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Autore: _the_unforgiven_    23/03/2023    0 recensioni

Una breve storia a capitoli, ambientata subito dopo Tapeworm e la notte da leoni di Johnny nel corpo di V.
Qualcosa sulla fiducia e sulle conseguenze dell'amore.

Johnny Silverhand / Fem!V
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, V
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'believe in me as i believe in you'
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closer

family matters


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Dove una volta c’eri tu, è rimasto un buco nel mondo, attorno al quale mi trovo costantemente a girare durante il giorno, e dentro cui cado la notte. Mi manchi da impazzire.

(Edna St. Vincent Millay, Lettere)

 


 

Era l'ora azzurra poco prima dell'aurora.

Quando V uscì in strada l'aria era ancora fresca, la luce tenue; un timido chiarore che faceva impallidire i colori delle insegne al neon.

La cosa più insolita era la quiete.

Non era certo il silenzio sublunare delle sue notti trascorse nel deserto; ma anche quella relativa calma bastava a rendere solenni le facciate sgangherate dei palazzi; trasformava le voci della pubblicità in nenie meditative; trasfigurava in icone i visi disfatti dei tossici e dei joytoy.

All'alba, perfino le strade di Watson avevano qualche cosa di sacro.

Era un momento che V segretamente amava, e lo trovava tanto più dolce quando la sorprendeva al rientro da una nottata faticosa, dopo un lavoro o una notte per strada, quando la stanchezza si scioglieva in qualcosa di più languido e quasi lieve.

Proprio una di quelle mattine si apriva adesso davanti a lei, mentre risaliva lentamente in auto Kennedy Avenue; aveva i finestrini abbassati e un filo di vento le accarezzava le tempie.

Mattine come quelle piacevano anche a Johnny.

Istintivamente, V gettò un'occhiata alla propria destra; ma sul sedile del passeggero non c'era nessuno.

Con un sospiro, richiuse i finestrini e proseguì verso Charter Street.

Dopo quello che era successo a Evelyn, V era tornata spesso a trovare Judy, quasi sempre al mattino presto prima che lei andasse al lavoro.
V arrivava con ciambelle e caffè per la colazione e Judy la accoglieva con un abbraccio ancora caldo di sonno.

Nessuna delle due si era avventurata a dare un contorno preciso alla relazione che stavano costruendo, intessuta di chiacchiere al telefono, pianti segreti e lunghi abbracci.
E sparatorie, certo.

V aveva la sensazione che si fossero adottate a vicenda; due orfane sperdute nella grande città.
Ma non era sicura che questa non fosse in realtà l'eco del giudizio di Johnny.

"Puoi togliere un nomade dalla famiglia, ma non toglierai mai la famiglia da dentro al nomade," le aveva detto una volta.

V gli aveva dato una risposta piccata; ma Johnny aveva scosso la testa, con quel suo piccolo sorriso saccente.

"Guardati un po', V. Avrai anche mollato il tuo clan, ma non hai smesso un secondo di affannarti a costruirtene un altro."

"Scusa tanto se non sono una stronza con la gente che non se lo merita, Johnny. A quanto pare non ho ancora assimilato il tuo esempio."

"Vagabonda senza famiglia ma con tante speranze si fa rocambolescamente strada nella grande città. Sei una specie di eroina di Dickens, V."

A quel punto V aveva chiesto chi diavolo fosse Dickens e Johnny aveva glitchato via con un gemito di disgusto.

Quel mattino, però, Judy le aprì la porta e non appena la vide le posò una mano sulla guancia, mormorando con voce ancora impastata di sonno, "Oh, V; che cosa hai fatto?"

...E forse, pensò V lasciandosi crollare sulla sua spalla, forse Johnny non aveva tutti i torti.
 

///


Poco dopo erano sedute una di fronte all'altra al tavolo della cucina, mentre il piccolo appartamento si riempiva della luce del mattino.

Judy aveva iniziato a cavarle fuori a spizzichi e bocconi il racconto degli ultimi giorni; e anche cercando di rimanere sul vago, V aveva dovuto confessare di avere il ritmo sonno veglia più scombinato di una camionetta piena di Maelstrom.

