del sovrano, che fu poi riservato anche a Mugambi.

«Ristoratevi, amici miei e non preoccupatevi più delle scimmie: esse sono state il nostro cruccio per intere generazioni, ma da esse non avrete null’altro da temere. Inoltre, grazie alle armi che ci hai così gentilmente concesso, sono sicuro che presto le sconfiggeremo definitivamente.»

Knight e Mugambi sorrisero al sovrano che, con un ultimo cenno del capo, si ritirò nei suoi alloggi privati.

 

 
   
 
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