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Autore: Shadow writer    05/04/2023    0 recensioni
Tridell è una moderna metropoli in cui nessuno è estraneo a scandali e corruzioni. Una giovane donna, abile nell'uso delle vie più o meno lecite, si è fatta strada fino alla vetta di questo mondo decadente.
Dalla storia:
“La duchessa viveva in periferia.
Il suo era un palazzo dall’esterno modesto, circondato da una striscia di giardino prima del grande cancello metallico. Chiunque avesse avuto l’onore di entrarvi, parlava di stanze suntuose, pareti affrescate, una grande corte interna, in cui si innalzava una fontana zampillante decorata da statue di marmo bianco. […]
Chi lei fosse veramente, non si sapeva. Che non avesse davvero il sangue blu, questo era quasi certo, ma nessuno osava contestarlo.
La verità sul suo conto, qualunque fosse, non era nota al pubblico, e alla gente piaceva guardare a questa donna enigmatica nel costante sforzo di capire chi fosse, senza mai riuscirci.”
Genere: Thriller | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'La duchessa '
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Il ritorno della duchessa

 

Il suono elettronico della sveglia trafisse le tempie di Roman trascinandolo fuori dai suoi sogni. Maledì mentalmente lo strumento infernale e rimpianse di non essersi portato la sua da casa, che lo svegliava con i suoni della natura in un giorno di pioggia.

Percepì un movimento al suo fianco nel letto e, come conseguenza, il rumore fastidioso si interruppe. Si voltò dall’altro lato, stringendo a sé il piumone, ma non si riaddormentò. Rimase in attesa, di qualcosa che non arrivò.

«Devi andare al lavoro» commentò allora, rivolto al gomitolo di coperte che gli stava accanto. Gli rispose un mugugno contrariato: «Ancora cinque minuti».

La promessa fu mantenuta e, dopo cinque minuti, sentì una sequenza di sbuffi mentre il piumone veniva sollevato dall’altro lato e lui veniva lasciato da solo nel letto.

Si godette ancora per qualche istante il calduccio, poi decise di alzarsi a sua volta. Infilò le pantofole che lo attendevano davanti al comodino e prese la vestaglia dall’angolo di camera che gli era stato concesso di occupare con i suoi vestiti.

Quando entrò in cucina, ottenne uno sguardo storto dalla padrona di casa. La donna stava cuocendo delle uova e la faccia assonnata non le aveva impedito di guardarlo male.

«Perché ti sei alzato? Sai che puoi rimanere a dormire quanto vuoi».

Lui si appoggiò con una spalla alla parete e la guardò, scuotendo il capo. «No, oggi è il giorno

Lei sgranò gli occhi e per poco non bruciò le uova da tanto la rivelazione l’aveva sorpresa. Imprecò a denti stretti mentre travasava il contenuto dalla padella al piatto che aveva sistemato vicino ai fornelli.

«Non ricordavo fosse oggi» commentò poi, sistemandosi nervosamente i capelli scuri dietro alle orecchie. 

Roman prese un sospiro mesto. 

Sapeva che era stata una cazzata enorme tornare nel parco dove aveva incontrato Isabel Lopez la prima volta e che era stata una cazzata ancora più grande rivolgerle la parola. Si era dato dell’idiota quando l’aveva incontrata ancora e ancora e ancora, ma non aveva saputo dire di no quando un giorno, dopo averla riaccompagnata a casa, lei lo aveva afferrato per la camicia e lo aveva attirato a sé.

“Lontano dagli occhi, lontano dal cuore” era stato il suo mantra, se non fosse che gli occhi, in questo caso, erano quelli di Emily e il cuore era il suo, che la giovane gli avrebbe strappato dal petto se avesse saputo che aveva una relazione con la detective. E quegli occhi sarebbe presto tornati su di lui, visto l’imminente ritorno della duchessa.

«Quando arriva?» Isabel lo distolse dai suoi pensieri, mentre gli faceva cenno di sedersi con lei al tavolo.

