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Autore: Rubra Bovina    20/03/2023    0 recensioni
Alcuni mesi dopo la sconfitta di Xana, i ragazzi ora vivono una vita normale, come tutti gli altri allenatori, si sono potuti dedicare alle loro squadre a tempo pieno e coltivare interessi diversi dal semplice dedicare le loro vite a salvare il mondo. Nemmeno l'arrivo nel prestigioso di due nuovi studenti sembra alterare questo equilibrio.
Tutto cambierà con l'incontro con un raro Pokémon, che spingerà il gruppo a ricercare una persona data scomparsa per anni.
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ash, Serena
Note: AU, Cross-over, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Anime
Capitoli:
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Il bacio



Era andato tutto secondo i suoi piani. Si trovava proprio all’ingresso dell’istituto. Un grosso cancello di ferro dipinto di nero che dava su una strada. 

Ai lati del cancello un muretto sovrastato da un’alta ringhiera dello stesso materiale del cancello. 

In fondo, oltre il parco, pieno di alberi, erano visibili gli edifici del collegio.

 Xana sapeva che da lì a poco sarebbe arrivato  qualcuno, che avrebbe accompagnato la ragazza. Era sabato e non c’erano lezioni, tuttavia, dato che il prestigioso collegio attirava studenti da ogni parte della Francia, era possibile, pagando una retta leggermente maggiore, soggiornare anche la notte del sabato. 

Xana avrebbe sfruttato quella possibilità.

Dopo non molto tempo arrivò il professor Jim Morales, professore di educazione fisica, coreografo Pokémon e guardiano della scuola, giunse nei pressi del cancello.

Agli occhi della ragazza apparve un un uomo di circa quarant'anni, alto circa uno e settantacinque, di corporatura robusta, vestito con una maglietta rossa, una canadese grigia e delle scarpe da ginnastica.

 I  capelli, castano scuro, erano trattenuti da una bandana bianca.

In faccia aveva un cerotto, probabilmente messo lì per nascondere un taglio fatto con il rasoio.

«E così tu saresti Lucinda? La nuova studentessa?» 

«…» 

«Meowth ti ha mangiato la lingua?» 

«…» 

«Sappi che sono stato un dentista, sono specialista nel tirare fuori le cose dalla bocca delle persone!» 

«…» 

«Ok, capisco, può essere che non ti senta ancora a tuo agio qui. Vieni da molto lontano?» 

La ragazza fece segno di sì con la testa.

«Capisco. Adesso ti accompagno alla tua stanza e ti spiego le regole. Va bene?» 

La ragazza fece cenno di sì con la testa.

I due stavano percorrendo il vialetto che dall’ingresso conduceva ai palazzi dell’istituto. 

Il professore aveva sollevato la valigia della ragazza, e si era ben presto reso conto di averne sottostimato il peso. 

Ma non poteva permettersi una figuraccia davanti a una sua futura alunna.

Ash era nella stanza che condivideva con Jeremy. 

Anche se in quel momento il ragazzo non era presente. 

Jeremy gli aveva detto che sarebbe andato in biblioteca a ripassare per la ricerca e lui se l’era bevuta.

Serena,al contrario del ragazzo aveva deciso di iniziare la sua ricerca sul campo. Ash l’avrebbe raggiunta dopo non molto. 

Il ragazzo era visibilmente preoccupato.

 Aveva saputo della vittoria della sua amica alla prestigiosa Coppa Adriano, e aveva provato numerose volte a contattarla per congratularsi con lei. Ma, per quante volte ci provasse, il risultato era lo stesso.

 Nessuna risposta. Preoccupato che le fosse successo qualcosa, aveva deciso di mettersi in contatto con la madre dell’amica, Olga.

La donna rispose praticamente subito.

«Oh, ciao Ash! Come stai? Immagino che tu mi abbia chiamato per Lucinda.» 

«Si, tutto bene. Esatto. Ho chiamato per lei. Ho saputo che si è sentita male dopo la Coppa Adriano e ho provato a contattarla per sapere come stava, ma non mi ha risposto. E mi sono preoccupato per lei.» 

«Capisco. So che ci tieni tantissimo a lei. Siete come fratello e sorella.» 

Ash cercò di camuffare un sorriso.

«Comunque non ho nemmeno io tante notizie su di lei, so dirti che nemmeno Vera e Zoey sono riuscite a contattarla. 

Zoey, che stava assistendo alla Coppa mi ha detto che dopo che è stata male l’hanno ricoverata in ospedale. 

Voleva andare a trovarla, per chiederle come stava. Ma, quando le hanno permesso di entrare, la sua stanza era vuota e la finestra aperta.» 

«È  scappata?» 

«Così sembra. Aspè… » 

Mentre i due parlavano, Pikachu aveva come sentito un odore familiare. Si allontanò dal ragazzo e saltò per aprire la porta. A poca distanza dalla porta una ragazza dai lunghi capelli blu, seguita da un Piplup.

Pikachu aveva riconosciuto l’amico. E gli fece un cenno di saluto. Al quale il Pokémon pinguino rispose. 

Ma la sua allenatrice no. Cosa strana. Ash si era sporto dalla porta e aveva visto la scena. 

Non aveva ancora chiuso la chiamata con la madre dell’amica.

«Lei è qui.»

«Qui dove?»

Gli chiese la donna.

«All’istituto Kadic, in Francia. Però… mi è sembrata strana.» 

«Strana?»

«Non ha salutato Pikachu, quando è sempre stata affettuosa con lui e si muoveva come un soldatino. Non lo so spiegare.»

«Almeno so dove si trova. Non ho idea di come sia finita lì, ma il fatto che sappia dove si trova mi fa stare meglio. Per il resto, non so spiegarmi perché sia diventata così, ma… tienila d’occhio e avvisami. Ci sentiamo più tardi.»

«Va bene. Arrivederci.»

Jim aveva accompagnato la ragazza e il suo Piplup al dormitorio femminile, al piano superiore. Durante tutto il percorso, il professore aveva spiegato alla ragazza  tutte le regole dell’istituto.

«Bene, questa sarà la tua stanza. Dovrai condividerla con un’altra ragazza. Ma secondo me andrete d’accordo. Se non doveste andare d’accordo, beh, andrete d’accordo.» 

«Bene.»

«Ah, allora sai parlare! Ora credo che ti convenga scendere in biblioteca per metterti in pari con gli alti.»

«Bene.»

«Ti accompagno io.»

I due erano scesi al piano inferiore. Passando proprio davanti alle porte del dormitorio maschile. Ash si era nuovamente sporto verso il corridoio. E aveva incrociato lo sguardo con l’amica, scortata dal professore. Il ragazzo fece un cenno di saluto all’amica. Ma lei non gli rispose di nuovo. Facendolo abbastanza irritare. Lui non si ricordava di averle fatto nulla di sbagliato. Poi si ricordò delle parole della madre della ragazza. 

Mentre Ash si interrogava su quello che era accaduto alla sua amica, e, contemporaneamente, finiva di prepararsi per raggiungere la sua ragazza, il suo compagno di stanza e i suoi amici avevano raggiunto l’Hermitage. La villa in cui Aelita e suo padre, Franz Hopper, avevano vissuto gli ultimi anni della loro vita precedente. 

A dire il vero il motivo per cui il gruppo si trovava in quell'abitazione era un altro. Aelita si era allontanata dalla scuola e il gruppo aveva iniziato a cercarla. E, conoscendola, avevano deciso di cercarla nella sua vecchia casa. L’Hermitage.

L’Hermitage era una villetta di tre piani e un seminterrato. Alta e stretta. Sulla destra un basso garage era appoggiato contro l’abitazione, quasi a sostenerla. Intorno all’abitazione diversi alti alberi, che mano a mano che ci si allontanava da essa, diventavano sempre più fitti, fino a ricollegarsi alla pineta del collegio. 

L’interno dell'abitazione era stato ordinato. Durante l’estate, il gruppo si era organizzato per dare un minimo di decenza a quell’abitazione e avere un luogo riparato e sicuro tutto per loro. Non avevano gettato un singolo documento. Avevano messo tutto quello che avevano trovato all’interno di svariati scatoloni, che avevano poi depositato nell’ampio seminterrato.

Si trattava, per la maggior parte di diversi fogli, stampati o manoscritti, pieni di incomprensibili stringhe di codice e appunti. 

Aelita era salita nella sua camera da letto. Seduta sul letto in cui, per anni, aveva dormito. Non era la prima volta che lo faceva. Anche dopo aver chiuso con Lyoko. Quando voleva sentirsi vicina a suo padre, si rifugiava lì. 

La ragazza sentì qualcuno bussare alla porta della stanza.

«Oh, entra pure.»

Jeremy aprì la porta e d entrò nella stanza, per poi sedersi sul letto accanto a lei. I due stettero a lungo in silenzio. Jeremy voleva che fosse la ragazza a parlare. Lui non voleva interferire. La pausa di  silenzio sembrò non finire mai. Aelita voleva trovare le parole giuste per spiegarsi.

«Forse sono stata troppo precipitosa, a venire qui, senza dire nulla, ma sapevo che tu e gli altri mi avreste trovato. Volevo iniziare a cercare degli indizi.»

«Ti conosciamo fin troppo bene.»

Aelita abbozzò un sorriso.»

«Gli altri ti aspettano di sotto.»

«Scendi, ti raggiungo subito.»

Jeremy uscì dalla stanza, socchiudendo la porta. Consapevole che la ragazza lo avrebbe raggiunto. Prima o poi.

Scese le scale e raggiunse gli amici al piano terra. Erano seduti nel divano del salotto. 

Il ragazzo si sedette con loro e spiegò la situazione.

«Aelita è al piano di sopra. Dovrebbe raggiungerci presto. Senza di lei non me la sento di iniziare.»

Dopo non molto tempo, la ragazza decise di uscire dalla sua stanza per giungere al piano inferiore. I suoi amici le avevano promesso che l’avrebbero aiutata ed era ben consapevole di come, senza di lei, non avrebbero fatto nulla. 

La ragazza li raggiunse nel salotto e si sedette anche lei sul divano. Dopo non molto iniziò a parlare.

«Mi conoscete bene. Sapevo che mi avreste trovata qui. Volevo iniziare a cercare degli indizi. »

«Scusa se sono indiscreta, ma vorrei chiederti una cosa.»

«Fai pure, Yumi.»

La ragazza cercò di esprimersi con la massima delicatezza possibile, data la situazione che l’amica stava vivendo.

«Hai detto che avevi vissuto qui solo con tuo padre, ma sai cos’è successo a tua madre?»

«Non ti preoccupare. Non so di preciso, ero piuttosto piccola quando tutto è accaduto, quindi molte cose non le ricordo o potrei ricordare male. Mi raccontava di come lui e la mamma si fossero conosciuti mentre lavoravano in una certa azienda informatica. Il lavoro era molto difficile e, qualche tempo dopo la mia nascita, si resero conto di come fosse difficile conicilare il lavoro con una bambina piccola. Mio padre si dimise per primo e qualche tempo dopo lo avrebbe dovuto fare mamma, ma… non seppe più nulla di lei. Solo che era ancora viva e faceva di tutto per cercarla. E questo bastava. Per questo ho pensato che qui, avremmo potuto trovare qualcosa.»

La ragazza tratteneva a fatica le lacrime, ma nonostante questo, decise di continuare. 

«E non ha mai smesso di cercarla, da qualche parte in questa casa ci saranno i risultati delle sue ricerche, ecco tutto.»

«Non vorrai riaprire quegli scatoloni! Non dopo tutto l’impegno che ci abbiamo messo a farli.»

Jeremy rispose immediatamente all’amico.

«Oh, non credo serva. Abbiamo diviso accuratamente le varie carte. E se ci fosse stato qualcosa del genere, le avremmo messe da una parte.»

«E allora dove volete cercare?» 

«Non so, ma credo che questa casa nasconda degli altri segreti, se quello che dice Aelita è vero, allora dovremo dividerci e cercare.»

«Va bene. Io mi occupo della mansarda.»

Si propose Odd. Seguito a ruota dal suo Lillipup, chiamato Kiwi.

«Allora noi facciamo i sotterranei, non ti dispiace, vero Aelita?»

«Affatto. Quindi Yumi e Ulrich si dividono il primo piano e il piano terra?»

«Immagino di si.»

Rispose la ragazza dai capelli corvini. 

«Non ti dispiace se resto al piano terra, vero»

Mentre i cinque esploravano la villa, il professor Morales aveva accompagnato Lucinda alla biblioteca. Stava controllando che all’interno della biblioteca vi fossero altri alunni della seconda superiore. Tutti gli alunni presenti erano in parte intimoriti, in parte divertiti dalle sue occhiate. Incrociò lo sguardo con due studenti, un ragazzo e una ragazza, intenti a parlare. «Grandjean e Jolivet?»

Una ragazza dai lunghi capelli rossi e un ragazzo con uno strano ciuffo castano si girarono, intimoriti dal richiamo del professore. Non pensavano di aver fatto qualcosa di sbagliato. A meno che qualcuno non li avesse accusati per difendersi.

«Lei è nuova qui. E non conosce nessuno. Ve l’affido.»

I due ragazzi si scambiarono uno sguardo d’intesa e sorrisero. Il professore non capiva come i due potessero essere felici di portare avanti un compito del genere. 

Entrambi guardarono la ragazza come se non fosse un essere umano, ma piuttosto una divinità. Qualcosa che a Xana non era mai capitato e questo lo faceva sentire parecchio a disagio. E anche il disagio per un'intelligenza artificiale era una novità. Che il dover forzatamente vivere nel corpo di un essere umano lo stesse cambiando? O che fosse semplicemente il fatto di poter accedere a tutti i ricordi della ragazza? Adesso non ci poteva pensare. O la ragazza sarebbe stata guardata male, se fosse rimasta con lo sguardo perso nel vuoto per ancora qualche tempo.

«Non è possibile! No! Non è vero! Dimmi che non sto sognando! Sei davvero Lucinda? La leggendaria Super coordinatrice?»

Xana non capiva. Cosa aveva scatenato la reazione di quella ragazza? E si sapeva che la ragazza prendeva parte alle gare Pokémon, ma non aveva idea che le gare giapponesi venissero seguite anche al di fuori dei confini della nazione. Se da una parte era un bene, poteva sfruttare la nomea della coordinatrice per ottenere dei favori, ma dare troppo nell’occhio, in altre occasioni sarebbe potuto essere un problema non da poco.

«Si.»

