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Autore: Bibliotecaria    01/04/2023    0 recensioni
In un mondo circondato da gas velenosi che impediscono la vita, c’è una landa risparmiata, in cui vivono diciassette razze sovrannaturali. Ma non vi è armonia, né una reale giustizia. È un mondo profondamente ingiusto e malgrado gli innumerevoli tentativi per migliorarlo a troppe persone tale situazione fa comodo perché qualcosa muti effettivamente.
Il 22 novembre 2022 della terza Era sarebbe stato un giorno privo di ogni rilevanza se non fosse stato il primo piccolo passo verso gli eventi storici più sconvolgenti del secolo e alla nascita di una delle figure chiavi per questo. Tuttavia nessuno si attenderebbe che una ragazzina irriverente, in cui l’amore e l’odio convivono, incapace di controllare la prorpia rabbia possa essere mai importante.
Tuttavia, prima di diventare quel che oggi è, ci sono degli errori fondamentali da compire, dei nuovi compagni di viaggio da conoscere, molte realtà da svelare, eventi Storici a cui assistere e conoscere il vero gusto del dolore e del odio. Poiché questa è la storia della vita di Diana Ribelle Dalla Fonte, se eroe nazionale o pericolosa ed instabile criminale sta’ a voi scegliere.
Genere: Angst, Azione, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
Capitoli:
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4. Il Re del gregge e la collina di papaveri
 
 
 
 
 
Luca Deserto, 10 maggio 2047 III Era
 
 
 
 
 
I primi due giorni di servizio li passammo a fare gruppo, se così si può definire spostando casse immense da una zona all’altra della base e a tentare di riparare alcune aree esterne del forte per renderle più agibili, poi fummo chiamati per partecipare al nostro primo turno al fronte.
 
 
Mai come allora fui grato che i Ribelli avessero giubbotti antiproiettile, degli infermieri di campo ed elmetti spessi. Quelli in dotazione alla mia squadra erano nuovi di zecca, i veterani avevano tutta l’attrezzatura con almeno un ricordino delle precedenti battaglie.
Dennis, malgrado la divisa da combattimento, pareva mingherlino in confronto alla maggior parte dei soldati ma quando rizzò la schiena per parlare tutti noi percepimmo che trai veterani nessuno osava mettere in discussione la sua autorità.
“Ascoltatemi!” Il suo tono era diverso in quel momento, non era quella vocina dolce che aveva usato con noi i giorni precedenti in cui alternava grazie e prego con una frequenza quasi stucchevole. Quello che stava usando adesso era il tono di un capo e questi erano degli ordini.
 
“Il nemico sta cercando di aprirsi un varco tra le nostre linee per riuscire a raggiungere il Ferir e conquistarlo! È nostro compito proteggere i nostri confini ed impedire che avanzino. I veterani lo sanno, la guerra di trincea è per la maggior parte del tempo attesa e scavare fossi, ma quando attaccheranno e state certi che ci colpiranno con tutta la forza di cui dispongono, dovrete lottare con tutto quello che avete per difendere la postazione. E ora fuori da qui e muovete il culo!”
Decretò Dennis con una autorità degna di un comandante, ma io continuavo a vederlo come un bambino, eppure c’era una serietà nei suoi occhi dorati quando fece cenno di aprire le porte del camion che ci portava a non azzardarci a criticare il suo operato.
 
 
Attraversammo le trincee fino a raggiungere la prima linea dove avremmo dato il cambio ai nostri compagni.
Ad attenderci ci furono le loro facce infossate e stanche dalle interminabili ore di veglia e attesa.
Noi soldati e capisquadra ci dirigemmo alle nostre postazioni senza emettere un fiato ma Dennis e un altro sottoufficiale, suo pari grado probabilmente, si misero da parte ed iniziarono a parlare fittamente tra loro. Incuriosito mi avvicinai a loro fingendo di stare controllando le linee nemiche adoperando una torretta di osservazione, che altro non era che una struttura fatta di rami secchi aggrovigliati tra loro su di una zolla di terra più elevata pensata per riuscire a sopraelevarsi al livello delle trincee e riuscire a guardare le linee nemiche senza essere visti e fucilati dai cecchini.
Di norma, guarda caso, ci sarebbero dovuti stare proprio i cecchini ma nessuno ci avrebbe fatto troppo caso se vi restavo solo qualche minuto. Ero solo un soldato che controllava lo stato delle linee nemiche, nessuno avrebbe sospettato che stavo tendendo l’orecchio verso la conversazione lì accanto.
 