Roman le rivolse un sorriso storto. «Lo sai che non cedo su queste cose. Avevamo detto niente dettagli».

Lei si strinse nelle spalle e tornò a dedicare la sua attenzione alle uova strapazzate. L’altro la imitò, in silenzio.

Quando ebbe finito di mangiare, Isabel pose il piatto nella piccola lavastoviglie e, prima di dirigersi verso la camera, si fermò di fronte a lui.

«Quando ci vedremo la prossima volta?»

Roman le rivolse uno sguardo serio. Ne avevano già parlato. «Farò il possibile, Isa, ma non posso prometterti nulla».

Lei annuì, pensierosa, poi gli si avvicinò e gli lasciò un bacio sulla guancia, accarezzandolo dolcemente. «So che lo farai».

 

***

 

Che fosse un grande giorno, lo si notava dalla frenesia che c’era nei corridoi. Tutti coloro che lavoravano nel palazzo sapevano ormai che ciò che avveniva al suo interno doveva rimanere segreto, eppure una certa tensione circolava nell’aria.

Mentre si dirigeva verso il giardino, Roman incrociò un paio di camerieri che correvano da un’ala all’altra come se le stanze stessero andando a fuoco. Tutto questo solo perché la padrona di casa era tornata, dopo un’assenza di quasi un anno.

Roman aveva fatto in tempo a lavarsi e cambiare gli abiti, quando Vincent, il maggiordomo che lavorava da loro da più tempo, aveva bussato per fargli sapere che Emily era arrivata.

«La signorina Emily è qui» gli aveva detto, attraverso la porta, e lui aveva provato una strana sensazione al non sentirla più chiamare “Cassandra”. Ormai, sarebbe stato un fronzolo inutile, dato che tutti sapevano il suo vero nome.

Superò una coppia di giardinieri che stavano rientrando e, finalmente, si immerse nella calda luce di mezzogiorno, che faceva risplendere il parco sul retro della villa.

Non aveva fatto cambiare nulla — sapeva che la padrona di casa non avrebbe apprezzato — così, dopo una prima distesa di erba corta ben curata, seguiva un’ordinata schiera di siepi intervallate da statue candide che davano un’aria signorile e rinascimentale all’ambiente.

Roman si schermò gli occhi con una mano, mentre le sue pupille si abituavano alla luce del sole, e la prima cosa che vide, in mezzo al prato, fu lei.

Emily indossava un abito lungo dalla stampa floreale e portava i capelli sciolti, che le scendevano morbidi sul petto. Alzò una mano e sorrise, salutandolo da lontano. 

Roman sorrise di risposta, poi accelerò il passo e la raggiunse. Emily si lanciò tra le sue braccia e si abbandonò a quella stretta familiare.

«Bentornata».

Lei si staccò quanto bastava per guardarlo negli occhi e sorridergli, poi lo prese per mano e lo condusse con sé verso le siepi.

Roman notò subito una figura alta che si aggirava tra le gli arbusti ben potati e parlava a gran voce.

«Se non vieni fuori, temo salterai il pranzo» stava dicendo in quel momento Alexander.

«Tanto non ho fame!» gli rispose qualcuno nascosto tra i cespugli.

«Allora mangerò io la tua fetta di torta» replicò l’uomo mettendo i pugni suoi fianchi con fare arrabbiato.

Roman allungò il collo e lo vide abbassarsi e scomparire al di là dei rami verdi per qualche secondo. Quando si risollevò, stringeva tra le braccia un Noah assolutamente contrariato da quella cattura. Il bimbo si dimenava e scalciava, cercando di liberarsi.

«Ci ha dedicato il trattamento del silenzio per tutto il viaggio» commentò Emily mentre Alexander si avvicinava con il figlio tra le braccia. «Non sai quanto ha fatto i capricci quando gli abbiamo detto che dovevamo lasciare la campagna. Lo ha consolato solo il pensiero di rivederti».