Era perennemente esausta; le era già capitato più volte di addormentarsi senza volerlo, una volta perfino durante un appostamento.

"Un principio di narcolessia?" ipotizzò Judy masticando pancake. "O forse sono solo colpi di sonno, V. Non sarebbe strano, con la vita che fai."

"Mmh." rispose evasivamente V, guardando nel fondo del proprio caffè. "Non credo."

Judy si limitò a osservarla da sopra la bottiglia di sciroppo d'acero, in attesa.
Ormai si conoscevano.

Infatti, dopo pochi istanti V sospirò e posò la tazza. "Credo di aver fatto casino con i bloccanti."

Lo sguardo di Judy prese istantaneamente una qualità diversa. Appoggiò la forchetta sul piatto con un piccolo clink. "Casino come?"

V affondò il volto fra le mani e si stropicciò gli occhi. "Tipo quando chiudi una porta a chiave..?" offrì a mò di spiegazione. "...e poi perdi la chiave..?"

Anche dopo aver rivelato a Judy la propria peculiare... situazione con Johnny Silverhand, V aveva cercato di mantenere al riguardo una certa riservatezza.

Johnny aveva imparato a lasciarle un barlume di privacy, quando le capitava di passare del tempo con Judy; e a V era sembrato equo proteggere con la stessa discrezione il proprio rapporto con il petulante parassita che abitava nella sua mente.

E che ora mancava da quattro giorni.

"V. Non so che piani avevi per oggi," intervenne Judy prendendole la mano. "Ma prenditi la giornata, per favore. Riposati e poi dedicati a questa faccenda. Lo vedo che è importante, per te."

V sentì l'impulso di abbracciarla. Cara, ricettiva Judy.

"Lo è." annuì. "Misty mi ha dato qualche consiglio. Stanotte proverò di nuovo, e-"

"Non stanotte, V," la interruppe Judy, alzandosi e avvicinandosi a lei. "Non dopo che avrai sistemato gli affari di qualcun altro. Non se e quando."

Judy le posò una mano sulla nuca, per poi appoggiarsi a lei fronte a fronte. "Devi imparare a prenderti cura di te, ogni tanto," bisbigliò. "Me lo prometti?"

V si limitò ad annuire, scacciando un improvviso groppo alla gola.

"...bene." disse Judy stampandole un bacio sul naso.

"...faccio solo un salto al campo da Panam, per una commiss-"

"V!!!"


///


...Nonostante la strigliata di Judy, uscita dall'appartamento V prese la strada che lasciava la città per le Badlands orientali.

Doveva solo fare una consegna al campo degli Aldecaldos; niente di complicato, ma era urgente. Magari avrebbe pranzato lì e avrebbe schiacciato un pisolino nella tenda di Panam, dopo.Forse l'aria del deserto l'avrebbe aiutata a rimettere in ordine il cervello.

Uscì dalla tangenziale e imboccò la polverosa strada sterrata che si perdeva in mezzo ai cactus.

Non riusciva ancora a ricordare cosa, ma era certa di aver sognato, la notte prima. Si era svegliata stringendo convulsamente l'orlo della coperta, con un malessere che le chiudeva il petto e gli occhi gialli di Nibbles puntati addosso come fanali.

Qualsiasi cosa fosse, però, non era bastata a far riapparire Johnny, ed era servita solo ad accrescere il senso di stordimento con cui stava facendo i conti da giorni.

"...Perché devi rendere tutto così difficile," brontolò sottovoce, mentre la macchina ballonzolava sul greto di un fiume in secca.

Non aveva nessuna prova, ma era certa che ci fosse un collegamento fra il suo malessere e la scomparsa di Johnny.
V si chiese se era davvero intrappolato nel suo subconscio.
Si chiese se se ne stesse accorgendo; se la sua psiche aveva un peso, se gli stesse premendo addosso come il fango di una frana.