«Che onore. Ti va di lavorare con noi a una ricerca di scienze? Stavamo discutendo su che Pokémon condurre la nostra 

ricerca. Io vorrei condurla su Ralts, lui su Azurill. Tu che dici?»

«Ralts?»

«Bene, allora possiamo andare. Nel boschetto dietro la scuola dovrebbero trovarsi alcuni esemplari, ma dobbiamo stare attenti, è un Pokémon molto timido e se si sente minacciato, si teletrasporta da qualche altra parte.»

I tre uscirono dalla biblioteca, per dirigersi verso la pineta, nella speranza di trovare qualche esemplare di Ralts. Mentre i due discutevano, Xana aveva concluso la scansione dei ricordi della ragazza. E si era reso conto di aver commesso un fatale errore, nel momento in cui  aveva ignorato Ash e Pikachu. E il non farlo avrebbe potuto influire con i suoi piani. Avrebbe dovuto rimediare al più presto e quella poteva essere la giusta occasione per farlo.

Con tutta probabilità anche lui si sarebbe trovato nella pineta. Xana non si era sbagliato. Ash era con un’altra ragazza che non era presente nei ricordi della ragazza. Ma non sembrava rappresentasse una minaccia.

«Scusate. Devo salutare una persona.»

Si riferì ai due che l’avevano accompagnata fino alla pineta. 

«Vai pure, noi continueremo da soli.»

Le rispose il ragazzo, chiedendosi tra sé e sé se la ragazza, che, nel frattempo si era allontanata, e si era avvicinata a quel ragazzo arrivato solo pochi giorni prima.  

Ash aveva salutato l’amica, ben felice di presentarla a Serena. 

«Ecco, lei è Lucinda. Abbiamo viaggiato insieme un po’ di tempo fa, nel nord del Giappone. Lucinda, lei è Serena.»

«Piacere di conoscerti.»

Serena porse la mano a Lucinda, la quale, la strinse, con un gesto meccanico. Come se fosse intimorita. Cosa strana. Ash la conosceva bene e sapeva che non si sarebbe mai fatta intimidire da un’altra ragazza. 

Serena fece una strana espressione. La mano della ragazza era gelida. Come se fosse morta. 

«Non vi dispiace se mi unisco a voi, vero?»

«Figurati.»

Le risposero, praticamente insieme.

«Non sapevo parlassi…»

Aggiunse Ash

«Oh, beh, sai, ho preso qualche lezione da Fannie…»

«Scusa se te lo chiedo, ma cosa ti è successo dopo la Coppa? Perché non hai risposto alle mie chiamate? Ero molto preoccupato.»

Ash, volontariamente, non aveva menzionato della fuga dall’ospedale o del fatto che aveva contattato la madre o ancora del fatto che anche Vera si fosse preoccupata per lei. Voleva metterla alla prova.

Xana non sapeva come rispondere. Doveva trovare una scusa che fosse credibile. Gestire un essere umano per scopi diversi dal tentare di ammazzare qualcuno non era affatto facile. Soprattutto se voleva ottenere il suo scopo. 

«Volevo solo farti una sorpresa.»

Mentre parlava, Pikachu era salito sulla sua spalla e la ragazza, sempre meccanicamente, lo accarezzò. Anche il piccolo Pokémon elettro si accorse di come la mano della ragazza fosse fredda. Terribilmente fredda. Quasi fosse fatta di ghiaccio. 

«Scusa se te lo chiedo, ma dov’è Piplup?»
«È qui, nella sua Pokéball.»

Poco dopo averlo detto fece uscire dalla Pokéball il piccolo Pokémon pinguino. Ash notò come la Pokéball fosse ancora avvolta dalla capsula. Cosa strana. Conosceva benissimo Lucinda e sapeva benissimo che, finita l’esibizione le rimuoveva. Sempre e comunque. Ma decise di non dare peso alla questione. Pensò semplicemente che si era dimenticata di farlo.

Il piccolo Pokémon pinguino salutò calorosamente l’amico.

Per Xana la situazione stava diventando davvero difficile da gestire. Doveva trovare una via d’uscita. Al più presto.

«Avete deciso su che Pokémon fare la ricerca?»

«Si, a dire il vero è stata lei a scegliere. E ha scelto Zorua.»

«Oh, bene… interessante.»

In una casa abbandonata, poco distante dal bosco, due ragazze e tre ragazzi erano alla disperata ricerca di indizi. Si erano divisi per esplorare l’abitazione. 

Nell’ampio piano interrato Jeremy e Aelita si erano divisi a loro volta. Avevano esplorato quel piano diverse volte e, spesso era capitato che trovassero degli altri collegamenti o delle altre stanze di cui, fino a quel momento, avevano ignorato l’esistenza. Per questo motivo era il posto dove era più probabile trovare indizi. Il sotterraneo era un lungo andito che conduceva a numerose stanze, tra cui una cella frigorifera. Alcune delle stanze portavano a degli altri anditi che portavano a ulteriori stanze o lunghe gallerie che permettevano di raggiungere luoghi strategici di Parigi.

Qualche tempo prima avevano addirittura raggiunto la stazione dei treni.

All’estremo opposto dei sotterranei, la mansarda, della cui esplorazione se ne stavano occupando Odd e il suo fidato Lillipup.

Il ragazzo e il suo Pokémon si trovavano nell’ampio e luminoso studio che costituiva la quasi totale interezza del piano. Era una stanza estremamente luminosa, grazie alle ampie finestre. Il pavimento era un pregiato parquet. La stanza, come il resto dell’abitazione, era stata pulita. Restavano solo una libreria, ancora ricolma di libri, una grande scrivania, una lavagna, con delle formule mezze cancellate, una sedia da ufficio e poco altro.

 Il ragazzo aveva trovato ben poco di interessante. Giusto una valigetta del piccolo chimico, appoggiata contro una parete, che all’apparenza risultava inutilizzata, e un taccuino, posato sulla libreria. Il ragazzo si mise il taccuino in tasca e posò la valigetta  sulla scrivania. 

Yumi e Ulrich avevano finito di esplorare i rispettivi piani, ritrovandosi con Odd nel salotto del piano terra. 

«Trovato niente?»

Chiese la ragazza. 

«No. Niente.»

«Giusto questo e una valigetta del piccolo chimico.»

Il ragazzo estrasse dalla tasca un taccuino. 

«Ok il taccuino. Ci può interessare ma il piccolo chimico? A cosa mai potrebbe servirci?»

Yumi ricevette il taccuino dall’amico, e lo stava sfogliando molto rapidamente, e, altrettanto rapidamente stava dando uno sguardo alle pagine.

«Sono tutte dannatamente vuote. Non penso possa tornarci utile.»

«Mi sembrava interessante. Non ci ho fatto caso quando l’ho preso, ma se non servo a nulla, gli riporto dov’erano. Mi chiedo se Jeremy e Aelita saranno stati più fortunati.»

Mentre i tre si stavano confrontando, la coppia non aveva ancora finito di esplorare i sotterranei. Avevano esplorato appena metà delle stanze, evitando i lunghi tunnel.

Jeremy era entrato in una delle stanze dei sotterranei, che, da fuori, appariva come tutte le altre.

Dentro c’era solo del materiale edile, tondini di ferro, cazzuole, paioli, e dei sacchi di cemento. Su uno di essi il ragazzo notò che era riportato il nome di una ditta di costruzioni, con tanto di numero di telefono, che però risultava illeggibile.

Con grande sforzo, il biondo, spostò il primo sacco. Quello dietro era messo meglio, e il numero di telefono della ditta risultava ben leggibile.

Il ragazzo lo salvò nella rubrica del suo telefono, quindi chiamò la ragazza. Quest’ultima lo raggiunse in breve tempo.

«Trovato qualcosa?»

«Questi sacchi di cemento hanno il numero di telefono di una ditta di costrizioni. Magari sono loro che si sono occupati di ristrutturare l’Hermitage. Chissà che non ci possano essere d’aiuto.»

«Possiamo provare, ma prima direi di raggiungere gli altri. Saranno preoccupati.»

Il ragazzo non le rispose, si limitò a seguirla.

Ora i cinque si erano riuniti al piano terra, nello stesso salotto dove, non troppo tempo prima avevano deciso di dividersi per cercare indizi.

«Certo che ce ne avete messo di tempo.»

«Oh, direi che siamo giustificati. Abbiamo trovato qualcosa da cui poter partire.»

«Cosa?»

«Odd, quanta fretta!»

Il ragazzo estrasse il suo telefono dalla tasca dei pantaloni.

«Dovrei averlo salvato.»

Il ragazzo stava armeggiando con il suo telefono.

«Eccolo qui!» 

«Cosa?»

«Va bene. Vi spiego. Mentre cercavamo indizi nei sotterranei, ho trovato alcuni sacchi di cemento, su cui era scritto il nome di un’azienda di ristrutturazioni. Per cui ho pensato che potessero aver lavorato qui e che potrebbero essere d’aiuto.

«Ricordati che sono passati molti anni. Potrebbe anche essere fallita, che ne sappiamo?»

Yumi espresse tutti i suoi dubbi sulla questione.

«Proviamoci. Alla peggio continueremo a cercare.»

«Come vuoi.» 

Il ragazzo avviò la chiamata. Dopo alcuni squilli, dall’altro capo del telefono, qualcuno rispose.

«Pronto, parlo con la ditta  Garrigue?»

Dall’altro capo del telefono, rispose una donna, che, a giudicare dalla voce, sembrava fosse molto anziana.

«No. O meglio, fino ad alcuni anni si, ma, qualche anno fa hanno chiuso i battenti.»

«Come sarebbe a dire che hanno chiuso?»

«Guarda. Non ti so cosa dire. Hanno chiuso dopo un brutto incidente sul lavoro. Erano  tre fratelli. Durante uno dei lavori, per un difetto di progettazione delle imbragature, due dei tre fratelli persero la vita. Per rispetto il solo superstite, decise di chiudere tutto. Ma non capisco perché ti interessi così tanto. Sono cose avvenute molti anni fa.»

«Ecco, vede…»

«Non importa. Sai, non ricevo molto spesso delle telefonate, tantopiù da dei giovani come te. Per cui posso darti il suo numero di telefono. Ma non dire che te l’ho passato. Sappi che ora vive a Marsiglia, non certo a due passi da Parigi.»

«Va bene.»

Il ragazzo segnò il numero di telefono su un pezzo di carta e dopo averlo nuovamente verificato con la sua interlocutrice, la salutò cordialmente.

«Allora?»

Odd era, come suo solito, piuttosto impaziente. 

«Forse abbiamo una pista. L’azienda che ha ristrutturato l’Hermitage ha chiuso i battenti tempo fa, perché due dei tre fratelli hanno perso la vita in un incidente sul lavoro, ma il terzo è ancora vivo e vegeto e ho il suo numero di telefono e il suo indirizzo.»

«Mi sembra un buon punto di partenza.»

Si limitò a commentare Aelita.

«Cosa aspetti? Chiamalo!»

«Non ti sembra di essere un pochino troppo precipitoso?»

Odd rabbrividì dopo il rimprovero da parte di Yumi. A volte l’amica poteva sembrare davvero cattiva.

«No, non sgridarlo, ha ragione. Penso dovremo andare fino alla fine.»

Con il permesso della ragazza, Jeremy compose il numero datogli dalla signora. Poi avviò la chiamata.

Dopo qualche squillo, qualcuno rispose.

«Pronto, chi parla?»

«Buongiorno, parlo con il signor Garrigue? Mi chiamo Jeremy Belpois, vorrei chiederle una cosa.»

«No, qui non c’è nessuna Rosa!»

«SCUSI, FORSE HA CAPITO MALE, LE VORREI CHIEDERE UNA COSA!

«NON SERVE URLARE, CI SENTO BENISSIMO! PUOI CHIEDERMI QUELLO CHE VUOI.»

«LE DICEVO LA CHIAMO DA PARIGI»

«Ti ho detto di non urlare, e per tua informazione stai parlando con un parigino DOC! In quella città ci sono nato e cresciuto! Io e i miei fratelli ne abbiamo costruiti e ristrutturati di edifici! Sai! Ma non credo che tu mi abbia chiamato per sentire un vecchio raccontare di come si costruivano le case… Sputa il Politoed! Perché mi hai telefonato?»

«BENE. MI RISULTA CHE LEI ABBIA LAVORATO PER UN PROFESSORE DEL KADIC. IL SIGNOR HOPPER»

«Chi scusa?»

«IL SIGNOR HOPPER. FRANZ HOPPER.»

«Ti sbagli! Io non lo conosco. Non l’ho mai sentito nominare!»

«E ALLORA COSA CI FANNO DEI SACCHI DI CEMENTO DELLA DITTA PER CUI HA LAVORATO NELLA SUA CASA?»

«Ti ripeto che non so di chi tu stia parlando e non ho idea di come possano esserci finiti in casa sua!»

L’uomo attaccò senza nemmeno salutare.

«Alla faccia!»

«Allora?»

Gli chiesero, tutti e quattro, all’unisono.

«Mettiamola così non gliela daremo per vinta così tanto facilmente? 

«Che intendi?

Il tono di Aelita era piuttosto preoccupato.

«Ha chiuso la telefonata non appena ho menzionato Franz Hopper. E ha negato di averci avuto a che fare.»

«Capisco. Quindi cosa vuoi fare?»

Gli chiese la sua ragazza.

«Quello che hai deciso di fare te. Andare a fondo della questione. Costi quel che costi.»

«Quindi vuoi partire per Marsiglia? Solo per come ti ha chiuso la telefonata?»

«Esatto. Pensavo che potremmo partire domani. Per i biglietti del treno non vi preoccupate, ci penso io. Ho i miei trucchi»

«Per me va bene.»

Gli rispose Aelita.

I cinque si erano allontanati dalla villa. Yumi si era diretta a casa sua, poco lontano, gli altri, invece, si stavano dirigendo al collegio. Erano oltre il suo perimetro da diverso tempo e presto qualcuno avrebbe notato la loro assenza.

Il giorno dopo, poco dopo pranzo, i cinque si erano incontrati all’Hermitage. Si erano accordati per incontrarsi lì, per poi partire alla volta di Marsiglia. Jeremy, con uno dei suoi trucchetti, era stato in grado di creare dei falsi permessi dei genitori per potersi allontanare dal collegio. 

Jeremy consegnò a ognuno un biglietto andata e ritorno per Marsiglia.  

Odd guardò il biglietto e poi l’amico.

«Prima classe? Ma ti sarà costato un patrimonio!»