 
“In che senso non stanno attaccando?” Domandò Dennis seriamente.
“Nel senso che non hanno attaccato questa postazione nell’ultima settimana, abbiamo deciso di fare rapporto, a breve arriveranno gli ordini dall’alto.” Disse il sottoufficiale sconosciuto, sentii la voce di Dennis incrinarsi con un certo fastidio.
“E non avete pensato che avreste potuto informare prima gli ufficiali?” Domandò cercando di mantenere la calma, era la prima volta che sentivo Dennis parlare in questo modo.
“Abbiamo seguito la procedura, e comunque continuavano a bombardarci quotidianamente per questo non ci abbiamo dato troppo peso fino ad ora. Non vi è nulla di insolito.”
 
Sentii Dennis compiere un profondo respiro per mantenere la calma anche se non comprendevo a cosa fosse dovuta la sua irritazione. I due si scambiarono un altro paio di battute con un tono di voce troppo basso perché li potessi udire e non osai distogliere lo sguardo dall’orizzonte: se l’avessi fatto avrebbero compreso che li stavo origliando.
Poi Dennis smise di tenere il tono di voce pacato. “In ricognizione? Scherzi? L’ultima volta abbiamo perso sei uomini!” A quelle parole nessuno si sarebbe stupito se mi fossi girato, lo avevano fatto tutti.
Una staffetta era appena arrivata, era un ragazzino di appena vent’anni al pari di Dennis ma affianco a lui sembrava un bambino appena uscito da scuola. “Q-questi sono gli ordini del Capitano Judizio.” Disse il ragazzino quasi balbettando.
Dennis compì un profondo respiro. “E sia. Manderò una squadra di quattro persone con il favore delle tenebre.” La staffetta accennò di aver compreso e scappò via assieme al altro sottoufficiale. E, come furono fuori dalla sua portata di orecchio, Dennis fece un commento a mezze labbra. “Che l’Oblio ti possa inghiottire. Lurido vigliacco.”
Fu allora che compresi: quella unità aveva deliberatamente ignorato un chiaro segnale allarmante come l’assenza di scontri fino al momento in cui sarebbe spettato a noi il turno in prima linea.
“Certo che peggio di così…” Borbottai a mezza voce.
 
 
Dovevo tagliarmela la mia linguaccia iellata.
Guarda un po’ le coincidenze toccò a me, Tony, Atlas e una veterana folletta andare in ricognizione nella foresta. Con mia grande sorpresa la veterana si era offerta volontaria. “Ho già fatto delle ricognizioni nella foresta, so come muovermi oramai.” Aveva dichiarato la giovane donna, Dennis aveva accettato ma aveva aggiunto un commento nervoso. “Vedi di non farti ammazzare Selina.” La donna gli aveva fatto un mezzo sorriso e poi era tornata alle sue mansioni e a preparare lo zaino per la ricognizione.
 
Con il favore delle tenebre io e il resto della squadra di ricognizione uscimmo dalle trincee. E, anche se eravamo in un punto lontano dal fronte, restammo bassi e cauti per tutti e sei i chilometri che ci dividevamo dal bosco. Il terreno di guerra era freddo e fangoso con ancora le cicatrici di alberi mozzati che si incastravano trai nostri piedi come tombe oramai abbandonate. Non c’era un filo d’erba o un singolo fiore, solo terreno umido dalle recenti piogge. Non c’erano punti in cui più o meno vi fosse un passaggio, non c’era un dolce ingresso nel mondo selvaggio, c’era solo un confine brutale che segnava fino a dove gli eserciti avevano ritenuto opportuno disboscare per avere una migliore visuale del territorio circostante.
Bastò un passo perché ci ritrovassimo nel cuore pulsante di una foresta millenaria e ricca di vita. Sembrava di essere finiti in un’altra dimensione e la guerra pareva lontana anni luce, in quel luogo dove tutto è immobile ma tutto cambia.
 
