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Autore: _the_unforgiven_    26/03/2023    0 recensioni

Una breve storia a capitoli, ambientata subito dopo Tapeworm e la notte da leoni di Johnny nel corpo di V.
Qualcosa sulla fiducia e sulle conseguenze dell'amore.

Johnny Silverhand / Fem!V
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, V
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'believe in me as i believe in you'
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closer

stagediver


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E forse non è vero amore se dico che tu mi sei la cosa più cara; amore è che tu sei per me il coltello col quale frugo dentro me stesso.

(Franz Kafka, Lettere a Milena)

 


 

V incespicò avanti, aprendo gli occhi di riflesso per non cadere.

Tutto intorno la notte si era animata di una miriade di voci, luci e di quell'elettrica energia che si accendeva soltanto -

"...Siamo a un concerto!?" gridò per sovrastare l'improvviso frastuono, mentre Johnny la trascinava in mezzo alla calca.
Lui si limitò a lanciarle un sorriso volpino prima di cominciare a fendere la folla.

Erano ancora da qualche parte nel deserto, ma adesso si trovavano nel bel mezzo di un festival, in una notte estiva piena di alcol da due soldi, odore di fumo e sudore e della febbrile eccitazione che può nascere solo mischiando sangue ventenne e musica a tutto volume.

"Come hai fatto?!" gridò V mentre circumnavigavano il pogo ai piedi del palco.

"Passa tanto tempo quanto me qui dentro, e un paio di cose le impari," le urlò Johnny in un orecchio. "Diamoci una mossa, il gruppo spalla ha quasi finito!"

C'erano così tante persone che era come passare attraverso un muro di schiene sudate e bicchieri di plastica; ma Johnny si faceva strada come un pesce nell'acqua, incuneandosi fra la folla con la spalla cromata e tenendo la mano di V stretta nella propria.

Era la prima volta che la prendeva per mano.

Pensandoci, V sentì nascere sulle labbra uno stupido sorriso; restituì la stretta, e non si domandò a chi appartenesse il calore che le sbocciò in petto.

Nel frattempo erano arrivati ai margini della platea, dove una transenna traballante e un roadie a braccia conserte separavano il pubblico dal backstage. Johnny la lasciò andare per scavalcare.
"Era ora." si limitò a brontolare il roadie senza battere ciglio.

V esitò un istante, posando le mani sul metallo della transenna; ma Johnny, che si era fermato ad aspettarla dall'altro lato, le rivolse un cenno impaziente con la testa.
"Vámonos," fece, e V scavalcò a propria volta.
Il roadie continuò a sorvegliare la platea senza degnarla di uno sguardo.

"Non ti daranno fastidio, dai, muovi il culo," la incitò Johnny, infilandosi dietro le quinte per salire le scale che portavano al palco.

C'erano altre persone nella penombra, che parvero in egual misura sollevate e incazzate nel vederlo spuntare, ma che non reagirono in alcun modo alla presenza di V.

"Anche questo è un ricordo?"

"Più una specie di sogno lucido," rispose Johnny, che un attimo dopo usciva dalle quinte e raggiungeva a grandi passi il resto del gruppo sul palcoscenico.

"SANTA CRUZ!" tuonò, imbracciando la chitarra, "NOI SIAMO I SAMURAI E FACCIAMO ROCK'N ROLL!"

E come fossero per lei V sentì esplodere il boato del pubblico, l'anticipazione nel rintocco delle bacchette, l'occhiata esasperata di Kerry; e sogghignò all'unisono con Johnny quando attaccarono impeccabilmente a tempo, nonostante tutto.

Da lì in avanti fu una serratissima cavalcata di un pezzo dopo l'altro: quasi tutte canzoni del repertorio d'esordio della band, veloci, grezze e sferraglianti come una moto in derapata sull'asfalto.

Nascosta dalle quinte, V era così vicina da sentire la musica ruggirle dentro: i colpi della batteria dentro le ossa, l'incendio delle chitarre sotto la pelle e il giro del basso come una corda legata in vita che tirava, tirava, non la lasciava stare ferma.