«Ho i miei segreti. Battute a parte il treno è nell’orario meno trafficato, quindi i biglietti costano meno. Fosse stato all’ora di punta sarebbe costato parecchio di più. Se ho fatto bene i conti dovremo andare alla stazione verso le cinque e mezza. Il treno dovrebbe arrivare a Marsiglia per le nove. A mezzanotte saremo di ritorno.»

«E cosa vuoi fare nel frattempo? Ci hai fatto venire qui con tre ore di anticipo. Vuoi che restiamo qui a girarci i pollici?»

«Possibile che tu non sappia restare due minuti con le mani in mano?»

Lo riprese Ulrich.

«Ti va una lotta?»

«Come voi. Ma basta che tu non mandi in campo il tuo Lillipup.»

«Perché mai?»

«Non ti ricordi com’è finita l’ultima volta?»

«Come vuoi. Facciamo un tre contro tre secco, senza sostituzioni?»

«Come vuoi.»

Il giardino posteriore dell’Hermitage era il luogo ideale per lottare. Ricavarci un campo lotta non era stato affatto difficile. 

I due ragazzi erano uno di fronte all’altro, gli altri assistevano alla lotta, appoggiati contro il muro. 

Erano grandi amici, ma, nonostante questo, prendevano le lotte molto sul serio. 

«Vai Meowstic!»

Dalla Pokéball del biondo uscì un Meowstic maschio, che si mise subito in posizione di attacco. Pronto ad affrontare qualsiasi avversario.

«Molto bene, mi affiderò a te, Gallade!»

Ulrich decise di mandare in campo sin da subito il suo Pokémon più forte. Non che gli altri non lo fossero, ovviamente, ma lui era stato il suo primo Pokémon, che aveva allenato sin da quando era un piccolo Ralts.

«A te l’onore!»

Odd era ben felice di avere la prima mossa. Conoscendo la forza del suo avversario, doveva essere pronto tanto a attaccare quanto a difendere. O la lotta si sarebbe conclusa rapidamente e in suo sfavore.

«Meowstic, usa Calmamente!»

Il Pokémon del ragazzo chiuse gli occhi e concentrò i suoi poteri psichici. In modo da poter tanto attaccare quanto difendere meglio. 

«Gallade, usa Nottesferza, prima che diventi troppo tardi!»

Le braccia, simili a lame,  del Pokémon si illuminarono di azzurro, e vennero circondate da un’aura dello stesso colore.

Gallade corse verso l’avversario, che, concentrando i suoi poteri, si era sollevato in aria di una quarantina di centimetri.

L’allenatore del Meowstic se ne accorse poco prima che Gallade raggiungesse il suo Pokémon.

«Meowstic, usa Energipalla per difenderti!»

Il Pokémon del ragazzo generò con gli arti superiori una sfera di energia dal colore verde scuro, parzialmente trasparente.

La sfera di energia diveniva sempre più voluminosa, in modo da potersi frapporre tra il suo corpo e le lame affilate del Gallade, che iniziavano già a pressare contro la sfera di energia. 

Era chiaro che se nessuno fosse intervenuto, i due sarebbero potuti rimanere in quella posa per ore.

Il primo dei due a realizzarlo avrebbe potuto avere un grosso vantaggio. 

«Gallade, salta, prima che sia troppo tardi!»

Il Pokémon del ragazzo spiccò un balzo, proprio davanti al suo avversario.

L’allenatore del Meowstic sorrise. Si aspettava una strategia evasiva da parte dell’amico. Lo conosceva fin troppo bene. 

«Bene, Meowstic, lancia l’Energipalla!»

Il Pokémon felide eseguì il comando dell’allenatore, lanciando la sfera di energia di colore verde contro il suo avversario, e sembrò come riprendere a respirare. 

«Gallade, distruggila con Psicotaglio!»

Le braccia del Pokémon si estendettero e illuminarono di azzurro. Da esse uscirono delle lame di energia colorate. 

Queste ultime colpirono la sfera di energia, facendola esplodere. 

«Oh…»

Commentò il biondo, che evidentemente non si aspettava quel tipo di risposta. Probabilmente qualsiasi altro tipo di attacco lanciato in quel modo avrebbe fatto la stessa fine. Combattere contro quelle lame sarebbe stata una battaglia persa in partenza. Doveva inventarsi qualcosa e alla svelta.

«Gallade, piombagli addosso con Nottesferza!»

Il colore delle braccia, simili a lame del Pokémon mutò, diventando simile all’azzurro, e la lunghezza delle lame crebbe a dismisura. E l’allenatore del Meowstic sembrava non reagisse. Come se avesse accettato la superiorità del nemico. Anche se la distanza tra i due Pokémon era risicata.

«Perfetto, Meowstic, ora! Usa Psichico!»

I poteri psichici del Pokémon impedirono al Gallade avversario di muoversi. Prima che lo stesso potesse attaccare.

Il Gallade era bloccato a mezz’aria, in balia dell’attacco avversario, ma non sembrava darsi per vinto. E il suo allenatore sembrava lo avesse compreso.

«Gallade so che puoi reagire. Usa di nuovo Nottesferza!»

Il colore delle braccia, simili a lame del Pokémon mutò, diventando simile all’azzurro, e la lunghezza delle lame crebbe a 

dismisura.E riuscì a svincolarsi dal giogo avversario e a colpirlo pesantemente con le sue lame affilate, facendolo volare fino

alla recinzione che separava la villa dal boschetto lì dietro.

«Meowstic, stai bene?»

Il Pokémon del ragazzo si rialzò e si scrollò di dosso i rametti, le foglie e la polvere. E fece cenno al suo allenatore di non 

volersi arrendere.

«Bene Meowstic! Se te la senti di continuare allora vai! Lancia quante più Palla Ombra puoi!»

Il Pokémon iniziò a generare la prima di una grande serie di sfere di energia oscura dal colore violaceo Ricordavano della sorta di occhi viola, ricoperti da scariche di energia dal colore violaceo.

«Gallade, concentrati, distruggile tutte!

Sembrava che i due potessero continuare all’infinito. Per quanto uno si sforzasse di attaccare, l'avversario rispondeva difendendosi in maniera egregia. 

Una stasi che non piaceva a nessuno.

«Gallade, corri mentre eviti i suoi attacchi e vai di Nottesferza.»

Le lame del Pokémon si estesero e questi corse contro il nemico, sferrando, con le lame un duro colpo.

Il Pokémon felino colpì duramente il terreno. Non più in grado di lottare.

Il suo allenatore si affrettò a ricoverarlo nella Pokéball. Come l’amico con il Gallade, uscito vittorioso dalla lotta.

«Ehi, guardate che è praticamente ora di andare! Dovrete rimandare il resto della lotta a più tardi»

Jeremy fece segno di toccare l'orologio, per far capire ai due che era passato diverso tempo ed era ora di andare.

Il gruppo di amici si diresse alla stazione dei treni. 

Si accomodarono nella prima classe di quel TGV, sedili enormi e comodissimi e un ampio tavolino dove appoggiare le loro cose. Il treno prese velocità, fino a raggiungere la punta massima. Guardando dai finestrini tutto appariva confuso e sembrava che nulla potesse tenere il  suo passo.

Nulla tranne quello che, inizialmente appariva come un puntino bianco indistinto, ma che sembrava non solo avvicinarsi, ma anche tentare di superare il TGV. Una Peugeot 406 bianca, allestita da taxi, ma che nel suo aspetto ricordava più un’auto da corsa. Bassa fino a quasi toccare terra, gomme larghe, spoiler, minigonne e prese d’aria. 

Dopo tre ore di viaggio, il treno giunse alla stazione di Saint Charles, a Marsiglia.

Jeremy aveva preventivamente stampato una mappa della zona e si era segnato il percorso per raggiungere l’abitazione del signor Garrigue. Non era troppo lontana da dove si trovavano. Al massimo una mezzoretta a piedi. Da dove si trovavano era possibile scorgere i tetti di alcuni importanti edifici della città. Ma non era quella la loro meta.

Tutt’altro. Dovevano raggiungere la casa di quell’uomo. Al più presto.

«Ecco qui, ragazzi. Prima di partire ho stampato una piccola mappa. Dovrebbe aiutare a orientarci.  Diciamo che la zona dove vivono non è proprio una zona perbene.»

«Dici sul serio?»

Odd era piuttosto preoccupato. 

«No. O meglio, un tempo era un quartiere povero, quindi era abbastanza normale che ci fosse della piccola criminalità, per molti il solo modo di tirare avanti. Adesso è un normalissimo quartiere residenziale.»

«Immaginavo. Conoscendoti non andresti mai in posti del genere. Avresti troppa paura!»

«Sicuro di conoscerlo bene? Per lei farebbe di tutto.»

La provocazione di Ulrich mise Jeremy in imbarazzo.

«La verità è più razionale di quanto pensiate.» 

Il ragazzo sembrava cercare di giustificare la sua reazione.

«Per quanto pensiate che possa durare questa storia della sua falsa identità? Anche oggi abbiamo rischiato grosso con il treno. Sarebbe potuto salire il controllore e chiederci i documenti. E la sua identità come cugina canadese di Odd sarebbe crollata. E come avremo fatto? Sarebbe stato un autentico disastro. Non voglio nemmeno immaginare cosa sarebbe successo.» Tutti pensavano che il biondo avesse ragione. Fino a quel momento era andato tutto bene, ma quanto ancora a lungo sarebbe potuto durare? Ritrovare sua madre avrebbe posto fine a tutto quel teatrino.

Il gruppo rimase in silenzio, fino a quando, finalmente, giunsero alla loro destinazione. Un condominio, apparentemente come tanti.  

«Dovrebbe essere qui.»

Jeremy stava cercando freneticamente il campanello della famiglia Garrigue. 

«Bene, eccoli qui, abitano al piano terra.»

Il ragazzo premette il pulsante. Dopo qualche istante una voce, appartenente a una donna di una certa età, rispose.

«Chi è?»

«Sono Jeremy Belpois, vorrei parlare con il signor Garrigue, se fosse possibile.»

«Oh, certo, è mio marito. Entra pure. Non vorrai lasciare fuori i tuoi amici, anche loro sono i benvenuti, ci mancherebbe!»

Da dentro casa la donna premette il pulsante del citofono che permetteva di aprire le porte di ingresso, che si aprirono con un suono elettrico.

I cinque varcarono il cancello e entrarono nell’atrio del condominio. Il pavimento era costituito da piccole mattonelle rosse, le pareti erano per metà bianche, per metà rivestite da uno strano materiale, che ricordava il sughero. Il tutto illuminato a fatica da una lampadina a incandescenza al centro del soffitto.

Non ci fu tempo per perdersi in ulteriori dettagli. La donna che prima aveva risposto al citofono, aveva aperto la porta e fatto cenno ai cinque di entrare.

L’appartamento della coppia era molto accogliente. Dava una sensazione di calore e tranquillità. All’ingresso un mobile in legno con delle foto, tra cui quella di tre uomini a lavoro.  

Si assomigliavano parecchio, con tutta probabilità erano fratelli. Proprio come aveva raccontato quella donna. 

«Oh, ragazzi come mai siete venuti qui da noi? Per mio marito? Mi ha raccontato di come un ragazzo chiamato Jeremy lo avesse chiamato. Di certo non mi sarei mai aspettata di vedervi qui.»

«Vede. Lei è Aelita.»

Yumi stava indicando la ragazza dai capelli rosa.

«Diversi anni fa sua madre è scomparsa e, facendo alcune ricerche siamo risaliti a voi. È abbastanza difficile da spiegare, ma magari lei o suo marito potreste aiutarla.»

«Come mi dispiace. Povera ragazza. Deve essere stato difficile anche solo parlarne. Ne parlerò con lui e vedrò se possiamo aiutarvi. Intanto accomodatevi.»

I cinque si sedettero su un bel divano di pelle. Davanti un tavolino da caffè in legno. Più avanti un ampio televisore.

Sul lato della stanza una grande libreria, stracolma. 

La donna si era diretta in cucina, dove si trovavano il marito e la figlia. 

«Marina potresti preparare qualcosa per degli ospiti? Sono cinque ragazzi.»

«Certo, faccio subito.»

«Quanto a te, Jean, devo parlarti di una cosetta.»

I due si allontanarono dalla cucina, per dirigersi in camera da letto. La ragazza si mise a lavoro. 

«Jean, forse non saresti dovuto essere così cattivo con quel ragazzo. Ora è arrivato qui con i suoi amici. Dice che  noi possiamo aiutarli per ritrovare la madre della ragazza.»

«Immaginavo che non si sarebbe arreso facilmente. Ma non potevo di sicuro immaginare che sarebbe arrivato a tanto. Ma tant’è. Vedrò di fare il possibile.»

Marito e moglie giunsero nel salotto, dove i ragazzi erano seduti sul divano.

«E così siete arrivati fino a qui? Me lo sarei immaginato. E capisco perché siete venuti fino a qui. È una storia molto triste.»

In seguitò guardò i cinque e rimase in silenzio. Era piuttosto perplesso. Guardando Aelita aveva come l’espressione di aver riconosciuto un volto familiare.

«Mi ricordo di come il signor Hopper avesse avuto una figlia. E ti assomiglia davvero parecchio. Certo, chiaramente tu non puoi essere lei, a occhio e croce avrai quattordici o quindici anni, lei ne dovrebbe avere come minimo venticinque. 

Sono assai confuso…»

«In effetti  sono parenti…»

Jeremy cercò di inventarsi una scusa credibile.

«Sua cugina, Alida, è la figlia del professor Hopper, e lei è sua nipote… figlia della sorella. Che è scomparsa diversi anni fa.

Nessuno osò contraddirlo. E sembrava che i due se la fossero bevuta.

«Oh, beh, come volete… fatto sta che la somiglianza è paurosa. Comunque sia, ti dispiacerebbe portarmi del mirto?»

Poco dopo la donna prese una bottiglia del liquore e un bicchierino e ne versò al marito.

Intanto era giunta anche la figlia della coppia. Una ragazza di massimo venticinque anni. Aveva in mano un vassoio con diversi piattini, che contenevano qualcosa di non ben definibile.

Lo posò sul tavolino e invitò i ragazzi a mangiare.

Ognuno di loro prese un piatto e, finalmente poterono capire di cosa si trattava. 

Sembrava essere una sorta di enorme raviolo fritto, tondo, dai bordi appuntiti. Doveva essere dolce, dato che era ricoperto da una grossa quantità di miele. 

«Fate attenzione, il ripieno è bollente!»

«Oei irlo ia!»