Selina non perse tempo a contemplare le fronde né ci provò ad attendere che i suoi occhi si adattassero alla scarsa luce della luna oramai piena per tre quarti. “Muoviamoci.” Si limitò a dire saltellando da una radice all’altra con una destrezza sorprendente e non accese la torcia fino a quando non fu sicura di essere abbastanza lontana dalle trincee e comunque la mise alla luminosità minima, ovvero quella appena sufficiente per permetterle di trovare il sentiero.
Vorrei poter dire che mi sorpresi quando mi trovai davanti una striscia di terra di forse cinque centimetri vagamente battuta a causa della continua erosione causata dal camminare costante di animali, ma in infanzia ne avevo attraversati parecchi di sentieri simili, solo che dalle mie parti l’erba era meno verde e gli alberi tendevano ad essere più radi.
Selina ci spiegò che avremmo seguito questo sentiero fino a quando non saremmo saliti abbastanza in alto da poter osservare le trincee nemiche e, se il cielo fosse stato limpido, forse avremmo visto anche il Luna, almeno parzialmente. Quando le chiesi se ci fossero altri pericoli oltre ai soldati nemici Selina ci rassicurò sul fatto che le Aracnee non erano cacciatori molto attivi e che in questa zona della foresta c’erano praticamente solo quelle bestiacce enormi di veramente pericoloso. Sarebbe stato consolante se non avessimo dovuto attraversare la foresta in piena notta senza poter adoperare la luce e i visori notturni non erano abbastanza efficaci per poter identificare le ragnatele di quelle bestiacce. Selina però ci volle rassicurare sul fatto che le Aracnee fino ad ora non si erano mai incrociate con questo sentiero. Le chiesi se sapessimo se anche l’esercito nemico lo conosceva. La risposta era che non ne era sicura, la situazione si faceva sempre meno rosea, soprattutto considerando la situazione in cui ci trovavamo.
 
 
 
Camminare nel cuore della foresta senza neanche una luce artificiale in mano è quanto meno angosciante. Ogni singolo passo è un salto nel buio in cui non si è mai certi di dove si sta andando a mettere i piedi, in un certo senso sembra di stare camminando in mezzo a dei coltelli bendati e ogni radice può essere motivo di uno scivolone nel burrone lì accanto.
Nell’oscurità poi ogni suono sembra sia rivolto verso di te e che vi sia un qualche predatore pronto a cacciarti, il silenzio non deve neanche essere imposto perché il tuo cuore pompa troppo velocemente per permetterti di parlare e tutto quello che ti concedi di produrre è qualche respiro pesante e il suono delle tue scarpe sul terreno.
Ogni minuto ha la durata di un’ora e ogni ora pare un giorno intero.
 
In quell’oscurità cercai di rassicurarmi guardando le stelle ma le fronde degli alberi sono troppo fitte per permetterti di comprendere dove stai andando.
Poi iniziarono i bombardamenti notturni. Per noi erano come delle onde d’urto: echi lontani che facevano fremere la terra e, in quei momenti, anche la natura, che sembrava così viva fino ad un secondo fa, si bloccava, persino le cicale si fermavano. E anche noi ci fermavamo terrorizzati all’idea che la prossima sarebbe arrivata a noi, sebbene avessimo la coscienza che non sarebbe stato possibile, così ci obbligammo procedere silenziosi.
 
Eravamo estranei in una terra non nostra, nemici nel cuore del bosco, con nostro unico alleato le lucciole che, con la loro fredda e calda luce, ci illuminarono il cammino fino all’alba.
 
Mi accorsi che stava sorgendo il sole solo quando intravidi una vaga luce rossa tra gli alberi e una tenue nebbiolina che andava a formarsi alle nostre caviglie, finalmente la temperatura iniziò ad alzarsi e tornammo a vedere qualcosa. In quelle sei ore di cammino ci eravamo addentrati nelle linee nemiche e ora eravamo da qualche parte a Sud del territorio del Governo.
 