Come per confermare le sue parole, Noah aveva deciso di riposarsi per un attimo dalla lotta contro suo padre e aveva riconosciuto il nuovo venuto.

«Roman!» esclamò infatti e riprese a divincolarsi. Questa volta Alex lo lasciò a terra, così il bambino poté correre verso di Roman e saltargli letteralmente addosso. Lui rise e lo sollevò per poterlo abbracciare meglio.

«Mi sei mancato, ometto».

«Anche tu» gli rispose aggrappandosi al suo collo.

Dopo aver salutato in modo appropriato anche Alexander, Roman li condusse verso la sala da pranzo che aveva fatto apparecchiare.

 

 

 

 

Dopo pranzo, Roman si assentò per svolgere alcune incombenze e si diede appuntamento con Emily per ritrovarsi un’ora più tardi nello studio.

Dato che Noah insisteva per tornare in giardino, lei e Alexander lo accompagnarono e si sistemarono sul patio, sotto alla luce calda del sole, mentre lo guardavano correre sull’erba dalle loro poltroncine in vimini.

«Almeno saremo sicuri che dormirà durante il pisolino» commentò Alex, voltandosi verso di Emily.

Lei annuì, con un sorriso, ma sentì lo sguardo dell’altro indugiare ancora un po’ sul suo viso.

«Non voglio intromettermi tra te e Roman» aggiunse infatti poco dopo, «ma ricordati cosa abbiamo detto, Em. Niente più segreti, niente mosse alle spalle».

La giovane si voltò a guardarlo. «I segreti distruggono la vita delle persone. Sono stata io a dirtelo».

L’altro fece un cenno di assenso e sospirò. Emily si allungò verso di lui e posò la propria mano su quella dell’uomo, sul bracciolo della sua poltrona.

«Abbiamo deciso di tornare a Tridell come una famiglia» gli disse, «e intendo fare di tutto per rispettarlo».

Alexander annuì, ma i suoi occhi sfuggirono a quelli di lei in un modo che la ragazza non ignorò.

«Cosa ti turba?»

Lui scosse il capo. «Finché eravamo lontani, non gli ho dato peso, ma ora sono tornato ad interrogarmi. Di cosa ti occupi davvero, Em?»
Lei lo fissò per qualche istante, poi scoppiò a ridere. In effetti, da quando si erano allontanati da Tridell, avevano ignorato qualsiasi cosa li legasse alla loro vita passata piena di rancori. Le sue occupazioni erano tra queste cose perché Emily ricordava la reazione di Alexander durante l’incontro con Lowe e sapeva di non voler sollevare un argomento del genere mentre si trovavano nell’idilliaca campagna lontano da Tridell.

In quel momento, un fischio proveniente dal piano superiore attirò la loro attenzione. Sollevarono entrambi il capo per vedere Roman che faceva cenno ad Emily di raggiungerlo dalla finestra dello studio. Lei si alzò in piedi e si voltò nuovamente verso Alexander.

«Vieni con me» gli disse, suscitando uno sguardo interrogativo da parte dell’uomo. «Niente più segreti».

Gli tese la mano. Alexander la prese e si alzò in piedi, poi si lasciò condurre da lei verso lo studio.

Roman attendeva comodamente seduto sulla poltrona di velluto color carta da zucchero di fronte alla scrivania. Quando li vide comparire insieme, la sua espressione si fece perplessa.

«C’è un nuovo membro nella nostra squadra» fu il commento di Emily, che lasciò la mano di Alexander e andò a sedersi al di là della scrivania. L’uomo prese posto accanto a un Roman non ancora convinto dalla situazione.

«Possiamo fidarci di lui» sbuffò Emily di fronte a quella reazione.

Roman guardò Alexander di sottecchi. «Non lo sto mettendo in dubbio. Quello che mi chiedo è» si voltò verso l’altro per poterlo guardare bene in faccia, «vuoi davvero sapere tutto?»

