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Autore: Eilonwy of Prydain    09/04/2023    0 recensioni
Saga dell'Arcipelago Barbarico, Vol. I
Prima parte dell'epopea dei Cavalieri dei Draghi, ispirata alla saga di libri di Cressida Cowell e ai film d'animazione DreamWorks.
(Edizione 2020)
*****
Durante un'incursione notturna, la giovane discendente dei vichinghi di Hysteria sfida a duello il capitano delle truppe berkiane al fine di placare una vendetta di sangue.
Sarà il figlio del nemico a strapparla alla morte e a condurla nelle Terre del Nord, dove sarà la prima del suo popolo ad apprendere il segreto dei Draghi, cacciati da decenni nell'Arcipelago fin quasi all'estinzione.
Lo stesso fato che li rapirà alla loro terra e li costringerà a lottare per sopravvivere darà vita ai capisaldi di un sogno, volto a cambiare l'avvenire di due mondi. Ma l'annuncio della svolta, il passo verso ciò che sembra essere la fine di un'era, non è altro che l'inizio.
Genere: Avventura, Drammatico, Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Astrid, Hiccup Horrendous Haddock III, Nuovo personaggio
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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CAPITOLO XXII

IL PATTO

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

—   1   —

 

 

Berk

Arcipelago Barbarico

 

 

 

 

«Hiccup, cos’hai mangiato a colazione questa mattina?» Stoick posò la pipa e lo guardò, seriamente preoccupato. «Latte rancido?»

«È mai possibile che con te non si riesca mai a fare un dialogo normale? Io sto parlando sul serio!»

«Ed è proprio questo che mi preoccupa!»

«Abbiamo la possibilità di dare una svolta a questa situazione, possiamo cambiare in meglio. Basta fare il primo passo, padre, il coraggio sta anche lì.»

«Tu pensi di convincere Mogadon lo Spaccateste ad ascoltare le tue condizioni per un patteggiamento?»

«Esatto. E quando tornerò...»

«Se tornerai, figliolo, tornerai spedito a me, in una bara. E la tua testa su un piatto.»

«Ma andiamo!»

«Non conosci Mogadon, non conosci Hysteria, e non conosci nemmeno le modalità per fare trattative con un popolo del genere.»

«Gli Histerici non sono tutti uguali, ne hai avuto la prova anche tu» Hiccup puntò il dito per enfatizzare sulla sua allusione. «Come puoi sapere che lui non sia cambiato? O che non sia magari disponibile a parlare civilmente, a trovare un compromesso?»

«Ora basta» Stoick lo fermò con voce perentoria. Sdentato smise di masticare e Skaracchio picchiettò nervosamente la punta dell’uncino sul tavolo.

«Arrivare a questo compromesso, come lo chiami tu, ci è costato anni e anni di guerre» Stoick parlava con tono autorevole, e Hiccup non osò interromperlo. «Ho perso uomini a me cari, ho perso risorse, e ho messo al servizio la mia stessa vita per poter dare al mio popolo un futuro felice e prospero. Ognuno ha avuto ciò che meritava e ora siamo in pace, con i nostri draghi. Per cui, in nome del sangue versato dei miei padri e della causa per cui mi sono battuto una vita intera, io non firmerò un bel niente.»

«Non hai fiducia in me, allora.»

«Non è questione di fiducia, Hiccup, ma di intelligenza.»

«Mi stai dando dello stupido?»

«Sei uno sprovveduto», ribatté prontamente Stoick, «e non sei abbastanza esperto e lungimirante. Mogadon lo è: è stato a suo tempo il capo più temuto e rispettato dell’intero Arcipelago. È saggio, furbo e veterano nella guerra. Tu non ci hai parlato, non lo conosci, e non sai nemmeno quanto sia capace di abbindolare un ingenuo testone come te.»

«Non che tu sia sempre stato un gentiluomo, in vita tua: la brutalità con cui hai fatto uccidere la gente di Hysteria quattordici anni fa mi meraviglia ancora, e penso proprio che tu sia la persona meno indicata per montare in cattedra e giudicare.»