Selina si alzò in volo e osservò la nostra effettiva posizione. “Siamo abbastanza lontani, direi di camminare per almeno un altro paio d’ore poi dovremmo essere al sicuro. Ci riposeremo per tre ore e poi inizieremo a scalare la montagna.” A quella notizia trassi un respiro di sollievo, non tanto per le mie gambe o i piedi doloranti. Quanto per il fatto che fino ad ora era andato tutto discretamente bene, il ché, forse, era ancora più preoccupante: dovevamo esserci addentrati di un bel po’ nelle linee del Governo, comprendevo che eravamo troppo lontani per costituire una minaccia ma comunque ci sarebbero dovute essere delle ronde, soprattutto considerando che il Luna non doveva essere troppo lontano da qui.
Decisi comunque di rimandare le mie preoccupazioni di tre ore più avanti: crollai addormentato come appoggia il capo a terra.
Fu Selina a svegliarmi con un calcetto e compresi che lei non aveva dormito, forse aveva sonnecchiato ma la sua faccia parlava chiaramente: non aveva chiuso occhio eppure stava ancora discretamente bene. Capii solo più tardi che come si era offerta volontaria aveva trovato un angolo tranquillo in cui dormire per le ore successive dato che sapeva che non avrebbe potuto chiudere occhio per tutta la notte e ben oltre.
 
 
 
Come riprendemmo il cammino sentii che Selina era più tranquilla, evidentemente sapeva che raramente il Governo mandava le sue ronde su per la montagna e ne capivo la ragione: era un terreno impervio e faticoso da scalare, in oltre gli alberi lì erano troppo grossi e intrecciati tra loro per riuscire a tagliarli in tempi decenti senza sfinire i soldati. Anche se strategicamente sarebbe stato un buon punto per dominare il territorio tra il Ferir e il Luna nessuno lo aveva mai fatto in più di ottomila anni di Storia per la paura delle Aracnee, e dell’asprezza e del terrore che quei boschi millenari generavano nel cuore di chi osava attraversarlo.
Quella parte della foresta era particolarmente antica, così antica che probabilmente molte delle piante che stavo toccando avevano visto almeno due Ere, forse addirittura tre e c’è una paura implicita nel nostro sangue per questi luoghi.
Era come se stessimo entrando in un territorio aldilà della linea di Confine: sai che stai andando a morire e non c’è nulla che tu possa fare se non accettarlo. L’unica differenza è che se avessi attraversato il Confine sarei morto asfissiato dalle polveri vulcaniche e tossiche nel giro di un paio d’ore, lì invece avevo una speranza di sopravvivenza chiamata buon senso: stare zitti e prestare attenzione a quel che ci circondava, pregando il Sole, la Luna e tutti gli Astri che qualcosa di grosso non ci notasse.
 
 
Almeno questo era il mio pensiero.
Tony invece sembrava molto affascinato e iniziò a chiedere a Selina qualche nozione in più sulla flora e fauna locale, il che aveva senso: lui era cresciuto nelle colline che sorgevano sopra le paludi, era abituato alle terre selvagge ma Selina si rivelò essere una topo di città e che tutto quello che sapeva lo doveva ai ragazzi veterani che erano venuti con lei nelle sue prima perlustrazioni. Tony le chiese perché si era offerta volontaria, lei rispose in maniera molto monotona.
“Qualsiasi cosa pur di non stare in quel manicomio.”
 
Anche se al manicomio presto ci sarei andato io perché Atlas aveva decretato che mi doveva parlare con me. Ma non era un conversare reciproco o un qualcosa che anche solo vagamente vi rassomigliasse, lui blaterava per dare aria alla bocca.
Parlava a macchinetta del più e del meno e non aveva alcuna importanza che lo stessi ascoltando o meno e tutti i suoi ragionamenti erano più simili a voli pindarici che in principio trovai quasi divertenti, poi indifferenti, ad un certo punto divennero irritanti.
Respirai affondo per cercare di trattenermi: sapevo che non eravamo più in una zona di pericolo ma comunque sarebbe stata cosa buona e giusta mantenere un tono di voce basso o sarebbe stato come avere un tiro al bersaglio luminescente attaccato addosso. Notai che anche Selina e Tony iniziavano ad essere irritati dal blaterare di Atlas così decisi di intervenire.
“Atlas?”
“Sì?” Mi domandò lui con occhi da cucciolo.
“Basta, siamo in missione, non ad una scampagnata. Ci potrebbe ancora essere il nemico nei dintorni vedi di stare zitto se non vuoi farci ammazzare tutti.”
Forse fui un po’ duro ma le mie orecchie furono grate del silenzio, per i successivi dieci minuti.
 