Odd aveva dato un grosso morso all’enorme raviolo, ustionando la bocca, facendo una brutta figura, ma riuscendo, suo malgrado, ad alleviare la tensione che pregnava l’aria. Gli altri, visto cos’era accaduto all’amico, optarono per mangiarle a piccoli bocconi.

Sembrava che il mirto iniziasse a sortire i primi effetti nell’uomo.

«Non posso più tirarmi indietro. Avete fatto molta strada. Ma sappiate che, purtroppo, ci sono delle cose che non vi posso dire, anche se sono passati molti anni.

Non so di preciso quanti. Ma allora i miei due fratelli erano ancora tra noi. Lavoravamo a Parigi, e in quegli anni la nostra ditta non viveva un bel periodo. Rischiavamo di chiudere bottega da un giorno all’altro. 

La chiamata di un certo tizio ci salvò dal fallimento. Era un lavoro molto grande e importante. Un’intera fabbrica.»

«Mi scusi se la interrompo, ma si ricorda se la fabbrica si trovava su un isolotto sulla Senna?»

Chiese Yumi.

«Proprio così. Sapete più di quanto credessi. Comunque sia, quell’uomo ci pagò parecchio per il nostro lavoro, e per il nostro silenzio. Penso ci fosse di mezzo il governo o qualcosa di simile. Non vi posso dire chi ci forniva i soldi, né tantomeno il nome dell'azienda per cui diceva di lavorare, anche perché, sembrava non esistesse. Ho cercato in ogni posto, ma non ho trovato alcuna traccia. Nonostante questo, i soldi arrivavano puntuali e abbondanti.»

Dopo aver bevuto dell’altro mirto, proseguì nel suo racconto.

«Non potevamo nemmeno entrare o uscire come volevamo. Andavamo a lavorare da bendati dentro a dei furgoni militari dai vetri scuri. Una volta dentro non potevamo abbandonare la stanza in cui ci trovavamo. Probabilmente avevano deciso di fare in questo modo per evitare che potessimo conoscere l’intera planimetria dell’edificio.

Ricordo solo una stanza gigantesca con un ascensore che portava a delle stanze con delle strane apparecchiature elettroniche. Non sono mai stato un grande intenditore di quelle diavolerie, ma ricordavano il set di un film di fantascienza, non so se ci capiamo. In ogni caso, quel lavoro ci prese quasi un anno. Per qualche tempo non sentimmo più nulla di quell’uomo né di quell’azienda. Quell’uomo mi ricontattò dopo qualche mese, e mi presentò il signor Franz Hopper. Mi pare di aver capito che si tratta di tuo zio, no? In ogni caso aveva una figlia, che mi avete ricordato si chiamasse Alida… che, diavolo se vi assomigliate! Ad ogni modo. Si era trasferito a Parigi e lavorava come professore in un collegio lì vicino. L’uomo chiese, per conto del signor Hopper, di ristrutturare una villa lì vicino. Non ricordo come si chiamasse, ma era un nome piuttosto strano. Anche qui stesso discorso. Tanto denaro in cambio di silenzio. 

«È sicuro che non ci sia altro? Sa, abbiamo girato per la villa e abbiamo scoperto che è collegata alla fabbrica da un passaggio segreto…

L’uomo non si aspettava quella domanda da parte del ragazzo dai capelli castani. Per la seconda volta uno di quei ragazzi aveva dimostrato di sapere più di quanto immaginasse. 

«A quanto pare non vi si può nascondere nulla. Eh! Però, oltre a quest’ultima cosa altro non vi posso dire. E questa volta non c’è scusa che tenga.»

L’uomo si versò dell’altro mirto nel bicchiere.

«Qualche tempo dopo, Franz Hopper mi contattò per chiedermi un grosso favore. Questa volta era solo. Dovevo tornare alla sua villa per murare una piccola sezione. Non doveva essere visibile da fuori in alcun modo. Lui si sarebbe occupato dell’aspetto burocratico. Anche lui pagò onestamente. 

Non mi ha spiegato a cosa potesse servire, ma sembrava essere disperato, pertanto non feci domande. 

Mi ricordo che era estate. E che Hopper sembrava solo l’ombra di se stesso, facendomi pensare che non fosse un semplice professore. Mi ricordo che ero venuto per ritirare alcuni attrezzi. E, nonostante Hopper avesse molta fretta, riuscì a rispondere alla mia domanda. Gli chiesi a cosa servisse quella stanza, se era nascosta e se nessuno poteva sapere della sua esistenza. Lui mi rispose semplicemente che sarebbe servito a proteggerla.

Mi disse anche che aveva lasciato degli indizi alla persona giusta.»

«Grazie, è stato davvero gentilissimo, ma ora è meglio andare, o perderemo il treno.»

Jeremy era riuscito ad ottenere quello che voleva. Informazioni. Certo, ora i cinque avrebbero dovuto decidere come agire. E il lungo viaggio di ritorno sarebbe potuto essere d’aiuto. 

 I cinque si congedarono con la famiglia e percorsero a ritroso la strada che li aveva condotti dalla stazione dei treni fino a quell’appartamento. 

Arrivarono appena in tempo per salire a bordo del TGV per Parigi. Contrariamente all’andata, non erano i soli ad aver scelto la lussuosa prima classe. 

Poco lontano dalle loro poltrone, un uomo e una donna, potevano avere massimo trent’anni. 

La donna aveva i capelli viola, tagliati a caschetto. Indossava un abito elegante. 

Anche l’uomo che la accompagnava era vestito elegante. Come se fosse la sua guardia del corpo. O il fidanzato. Probabilmente l’aveva accompagnata a qualche evento o simile.

Quello che si stavano dicendo non sembrava interessante. Non dopo tutto quello che avevano scoperto e su cui avrebbero dovuto indagare, non appena tornati a casa.

«Aspettate un secondo.»

Odd stava parlando sottovoce per non farsi notare dalla diretta interessata.

«Ma lei non è Antemia, la famosa scrittrice americana? Cosa ci fa qui? Sapete sono un suo grande ammiratore, ho letto tutti i suoi libri, e ora lei è qui, non ci voglio credere. Vado a chiederle un autografo.»

«Non sapevo che ti piacesse così tanto leggere.»

«Oh, beh, sapete che c’è, vado a chiederle un autografo, magari, se sono fortunato mi parlerà anche del suo prossimo libro, chissà…»

Il biondo estrasse un libro dal suo zaino.

«Lo avevo portato con l’intenzione di leggerlo durante il viaggio…»

«Prima che il sonno prendesse il sopravvento. Diavolo, russavi come uno Snorlax, sembrava non ti svegliassero nemmeno le cannonate.»

Odd, nonostante l’imbarazzo per la strigliata dell’amico, si avvicinò alla scrittrice, che nel frattempo aveva estratto il suo computer portatile e lo aveva acceso. Sullo schermo del dispositivo era appena apparsa la prima schermata di caricamento del sistema operativo.

«Non ci credo, sei davvero Antemia, la famosa scrittrice e formidabile allenatrice, non ci credo!»

«In persona.»

Anche se cercava di nasconderlo, il suo accento americano era più che evidente.

«Sai, sono un tuo grande ammiratore, ho letto tutti i tuoi libri, sai. Ne ho qui uno con con me. Me lo autograferesti?»

«Certo, ci mancherebbe altro.»

Il ragazzo porse il libro alla donna.

«Dimmi… come ti chiami?»

«Odd.»

«Oh, beh, è un nome molto particolare, sai, credo di non aver mai sentito un ragazzo che si chiama così, sai?»

La donna scrisse una piccola dedica al ragazzo. Poi gli restituì il libro.

Odd fece per andarsene e tornare dai suoi amici, quando la donna lo fermò dal farlo.

«Aspetta un attimo. Hai detto di aver letto tutti i miei libri, non è vero? Se è così, allora sei la persona adatta ad aiutarmi per una cosetta. Vedi, sto iniziando a scrivere un libro, diverso dal solito, una storia di spionaggio.»

«Sembra dannatamente interessante!»

«Sai, sono una grande appassionata di corse, pensavo di iniziare il tutto alla gara inaugurale, dove una scuderia presenta  nelle sue auto un dispositivo tanto illegale quanto nascosto. Nessuno avrebbe potuto scoprirlo, a meno di una soffiata. Che puntualmente avviene.  La scuderia in questione sarà costretta a rimuovere quel dispositivo. 

Le vicende si spostano poi in una delle gare del centro della stagione, circa due mesi dopo. Quando viene tentato il sabotaggio a entrambe le vetture, che però viene evitato grazie alla troppa scrupolosità di uno dei meccanici, che si accorse di qualcosa che non tornava. Contemporaneamente, in una piccola copisteria un uomo chiede di stampare del materiale confidenziale, che non avrebbe dovuto avere e…

Non posso dire tutto, altrimenti rovino la sorpresa.

A un certo punto, comunque, il sospettato viene ucciso e sarà compito degli investigatori ricostruire tutto quello che è accaduto e scoprire chi è stato l'assassino e tutte le motivazioni per cui quel delitto è avvenuto. E, pensavo, nel libro, di inserire un piccolo gioco, sai?»

«Del tipo?»

«Hai mai sentito parlare dell’inchiostro simpatico?»

«No?»

«Si tratta semplicemente di alcuni inchiostri che apparentemente sono invisibili, ma che possono diventare visibili in svariati modi, uno dei più famosi è il succo di limone, che reagisce con il calore rivelando quanto scritto prima, ma ne esistono anche di altri, io pensavo di usare del ferrocianuro di potassio.»

La faccia di Odd diceva tutto, non era mai stato un genio nelle materie scientifiche. Non si sentiva così stupido da quando Jeremy aveva gettato la spugna nello spiegargli i segreti del Supercomputer. 

Nonostante questo, la donna continuò la sua spiegazione. 

«Basterà farlo reagire con del nitrato di ferro e apparirà quanto scritto. In un colore chiamato blu di Prussia.»

«Sembra interessante. Oh, spero di non essere stato di disturbo.»

La scrittrice sorrise.

«Ma no, figurati, anzi, è sempre un piacere incontrare qualcuno che apprezza quello che faccio.»

Il ragazzo tornò dai suoi amici, estremamente felice. Sia per la dedica che per l’aver ricevuto informazioni sul suo prossimo libro.

«Ragazzi, non ci voglio credere! Guardate qui! Mi ha pure autografato il libro!»

Nel suo tono era ben evidente una certa dose d'orgoglio. Conoscendolo, si sarebbe vantato della cosa per mesi. Ma in quel momento, il ragazzo sembrava pensare ad altro. 

«Non so voi, ma io ho un sonno…»

«Sarà per colpa di tutto quello che ti sei mangiato… ora il tuo stomaco sta richiedendo una grande quantità di sangue ossigenato e…»

«Einstein, non ho bisogno delle tue spiegazioni per dormire, ci riesco anche senza.»

Nemmeno terminò la frase che subito cadde addormentato, e data la non ottimale posizione in cui dormiva, ogni respiro produceva un rumore simile a quello di un camion. Nessuno osò svegliarlo. Se lo si svegliava durante il sonnellino dopo mangiato, a meno che non si trattasse di un’emergenza, diventava intrattabile.

Restava da sperare che un qualche movimento involontario durante il sonno, lo facesse stare in una posizione più consona.

Speranza che fu vana. Per tutto il viaggio, il biondo non si schiodò da quella posizione.

Ulrich lo svegliò percuotendolo.

Il ragazzo, era ancora intontito dal sonno, aveva perso la cognizione del tempo.

«Come? Già arrivati? Ma se sino a cinque minuti fa stavamo uscendo da Marsiglia?»

«Non so se ti sei reso conto, ma sono passate più di tre ore.»

«Se lo dici tu.

Il treno si arrestò alla e le porte pneumatiche si aprirono. Finalmente erano giunti alla loro destinazione.

I cinque si misero in cammino verso l’Hermitage,con finalmente una pista da seguire. Nonostante fosse tarda notte quasi 

nessuno di loro aveva intenzione di lasciarsi abbandonare tra le braccia di Morfeo. A parte Odd.

Raggiunsero la villa dopo una mezz’ora a piedi. A quell’ora non c’era un’anima viva in giro. Il momento ideale per fare certe cose alla larga da occhi indiscreti.

A pochi metri dalla villa Aelita estrasse il mazzo di chiavi dalla sua borsa. 

«Non mi vorrai dire che volte indagare adesso? Sto morendo di sonno.»

«Ma se hai dormito per tutto il viaggio?»

Lo riprese Ulrich.

«Quello? Per me era un semplice riposino. Non penserai mica che mi basti.»

«In ogni caso non pensare di passare la notte sotto le coperte. Non ancora, almeno.» 

Non mi dire che hai dimenticato perché abbiamo fatto tutto questo viaggio.»

Non mi dire che ti sei dimenticato che dobbiamo cercare una stanza segreta in questa villa?»

«E non possiamo farlo domani, dopo scuola?»

«E domani ti inventerai un’altra scusa, come il fatto che hai dato appuntamento a qualche ragazza e che non ci vuoi rinunciare… ti conosco ormai.»

«Einstein, per tua informazione sono già uscito con tutte le ragazze della scuola. E con quelle con cui non sono uscito… non mi interessa farlo.»

«Ah, quindi pure quella ragazza coi capelli blu arrivata ieri?»

Odd fece mente locale. Si ricordava di ogni singola ragazza con cui era uscito e soprattutto dei motivi per cui era stato rifiutato.

«Adesso che ci penso… no. Lei mi manca.»

Ulrich gli diede una gomitata nelle coste.

«Beh, se magari invece di trattare le ragazze come figurine, iniziassi a prendere le cose più seriamente, forse avresti almeno una speranza.»

«Parla quello che per dichiararsi ci ha messo trecento anni. Penso di non avere bisogno di consigli. Vorrei darle un appuntamento domani, dopo la scuola.»

Jeremy cercò di non ridere. L’amico si era smentito nel giro di pochi istanti. 

«Non ci lasci alternativa. E poi è ancora presto. Dovessimo fare in fretta, riusciremo anche a dormire un pochino.»

«E va bene, Einstein, per questa volta hai vinto. Ma come pensavi di trovare quella stanza? Questa villa è enorme.»

«Dovremo dividerci.»

Intervenne Yumi. 

«Io e Aelita andremo in mansarda, se non vi dispiace.»

«Fate pure. Noi ci spartiamo i piani inferiori.»

Una volta giunti in mansarda iniziarono ad esaminare quel che era rimasto dalle operazioni di pulizia. Restavano principalmente dei libri nella libreria, la valigetta del piccolo chimico e il taccuino. 