«Il discorso è chiuso» Stoick aveva lo sguardo torvo. «Tu non andrai da nessuna parte e non parlerai con nessuno.»

«Padre...»

«Non ti azzardare a rispondermi. Ho detto basta.»

«Sei rimasto fossilizzato sul passato e non pensi neanche a una minima possibilità di cambiamento. Un po’ di spirito d’iniziativa no, eh?»

«Il cambiamento non porta sempre esiti positivi. Bisogna essere previdenti.»

«Sappi che non mi fermerai, questa volta. Sono perfettamente lucido, sono deciso, e sono certo delle mia capacità di persuasione» affrontò lo sguardo del Capo con una prepotenza mai usata prima. «Io voglio andarci, voglio raggiungere l’obiettivo che mi sono prefissato e farò di tutto per ottenerlo.» Portò le braccia lungo i fianchi, in quell’attimo di pausa: «Io non ho paura di provare, padre. E tu?»

Stoick sospirò, passandosi una mano sulla testa rifinita di crini bianchi.

«Quando hai intenzione di partire?»

Hiccup abbozzò un sorriso, cercando di contenere la propria esaltazione: «A Tvímánuður*, verso fine estate».

Stoick tamburellò le unghie sul tavolo. «Io non ho alcuna intenzione di mettermi a scrivere la profferta...»

«Penserò a tutto io,» lo rassicurò, «tu dovrai solo porre la tua firma.»

Passò un minuto di silenzio. Stoick guardò il piano del tavolo con aria assorta e poi parlò, come se il suo istinto paterno stesse avvalorando le sue obiezioni: «Io non ti ci mando, laggiù da solo».

«Non sarò solo.»

«E non puoi andarci nemmeno con una scorta numerosa, rischieresti troppo...»

«Avrò un accompagnatore.»

«E chi?»

«La persona più adatta a questo genere di compiti e il mio amico più fidato» rispose Hiccup. «Gambedipesce

Stoick si grattò i baffi. «Per oggi credo di averne sentite anche troppe... Vattene, ora. Sparisci dalla mia vista.»

Hiccup sorrise, si girò e se ne andò trionfante, il rotolo di pergamena sottobraccio e la testa alta. Sdentato lanciò un’occhiata ai due uomini rimasti seduti, e poi seguì il suo cavaliere fuori dalla porta.

Stoick si massaggiò le tempie: «È identico a sua madre. È allucinante!»

Skaracchio assentì. «Entrambi cocciuti come le pigne verdi!»

«Mi sembra di vedere lei, guarda.»

«Ha la testa dura come un cinghiale, vero Stoick

«Identico, spiccicato, uguale, uguale!» ripeté. «Poi mi chiedi da chi abbia preso.»

«La cocciutaggine credo sia un difetto di famiglia...»

«Della sua» smentì Stoick, guardando in alto. «Della mia no di certo.»

 

 

 

 

 

 

 

 

—   2   —

 

 

Hysteria

Arcipelago Barbarico

 

 

 

 

«Allora io vado!»

Astrid uscì da camera sua con le armi e la sacca in spalla ed entrò in cucina. Sua madre era seduta al tavolo a sgusciare delle noci e lo zio Finn, davanti a lei, stava facendo colazione. La porta d’ingresso era aperta e la luce dolce della mattina entrava nel soggiorno con un lieve pulviscolo.

«Partite di già?» disse la donna, guardando Astrid versare un po’ di latte nel boccale. «Non è un po’ presto?»

«Thuggory ha detto che vuole arrivare alle brughiere domani sera» rispose la ragazza. «Prova a contraddirlo! È peggio di un tiranno, accidenti. Lo prenderei a bastonate.»

Finn ridacchiò masticando, e Astrid si sedette accanto a lui e inzuppò un biscotto all’orzo nel latte.

«Mi raccomando,» disse l’Impavido, «non dimenticatevi di litigare!»

«Su quello puoi stare tranquillo, zio. Se calcoli una media, risultano almeno quattro discussioni al giorno.»

«Riuscirete mai ad andare d’accordo per più di un’ora tu e lui?» chiese la mamma, rivolta ad Astrid. «Mi preoccupa saperti sempre in giro con i maschi, soprattutto così lontana da casa.»