"Siamo un tantino claustrofobici, hm..?" lo aveva punzecchiato, dopo l'immersione con Judy fra le rovine di Laguna Bend.

L'effetto delle sue parole era risultato un po' smorzato dal fatto di avere ancora metà dell'acqua del lago dentro i polmoni.

"No," aveva replicato Johnny, dandole la schiena. "È che ci hai quasi seppelliti tutti e due sotto una montagna d'acqua tossica."
La sua voce aveva la consueta inflessione annoiata; ma la rigida postura delle spalle testimoniava l'ansia che V gli sentiva irradiare come l'eco di un sonar.

"Mi assicurerò che la mia prossima esperienza premorte si svolga all'aperto."

"Ha, ha, V."

- Un improvviso contraccolpo la svegliò mentre con uno schianto la macchina si scontrava contro un costone di roccia.

Di riflesso V si appiattì contro il sedile, mentre il cuore le batteva all'impazzata nelle orecchie, fin quasi a coprire il grido del clacson rimasto bloccato.

Era ferma.
L'auto era disastrata.

Non sembrava che stesse per esplodere.

Aveva sbattuto.

Si era addormentata al volante.

Ansimando, V riuscì finalmente a far muovere le gambe e si trascinò fuori dall'abitacolo, nel sole allucinato del deserto.

Guardandosi attorno, vide che era quasi arrivata; le prime tende degli Aldecaldos erano ormai a un tiro di sasso.
E un drappello di nomadi stava arrivando di corsa, attratto dal baccano.

"V!" gridò Panam correndole incontro. "Stai bene?!"

"Ah..."
V si prese un momento per controllare il biomonitor, prima di rispondere; ma a parte il picco di adrenalina e un probabile colpo di frusta in arrivo, non sembrava aver subito danni.

"Cos'è successo?!" fece Panam appena l'ebbe a portata; e poi, "Cazzo, l'hai conciata per bene."

Se V era più o meno incolume, infatti, non si poteva dire lo stesso della sua hella; il cofano si era talmente accartocciato nell'impatto che l'auto assomigliava a una delle piccole MaiMai che ronzavano per Japan Town.

"Ho perso il controllo del volante." ammise V, sentendosi bruciare per la vergogna.
Nel frattempo erano arrivati anche gli altri Aldecaldos accorsi sulla scena, e la guardavano con tanto d'occhi.
Un nomade che non sa guidare è come un pesce che non sa nuotare, diceva sua nonna.
Panam le scoccò un'occhiata che esprimeva esattamente la stessa idea, e le prese la faccia fra le mani, esaminandola con aria critica.

"Hai un aspetto di merda, V." diagnosticò infine, lasciandola andare. "Da quant'è che non dormi?"

"Direi approssimativamente da cinque minuti," abbozzò V alzando le spalle; i presenti risero; Panam le assestò un ceffone sulla nuca.

"Giuro che se ci resti secca per un colpo di sonno ti apro il cranio e ci butto una granata," sbuffò, prima di fare il giro intorno alla macchina con le mani piantate sui fianchi.
Fingeva di controllare i danni; ma aveva lo sguardo fisso.

V sorrise, sentendosi scaldare il cuore proprio malgrado. L'aveva fatta preoccupare davvero.
Di colpo si ricordò del motivo della visita e si affrettò ad aprire il baule, per scoprire con sollievo che il cargo era sano e salvo.

"A-ha!" esclamò, alzando trionfalmente un borsone termico. Lo lanciò a Panam, che lo afferrò al volo. "Consegna effettuata e puntuale!"

Panam ebbe un momento di confusione mentre apriva la borsa; appena ebbe guardato dentro alzò gli occhi al cielo. "Non ci si può neanche incazzare, con te!"

Erano farmaci richiesti dal medico del campo.
Panam si buttò il borsone su una spalla e agganciò un braccio a quello di V. "Dai, Balto, muoviti, o ci becchiamo un'insolazione."

Neppure il tempo di arrivare sotto una tenda, però, che Panam si era incazzata di nuovo, e rumorosamente.