I Samurai stavano dando tutto e avevano incendiato il pubblico sotto il palco.

C'era qualcosa di assoluto, irrefrenabile e glorioso nelle performance dal vivo.

Qualcosa di primitivo e totale, che nessuna simulazione aveva ancora potuto imitare, che nessun denaro poteva ingabbiare e che divampava ovunque un essere umano tirasse fuori tutto quello che aveva per darlo in pasto ad altri esseri umani.

Forse erano pensieri di Johnny; ma lì, nel cerchio magico dell'esibizione, era impossibile considerarle soltanto idee sue.

"Sembra che in fin dei conti riuscirò a guardare un tuo concerto."

"Solo i vecchi e i poser guardano i concerti, V." rispose Johnny, con un lampo divertito negli occhi. "Vai là sotto!"

Ma V si era improvvisamente immobilizzata come una lepre davanti ai fari.

Trovarsi addosso lo sguardo di Johnny, mentre urlava a piena gola dentro il microfono, il corpo inarcato in un'estensione della chitarra, i capelli neri incollati a ciocche dal sudore, dava al suo sangue una pulsazione sorda che sovrastava anche il vibrare della musica.

E Johnny dovette sentirla, dannazione, perché V si sentì lambire da una scarica di euforia, l'eccitazione del Narciso appagato; e anche da qualcosa di più scuro e profondo, che scivolò come un seme nel suo petto e vi piantò radici.

Improvvisamente, V si sentì esposta come nei primi giorni in cui lo aveva avuto dentro di sé, pericoloso come un cavo elettrico scoperto; il ricordo cortocircuitò con il presente e per un attimo la lasciò senza fiato, con il sangue al volto e il battito accelerato, come se -

"Allora, vieni o no?!" il richiamo di Johnny la investì strappandola alla sua fantasticheria; e V fece appena in tempo a vederlo mentre dal palco si lanciava di schiena sulla folla, senza lasciare la chitarra e senza smettere di fissarla sogghignando, mentre si lasciava trasportare su un mare di mani sollevate.

...V ci pensò solo un istante.
(Quando ne avrebbe più avuto l'occasione?)

Corse fuori da dietro le quinte e si lanciò a propria volta.

Forse perché era un'esperienza ricalcata su quella di Johnny, forse perché era anche il suo sogno, ma subito cento mani si alzarono a sorreggerla.

"Non male per una principiante," risuonò nella sua testa. E poi, da più lontano: "Divertiti, ragazzina."

Da lì, per un po' il senso del tempo si sfaldò.

V si lasciò trascinare giù tra la folla e ballò come non faceva da quando era un'adolescente.

Ad occhi chiusi, senza pensare a niente, travolta dalla musica; ballò coperta di sudore e rimbalzando a spallate contro il pogo; ballò saltando come una pazza, con i polmoni che protestavano e una sete tremenda, ballò sul limite dell'equilibrio finché non fu sul punto di cadere - e in quel momento, prima che potesse finire a terra, fu una mano metallica ad afferrare la sua.

"Ehi, V," la salutò, aiutandola a rialzarsi.

"Ehi, Johnny." ricambiò lei.

Era sempre stato così alto?

Per guardarlo, V doveva guardare in su, dove i suoi occhi ridevano brillando fra le ciocche nere dei capelli.
Un fiotto di calore traboccò dal petto di V.

Fece qualche passo indietro senza lasciare la sua mano; e chissà come ora la folla non era più un ostacolo, e V lo trascinava con sé senza distogliere lo sguardo dal suo viso, trovava come per incanto una parete a cui appoggiarsi e su cui Johnny puntellava le mani, proteggendo entrambi dalla gente intorno, mentre anche la musica pian piano arretrava, si faceva sottofondo.

"Divertita?"

"Mh-mh."

"Stanca?"

"Un po'."