Alexander rimase in silenzio per qualche secondo, poi annuì. «Ormai ci sono dentro fino al collo. Tanto vale sapere in cosa sguazzo, no?»

Gli altri due si scambiarono un’occhiata, ma prima che Roman potesse aggiungere ulteriori riserve, la ragazza lo esortò a parlare.

Lui si schiarì la voce e indicò alcuni dei fogli sulla scrivania davanti a sé. «Come ti avevo già detto, alcuni dei nostri camion sono stati fermati e la merce sequestrata».

«Camion?» 

Il commento di Alexander fece voltare il giovane verso di lui. L’altro si scusò con un cenno. «Okay, starò zitto. Sono solo curioso».

Emily rise lievemente. «Sì, camion. È di questo che ci occupiamo».

La fronte di Alexander si corrugò, così lei aggiunse: «Quando ho ricevuto l’enorme eredità di quel lontano parente, ho investito il denaro in trasporti. Ogni cosa che esiste in questo mondo ha bisogno di essere mossa e ho scoperto che più la merce è illegale, più è caro il trasporto».

Le sopracciglia dell’uomo rimasero sollevate in un’espressione scettica, ma non commentò e Roman poté proseguire: «Ovviamente mi sono subito occupato di ripagare la merce a chi ce l’aveva affidata, al doppio del prezzo, ma questo non è bastato. Ho cominciato a sentire voci di malumori e, poco alla volta, mi hanno tagliato fuori».

«Com’è possibile che la polizia non sia risalita a voi?» domandò Alexander. 

«I trasportatori sono lavoratori autonomi che “affittano” i mezzi dalla compagnia che possediamo» rispose Roman. «Ciò significa che, teoricamente, la compagnia non è a conoscenza delle merci che vengono mosse».

L’uomo non pareva convinto. «Perché i trasportatori dovrebbe accettare questo patto se poi la colpa ricade interamente su di loro?»

«Sono uomini abituati a lavori illegali. Lavorando per noi ottengono una copertura che non avrebbero autonomamente» rispose Roman.

Alexander strinse gli occhi, pensieroso. «Ciò significa che pagate per le loro spese giudiziarie?»

L’altro annuì. «Sì, oltre a offrire uno stipendio più alto di quanto otterrebbero da soli».

Emily non aveva parlato per tutto il tempo, ma aveva assunto una posa seria, con le braccia incrociate al petto e gli occhi fissi sul suo braccio destro. «Continua».

«Gli incarichi sono calati rapidamente. All’inizio pensavo si trattasse di cautela. Dopo un sequestro di quelle dimensioni, è comprensibile voler bloccare i traffici per un certo periodo. Ma la situazione è perdurata e i miei sospetti si sono confermati quando Bergman non ha segnalato la presenza di una pattuglia della polizia nel suo territorio».

Al di là della scrivania, l’espressione di Emily si irrigidì.

Roman sminuì in fretta le parole appena pronunciate: «Ero pulito e viaggiavo da solo, ma quella di Bergman non è stata una svista».

«Era intenzionale» acconsentì la ragazza.

Alexander fece saltare gli occhi dall’uno all’altra, cercando di capirci qualcosa. Emily intercettò il suo sguardo. «Si tratta di un affronto» spiegò.

«Verso di te?» chiese l’uomo.

Lei scosse il capo e cercò con un’occhiata Roman, che le fece un cenno di assenso per confermare i suoi dubbi ancora prima che lei li formulasse.

«Verso Roman» aggiunse per spiegare anche ad Alexander. «Una cosa del genere non era mai successa prima che me ne andassi».

«Perché dovrebbero mancargli di rispetto? Hanno sempre saputo che era il tuo braccio destro».

Fu il giovane a rispondere: «Il nostro era un lavoro di coppia, in cui Emily era l’elemento più forte. Senza di lei, gli altri non si fidano abbastanza».