"Ma che vuol dire che dormi in piedi da tre giorni!" gridò caricando il borsone da una spalla all'altra. "E ti metti a guidare!"

"Che devo fare, murarmi viva sperando che passi?!" protestò V, scansando per un pelo un altro ceffone.

"Devi DORMIRE, V, accidenti a te!" replicò Panam mentre arrivavano davanti alla sua tenda. Aprì la zip che chiudeva l'ingresso ed entrò, tirandosi dietro V.

"Mi sembra di essere tua madre, cazzo," bofonchiò mettendola a sedere sulla propria branda; recuperò una borraccia da un tavolino e glie la mise sotto il naso. "Bevi," ordinò seccamente, e V si guardò bene dal contraddirla.
Trasse un lungo sorso dalla borraccia - segretamente sollevata che si trattasse solo di acqua - e mentre beveva Panam tornò verso l'ingresso.

"Adesso non fare la bambina e stenditi," la ammonì, con tanto di dito minacciosamente alzato. "E se quando torno non ti trovo addormentata, giuro che le prendi!"

"...Sei sputata identica a mia nonna!" le gridò dietro V, mentre già la tenda si richiudeva in una fresca penombra.

"Vaffanculo, V!" giunse attutita la voce di Panam.


///


Una volta, appena un paio di settimane dopo che V l'aveva adottata, Nibbles era scomparsa.

V aveva aveva scansionato palmo a palmo il dedalo di corridoi di tutto il megaedificio per cercarla, con la pistola in una mano e una scatola di crocchette nell'altra.

"...Sarà già il piatto del giorno in qualche ristorante di Watson."

"...Johnny."

"Nella migliore delle ipotesi."

"Fottiti."

"Come hai fatto a non accorgerti che stava scappando..?"

"E tu perché non mi hai avvisata?!"

"Perché io stavo scappando dal tuo fottuto mal di testa."

"Comodo!"

"No, V, il tuo cervello è un motel da quattro soldi e io sono il coglione con la macchina in panne lì davanti. E' un triste ripiego; una soluzione d'emergenza; ma fidati, non è comodo."

"No, Johnny, se la mia testa è un motel tu sei una cazzo di infestazione di ratti."

"...anche quelli potrebbero aver già spolpato il pollo spennato che chiami gatto."

"La vuoi piantare?!"

"Sono realista."

"Non hai capito, Johnny. Non abbiamo finito finché non la trovo. Se non ci tieni ad assistere puoi andartene a fanculo dove ti pare, ma io non mi occuperò di nient'altro finché non l'avrò riportata a casa."

"Ho capito benissimo, V; ma vorrei farti notare il tuo patologico attaccamento a qualsiasi randagio ti passi davanti."

"Sarà per questo che il karma mi ha appioppato te."

"O te a me. Comunque guarda su. Si è nascosta in quel vecchio condotto di areazione."

"Nibbles..!"

Dopo di allora, la gatta non era più scappata; che questo avesse o meno a che fare con Johnny che montava regolarmente la guardia alla porta, ogni volta che rimaneva aperta.


///


...

"Parla quando sei interpellata, Valerie."

Lei si strinse nelle spalle, serrando i pugni e la mascella; per un momento la attraversò il pensiero che se si fosse compressa abbastanza in se stessa sarebbe potuta diventare inscalfibile e sottile come una canna di fucile, sparire come sabbia in una crepa; avrebbe filato tutti i suoi tredici anni di vita in un cavo d'acciaio e li avrebbe stretti in una matassa grande come un pugno.
Pensò che forse poteva riuscirci, smettendo di respirare.

La polvere fluttuava lentamente in lame di luce dorata, mentre il sole che calava verso l'orizzonte dipingeva lunghe ombre nello spiazzo davanti al caravan di Lorna.

La famiglia, riunita tutto intorno, non fiatava.
Soltanto la madre di Sean singhiozzava sommessamente fra le braccia del figlio più grande, che invece la guardava fisso. Valerie sentiva i suoi occhi conficcati nella carne come chiodi.