I due avevano iniziato a sfogliare accuratamente uno per uno tutti i libri presenti. Sfogliandoli uno alla volta, pagina per pagina, ben consapevoli che sarebbe servito molto tempo.

«Pensi di trovare qualcosa qui?»

«Non so. Ma non abbiamo molte altre piste. E poi non era in mezzo a un libro che abbiamo scoperto dell’esistenza del Settore Cinque? Magari avrà nascosto la mappa in mezzo a un altro libro.

«Non credo. Mio padre non era tipo da ripetersi. Per cui sono piuttosto sicura del fatto che avrà usato qualche altro metodo, per nascondere la mappa.»

«Dove vuoi cercare?»

«Non so, magari gli altri sono stati più fortunati.»

«Trovato niente?»

Ulrich non ricevette risposta. Non sapeva se perché non lo avessero sentito o perché effettivamente avessero trovato qualcosa.

«Come non detto!»

Commentò Jeremy, cercando di sdrammatizzare. Erano ore che cercavano e non avevano ancora trovato nulla.

I dubbi del ragazzo vennero fugati in breve tempo. I due scesero a mani vuote.

«Come immaginavo. Almeno avete qualche idea?»

Mentre i cinque si interrogavano sul da farsi, poco lontano, al collegio Kadic, tutti dormivano beatamente da ore. Tutti tranne Lucinda. Non perché lei non volesse, ma perché  Xana aveva deciso così. Doveva recuperare quanti più dati possibile sui suoi nemici, e la notte era il momento ideale per farlo, lontano da sguardi indiscreti.

Nel caso in cui la ragazza fosse stata scoperta, fuori dalla sua stanza, poteva contare sulla sempreverde scusa del dover andare al bagno, mentre  nel caso in cui fosse stata scoperta mentre entrava in una stanza diversa dalla sua, avrebbe semplicemente potuto dire di essersi confusa, di aver sbagliato. Una cosa piuttosto normale per un essere umano. Ma non per un’intelligenza artificiale. 

Dopo aver constato che la sua compagna di stanza fosse perduta nel mondo dei sogni, si alzò e camminò in punta di piedi fino alla porta della stanza. Aprì delicatamente la porta e si diresse nella stanza accanto, quella in cui dormiva Aelita. In quel momento la ragazza era assente, e Xana lo sapeva benissimo. Era il momento perfetto per mettere in atto il suo piano. Ignaro del fatto che anche la ragazza stesse facendo qualcosa di simile.

Sapeva che quando la ragazza sarebbe tornata nella sua stanza e si sarebbe accorta immediatamente di eventuali oggetti spostati o mancanti, per cui avrebbe dovuto riposizionare perfettamente tutti gli oggetti che avrebbe spostato da quel momento in avanti.

Decise di iniziare dai cassetti della scrivania. Erano tre. Non ci sarebbe voluto molto.

Aprì il primo. Dentro c’erano solo dei quaderni, perfettamente intonsi. 

Neppure il secondo o il terzo cassetto furono di aiuto. Erano vuoti. Aveva ancora un po’ di tempo prima di tornare nella sua stanza. Decise di impiegarlo per ispezionare l’armadio. Non era grande. Aveva solo due ante e altrettanti cassetti. Sarebbe stata una cosa veloce.

Nei cassetti non trovò nulla di utile. Se non avesse avuto la certezza di trovarsi nella stanza di Aelita, avrebbe potuto pensare di trovarsi in quella di una ragazza qualsiasi.

Come ultima spiaggia decise di aprire le ante dell’armadio. E finalmente trovò quello che cercava. Non nella forma in cui si aspettava, ma se lo doveva far andar bene.

Si trattava di un semplicissimo libricino. Usato dalla ragazza come diario. Era rosa, monocromatico, e aveva gli angoli della copertina leggermente rovinati. Lo nascose sotto la maglietta del pigiama e risistemò gli oggetti che aveva spostato, per poi tornare nella sua stanza. Aveva impiegato più tempo del previsto, ma sembrò che nessuno si fosse accorto di nulla. Per evitare di essere accusata del furto, Xana fece sì che la ragazza nascondesse il diario nell’armadio della compagna di stanza. Aveva notato di come avesse già preparato i vestiti per il giorno seguente, e aveva giudicato come altamente improbabile il

fatto che la compagna di stanza avesse dovuto aprire l’armadio.

Alla villa Hermitage i cinque si erano riuniti nel grande salotto dell’Hermitage. Erano stanchi e delusi, non avendo trovato nulla. 

«E se il Professore avesse deciso di disegnare quella mappa con l’inchiostro simpatico?»

«Odd, non fai ridere! Perché mai dovrebbe?»

Lo riperese Ulrich. 

«Odd, sei un genio! Usare un inchiostro apparentemente invisibile è un modo semplice ed efficace per nascondere informazioni preziose.»

«Si, certo, avrà usato il succo di limone!»

«Amico, non esiste solo quello, ne esistono altri, ma  solo sentendoli nominare, mi vengono i brividi.»

Controbattè Odd.

«Adesso che ci penso, lo scorso anno, la professoressa Hertz fece una lezione su questo argomento.»

Intervenne Yumi.

«Uno degli inchiostri simpatici più comuni si basa sul ferrocianuro di potassio. Quest’ultimo, da solo risulta essere perfettamente invisibile, ma quando reagisce con del nitrato di ferro, diventa finalmente visibile. Sono dei materiali che un professore di scienze può procurarsi con relativa facilità. E ora che ci penso, ieri Odd aveva trovato un taccuino con delle pagine bianche e un kit del piccolo chimico. Potresti andare a prenderli?»

Dopo un’iniziale riluttanza, il ragazzo si alzò dal divano e si diresse nella mansarda della villa. 

Tornò dopo alcuni minuti con la valigetta e il taccuino. Dalla sua espressione era evidente il suo pentimento per aver fatto quella battuta. Probabilmente se non l’avesse fatta, a quel punto sarebbe già stato sotto le coperte, ma ora non si poteva più tirare indietro.

Posò la valigetta sul tavolino e la aprì. Sembrava non fosse mai stata usata. Come se fosse stata comprata e mai utilizzata.

Yumi cercò, tra le diverse sostanze chimiche, proprio il nitrato di ferro, che scovò dopo una ricerca di una trentina di secondi.

Estrasse la provetta dalla valigetta, che richiuse e posizionò sul pavimento. Al suo interno la sostanza in questione era formata da dei cristalli color miele. 

La ragazza aprì la provetta e la ribaltò contro la prima pagina del taccuino. Apparentemente il kit appariva in buone condizioni, ma doveva aver preso dell’umidità. Il nitrato cadde come un blocco compatto sulla prima pagina. Per fortuna il blocco non si era sbriciolato, altrimenti sarebbe stato un disastro.

Aelita estrasse un fazzoletto di carta dalla sua borsa e fece segno all’amica di posare li sopra il blocco color miele.

Contemporaneamente, sulla prima pagina del taccuino, la reazione chimica stava avendo inizio. Si vedeva come quelle parole fossero state scritte di fretta. Solo guardandole era ben comprensibile lo stato d’animo dell’uomo in quel momento.

Yumi passò istintivamente il taccuino ad Aelita. 

Dagli occhi della ragazza iniziarono a scendere delle lacrime.

Quasi non se la sentiva di leggere ad alta voce. Quasi sembrava che solo la voce di suo padre potesse farlo. Incrociando gli sguardi del gruppo, poteva scorgere due sentimenti ben diversi. Comprensione e incoraggiamento.

La ragazza si fece forza e iniziò a leggere.

«Mia piccola Aelita. Spero con tutto me stesso che sia tu a leggere queste righe. Sono sicuro che tu sia stata in grado di risolvere il piccolo enigma. 

Purtroppo non mi posso dilungare molto, devo subito andare al sodo.

La ragazza voltò la pagina del taccuino e fece reagire dell’altro nitrato sulla pagina.

«Raggiungi la cantina dell’Hermitage, e entra nella cella frigorifera.

Nelle pagine successive, dell’ulteriore nitrato, fece comparire una mappa molto semplificata della villa. 

«Bene, so cosa dobbiamo fare. Andiamo in cantina, poi vi spiego.»

I cinque si precipitarono alla cantina della villa e raggiunsero la cella frigorifera. 

Non era una stanza enorme, dopotutto il suo scopo era semplicemente quello di contenere del cibo, non di certo quella di essere abitata. Era priva di qualsiasi finestra. L’ingresso d’aria fredda era garantita da diverse bocchette che garantivano il raffreddamento di tutta la stanza.

Sulle pareti erano presenti degli scaffali, pieni di prodotti scaduti e sul soffitto diversi ganci. 

«Ci siamo. Avendo la porta dietro le spalle, sulla parete sinistra tira il terzo gancio a partire dal fondo.»

Ulrich fece un balzo e si appese al gancio. Un rumore metallico confermò che il meccanismo era scattato.

«Ora bisogna sollevare il quarto scaffale in fondo a destra.

Lo scaffale sembrava pesasse parecchio. 

«So io chi ci può aiutare. Gardevoir, vieni fuori, usa psichico per sollevare quello scaffale.

La Gardevoir shiny della ragazza uscì dalla Pokéball e, grazie ai suoi poteri, sollevò il pesante scaffale.

«Grazie.»

Utilizzando i suoi poteri psichici, la GA fece capire alla sua allenatrice di essere estremamente felice di esserle stata d'aiuto.

«Ci siamo quasi. Ora dobbiamo chiudere, riaprire e chiudere di nuovo la porta.» 

Operazione che venne completata da Yumi.

«Come ultima cosa tira di nuovo il gancio.»

Ulrich si riappese nuovamente al gancio. Che questa volta, non solo fece un suono metallico, ma si abbassò anche di qualche centimetro.

Queste operazioni rivelarono una piccola porticina in metallo, fino a quel momento invisibile. Era talmente bassa che per attraversarla era necessario acquattarsi. 

Appena entrati nella stanza, un sensore di movimento fece accendere una grossa lampadina a incandescenza, che si trovava al centro della stanza. La stanza era illuminata di un piacevole colore caldo. 

«Ma chi è che paga le bollette qui? Anche nel resto della villa c’è corrente, ora che ci penso.»

Odd si prese una tirata d’orecchie da Ulrich. 

«Ti sembra questo il momento di farti domande del genere?»

Non ricevette alcuna risposta. Ora il punto della questione era un altro. Avevano scovato una nuova parte dell’abitazione e avrebbero dovuto esplorarla. 

L’arredamento della stanza era semplice, un divano di pelle, un mobiletto di legno su cui troneggiava un pesantissimo televisore a tubo catodico e un vecchio videoregistratore.

«Sei sicuro che questa cosa non vada a carbone?» 

«Sarà anche vecchio, ma non così tanto, probabilmente quando lo hanno portato qui era appena uscito dal mercato.» 

Lo riprese Ulrich.

«Solo che non capisco perché fare tutto questo lavoro per nascondere questi oggetti. Sembrano delle cose normalissime.»

Aggiunse poco dopo.

«Se sono qui, ci sarà un motivo. Non credi?»

Il gruppo, con l’eccezione di Jeremy, si sedette sul divano. Il biondo armeggiò con il televisore e il  videoregistratore. Si assicurò che le prese SCART fossero ben agganciate e che il registratore non puzzasse di bruciato.

Dopo aver completato i controlli, il ragazzo accese il televisore e il videoregistratore. Alcuni istanti dopo il televisore si accese, mostrando la classica schermata di assenza di segnale.

Il ragazzo armeggiò con alcuni pulsanti del televisore, fino a quando sullo schermo non apparve la schermata del videoregistratore.

Sfondo blù con la marca del registratore. Un’azienda tedesca che aveva chiuso i battenti diversi anni prima. 

Il ragazzo aprì lo sportellino del videoregistratore e notò come, al suo interno, fosse presente una videocassetta.

Il ragazzo alzò il volume e premette il tasto play. 

Pochi istanti dopo il video partì. 

Una musica dolcissima si diffuse dagli altoparlanti del televisore. Sullo schermo apparve una carrellata di fotografie della famiglia di Aelita. Lei da piccola, massimo due o tre anni, insieme ai suoi, mentre pedalava su di un piccolo triciclo, poi sempre lei, abbracciata a una bellissima donna dai lunghi capelli rosa.

«Mamma.»

Disse la ragazza, con un filo di voce.

Le foto continuarono a scorrere. Ora erano Franz e la moglie, vestiti in camice, probabilmente quella foto era stata scattata a lavoro. La donna, probabilmente aveva guidato la mano del marito sulla pancia, per fargli capire che lei era incinta.

Ora le foto erano più recenti. Scattate alla villa Hermitage. Quando ormai sua madre Anthea era scomparsa. 

Alla musica si sovrappose la voce del professore. 

«Figlia mia. Spero che sia tu ad ascoltare le mie parole. Ho nascosto tutto con cura, ma sono sicuro che tu sia in grado di trovare tutto.»

Le foto avevano smesso di scorrere. Al loro posto un video che ritraeva il professore. Per certi versi rispecchiava la descrizione fornita dal signor Garrigue. Non sembrava nemmeno l’ombra di se stesso. Molto dimagrito e dall’aspetto stanco. Aveva la barba lunga e ingrigita. Dietro gli spessi occhiali, era possibile notare come i suoi occhi fossero gonfi dalla stanchezza.

Indossava una camicia azzurra. Era seduto su quello stesso divano dove ora il gruppo stava guardando quel video. 

«Se stai guardando questo filmato, vuol dire che le cose per me sono andate male. Se fossi sopravvissuto a tutto questo, sarei entrato qui e avrei distrutto tutto.

Se non l’ho fatto vuol dire che non sono più qui. Prendi quelle foto all’inizio come un piccolo regalo. Voglio che tu non ti senta mai sola.»

Aelita era come ipnotizzata dalle parole di suo padre. 

Il discorso dell’uomo, intanto, continuava.

«Comincio dicendo che ti devo molte spiegazioni. Il mio nome non è veramente Franz Hopper, ma Waldo Franz Sheaffer. Io e tua madre Anthea lavoravamo a un progetto di massima segretezza, chiamato Cartagine. Quando il progetto era quasi giunto al termine ci accorgemmo di come il nostro lavoro non sarebbe servito a migliorare le condizioni di vita di umani e Pokémon, ma bensì di utilizzare per controllare il mondo e di concentrare il potere nelle mani di pochi.