Alexander si chiese se stesse facendo troppe domande, ma non riuscì a trattenersi dal chiedere: «Chi sono “gli altri”?»

Le labbra di Emily si tesero in un sorrisetto malizioso. «Gli altri che comandano Tridell. Boss, leader, chiamali come vuoi».

L’uomo accettò la spiegazione senza scomporsi. «Mio padre è tra di loro?»

Lei scosse il capo. «Robert Henderson è nel circolo alto. Gli piace stare più vicino alla legge che ai criminali».

Nessuno parlò per qualche secondo, fino a che Alexander commentò. «Cosa pensate di fare ora? Basta il ritorno di Emily per risolvere la situazione?»

Il tono scettico della seconda domanda trovò appoggio nello sguardo che si scambiarono gli altri due. 

«Il solo ritorno della duchessa non è sufficiente» rispose la diretta interessata.

«Cosa serve?»

«Un ritorno in grande stile» disse Roman e ad Alexander parve di cogliere un sorriso scaltro sulle labbra dei due.

«Una festa nel palazzo?» chiese e notò nuovamente l’occhiata che gli altri due si scambiarono. Parevano in grado di comprendersi perfettamente senza il bisogno di parlare.

Emily prese la parola: «Organizzare una festa qui ci espone a dei rischi, il primo fra tutti è che gli invitati non si presentino».

Alexander rise a quel commento. Non riusciva ad immaginare qualcuno che rifiutasse un invito nel palazzo della duchessa. La risata si spense sulle sue labbra quando vide lo sguardo serio della giovane. Intuì che l’assenza di quasi un anno poteva indebolire la posizione di chiunque, perfino una figura all’apparenza onnipotente.

«Qual è la soluzione, quindi?» chiese. Aveva ormai capito che in quello studio non si parlava per fare conversazione. Si parlava per confrontare ed elaborare piani che già erano stati vagliati mentalmente e ora richiedevano l’approvazione di una persona esterna.

«Imbucarsi ad una festa» disse, prima che gli altri due potessero parlare.

Emily gli rivolse uno sguardo soddisfatto per averla anticipata, poi spostò gli occhi su Roman. «Dobbiamo farlo prima che la voce del mio ritorno si diffonda e si ritorca contro di noi. Chissà quali dicerie è pronta a inventarsi la gente».

Roman prese un foglio da sotto una pila che stava sulla scrivania. Lo guardò in silenzio, poi sospirò. «Ho la soluzione, ma non sono sicuro che vi piacerà».

Le sopracciglia sottili della ragazza si sollevarono, in attesa. Lui tossicchiò e riportò gli occhi sul foglio che teneva tra le mani. «Tra due giorni ci sarà un’asta di beneficienza a cui è invitata tutta l’élite di Tridell…»

Esitò quanto bastava perché Alexander prevedesse ciò che stava per dire.

«Si tratta di lei, vero?»

Il volto di Emily si scaldò in fretta e lei sbuffò rumorosamente. «Stiamo parlando di Camille Lefebvre?»

Roman si grattò nervosamente il mento. «Tecnicamente, dovremmo parlare di Camille Henderson».

Alexander alzò gli occhi al cielo. «Quel divorzio è un tasto dolente per Em. Meglio evitare l’argomento se non la vuoi vedere esplodere».

La ragazza prese un respiro profondo ed espirò poco alla volta. «Sono calma» aggiunse, ma la credibilità delle sue parole venne infranta non appena il suo volto si fu arrossato di nuovo. «L’unica cosa che non capisco è perché quella si rifiuti di firmare il divorzio all’uomo che l’ha tradita».

«Stronza» tossicchiò Alexander, beccandosi uno sguardo inceneritore dall’altro lato della scrivania.

Emily chiuse gli occhi, come per recuperare la calma, e quando li riaprì, il suo furore pareva essersi stemperato. «E va bene. Camille è solo una pedina e nulla di cui avere paura. La sua festa è l’occasione perfetta».

 

 

 

   
 
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