«Mamma, i maschi hanno paura di me.»

«Sentito?» rise Finn. «Questa è mia nipote!»

«E se un giorno, disgraziatamente, una di queste discussioni sfociasse in una rissa senza che ci sia nessuno a separarvi?»

«Lei conosce i vecchi trucchi» rispose Finn. «Vero, Astrid? Un bel calcio...»

«... nei coglioni!»

«Brava la mia bambina.»

La mamma guardò su, scuotendo la testa. «Delicati, siete... come cinghiali!»

«Forse è meglio un bel cazzotto nel naso, di quelli che ti fanno vedere le stelle» Astrid schiacciò il pugno nel palmo della mano.

«Oppure c’è sempre la verga di tua madre, quella che usa per battere i panni» Finn allungò la mano sul tavolo per prendere qualche seme di noce. «Vedrai con quella come li metti in riga!»

«Miseriaccia, Astrid,» esclamò l’altra, «come farà quella povera creatura che ti sposerà a sopravvivere per più di tre giorni?»

«Ah!» esclamò Finn, masticando altre noci. «Chi tenterà di abbordare la mia nipotina dovrà sudare le sette camicie! Anzi, quattordici!»

«Zio...» Astrid sorrise dolcemente, e Finn le scoccò un bacio sulla testa: «Vai, ora. E portami a casa un bel cervo da scotennare!»

«Sissignore!» la ragazza balzò in piedi e riprese le armi.

«Tesoro, mi raccomando, fate attenzione lassù!» la mamma si sporse sul tavolo, vedendola uscire di casa. La risposta affermativa di Astrid si perse in lontananza, sfumandosi nel canto degli uccelli che riempiva l’aria di quella mattina di sole. Sorprese suo cognato, che aveva approfittato di quell’attimo di distrazione per prendere di nascosto altre noci. «Finn, ma insomma! Poi come lo faccio il pane alle noci, senza le noci?»

Lui masticò e si alzò dal tavolo. «Donna, io vado al lavoro» disse con voce ridente. «Oggi comincio a spaccare la legna, l’estate sta finendo.»

«Siamo già a metà Tvímánuður... L’estate passa in un attimo e l’inverno non finisce mai.»

«Eh già, l’aria sta cambiando» Finn prese un biscotto e si avviò verso l’uscita.

Lei mise una noce in bocca e continuò a sgusciare le altre. «Sei uno scroccone» disse.

 

 

 

 

* * *

 

 

 

 

Harriet stava stendendo i panni lungo il filo davanti casa, canticchiando il motivetto di una ballata popolare. I capelli lunghi e castani erano legati sulla sommità della testa e ricadevano in una treccia dai nodi complessi. Era molto brava ad acconciare i capelli, e ogni giorno portava una pettinatura diversa.

Stava spostando un grosso panno di lino lungo il filo, quando notò qualcosa di strano giù, in direzione del mare. Spostò la stoffa, aguzzò la vista dei suoi occhi turchesi e schermò la fronte con la mano per vederci meglio. Una skute* mai vista prima si stava avvicinando al porto.

Superò la staccionata di casa e corse fino in fondo al villaggio per andare a vedere. Quando arrivò in cima alla scalinata di pietra che conduceva alle banchine, la barca aveva già attraccato. La vela recava uno stemma dipinto in rosso. Harriet dischiuse la bocca: conosceva bene quel simbolo.

Un gruppo di persone si stava radunando lì sotto, mosso dalla curiosità di conoscere la ragione di quell’arrivo così improvviso e inaspettato. La ragazza passò dietro le file cercando di scorgere le figure dei due uomini che stavano abbassando una pedana sulle assi del molo. Il passo di uno stivale e di una protesi in ferro calcò la superficie della palanca, seguito dallo svolazzare di un mantello color blu marino.

Osvald, primo consigliere del capo di Hysteria, arrivò in quello stesso istante. Si fermò sul limitare della banchina, in attesa di ricevere il giovane uomo che avanzava verso di lui a testa alta, lento ma sicuro.