Lorna, seduta sui gradini di ingresso del proprio caravan, sembrava soprattutto terribilmente stanca.
Con un pesante sospiro, distolse lo sguardo da lei e tornò a rivolgersi a Shari.

Shari, che le stava accanto ritta come un fuso, senza il minimo turbamento nello sguardo di falco.

"Te l'abbiamo detto, Lorna," disse senza esitazione. "Non ne sappiamo nulla. Deve essere stato un incidente."

Il lamento che sfuggì alla madre di Sean trapassò Valerie da parte a parte.

Si concentrò furiosamente per costringere i polmoni a pietrificarsi, il sangue a seccarsi come sabbia; invece, non le riuscì neppure di reprimere il singhiozzo che le si abbattè sulle costole con un rintocco sordo.

Lorna spostò lentamente lo sguardo da Shari su di lei.

"E' stato un incidente, Valerie..?" 

Shari le lanciò un'occhiata fulminante; cosa che non sfuggì agli occhi infossati di Lorna.
Ma la capofamiglia non disse nulla; rimase invece a guardarla in silenziosa, rassegnata attesa.

Fu a questo punto che V si accorse di essere in un sogno.

In parte perché si era ritrovata a pensare, con incongrua preveggenza, che non c'era da sorprendersi se poche settimane più tardi Lorna aveva abbandonato per sempre il ruolo di capofamiglia, e con esso il clan dei Bakkers.

Ma soprattutto perché aveva scorto, in mezzo alla folla riunita della sua antica famiglia, un certo paio di occhiali da aviatore.

"Be', V. Forse preferivo restare a Pacifica a farmi sparare addosso." commentò Johnny, direttamente dentro la sua mente.

"Questo non è un sogno," gli rispose V allo stesso modo; e per un attimo fu presa da una vertigine, nel sentirsi allo stesso tempo la se stessa del presente e Valerie di tredici anni, in piedi a torcersi le mani davanti a Lorna. "E' un ricordo."

"Lo so," rispose Johnny, dando un calcio ad un sasso.
Era in mezzo alla folla, eppure non lo era. Nessuno lo guardava, nessuno poteva vederlo o sentirlo; e in quel momento, il ristabilirsi di quella consolidata routine le diede un barlume di strano conforto.
"Non è un ricordo che frequenti spesso, però." proseguì Johnny, mentre sedeva su una cassa e si appoggiava con i gomiti alla ginocchia. "Cosa è successo al ragazzino?"

V non potè rispondere, perché proprio in quel momento Valerie si mise a piangere. Tirò su col naso e cominciò a lacrimare in silenzio. "Lorna..." iniziò con voce rotta; ma si interruppe non appena Shari alzò verso di lei una mano con fare perentorio.

"Lei non c'entra," disse, senza che la sua voce perdesse un grammo di fermezza. "Sono stata io a voler andare."

Poi piantò negli occhi di Valerie uno sguardo duro e bruciante come le rocce del deserto. "Quello che è successo a Sean è solo colpa mia."

"Shari!" gridarono all'unisono V e la Valerie di tredici anni, e per un attimo divisero la stessa angoscia, tornando a essere esattamente la stessa cosa.

Ma dentro quella scheggia di passato, V era inconsistente, inconsequenziale come l'engramma di Johnny Silverhand.
Sotto i suoi occhi il ricordo si fermò, congelandosi come in una braindance inceppata.

V sentì che lentamente ma inesorabilmente se ne allontanava, piangendo in silenzio insieme a Valerie di tredici anni. Finché, come una cicala che abbandoni il guscio, non ne scivolò fuori del tutto. 

Appena poté muoversi voltò le spalle e si allontanò a grandi passi dall'accampamento, marciando verso le Badlands su cui stava calando la sera.

Johnny la seguì; in poche falcate delle sue lunghe gambe le era già accanto. Camminarono per qualche momento nella polvere di un'Arizona immaginaria.

"Non era vero," disse bruscamente V ad alta voce, senza alzare lo sguardo da terra. "Non era colpa di Shari."