 
Atlas riprese a parlare, inizialmente erano discorsi brevi fatti a mezza voce a cui mi limitai a rispondere a monosillabi per fargli capire che non volevo conversare. Poi i suoi discorsi divennero sempre più lunghi e con l’aumentare della lunghezza anche il tono della sua voce riprese ad alzarsi.
Inizialmente erano solo piccole esclamazioni fatte ad un tono di voce appena più alto. Poi, come se il mio silenzio lo avesse autorizzato, iniziò ad alzare il tono della voce sempre di più ad ogni nuova esclamazione, fino a quando la sua voce non mi parve assordante.
Le mani mi prudevano dal desiderio di sparargli: non mi ero arruolato per fare l’amicone con uno stupido tritone idiota che ci avrebbe fatto ammazzare tutti.
 
“Atlas…! Sta zitto! Porca puttana!” Esclamai a mezza voce sforzandomi di non urlare. “Non so se te ne rendi conto ma qui fuori rischiamo la vita. Non me ne fotte un cazzo di come vuoi gettare la tua misera vita! Ma io intendo riportare la mia pellaccia a casa, possibilmente tutto intero; quindi, smettila di parlare o giuro che ti abbandonerò in un fossato con estremo piacere.”
Tony e Selina si voltarono senza dire nulla ma io non badai a loro, mi limitai ad aumentare il passo. Atlas provò a dire qualcosa che rassomigliava a delle scuse ma mi limitai a mandarlo all’Oblio e ripresi a marciare.
Non sarei morto a causa di un coglione come lui.
 
 
 
Accelerammo il passo, volevamo raggiungere la cima prima del tramonto e non potei fare a meno di notare che Selina era in allerta, ma fu Tony quello a parlare per primo. “Che succede?”
“Non li sentite?” Domandò Selina, ci fermammo tutti per allungare l’orecchio era un rumore di zoccoli, almeno una decina di elementi a quattro zampe, non mi dovetti sforzare per comprendere che si trattava di capre, troppe volte quel rumore mi aveva svegliato da bambino perché non lo riconoscessi.
“Di che si tratta?” Domandò Atlas, Selina fece spallucce. “Forse mufloni. Ma fanno troppo rumore.” Constatò Tony in un sussurro che riuscii a sentire solo perché ci eravamo avvicinati.
“Che roba sono i mufloni?” Domandò preoccupato Atlas. “Sono una specie di caproni di montagna, hanno delle corna grosse e arricciate, un po’ più scuri e grossi dei cervi, ma in questa stagione dovrebbero essere in alta montagna, qui non raggiungeremo i duemila metri.” Lo guardammo tutti confuso. “Che c’è?” Domandò irritato. “La fauna nelle colline è simile a quella di qui e mi è capitato di vedere dei mufloni passare dalle nostre parti in un paio di inverni particolarmente rigidi.”
“Grazie dell’informazione ma non sono mufloni. Sono capre.” Tutti mi guardarono. “Come fai a dirlo?” Mi domandò Tony.
“Conosci altri quadrupedi tanto scemi da fare tutto questo casino?” Tony fece una smorfia come a concordare con la mia affermazione. “Le vacche fanno più casino, ma in effetti…”
“Allora… ci facciamo uno stufato?” Propose Atlas con l’acquolina in bocca e a giudicare dal rumore che fece lo stomaco di Selina compresi che era della sua stessa idea. “Sì… ma se riusciamo a catturare una femmina viva mi fareste un favore, perché sapete…” Iniziò Tony indicandosi lo stomaco. “Questo signorino qui non digerisce la carne. E del latte fresco non mi dispiacerebbe.” Disse Tony, in un contesto normale mi sarei opposto, ma sapendo che avrei perso il dibattito, così li seguii.
 