Harriet si alzò sulle punte dei piedi per osservare meglio le sembianze di quello sconosciuto. Era molto alto, le spalle rinvigorite da una sontuosa pelliccia di lupo su cui ricadevano i capelli, lunghi e sciolti, di colore castano ramato. Due treccioline verticali ai lati della testa completavano l’acconciatura, spettinata dal vento di mezzogiorno. Sotto il mantello trapelavano le forme di un kyrtill scuro di altissima fattura, e la cintura rifinita d’oro denotava tutta l’importanza del suo rango sociale. Portava una lunga spada appesa al fianco e, sulla spalla sinistra, una spilla rotonda con il sigillo del suo popolo.

Dietro di lui procedeva un giovanotto dai capelli biondi e la corporatura massiccia. La sua appartenenza a una sippe si poteva attestare dalla spilla appuntata sul petto e dalla qualità del suo abbigliamento, benché non potesse superare in eleganza quella del suo conterraneo. Le giunture della mantellina mettevano in risalto il suo doppio mento e il volto pingue, reso pallido dal lungo viaggio in mare.

Osvald aggrottò le sopracciglia quando il giovane berkiano si fermò a qualche passo da lui con un lieve sorriso sulle labbra, dicendo: «Góðan dag, herra».

«Che volete» gli rispose Osvald, che non era certo noto per la sua cortesia.

«Siamo qui per chiedere udienza al vostro re, Mogadon lo Spaccateste

«È già stato informato del vostro arrivo. Sta venendo qui.»

Lo videro scendere lungo la scalinata di pietra un momento dopo, seguito da altri tre uomini.

Harriet stava cercando di capire cosa stessero dicendo, ma con tutto quel brusio e quello spintonare della gente non era facile sentirli.

La prima cosa che Mogadon notò del giovane straniero fu la magra costituzione fisica. Si fermò a poca distanza e lo squadrò. «Tu sei?»

Il ragazzo abbassò la testa con riverenza e disse: «Hiccup Horrendus Haddock Terzo, signore. Sono giunto qui dalla remota Berk per portarvi un messaggio a nome di Stoick l’Immenso, mio padre».

Gli uomini lasciarono andare una nota di stupore e Mogadon chiese, con un sopracciglio alzato: «Che genere di messaggio?»

«Una proposta che, se vorrete concedermi la vostra attenzione, vi illustrerò io stesso.»

«E in cosa consisterebbe, questa proposta?»

«Egli desidera stabilire con voi i termini per un patteggiamento.»

La reazione di Mogadon fu scettica: «Patteggiamento...»

«Non il solito trattato di non belligeranza,» spiegò meglio il principe di Berk, «ma una vera e propria proposta di pace.»

Mogadon guardò i suoi consiglieri: «Che accidenti gli è preso a Stoick? Anni e anni di scaramucce senza mai vedersi, e ora se ne esce con un trattato? Di pace, poi!»

«Sarà la vecchiaia?» suggerì Berg da dietro. «L’età fa il cuore più morbido, come si suol dire.»

«Bah!» Mogadon era tutt’altro che convinto. «Lui è l’ultima persona da cui mi aspetterei una proposta simile.»

«Strano a dirsi,» commentò Hiccup, «ma lui mi ha detto la stessa cosa di voi.»

«Io non ci credo che Stoick in persona abbia avuto quest’idea...»

«Infatti è stata un’idea mia», precisò il ragazzo, «e mio padre l’ha approvata.»

«Quando e come ti è sorta quest’idea innovativa, se posso chiedere?»

«La condizione disparata delle nostre isole mi ha spinto a riflettere, ultimamente, e sono giunto alla conclusione che se riuscissimo a trovare un compromesso basato sulla tolleranza e sulla comprensione, il risultato non sarebbe che un vantaggio per entrambe le parti.»

Mogadon si toccò il mento barbuto. «Va bene, Hiccup. Sono disposto ad ascoltare le tue condizioni.»

Hiccup sorrise e scambiò un’occhiata con l’amico alla sua sinistra.

«Hai portato compagnia, vedo» disse il Capo.