Johnny non disse nulla; ma V sentiva la sua attenzione circondarla come un campo magnetico, mentre le camminava accanto con le mani in tasca.

"Ci eravamo accampati nei pressi di una città fantasma. Un posto del cazzo, un covo di predoni e raffen shiv; ma era vicino all'acqua. Una tappa obbligata, capirai." V emise un sospiro tremulo. "...Sapevamo di non doverci andare. Ma là era pieno di cianfrusaglie che ci facevano gola. Vecchi olofilm. Fumetti. Cabinati ancora funzionanti. Dio sa che altro. Eravamo bambini, e quello era un cazzo di paese dei balocchi."

Si morse l'interno della guancia per costringere la voce a restare ferma. "Quindi insomma, ci andiamo. Io, Sean e Shari. Eravamo sempre insieme, avevamo la stessa età. Saliamo sulla carretta di Sean e andiamo. Naturalmente ci cacciamo nei guai." V sentì che la voce la tradiva, facendosi sempre più piccola e acuta. "...Ci inseguono. Non so nemmeno chi. La macchina di Sean ci pianta in asso, continuiamo a piedi. E Sean..." V deglutì. In quel momento avrebbe fatto qualsiasi cosa pur di non avere Johnny così concentrato su di sé. Per poter raccontare una storia diversa.

"Sean si becca un proiettile al posto mio."

Silenzio. Il sole nel frattempo era quasi tramontato, il cielo viola si era riempito di stelle.

"...Era lui? Quello del bacio in mezzo al granoturco?"

V scoppiò in una piccola risata lacrimosa. "No. Quella era Shari." rispose, e per un momento si trovò a sorridere. Fu un momento breve, però; poco dopo il sorriso prese una piega amara. "Quel giorno, Shari si prese la colpa per pararmi il culo. Non disse mai che ero andata anche io con loro."

V si strinse nelle spalle, lottando per tirare fuori la voce. "...E neanche io," completò, alla fine.

"Cosa è successo, dopo?"

V scrollò la testa. "Eravamo piccole. Lì per lì, niente. Ma... Shari e la sua famiglia lasciarono il clan, poco tempo dopo. Non ne ho più saputo niente."

V si fermò; tutto intorno, il crepuscolo aveva tinto il deserto di un azzurro cupo. "Non voglio che sia sempre qualcun altro a pagare per le mie cazzate, Johnny."

Sentì l'attenzione di Johnny stringersi impercettibilmente intorno a lei.

"...è per questo che siamo qui, stavolta?" chiese in tono attentamente casuale.

"Nah. Deve essere perché tutti ultimamente mi stanno dando della bambina."

"Hm."

Un leggero schiocco nel silenzio del crepuscolo le annunciò che Johnny si stava accendendo l'ennesima sigaretta. L'accendino dipinse per un attimo il suo volto di luce arancione, riflettendosi nei suoi occhi assorti sulla fiamma.

V serrò i pugni e si schiarì la voce. "Dico sul serio, Johnny. Risolverò questo casino. Prometto che-"

"Vuoi vedere una cosa fica?" chiese lui di punto in bianco.

V lasciò cadere le braccia lungo i fianchi. Johnny non la stava neppure guardando, il viso rivolto al cielo ormai buio, la brace della sigaretta una stella fra le altre.

"Chiudi gli occhi," le disse. E lei come una scema obbedì senza pensarci.

"Dammi la mano."

Qualcosa guizzò dentro lo stomaco di V, come se avesse appena mancato un gradino.

La sensazione dovette essere abbastanza forte da riverberare su Johnny, perché rise mentre le afferrava la mano; "Dai, cretina." ridacchiò; e un attimo dopo erano altrove.

 



 

 

 

Note

1) Lorna è stata una delle ultime leader del clan dei Bakkers prima che questo si sfasciasse. Non sono troppo sicura della cronologia, però. Prendetevi questa licenza poetica con me :)

2) Mi sono resa conto che V scritta da me tende a essere alquanto più emotiva di V in game. 

 

 

   
 
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