Pensavamo di liberarci facilmente di loro, ma ci sbagliammo. Tua madre è stata rapita e noi due siamo stati costretti a cambiare spesso identità.

E sono sicuro, anzi, sono certo del fatto che Anthea sia ancora viva, anche se non ho idea di dove si trovi né come stia. Ho fatto quanto possibile per trovarla, ma dovevo anche pensare a proteggerti. 

Ho assunto la falsa identità di Franz Hopper, un semplice professore del collegio Kadic. E, al contempo mi occupavo di creare il progetto Lyoko, sfruttando tutto quello che io e tua madre abbiamo creato per il progetto Cartagine.

La mia idea era quella di creare Lyoko per proteggerci. Sia per poter fuggire in caso di emergenza sia per proteggerci dagli effetti negativi di Cartagine.

Nonostante tutto, siamo stati scoperti anche qui. Hanno perfino tentato di prenderti in ostaggio per chiedermi di fare quello che volevano.

Nel farlo ti hanno ferita gravemente alla testa. Con un proiettile.»

La ragazza si passò la mano tra i capelli, notando una spessa cicatrice. Prima di allora non ci aveva mai fatto caso. Non aveva avuto motivo di farlo.

Mentre la ragazza si toccava la cicatrice, come se se lo aspettasse, l’uomo restò in silenzio. 

«Per curarti esisteva solo un modo. E, immagino che tu abbia capito. Ho registrato questo video subito dopo averti portato su Lyoko. Tra pochi istanti ti raggiungerò.»

Dopo questa frase, il video si bloccò per un attimo. Come se la cassetta si fosse parzialmente danneggiata. Quando riprese, sembrava che il professore stesse terminando una frase mai cominciata.

«Devi distruggere il Supercomputer e qualsiasi cosa riguardi la vecchia fabbrica. Se non ci riesci da sola fatti aiutare dai tuoi Pokémon. Nessuno lo deve trovare e soprattutto utilizzare. Voglio che tu sappia una cosa.»

L’uomo stava piangendo. Cercava di asciugarsi le lacrime con un fazzoletto.

«Le invenzioni non sono il problema. Il vero problema è come vengono utilizzate. Sappi che gli uomini sono pericolosi, gli uomini sono cattivi. Pensano solo a loro stessi e mai alle conseguenze di quello che fanno.

L’uomo fece una pausa che sembrava durasse all’infinito. 

«Ho una seconda cosa da chiederti. Apri le ante del mobiletto dove si trova il televisore. Al suo interno si trova un piccolo cofanetto di legno. Aprilo. Al suo interno si trova una catenina con un ciondolo. Quando ancora stavamo insieme lei me lo regalò. E io feci altrettanto. Ti prego, custodiscilo come se fosse la cosa più preziosa del mondo.»

«Lo farò, te lo prometto.»

La ragazza lo disse sottovoce. In modo quasi impercettibile.

«Ora io non sono più qui. Per cui ti affido un compito tanto importante quanto rischioso, un compito che io stesso non sono riuscito a portare a termine. Trovare Anthea. In questa ricerca non sarai sola. Sono sicuro che una persona potrà aiutarti. Non voglio perder tempo è»

La videocassetta ebbe nuovamente un piccolo problema. Altri preziosi secondi persi.

«Rena. Puoi rivolgerti a loro.»

Il video sembrava fosse finito. Lo schermo divenne nero.

Aelita si alzò dal divano e si diresse verso il mobiletto del televisore. Si inginocchiò davanti allo stesso. Aprì entrambe le ante e prese il piccolo contenitore in legno. Seguendo le istruzioni di suo padre, aprì il piccolo contenitore e trovò la piccola catena d’oro con il pendente.

Un pendente poco più grande di una moneta, in oro lucido. Talmente lucido da potercisi specchiare. 

Sul ciondolo erano incise le iniziali della coppia. W e A. Sotto queste ultime era disegnato un nodo da marinaio, a simboleggiare il loro legame.

Jeremy estrasse il suo telefono dalla tasca e guardò l’ora.

«Diavolo, dobbiamo correre, o arriveremo in ritardo a scuola.»

«Come sarebbe a dire?»

Jeremy mostrò a tutti il suo telefono. Era vero, mancavano appena quaranta minuti e sarebbero iniziate le lezioni. Non avevano di sicuro il tempo per riposarsi. Dovevano essere anche veloci a darsi una sistemata, dal loro aspetto era evidente che non avessero dormito.

Ad ogni modo giunsero ai cancelli del collegio e si separarono momentaneamente, per dirigersi nelle rispettive classi.

Si erano dati appuntamento per l’ora di pranzo, dove avrebbero deciso sul da farsi.

Le lezioni erano finite e i cinque si incontrarono in mensa. 

I cinque si sedettero al loro solito tavolo, pronti a consumare il loro pasto.

«Come sono andate le lezioni?»

Chiese Yumi al gruppo. Non voleva subito venire al punto. Non voleva subito parlare dell’argomento scottante. Non con tutto il viavai di studenti che ancora si stava accomodando.

«Sai che noia! Durante la lezione di letteratura mi hanno dovuto svegliare almeno quattro volte. Non so come, ma non mi hanno mai sgridato. Con la Hertz Jeremy ed Aelita ci hanno salvato la faccia.»

Rispose Odd

«Io avevo storia. Anche per me è stata una faticaccia stare sveglia. Per non parlare poi di chimica… Non ci ho capito niente. Sembra di essere tornati ai vecchi tempi, quando facevamo i salti mortali per riuscire a galleggiare.»

«Non gli rimpiango affatto.»

Le fece eco Jeremy.

«Ma a quanto pare non abbiamo molta scelta. Ora abbiamo almeno qualcosa da cui partire. Più tardi vedrò se è possibile recuperare le parti mancanti da quella videocassetta.»

Aggiunse Jeremy.

«Pensi che sia necessario riaccendere il supercomputer? Sai, dopo quella dimostrazione a Ash e Serena, ho perso totalmente la voglia di ritornarci.»

«Non servirà. Lo terremo spento. E appena la troveremo…»

Lo sguardo di Jeremy si posò sulla sua ragazza.

«Lo distruggerai.»

Aelita non disse nulla. Dopotutto quella era l’ultima volontà di suo padre. E avrebbe fatto di tutto per realizzarla. 

Diverse ore dopo, la maggior parte degli studenti e delle studentesse si trovava nelle loro stanze. Era poco prima dell’ora di cena. Alcuni stavano studiando, altri, come Serena, stavano preparando la roba per il giorno dopo.

La ragazza aveva aperto il suo armadio per prendere un paio di Jeans, quando si accorse di una piccola anomalia.

Una sorta di libro rosa, con gli angoli rovinati.

Non lo aveva mai notato prima. 

Probabilmente apparteneva alla ragazza che dormiva qui prima di me”

Pensò. 

Aprì la copertina, nella speranza di trovare almeno un indizio su chi potesse essere la proprietaria. La sua ricerca ebbe il successo sperato. La proprietaria del diario era una ragazza chiamata Aelita. 

Un nome che le era familiare. La ragazza con cui aveva lottato qualche tempo prima si chiamava così. Poteva essere lei? E nel caso, cosa ci faceva il suo diario in quella stanza? Che fosse stato messo lì da quella Sissi per farle litigare? 

Il suo flusso di pensieri venne interrotto da una mano gelida che si posò sulla sua spalla. Ricordava quella sensazione di gelo. Quando la mattina del sabato aveva stretto la mano a Lucinda. Possibile che fosse ancora lei?

Non dovette nemmeno girarsi del tutto, per accorgersi che si. Era ancora lei. 

E pareva molto arrabbiata. Apparentemente senza motivo. Le strappò violentemente il diario dalle mani, lasciandola di stucco.

«Non avresti dovuto toccarlo.»

«E perché? Non è di sicuro tuo. Non mi pare che tu ti chiami Aelita.»

«E a te che ti importa? Se ti dico di non toccarlo, non lo tocchi. Fine.»

Senza che potesse in alcun modo reagire, la ragazza dai capelli color miele si ritrovò a terra, con la schiena premuta contro il suo letto. 

Nonostante il dolore si alzò. Non per controbattere, sarebbe passata dalla ragione al torto, ma quantomeno per avvisare chi di dovere. Ma fu inutile. Non appena si rimise in piedi, venne di nuovo scaraventata. Questa volta contro l’armadio. Con un colpo molto più duro del precedente.

Questo era troppo. Ormai non le importava più di essere nella ragione o nel torto. Era diventata una questione di orgoglio.

Si rialzò in piedi e cercò di spintonarla. Senza riuscirci.

Una frazione di secondo prima di colpirla, la ragazza dai capelli blu, si era spostata. Contemporaneamente Serena sentì un forte dolore alla spalla destra.

«Inutile che continui. Rischi solo di farti male. Devi solo rinunciare a restituire quel diario.»

Serena comprese ben presto in non avere scelta. Il dolore alla spalla stava diventando insopportabile.

«Come vuoi.»

In men che non si dica corse fuori dalla sua stanza, poggiata contro il muro, tenendo la mano sinistra sulla spalla destra.

Non ci volle molto prima che due ragazzine, di un paio di anni più piccole di lei si avvicinassero.

Una ragazza aveva i capelli rossi, tagliati corti. Occhi azzurri, pelle pallida e numerose lentiggini. Indossava una maglietta azzurra, dei pantaloni rosa e delle scarpe da ginnastica.

Accanto a lei, una ragazza più o meno della sua età. Leggermente più alta di lei. Una ragazza dalla carnagione scura, aveva i capelli castano scuro, legati in delle trecce strettissime. Indossava una maglietta rosa e dei pantaloni sportivi verdi.

«Stai bene?»

Chiese la rossa.

«Abbiamo sentito del rumore e volevamo vedere cos’era successo.»

Aggiunse l’altra ragazza.

«Nulla di che. Una scaramuccia tra compagne di stanza.»

«A me non sembra proprio. Non ti sei vista? Stai sanguinando! Dai su, ti accompagnamo in infermeria.»

La ragazza si tolse la mano dalla spalla e si accorse che sì, effettivamente stava sanguinando. Andare a farsi curare quella ferita non era una brutta idea.

«Oh, grazie, gentilissime!»

Le tre ragazze giunsero all’infermeria, poco prima che Jolanda, l’infermiera della scuola, smontasse e venisse sostituita dalla guardia medica.

Milly bussò alla porta.

Pochi istanti dopo, una donna bionda di circa cinquant’anni uscì dalla stanza. Indossava un camice bianco, immacolato.  Sulla tasca superiore alcune penne.

«Cos’è successo, ragazze?»

«Io e la mia compagna di stanza abbiamo litigato e a un certo punto siamo arrivate alle mani. Ho voluto evitare lo scontro, ma dopo che mi ha spinto prima contro il letto e poi contro l’armadio non c’ho più visto e mi sono voluta difendere. Solo che appena mi sono avvicinata a lei, ho sentito un dolore alla spalla. 

Devo ringraziare Milly e Tamya per avermi portato qui.»

«Capisco. Io non mi occupo delle questioni disciplinari, per quelle metterò al corrente chi di dovere. Ora però è meglio che mi occupi di questa ferita.»

La donna sollevò la manica della maglietta della ragazza e constatò come la ferita non fosse molto profonda.

Imbevette una garza sterile con del disinfettante.

«Fai attenzione, potrebbe fare un pochino male. Ma non ti preoccupare, è normale.»

La donna disinfettò la ferita della ragazza e la coprì con un grosso cerotto.

«Fatto! Vedrai che guarirà presto.»

Disse la donna, in tono gentile.

I suoi occhi si posarono poi sull’orologio, appeso a una parete.

«Ora è meglio che andiate in mensa. È ora di cena.» 

Dopo cena Serena si affrettò a raggiungere la sua stanza da letto. Non voleva passare un minuto in più con quella ragazza.

Prese il diario di Aelita, i vestiti per il giorno dopo e un sacco a pelo che si era portata dietro per situazioni del genere. 

Con la scusa di chiederle se poteva passare la notte da Aelita, avrebbe potuto restituirle il diario. 

Avrebbe aspettato l’arrivo della ragazza per chiederglielo. Da come le era apparsa sembrava una persona gentilissima, non avrebbe sicuramente detto di no. Nonostante questo, di sicuro non poteva entrare senza permesso.

Ad ogni modo non ci volle molto prima che la ragazza dai capelli rosa entrasse nella sua stanza. 

Aelita si stava cambiando, quando sentì bussare alla porta.

«Un attimo! »

La ragazza finì di indossare il pigiama.

«Bene, ora puoi entrare, scusa, ma mi stavo cambiando.»

Serena entrò nella stanza.

«Non fa niente, figurati. Scusa se te lo chiedo ma potrei passare la notte da te? Ho avuto una brutta discussione con la mia compagna di stanza.»

«Certo, resta pure, ci mancherebbe altro.»

«Sei davvero gentile. Non come quella lì!»

La ragazza dispose il suo sacco a pelo per terra e si sedette sul letto, accanto alla legittima proprietaria della stanza. Non era ancora ora di coricarsi, per cui ne avrebbero approfittato per conoscersi meglio.

Mentre le due ragazze chiacchieravano, un uomo, chiamato Grigory Nicolapolus, stava percorrendo ad alta velocità una delle numerose autostrade della Francia.

Guidava un potente Dodge Ram SRT 10. Un gigantesco pick-up americano, spinto da un altrettanto gigantesco V10 da oltre ottomila centimetri cubi di cilindrata.

L’uomo sbuffò. Detestava dover viaggiare continuamente da una città all’altra, ma il suo lavoro lo costringeva a farlo praticamente una volta a settimana. Inoltre il  suo lavoro lo costringeva ad essere sempre solo. Poteva passare anche mesi interi con la sola compagnia dei suoi due Houndoom. 

«Non ci vorrà molto, belli.»

Il suo tono era nervoso. Stava lavorando a qualcosa di grosso, e nonostante fosse stato addestrato a situazioni del genere, non riusciva a nascondere del tutto ciò che provava.

 Non si preoccupava nemmeno di rispettare i limiti di velocità. Chi mai lo avrebbe potuto controllare a quell’ora? 

Era sbarcato da Marsiglia e si stava dirigendo a Parigi. Nonostante fossero passate delle ore, aveva ancora fresca in mente l’umiliazione subita da un taxi di quella città, una Peugeot 406. Si era ripromesso che chiusa la questione a cui stava lavorando, gli avrebbe concesso la rivincita. 

Il lungo tappeto di asfalto scorreva sotto le gigantesche ruote del mezzo, in modo confuso. 