V si schiarì la voce, cercando qualcosa di brillante da dire, una cosa qualsiasi per continuare a farlo ridere.

Gli sorrise alzando un sopracciglio. "Per fortuna ci sei tu, a fare l'input protettivo."

Lo aveva detto come uno scherzo; ma anche così, l'audacia di quelle parole le impresse un'accelerazione al battito del cuore.

Johnny scosse la testa con un mezzo sorriso. "Sappiamo entrambi che non hai bisogno di protezione, V."

"Già," replicò lei, con una breve risata senza fiato; e poi, senza sapere davvero da dove le uscisse: "...E poi non sono il tuo tipo."

Doveva essere una sciocchezza, solo un'altra battuta stupida; ma fu rovinata da un tremito un po' troppo sincero della voce.
V abbassò lo sguardo.

Subito la mano di Johnny fu sotto il suo mento, sollevandole il viso per permettergli di guardarla di nuovo negli occhi.
Per un lungo, insopportabile istante la fissò con qualcosa di non detto stretto fra le labbra, a insinuarsi come una scheggia nel silenzio in mezzo a loro.

V era sul punto di cedere, di dire qualcosa per rompere la tensione e lasciare che il momento si dissipasse; ma fu Johnny ad arrendersi per primo.

Chinò la testa con un pesante sospiro.

V poteva sentire l'odore di sigaretta mescolarsi a quello della sua pelle.
Le sarebbe bastato alzarsi in punta di piedi per sfiorare le sue labbra.
Forse non ne avrebbe mai più avuto l'occasione.

"Ho bisogno di sapere che ti stai impegnando per chiudere questa storia, V."

Gli occhi di V scattarono verso l'alto, dove il cielo del deserto brillava di una quantità irragionevole di stelle. Si morse l'interno della guancia senza dire nulla.

"...V."

"Sto facendo le cose a modo mio."

"No. Stai ignorando le cose a modo tuo."

"Smettila di fare quello responsabile, Silverhand, non ti si addice."

"V -"

"Quello che mi stai chiedendo," lo interruppe brutalmente V, e nel guardarlo sentì spuntare lacrime di rabbia, "è di lasciarti indietro."

La pena incisa sul volto di Johnny era uno spettacolo così sconosciuto che le fece male.

"...V." disse lentamente. "Lo abbiamo sempre saputo. Non è questione di se; ma di quando."

"Non voglio."

"V."

"Non voglio, Johnny," ripeté lei, detestando il suono della propria voce, il modo in cui il viso di lui si contrasse in uno spasmo doloroso.

Avrebbe voluto colpirlo, avrebbe voluto battere la testa contro il muro, invece V si aggrappò alla sua maglia e lo attirò così vicino da nascondere il viso nel suo collo.

"Per favore," bisbigliò, senza sapere chi o che cosa stesse supplicando.
Era così caldo.

"Per favore."

"V." ripeté Johnny; la sua voce era una nuvola gonfia di pioggia.
Inclinò il viso fino a sfiorarle la tempia, esitò lungo l'attaccatura dei suoi capelli. V poteva sentire sulla pelle il calore del suo respiro. "...Sappiamo già come andrà a finire."

"Non mi importa." replicò lei. Sollevò le mani, tuffò le dita fra le ciocche nere e sentì il brivido che percorse Johnny trasmettersi da pelle a pelle.

Johnny premette la fronte contro la sua, le ciglia che quasi si sfioravano. "Importa a me," sussurrò, le labbra sulla sua guancia. "V..." e la sua voce era lutto e preghiera, "Ti farò del male."

V si insinuò a bisbigliargli all'orecchio. "Lo voglio."

Di colpo le braccia di Johnny la strinsero in un abbraccio feroce, e V si risvegliò sola, nel mezzo di un violento attacco di malfunzionamento del relic.
 

///


...Era difficile, adesso, dire quando fosse cominciato.

Un giorno litigavano ferocemente, lanciandosi insulti da un lato all'altro della strada.