«Permettetemi di presentarvi il mio fidato collega, nonché la mente più dotta e brillante di Berk» Hiccup introdusse il ragazzone con il palmo della mano. «Gambedipesce Ingerman

Gambedipesce fece un leggero inchino, un po’ impacciato dalla formalità di quella presentazione: «Sono onorato, herra».

«Sarà giusto allora che anche io vi presenti quelli che ascolteranno e valuteranno la vostra offerta» disse il Capo, indicando i suoi consiglieri uno per volta. «Osvald il Truce, Berg il Barbaro, Fargrim Occhiobendato e Finn Hofferson, l’Impavido.»

Hiccup alzò gli occhi e trattenne il respiro, quando incontrò il volto dell’uomo dalla barba color biondo cenere: «Il vostro cognome mi è noto, signore».

«Lo credo, lo credo» assentì Mogadon. «Come a noi è noto il gesto che avete compiuto, l’anno scorso, nel riportare a casa la nostra Astrid.»

«Il Terremoto, come la chiami tu» scherzò Fargrim, toccandosi la benda sull’occhio sinistro.

«Non so come sia arrivata da voi, se per volontà o per sfortuna... sfortuna vostra,» precisò Finn, col suo immancabile senso dell’umorismo, «ma suppongo, conoscendo la tempra di mia nipote, che vi abbia creato non pochi problemi. Sono tenuto perciò a mettere da parte i cattivi pensieri, per una volta, e ad essere riconoscente al tuo popolo, per averle risparmiato la vita.»

«E io vi posso assicurare che non è stato affatto un problema, signore,» rispose Hiccup con voce carica di umiltà, «ma un privilegio.»

«Udite udite» disse il Capo, alterando la tensione nell’aria mentre gli altri uomini si guardavano tra di loro con aria complice. Il volto di Finn Hofferson invece era serio, truce, e non mancò di mostrarsi irritato quando pose fine a quella breve conversazione.

«Bene» disse.

Hiccup recepì immediatamente il messaggio e abbassò lo sguardo, di fronte ai grandi uomini di Hysteria. Un gesto magnanimo si poteva riconoscere, ma la semplice gratitudine non poteva andare oltre la barriera dell’odio che li aveva sempre divisi. E solo in quel momento avvertì la pesantezza di quel distacco, di quell’inimicizia che si era prefissato di abbattere.

Gambedipesce si torturò le mani e deglutì. Vedere Hiccup così, solo contro tutti, armato soltanto della fede nei suoi ideali, non fece che aumentare i suoi dubbi riguardo l’esito di quel piano.

«Ora potete andare ad aspettarci nella Grande Sala» disse Mogadon, rivolto ai suoi. «Io voglio scambiare due parole con il figlio di Stoick, da solo.»

Finn fu il primo a voltarsi e a dirigersi verso i gradini, seguito dagli altri e da Gambedipesce, mentre Osvald faceva cenno alla gente di dileguarsi.

Mogadon scandì qualche passo lungo il molo, guardando i movimenti dell’acqua tra le fenditure delle assi. «Quanti anni hai, Hiccup

«Ventuno.»

«Hm» rifletté il Capo. «Hai la stessa età di mio figlio.»

«Vostro figlio?»

«Thuggory, già. Non è qui, in questo momento» disse guardando le colline boscose a ovest. «È a caccia.»

Hiccup non rispose. Cercò di interpretare l’espressione pensierosa di Mogadon, che in quel momento trovò le parole per esprimere le sue perplessità: «Sai perché mi è difficile fidarmi di questa tua proposta?»

«Posso immaginare il motivo» rispose Hiccup.

«Io penso che se Stoick avesse davvero avuto a cuore l’idea di conseguire questo trattato, sarebbe venuto di persona a parlarne a quattrocchi con me. E invece ha mandato te.»

«Al contrario, è proprio per questo che dovete crederci» ribatté il ragazzo, facendo un passo verso di lui. «Perché ha mandato il suo unico figlio nella terra del nemico, senza scorta e disarmato, con la sola fiducia nel vostro buonsenso.»