Girò a uno svincolo autostradale e si diresse a uno sportello automatico. Aprì il portaoggetti e estrasse del denaro contante. Non poteva permettersi che i suoi pagamenti venissero tracciati. 

La sbarra automatica si aprì. Pochi chilometri e sarebbe finalmente arrivato alle porte della città.

Città che lo accolse un poco alla volta. Prima alcuni capannoni di alcune aziende locali, poi delle case isolate, quindi i primi complessi residenziali e infine, finalmente, dei quartieri.

Era sbarcato a Marsiglia nel pomeriggio. Dopo una lunga traversata in nave. 

Li aveva incontrato un suo contatto, un uomo, apparentemente normalissimo, che nulla sembrava potesse spartire con lui. L'uomo gli consegnò due Pokéball e un mazzo di chiavi. 

«Ecco a lei!»

Grigory non gli rispose. Aveva quasi strappato tutto dalle mani dell’uomo e si era precipitato al suo pick«up. Aveva fatto uscire i due Pokémon dalle rispettive Pokéball, facendo sì che si potessero accomodare sul sedile posteriore.

Da allora non aveva fatto altro che guidare, guidare e guidare.

Si era fermato solo per fare benzina e per far sgranchire e mangiare i suoi Pokémon. Lui no. Sarebbe stata solo una perdita di tempo, e lui non ne voleva sprecare. Aveva anche rischiato di fare un incidente per la stanchezza. 

Ma non poteva occuparsi dei suoi bisogni. Doveva prima di tutto lavorare.

Dopo un’altra mezz'ora di guida raggiunse il suo primo obiettivo, una villa di tre piani di inizio secolo. Alta e stretta. Era circondata da una staccionata di legno, rovinata dal tempo.

Una targhetta con la scritta “Hermitage”, attaccata al cancello, confermò che aveva raggiunto la sua prima destinazione. Tuttavia decise di non fermarsi. Non era quello il momento, avrebbe dovuto visitare altri luoghi.

Continuò a guidare fino a costeggiare la Senna. Si voltò verso un isolotto, coperto integralmente da una fabbrica abbandonata, ma stranamente illuminata.

L’uomo tornò indietro, verso il collegio Kadic. Ancora prima di raggiungerlo fu in grado di di identificare le sagome degli edifici più alti.

L’uomo fermò il suo mezzo e uscì, insieme ai suoi due Houndoom.

Aelita si svegliò di soprassalto, allertata da degli ululati.

«Gli avrò davvero sentiti o me li sono immaginati?»

Si era dimenticata di non essere da sola e forse lo aveva detto a voce troppo alta.

«Che succede?»

Serena era stata svegliata dalla domanda della sua compagna di stanza.

«Oh, scusami se ti ho svegliata. È che sono stata svegliata da quegli ululati. Gli hai sentiti anche te?»

«Si, sembrano degli Houndoom, ho notato che non sono affatto comuni da queste parti. E poi non hanno una bella reputazione. Posso capire che tu ti sia spaventata.»

«Sai, il vero motivo è un altro. Sino allo scorso anno avevo molto spesso un incubo.»

«Un incubo?»

«Esattamente. Mi trovavo da sola, nel bel mezzo di un bosco. Senza nessuno dei miei Pokémon. sola e disperata, mentre cerco di fuggire e raggiungere casa.

A un certo punto un branco di Houndoom compare dal nulla e mi insegue. Sento proprio i loro ululati e il loro fiato bollente addosso. Mi capitava di inciampare e rischiare di farmi raggiungere da loro, fino a farmi quasi mordere.

Fino a quando non raggiungo casa, con ancora quelle bestie alle costole. 

Apro la porta e vedo mio padre suonare il pianoforte, che si gira verso di me. 

A un certo punto arrivano degli uomini vestiti di nero, che circondano la casa, e io e mio padre scappavamo per chissà dove, con quegli uomini che, a loro volta si trasformano in Houndoom e iniziano a sputare fiamme.

«Deve essere terribile sognarlo tutte le notti. Ma almeno te… puoi contare su tuo padre…»

«Mio padre è morto qualche mese fa… incidente stradale.»

Di sicuro non poteva raccontare di come suo padre si fosse sacrificato per uccidere una perfida intelligenza artificiale che tentava di conquistare il mondo. E la scusa di un incidente era abbastanza credibile.

Serena voleva maledirsi. 

«Oh, scusa. Mi dispiace.»

«Non ti preoccupare. Non potevi saperlo.»

«Annibale, Scipione, andiamo!»

L’uomo si riferiva ai suoi due Houndoom.

«Per ora basta così con il sopralluogo.» 

Fece salire i due Pokémon a bordo del suo mezzo e ripartì alla volta, alla volta di un edificio apparentemente abbandonato, nella periferia della città.

L'edificio era protetto da del filo spinato in gran parte arrugginito.

«Per fortuna ho fatto l’antitetanica.»

Commentò, in tono ironico. 

L’uomo scese dal suo mezzo e aprì il cancello del palazzetto con le chiavi datele dal suo contatto. Fece entrare il suo pick-up e richiuse il cancello a sua volta. Dopodiché si dedicò a scaricare la sua attrezzatura.

Mentre al collegio Kadic iniziava una normalissima giornata, Grigory aveva appena finito di sistemare tutte le sue attrezzature. Nel sangue aveva più caffeina che globuli rossi, ma almeno aveva concluso il suo lavoro.

Per evitare che i suoi Houndoom potessero disturbarlo, aveva deciso di distrarre con del cibo. Un’intera carcassa di un Tauros, ancora insanguinata.

Sulle pareti della stanza erano appesi diversi monitor a schermo piatto. Due erano da oltre quaranta pollici, ed erano circondati da un’altra decina di monitor più piccoli. Erano tutti della stessa marca. Una nota azienda sudcoreana.

Aveva anche installato delle antenne paraboliche all’esterno, dal lato opposto alla strada. Non poteva permettersi che venisse scoperto.

Dentro l’edificio numerose altre apparecchiature radiofoniche, da apparecchiature da radioamatore a dispositivi per intercettare le comunicazioni radio della polizia.

Aveva anche portato tre computer. Uno per gestire tutte le apparecchiature, gli altri due per comunicare con l’esterno. Ovviamente utilizzando una VPN. Di sicuro non poteva permettersi di essere scoperto.

Nel cascione aveva lasciato solamente tre casse. Due delle quali erano piene di microspie, microfoni direzionali e via discorrendo.

Sulla terza era disegnata la sagoma dorata di un Ho«oh. Al suo interno si trovava la cosa più preziosa che trasportava. L’avrebbe usata solo a tempo debito.

Scosse il mouse di uno dei suoi computer. Proprio nel momento in cui proprio i suoi obiettivi stavano parlando.

«E così le ho raccontato di come quegli ululati mi avessero ricordato del mio incubo ricorrente. Lei è stata molto comprensiva, probabilmente altre persone se la sarebbero presa.» 

L’uomo aveva immediatamente riconosciuto la voce della ragazza. Si trattava di Aelita Stones, o Hopper, o Schaeffer. E probabilmente stava parlando dei suoi due Houndoom.

Dovrò fare più attenzione” 

Pensò tra sé e sé.

«Ma non avevi una stanza singola?»

L’uomo si accorse di come quella fosse una voce diversa, di un ragazzo. Il sistema di riconoscimento vocale diede risposta dopo poco tempo. Si trattava di Jeremy Belpois.

«Si, ma Ser…»

L’uomo dovette smettere di ascoltare la loro conversazione. Non sembrava importante, per sua fortuna. Ma in ogni caso nulla era più importante di una chiamata del suo capo.

Sullo schermo del computer apparve il busto di un uomo. Per quello che poteva vedere l’uomo indossava una giacca grigia e una camicia bianca.

Sul bavero portava una spilla d’oro a forma di Ho-oh. Stesso simbolo riportato sulla cassa in cui conteneva il prezioso dispositivo.

L’uomo stava giocherellando con il mouse del suo computer, facendo tintinnare i suoi numerosissimi anelli d’oro. Dall’inquadratura era appena visibile la parte inferiore del volto. L’uomo aprì bocca, mostrando i suoi canini d’oro.

«Grigory, buongiorno.»

«A lei capo.»

Entrambi utilizzavano un dispositivo per camuffare la voce. In nessun modo era possibile riconoscere la loro vera voce. Per quanto sofisticate fossero le attrezzature impiegate.

«A che punto sei?»

Il capo venne immediatamente al sodo. Gli importava solo di quello.

«La base è operativa al cento per cento. Entro domani la mappatura di tutti i luoghi chiave sarà completata. Sarà udibile anche il minimo sussurro e sarà visibile il minimo movimento.»

«Eccellente. Ma sai bene che quello non è il tuo solo obiettivo.»

«Agli ordini.»

L’uomo aprì una nuova finestra sul suo computer, restando ancora in contatto con il suo capo. 

«Da chi vuole che cominci?»

«Non mi importa. Onestamente, ma da un mio informatore ho scoperto che, pochi giorni fa, al Kadic è arrivata la figlia del 

traditore. Detto questo voglio solo che tutto vada avanti. E necessito di qualsiasi materiale firmato dal Professore. 

Ci siamo capiti?»

«Agli ordini!»

«E, soprattutto ESIGO che tu mi confermi l’esistenza del Supercomputer. Dopo che il nostro agente più fidato c’ha traditi abbiamo subito un durissimo colpo. Dobbiamo farlo cantare, anche a costo di prenderci sua figlia. 

Mi voglio riprendere la rivincita.»

«Agli ordini!»

L’uomo battè sulla tastiera, ricercando negli archivi del collegio. Sapeva che quella ragazza era arrivata da poco, quindi era sicuramente tra le iscrizioni più recenti.

Aveva grossomodo quindici anni, per cui avrebbe potuto  ulteriormente restringere il campo di ricerca. 

Aprì l’archivio della seconda superiore e ordinò i dati degli studenti e delle studentesse in base all’iscrizione più recente. Le iscrizioni più recenti erano quelle di due ragazze. Una giapponese e una francese. 

L’uomo trasmise i dati al suo capo.

«Non ho dubbi. La francesina.» 

«Allora comincio da lei.»

«Lei è abbastanza inutile ora. Prima dobbiamo scovare suo padre, ma non abbiamo idea di dove si trovi. Sua madre è a Berlino. Manderò un nostro agente a prendere quello che ci spetta. Tu occupati di questa città.»

«Agli ordini.»

Intanto, al Kadic, stavano iniziando le lezioni, e per la seconda volta nel giro di pochi giorni, il signor Jean-Pierre Delmas era entrato nella seconda superiore, per presentare una nuova alunna.

Una ragazza giapponese dai capelli blu e dagli occhi grossomodo dello stesso colore.

Indossava una maglietta rosa parzialmente coperta da un giacchino nero, con una stella disegnata sul lato destro, una gonna nera e degli stivaletti.

La ragazza attirò gli sguardi di gran parte dei ragazzi, Odd su tutti.

«Se vuoi lei è single.»

Ash lo punzecchiò sottovoce. Nonostante non lo conoscesse ancora benissimo, si era fatto un’idea di che tipo di persona fosse quel ragazzo. Si comportava tale e quale a un suo carissimo amico.

«Buongiorno a tutti, ragazzi.»

«Buongiorno signor preside.»

Tutti gli alunni si alzarono in piedi, per poi accomodarsi al proprio posto. 

Il preside fece il suo solito lunghissimo discorso di presentazione che faceva ogni volta che in una classe arrivava un nuovo alunno o una nuova alunna, discorso in cui ne elencava vita, morte e miracoli, in cui ricordava di tenere sempre alta la nomea dell’istituto e di come ogni nuovo arrivo fosse un’opportunità di migliorarsi.

Rispetto alle altre volte si lasciò scappare una battuta sul fatto che qualcuno aveva già avuto la possibilità di fare la sua conoscenza. 

Qualche ora dopo i cinque si ritrovarono nella stanza di Ulrich e Odd. 

Quest’ultimo giocherellava con il suo piccolo Lillipup. 

«A cos’è dovuta questa riunione? Non mi sembra che ci siano novità.»

«Non proprio, o meglio, vi ho chiesto di incontrarci per mettere assieme tutti i pezzi che abbiamo fino ad ora. Se davvero vogliamo aiutare Aelita, ovviamente.»

«Einstein, che intendi?»

Jeremy prese un quaderno e una penna.

«Sappiamo che Anthea, la madre di Aelita, è stata rapita da degli individui sconosciuti.»

«Si, ma sono passati tantissimi anni. Non è detto che sia ancora tra noi.»

«Yumi. Me lo sento. È ancora qui, tra noi. Credimi.»

«Sei sicura? Quando è scomparsa eri molto piccola. Come…»

«Me lo sento e basta. Magari è solo una mia semplice convinzione, ma dopo quell’incontro, non riesco a non pensarci. E poi, se non mi volete aiutare, farò da sola.»

«Sia mai. Solo che non vogliamo darti delle false speranze.»

«In ogni caso…»

Jeremy interruppe la discussione sul nascere.

«Sento che non abbiamo ancora scoperto tutto sul Professor Hopper. Come un iceberg. Secondo me non siamo ancora oltre la punta. Per esempio sappiamo che ha lavorato a quel progetto segreto, Cartagine, ma cosa intendeva dire quando diceva di aver creato Lyoko per limitarne gli effetti negativi? E in più perché ha creato Xana? 

E come mai si è rivoltato al suo creatore e ha cercato di ucciderci e di conquistare il mondo?»

«Si, ma ne hai per molto o puoi andare dritto al punto? Non è carino far aspettare una ragazza.»

«Odd, sei sempre il solito! Ma se proprio insisti…

Sappiamo che il professor Hopper e Aelita si trasferirono qui nel 1988. Il Professore ha lavorato qui da allora fino a quel fatidico sei giugno. Era un insegnante di scienze.»

«Si, ma quindi, non avevi detto che saresti arrivato al punto?»

Odd era sul punto di perdere la pazienza.

«E quindi vorrei parlare con la persona che l’ha sostituito, che lavora ancora qui al Kadic. La professoressa Hertz.»

«La Hertz?»

I quattro gli risposero in coro. 

Ulrich prese la parola.

«Sei sicuro? A me sembra una persona troppo seria per aver avuto a che fare con tutte quelle cose. Sicuro di non aver preso un abbaglio?»

«Non abbiamo molta scelta. Anche perché ho scoperto che prima di lavorare come professoressa era la sua assistente di laboratorio. E sappiamo tutti che il caso non esiste.»