 
Ci avvicinammo di qualche altro passo quando sentii l’abbaiare di un cane. Selina e Atlas sembrarono averlo sentito ma fecero finta di nulla; tuttavia, io sapevo che un pastore in caso di emergenza avrebbe potuto a malincuore abbandonare il gregge, ma non un cane.
 
Se il cane è il migliore amico delle persone, allora per un pastore il cane è il vero amore. Addestrarne uno richiede infinito tempo e pazienza, e non tutti i cani sono validi per compiere questo lavoro, devono essere abbastanza intelligenti e avere un forte senso di protezione verso il gregge per poter essere le migliori vedette contro qualsiasi bestia.
Un pastore non avrebbe mai abbandonato il cane, mai.
Allungai le mani per bloccare i ragazzi, questi mi guardarono confusi quando strinsi loro le spalle, così feci loro cenno di fare silenzio e di aspettarmi.
I cani pastori non avrebbero permesso neanche ad uno umanoide di avvicinarsi al gregge così mi avvicinai contro vento per essere certo che il cane non sentisse il mio odore e mi mossi con estrema cautela, non volevo attirare la sua attenzione. Non mi piaceva l’idea ma avrei dovuto uccidere il cane al primo colpo: avrebbe fatto troppo rumore e attirato attenzioni indesiderate. Poi avrei pensato al pastore.
 
Mi nascosi dietro un cespuglio in fiore e puntai la canna del fucile, il cane non mi aveva ancora visto, né odorato soprattutto. Pareva piuttosto vecchio, doveva avere circa otto anni, il vello scuro e maculato e piuttosto lungo; non somigliava per niente a quelli con cui ero cresciuto: loro avevano il pelo corto e tendente al sabbia e il muso era più schiacciato. Ma non fu questo a fermarmi dal premere il grilletto, quello che mi fermò fu la mano che stava cortesemente distraendo il cane.
Era vecchia e callosa, come quella di mio nonno, non potei fare a meno di pensare, con le vene in evidenza sul dorso. Indossava una semplicissima e consunta camicia a quadri verdi e marroni che aveva palesemente visto giorni migliori, i pantaloni erano in pelle di qualche ruminante della zona e parevano decisamente più nuovi, intuii che doveva cacciare dato il lungo e vecchio fucile da caccia alle sue spalle, indossava degli strani scarponi che in seguito capii che si trattava di pedule.
Il viso era allungato e scavato sulle guance, ma lo sguardo era intelligente, profondo e paziente. Non vedevo occhi così da tanto tempo. Aveva una bella barba prevalentemente bianca con del nero nella zona delle basette, era estremamente curata e gli andava a valorizzare la forma del viso. Doveva avere almeno settant’anni ma non presentava alcun segno di calvizie, era solo un po’ rado di capelli nella zona dell’attaccatura alla fronte. Ne avevo visti a milioni di vecchi come lui; eppure, c’era qualcosa in quegli occhi scuri che mi fece esitare.
Non riuscivo a premere il grilletto, quell’uomo era come me, un mio pari razza e, odiavo ammetterlo, ma mi ricordava troppo mio nonno, non di aspetto, ma la calma e la pazienza in quello sguardo mi fece salire un nodo alla gola. E il dolore della sua perdita avvenuta in infanzia mi investì.
 
 
 
Sentii un ringhio e venni scaraventato nella realtà. Non feci in tempo a girarmi che un altro cane mi saltò addosso e fece per azzannarmi alla gola ma riuscii a scacciarlo con il calcio del fucile, quello non era un cane pastore. “Alba! Accuccia!” La cagna mi ringhiò contro un’ultima volta poi si allontanò, il vecchio mi stava puntando addosso il fucile e adesso anche l’altro cane era in allerta.
“So che siete da qualche parte voi altri! Venite fuori! Non voglio fare del male al vostro amico!” Disse l’anziano alzando il fucile ma Alba continuò a puntarmi con una certa vivacità. Non conoscevo la razza me dedussi dal corpo longilineo, dalla sua aggressività e dal modo che mi aveva attaccata che era un cane da caccia. Tuttavia, non potei non pensare che fosse in qualche modo buffa date le sue orecchie molli.
   
 
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