«Se questo ti può tranquillizzare, non ho alcuna intenzione di farti del male. Né a te, né al tuo collega» affermò il Capo, abbozzando un sorriso. «Non saprei dire il perché, ma in qualche modo mi ispiri fiducia.»

«Beh, vi ringrazio» Hiccup tentennò, non sapendo come rispondere. «Considerando la situazione in cui siamo, mi pare un buon inizio, no?»

Mogadon lo guardò, un po’ dubbioso: «Sei strano, Hiccup. A guardarti non sembri affatto un hooligan. Anzi, non sembri proprio un vichingo».

«Lo so bene» il ragazzo abbassò il tono della voce. «Sono nato così.»

«Non mi riferisco alla tua forma fisica, ma da come parli e come ti comporti. Se ci fosse stato tuo padre, qui al posto tuo, questa conversazione avrebbe preso un’altra direzione...» si grattò il naso. «Io ti dico solo che non basterà convincere me, ma tutti i membri del Consiglio. Le loro opinioni esercitano un gran peso sui miei giudizi.»

«Hm» Hiccup fece un sorrisetto, pensando al discorso che si era preparato per l’occasione. «Ci proverò.»

Mogadon lo guardò di sbieco, e quando incontrò i suoi occhi disse: «Non somigli per niente a tuo padre».

«Come dite?»

«I vostri occhi sono dello stesso colore, ma di faccia siete alquanto diversi» asserì Mogadon, inclinando la testa. «Somigli più a tua madre.»

«Voi», Hiccup disserrò le palpebre, «conoscevate mia madre?»

«Valka, sì. Prima che tu nascessi ci fu una grande assemblea tra le isole del Sud e del Nord, questioni politiche» spiegò con un gesto sbrigativo. «E sì, lei mi diede un bel po’ di filo da torcere...»

Hiccup serrò i denti, sentendo che il suo tono si era indurito.

«Fece un’arringa coi fiocchi» continuò Mogadon, storcendo la bocca. «E riuscì a impedirmi di stringere un’alleanza vantaggiosa con i Berserker

«Ah.»

«Quella donna... Come sta, adesso?»

Hiccup mise una mano sulla cintura e rispose freddamente: «È morta».

«Oh» Mogadon rimase di stucco, a quella notizia. «Quando è successo.»

«Io ero nato da poco, quindi... praticamente ventuno anni fa.»

Il Capo guardò il mare. «Miseria ladra.»

«Già» Hiccup fece un respiro profondo. «Quindi non ho la minima idea di quale fosse il suo aspetto.»

«Eh, Valka era molto, molto bella... Ricordo che addirittura, quando iniziò a girar voce del suo matrimonio, tutti si chiesero come avesse fatto una come lei a mettersi in coppia con quel vecchio caprone di Stoick

Hiccup non riuscì a trattenere una risata.

«Eravamo giovani, al tempo...» Mogadon sorrise appena, la voce dei ricordi. «Ecco, lei era davvero tremenda... riusciva sempre a farsi valere, soprattutto quando si trattava della caccia ai Draghi.»

«Sì?»

«Lei era contraria. Certe discussioni... lasciamo perdere, va’.»

«Non avrei mai pensato che la conosceste così bene.»

«Quando Stoick si faceva accompagnare alle assemblee. Insomma, io conoscevo lei, poi non so se tuo padre aveva altre mogli...»

«No, no» Hiccup alzò una mano. «A Berk non pratichiamo la poligamia.»

«Nemmeno qui. Ma io non l’ho vietata» concluse il capo di Hysteria, avviandosi verso la scalinata. «Ora, se vuoi seguirmi,» lo invitò con un gesto della mano, «è il momento di tornare ai nostri ruoli. Abbiamo molte cose di cui discutere.»

Il principe di Berk annuì con solennità, capendo che non era più il momento per i discorsi colloquiali. È importante conoscere il nemico sul piano umano, prima di procedere alle trattative, ma la simpatia che il capo di Hysteria gli aveva suscitato non doveva avere ripercussioni sul piano diplomatico. Lo scopo della sua missione era quello di stabilire la data del concilio, dove i due capi si sarebbero incontrati per firmare l’accordo che lui stesso aveva redatto, nei minimi particolari.