«Finito?»

«Finito!»

Odd uscì dalla stanza alla velocità della luce. Aveva dato appuntamento a Lucinda di fronte ai distributori automatici. E doveva essere lì entro due minuti. Cercò di calmarsi. Durante le lezioni si era studiato diversi argomenti di conversazione, per evitare brutte figure. Aveva riflettuto molto sulle parole dell’amico. E si era reso conto di come effettivamente avesse ragione. Riuscì ad arrivare con un ritardo di appena un minuto.

«Scusa se ti ho fatto aspettare.

Xana, ben presto capì che sarebbe stato meglio far fare quasi tutto alla ragazza. Il biondino era un ottimo modo per avere 

delle informazioni, ma al contempo doveva elaborare dei piani qualora questo non fosse accaduto.

«Non ti preoccupare.»

«Seguimi. Ti porterò in un posto speciale. Vedrai, ti piacerà!»

Posto speciale?” Aveva sentito bene? Quel biondino sembrava più stupido di quanto non fosse? La avrebbe portata al supercomputer al primo appuntamento?

I due si avventurarono nella pineta che separava il collegio dal mondo esterno. 

«Non so come mai, ma nessuno si è mai preoccupato del fatto che da qui si possa fuggire.»

«Fuggire?»

Chiese la ragazza.

«Esatto. Il posto speciale si trova fuori da qui, ma non è lontano, vedrai.»

I due camminarono senza parlare per una decina di minuti, fino a quando non giunsero in un piccolo bar. “Da Charles”

«Ecco qui. Servono le migliori paste di tutta la città. E forse anche le più grandi.»

Appena i due si sedettero a un tavolo, vennero raggiunti da una cameriera. Una ragazza piuttosto giovane, ma che sembrava lavorasse lì da tempo. 

«Salve ragazzi, cosa ordinate?»

Lo sguardo di Lucinda si era posato sul ripiano in cui erano esposte le diverse paste. 

«Per me una russa e un cappuccino, grazie.»

«Anche per me.»

«Benissimo, arrivano.»

La giovane cameriera tornò dopo alcuni istanti, servendo entrambi. 

Poi si allontanò. Dalla sua esperienza era chiaro che quel ragazzo ci stesse provando, e non voleva interferire.

«Sai, ho sentito parlare di te.»

Esordì il ragazzo.

«In bene, si intende. So che sei una famosa super coordinatrice. E che recentemente hai vinto la sesta Coppa Adriano consecutiva. Sei tanto bella quanto brava, credimi.»

«Oh, così mi lusinghi.»

La ragazza iniziò a bere il suo cappuccino.

«Lo bevi così… alla crudele?»

«Crudele? »

«Insomma… senza zucchero?»

«Oh, ecco perché era così amaro, mi sembrava strano.»

La ragazza riversò all’interno della tazza una bustina di zucchero, poi mescolò la bevanda per disciognierlo.

«Sai…»

Disse il ragazzo dopo aver bevuto un abbondante sorso della bevanda.

«Qui le gare di lotta non sono popolari come in Giappone. Per quel che ne so lì ogni prefettura ha il suo circuito, o mi sbaglio?»

«No, non ti sbagli, è esattamente così. Ogni prefettura ha il suo circuito di gare, con l’eccezione della Coppa Adriano che, indipendentemente da dove si svolge, ha valore a livello nazionale.»

«Qui invece…»

Il ragazzo si pulì la bocca con un fazzoletto. Si era appena accorto di aver prosciugato il suo cappuccino in due sorsi.

«Ogni città organizza i suoi circuiti di gare, e i due più famosi sono qui a Parigi e giù a Marsiglia. Ed è ironico, perché queste due città sono, per così dire rivali. Anche se vanno di più le performer.»

«Rivali?»

«Esatto. Parigini e marsigliesi non si possono vedere. Pensano che la loro città sia la migliore. E puoi immaginare come finisca ogni volta.»

«Posso immaginare.»

I due stettero in silenzio per qualche istante.

«Dimmi una cosa.»

Chiese la ragazza. 

«Tutto quello che vuoi.»

«Di cosa si occupano le performer? Ne ho sentito parlare e, da quello che ho capito, non sono poi così diverse da noi coordinatrici, ma non ho mai approfondito più di tanto.»

«La prima differenza è che possono essere unicamente ragazze. Contrariamente alle gare di lotta dove possono partecipare indistintamente ragazzi e ragazze.

Altra differenza è che non viene unicamente valutata l’abilità nel combinare le mosse dei propri pokémon o le proprie abilità in lotta. Tutt’altro. Le lotte nei varietà sono vietate. Vengono valutate le abilità delle singole partecipanti in sfide ogni volta diverse, come l’abilità in cucina, la conoscenza delle abilità dei diversi Pokémon e così via. È una fase a turni e a ogni turno passa solo la migliore. Onestamente credo che tu non avresti alcun problema a farlo.

La ragazza sorrise. Xana, invece, si maledì. Stava solo perdendo tempo. Quel ragazzo aveva una parlantina assurda.

«Le ragazze che passano al turno successivo, invece, partecipano all’esibizione libera. È simile al saggio di recitazione delle gare, ma ogni ragazza può usare tutti i Pokémon che vuole e soprattutto partecipa direttamente all’esibizione.»

«Sembra interessante. Dato che ci sei, puoi togliermi una curiosità?»

«Tutto quello che vuoi.»

«Da voi come funziona la lega Pokémon? In Giappone funziona come per le gare. Ogni distretto ha la sua. Da voi?»

«Oh, qui cambia molto da Stato a Stato. Qui in Francia ce ne sono due. Una che ha sede a Parigi e si occupa del nord della Francia, e una a Marsiglia, che si occupa del sud. 

La maggior parte degli altri Stati ne ha una sola a livello nazionale. Tranne alcune eccezioni.»

«Tipo?»

«Spagna e Portogallo condividono la stessa. Ha sede a Madrid. O l’Italia, che ne ha cinque.»

«Cinque?»

«Esatto. Una per il nord che ha sede a Milano, una per il centro che ha sede a Roma, una per il sud che ha sede a Napoli. Una per la Sicilia che ha sede a Palermo e una per la Sardegna che ha sede a Cagliari.»

«Dimmi un po’, ti definisci un allenatore o un coordinatore?

«Entrambi? O forse nessuno dei due. È difficile. Non so ben definirlo. Molti mi dicono che le mie esibizioni sembrano delle lotte e le lotte delle esibizioni.»

«Capisco. Cosa ne dici se dopo ci affrontiamo?»

«Oh, si. Certo, come desideri.»

Il ragazzo si era alzato e diretto al bancone per saldare il conto. Quattro euro spaccati.

Tornato al tavolo, guardò di sfuggita l’ora sul suo telefono. E si rese conto di quanto fosse tardi. Sembrava fosse passato molto meno tempo, anche se avevano trascorso gran parte del tempo semplicemente scambiandosi sguardi.

«Forse è meglio che rientriamo. Potrebbero scoprirci.»

«Va bene.»

I due uscirono dal bar e percorsero a ritroso la stessa strada che li aveva condotti fino a lì.

«Oh, sai, mi sono trovata bene con te. Solo che…»

«Solo che?»

«Mi sei sembrato ingessato.»

Ingessato?”

Xana si rese conto di come la situazione gli stesse sfuggendo. A lui poco importava se quel ragazzo sembrasse ingessato. Per lui la sola cosa importante è che quel ragazzo cantasse. E non lo aveva fatto. In ogni caso aveva approfittato di quel tempo per elaborare un piano alternativo. 

Aveva scoperto che Ash, caro amico di Lucinda, era compagno di stanza di Jeremy, e che avrebbe potuto avere un facile accesso alle sue attrezzature. 

«Tutto bene?»

Odd aveva notato come la ragazza avesse lo sguardo perso nel vuoto, per diverso tempo.

«Oh, si, si. Assolutamente.»

I due erano giunti al collegio e nessuno si era accorto della fuga. Per fortuna, o avrebbero rischiato una severa punizione.

Lucinda si era affrettata a raggiungere la sua stanza. Se Xana voleva attuare il suo piano, doveva precederla e ogni costo. 

Cosa che le riuscì perfettamente. Chiuse la porta a chiave e la lasciò inserita nella toppa, in modo che la porta non potesse essere aperta dall’esterno.

Una decina di minuti dopo, sentì una persona tentare di entrare, agendo continuamente sulla maniglia.

«Fammi entrare!»

Riconobbe immediatamente quella voce. Era la sua compagna di stanza.

«No.»

«Fammi entrare o sarò costretta a chiamare il signor Jim. E gli dirò anche tutto quello che mi hai fatto. Poi vediamo se non mi fai entrare.»

Ash era intimorito. Non aveva mai visto la sua ragazza così arrabbiata. Era così affascinante anche quando era sul punto di compiere un omicidio.

«Mi basta Ash.»

Gli sguardi della coppia si incrociarono, per un breve istante.

E Ash stava già bussando alla porta.

«Apri. Sono Ash!»

Lucinda tolse la chiave dalla serratura e osservò dal buco. Xana non voleva che gli venissero giocati brutti scherzi. E anche se, attingendo alla memoria di quella ragazza, sapeva che Ash era una persona di cui fidarsi, ma non aveva idea di come lo stesso si sarebbe comportato nei casi in cui la sua ragazza fosse coinvolta nella vicenda.

Appena notò che la stessa si era allontanata a sufficienza aprì la porta e fece entrare il ragazzo e il suo inseparabile Pikachu.

Appena il ragazzo entrò, la ragazza si affrettò a richiudere la porta a chiave e a tappare la toppa con del nastro adesivo. Chiuse anche la tapparella e accese la luce. 

Ash, nel frattempo, si era seduto nel letto dell’amica, con Pikachu che si era accomodato sulle sue gambe. 

«Beh, quindi? Come mai non volevi che Serena entrasse qui? Dopotutto non è anche la SUA stanza?»

«Oh, beh, vedi…»

La ragazza si sedette sul letto, accanto a lui.

«Ho avuto un piccolo inconveniente con lei e ne avrei voluto parlare con te. Siamo amici e con te ho molta più confidenza.» 

«Capisco.»

Ash non si era ancora accorto di nulla, ma la ragazza si era pericolosamente avvicinata. Pikachu, avendo fiutato il pericolo, era saltato sul pavimento, e si era preventivamente coperto gli occhi con le lunghe orecchie, secondo il modo di dire occhio non vede, cuore non duole.

Era successo tutto in attimo. 

La ragazza prese il ragazzo per la maglietta e lo tirò verso di sé.

Ash ancora non lo aveva capito, ma sarebbe presto divenuto la pedina di un piano molto più grande di lui.

Quando lo realizzò fu troppo tardi. Le labbra della ragazza erano premute contro le sue. E un denso fumo nero stava passando dalla bocca della ragazza alla sua.

Ash era crollato. Non aveva realizzato quello che era successo, e forse non l'avrebbe mai  fatto. Ora non era più lui ai comandi.

Xana si rese conto di come controllare quel ragazzo fosse molto più facile. Aveva due neuroni in croce e avrebbe eseguito i suoi ordini senza protestare.

Alcuni minuti dopo Lucinda si alzò e sollevò la tapparella, permettendo alla luce naturale di rientrare nella stanza. In seguito spense la luce e rimosse il nastro dalla toppa. Infine aprì la porta.

Ash, ora sotto il controllo di Xana, si alzò e si diresse verso la sua ragazza.

«Come mai ti voleva?»

«Nulla di che. Voleva parlarmi di quello che era successo tra voi due ieri. E chiedermi dei consigli su come far pace»

«E non poteva parlare direttamente con me?»

«Mi ha detto che non se la sentiva. Che voleva parlare prima con me perché ha più confidenza. Prima di dirti cosa mi ha detto vorrei ricordarti che ambasciator non porta pena.»

Ambasciator non porta pena?” 

Non aveva mai sentito il suo Ash parlare in quel modo. Per cui ne dedusse che doveva trattarsi di qualcosa di importante.

«Come vuoi. Dimmi pure.»

«Mi ha raccontato di quello che è successo ieri. Io non ne sapevo nulla. Per cui ti posso solo raccontare la sua versione. E poi di quello che mi ha proposto per finire questa discussione.»

«Vai.»

«Secondo lei…»

Ma che gli è preso?” 

Pensò la ragazza. 

Quante volte deve ancora dire che lo sta dicendo per suo conto?”

«Secondo lei saresti stata te a rubare il diario da cui è partito tutto. So benissimo che tu non ti permetteresti mai di fare una cosa del genere. Ma nemmeno lei.»

«E allora?»

«Non voleva che lo toccassi perché voleva essere lei a restituirlo, facendolo passare per l’ufficio oggetti smarriti. In modo che nessuno scoprisse chi lo aveva portato e che la diretta interessata lo avrebbe potuto riavere senza sapere chi lo avesse restituito. Ecco. E mi ha detto che si sente molto in colpa per quello che ha fatto.»

«E?»

«E mi ha proposto un piccolo accordo di tregua.»

«Tregua?»

«Si è  sentita offesa per il fatto che non hai dormito con lei dopo la litigata. Non sa con chi hai dormito, ma mi ha chiesto se potevi dormire con lei per una settimana. Inizialmente mi ha proposto un mese, ma sono riuscito a tirare fino a una settimana.»

«E perché dovrei accettare? Cosa ci guadagno?»

«Immagino che tu abbia una tua versione di come sono accadute le cose.»

«Esatto. Ho trovato quel diario nel mio armadio. E di sicuro non lo avevo messo io. Non che lo abbia messo lei. Ma non è quello il punto. Volevo restituirlo e basta. E, aprendo la copertina avevo letto che la proprietaria del diario si chiama Aelita. Proprio come la ragazza da cui avevo passato la notte.

Lei mi ha assalito dicendo che non avrei mai dovuto restituirlo.»

«Capisco. E io ti credo. La tua versione mi sembra molto più attendibile, ma c’è un problema.

 Se entrambe raccontate la vostra versione a qualcuno, come al signor Jim, lui, molto probabilmente non saprà a chi credere. Probabilmente vi metterebbe entrambi in punizione.»

«Non ho molta scelta. Prendo la mia roba e mi trasferisco da Aelita. Chiederò al signor Jim di rendere la cosa definitiva. Quella ragazza è una pazza, mi chiedo come possa essere tua amica.»

«Anche quando ci ho parlato mi è sembrata diversa dal solito.»

«Come vuoi. Ma non giustificarla. O resterai solo.»




   
 
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