Il giorno successivo, V scampava per un pelo a una sparatoria, e prima ancora di alzarsi da terra si voltava per cercarlo.

Nel momento in cui se ne era resa conto, non avrebbe saputo dire se a bruciarle di più era l'accorgersi di averlo cercato, o non averlo trovato alle proprie spalle.

Ricordava perfettamente la prima volta in cui, riversa in un vicolo dopo un sonoro KO, aveva visto due occhi neri brillare oltre le lenti degli occhiali.

"Se prima non avessi creduto al karma, V, ci crederei adesso." aveva commentato il suo personale spettro dei Natali passati, accendendosi una sigaretta. "Devo solo capire se ne sto scontando uno pessimo, o se me ne sto creando uno favoloso."

"Immagino che per avere la conferma, Johnny," aveva gracidato V, scollando faticosamente la faccia dall'asfalto, "dovrai aspettare la prossima vita."

"Vedi di non accelerarmi troppo la scoperta."

"Non prometto niente."

///

La mattina del quinto giorno, V entrò nel negozio di Misty quasi da sonnambula, scostando la tenda di perline con una mano e sollevando l'altra per coprire un lungo sbadiglio.

"...Hey, Misty."

"...oh, V."

La nota accorata nella voce dell'amica fu seguita da un lungo abbraccio a cui V si abbandonò senza opporre resistenza.

"Senti qua," mormorò Misty premendole le dita fra le scapole. "Rigida come una tavola. Dovresti fare un po' di yoga, V."

La prese in punta di braccio e la misurò con una lunga occhiata. "...ancora non è tornato, vero?"

V sbuffò una risata malferma, alzando lo sguardo verso il soffitto.
"Perché lo dici come se fossi stata abbandonata sull'altare?"

"Parole tue, non mie." rispose Misty alzando le mani in un gesto difensivo; poi la spinse sulla sedia davanti al banco del negozio.

"Qualche indizio dai tuoi sogni?" domandò, iniziando a massaggiarle energicamente le spalle.

"Mmmh," fece V, chiudendo gli occhi e rilassandosi impercettibilmente. "Qualche frammento. Non riesco mai a ricordare davvero," ammise. "Ma lui c'è. Ne sono sicura."

"Bene," commentò Misty, mentre con i pollici si accaniva lungo la sua colonna vertebrale. "E' già qualcosa. Quando lo hai sognato?"

V sentì un moto di calore salirle lungo il collo; fu lieta di trovarsi di spalle. "Non saprei," rispose. "Credo ogni volta che ho dormito, in verità."

"Mmh-mh," fece Misty con interesse.

"Magari per questo ho sempre sonno." scherzò V, cercando di riportare il discorso su un terreno sicuro. "Non ho più pace!"

"...mmmh." replicò Misty in tono dubbioso. "Continui ad addormentarti spesso?"

"Solo ogni tanto," mentì V, sperando che Misty non cogliesse il modo in cui si era incurvata leggermente su se stessa; la verità era che ormai faticava a tenere gli occhi aperti.
Per non rischiare, era venuta a piedi dal suo appartamento.

"...Forse abbiamo discusso ancora." aggiunse dopo una pausa di silenzio. "O almeno, qualche volta mi sono svegliata sentendomi come se avessi appena finito di urlare."

"Non mi sorprende. Non credo gli piacerà granché stare rinchiuso, no?"

V si morse il labbro.
"Non volevo che succedesse questo."

"Lo so, V," disse Misty con voce confortante, posandole le mani sulle spalle. "Non credo che tu lo stia tenendo prigioniero, se è quello che stai pensando." Tacque per un istante. "Almeno, non volontariamente."

V si voltò a lanciarle un'occhiata da sopra la propria spalla, le sopracciglia aggrottate. "Che cosa intendi?"

Misty sospirò e andò a sedersi al proprio posto dietro al banco.
"All'inizio avevo pensato che si trattasse di una condizione temporanea," rispose, mentre si chinava a frugare in un cassetto. "Avevo supposto che prima o poi il legame fra le vostre anime lo avrebbe riportato in superficie."

V inspirò profondamente, sforzandosi di rimanere impassibile alla menzione del legame fra le loro anime.

Misty trasse dal cassetto il fedele mazzo di tarocchi e iniziò a mescolarli. "Invece, è come se fossi tu a farti trascinare sempre di più dentro i tuoi sogni."

"...e perché sta succedendo..?" chiese V in un soffio.

Misty la guardò tristemente di sotto in su, mentre disponeva le carte sul banco. "Non chiedermelo come se avessi tutte le risposte, V." sospirò, mentre con un cenno la invitava a tagliare il mazzo. "Se fossi così brava a indovinare tutto, avremmo evitato tante cose."

"Scusami."

Misty scrollò la testa con un piccolo sorriso malinconico. "Non preoccuparti," disse, voltando la prima carta.

Era il sei di spade. Misty rimase a osservarla per qualche momento, come prendendo tempo prima di parlare.

"Penso che sia il relic a impedire che le vostre personalità rimangano a lungo separate. Il processo di riscrittura del biochip è inarrestabile. Però, V," mormorò alzando gli occhi su di lei "...forse stai anche... fuggendo da qualcosa?"

V tuffò immediatamente lo sguardo verso il basso. "Non so di che parli."

Misty non insisté; ma era evidente che aveva la propria idea a riguardo. Voltò la carta seguente e V riconobbe il matto, rovesciato così da apparire rivolto verso di lei.

"Questa esitazione non è da te, V," disse Misty, con un colpetto dell'unghia sopra la carta. "Che cosa ti sta trattenendo?"

V si sentì invadere da un'ondata di malessere e si strinse nelle spalle, fissando le carte con diffidenza. "Niente," disse.

Misty sospirò; voltò l'ultima carta, ma la tenne per sé. Rimase a guardarla assorta per qualche momento.

"A volte vorremmo fermare il tempo," disse poi, quasi fra sé. "Bloccare la giostra e scendere giù, perché in fondo al binario vediamo avvicinarsi la discesa e all'improvviso abbiamo paura." Rivolse nuovamente un'occhiata a V, sorridendo tristemente.

V si chiuse nelle spalle e non disse nulla. Il sonno si stava trasformando velocemente in mal di testa; desiderava soltanto raggomitolarsi e dormire.

"V. Posso solo immaginare cosa voglia dire, imparare a conoscere qualcuno dal di dentro," disse piano Misty. "Fa parte di te; è normale che tu lo senta tuo da proteggere e difendere." Tese le mani a prendere le sue. "È come se fosse insieme il tuo bambino e il tuo amante: si tratta di archetipi potenti, V."

V arrossì violentemente. "Misty..!" protestò facendo per ritrarsi; ma l'amica la trattenne, guardandola dritto negli occhi.
"La tua strada è davanti a te, V." disse. "Ma devi smettere di fuggire da ciò che non può essere evitato. Solo se accogli il tuo destino gli permetterai di restituirti l'abbraccio."

V annuì rigidamente.
Voleva bene a Misty; ma in quel momento dovette fare appello a tutte le proprie forze per non urlare.

Si morse l'interno della guancia.

Aveva bisogno di stare sola.

"Grazie, Misty." disse alzandosi faticosamente in piedi.

Aveva bisogno di stendersi.

"Ci penserò," mentì, mentre già si dirigeva verso l'uscita.

"Ok," replicò piano Misty alle sue spalle. "Abbi cura di te, V."



Note

1) Credo sia abbastanza verosimile che Johnny sia un fan dei Motörhead. Il logo dei Samurai sembra una citazione diretta, e il mondo ha conosciuto pochi rocker veraci come Lemmy Kilmister.
"We are Motörhead and we play rock'n roll" era il modo in cui apriva tutti i concerti.

 

   
 
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