 

 

 

 

 

 

 

 

—   3   —

 

 

 

 

Si erano accampati in alta collina, in uno spazio tra tre abeti al centro del quale ardeva un fuocherello improvvisato per la notte. I cavalli li avevano legati a poca distanza, in un punto dove l’erba era verde e rorida della pioggia di quella mattina.

Thuggory prese la pipa, pestò le foglie nel fornello col pollice e passò un bastoncino sulla superficie, spirando lente boccate di fumo. Gli altri ragazzi mangiavano filetti di carne essiccata alle erbe, rubandoli dalla borsa di Duhbrain che se li era portati da casa.

Astrid, che stava trinciando la carne coi denti, rimase a bocca aperta quando guardò a sinistra: «E tu da quando hai iniziato a fumare la pipa?»

Thuggory si limitò a espellere fumo dalle narici e non disse nulla.

«Ma che diamine...»

«Ti vuoi mettere a fare le prediche da mammina adesso?»

«No, è che... ti dona.»

Thuggory alzò un sopracciglio.

«Ti rende più maturo» disse lei. «Davvero, sembri intelligente!»

«Ah ah ah, come sei simpatica...»

Lei andò dall’altra parte del fuoco, si sedette accanto a lui e gli prese la pipa di mano. Lui non reagì, finché non la vide espirare del fumo denso e tossire.

«Ma che schifo!» gridò Astrid facendo una smorfia. «Ma che roba è?»

«Non ti piace il tabako

«Io l’ho detto che quella roba è cattiva quanto il fiele» disse Wartihog, mentre Astrid continuava a biascicare: «Ma dove le hai trovate quelle foglie?»

«Me le ha vendute un mercante di nome Johann. Ha detto di essere stato nell’isola di Quisqeya* e di averle barattate con il popolo che abitava lì.» Incontrò il viso di Astrid: «Che è quella faccia da cogliona?»

«Che isola hai detto?»

«Quisqeya

«Dove diavolo è.»

«A ovest... Molto, molto lontano.»

«E chi ci abita?»

«Ma che ne so,» rispose Thuggory, espirando altro fumo, «a me sembrava un po’ fuori di testa, quel tipo.»

Astrid si alzò e tornò al suo posto. «Come fai a ingerire quella roba io non lo so.»

«Ha un sapore forte,» agitò il bocchino della pipa, «proprio come piace a me.»

Astrid spirò uno scaracchio e sputò a un metro di distanza. «È schifoso.»

«Mai schifoso quanto le barzellette dello zio Finn» disse Duhbrain. «Quelle sono aberranti.»

«Non tirare in ballo quelle barzellette, adesso,» rise la ragazza, «perché vomito.»

«Lo zio Finn...» Wartihog scosse la testa. «Io mi chiedo se quelle freddure se le studia la notte o gli vengono così.»

Astrid riprese a mangiare la carne e guardò Thuggory: «La pianti di atteggiarti come se fossi l’ottava meraviglia del mondo, tu?»

«Sei nervosa, cara?»

«Te la tiri manco fossi l’Imperatore.»

«Beh, non proprio l’Imperatore, ma quasi» Thuggory portò le mani dietro la testa. «Io in teoria sarei un principe.»

«Sì, dei miei stivali» ribatté la ragazza.

«Di certo non sei superiore perché sei la figlia del conte Hofferson

«Mi fate sentire importante» disse Wartihog con sarcasmo.

«No, Wartihog, c’è differenza» lo fermò subito Thuggory. «Non conta il grado sociale, ma quello che tu dimostri di essere. E tu sei una persona di grande valore, sincera leale» aggiunse adocchiando Astrid. «Lei invece ha solo il nome, e senza di quello non sarebbe nessuno.»

«Prego?» lei alzò un sopracciglio.

«Non hai accettato di sposarlo perché ti senti superiore,» l’accusò Thuggory, «di’ la verità.»

«Te la sei presa a male, Wartihog?» Astrid lo guardò.

«No, macché» il ragazzo dai capelli rossi alzò una mano. «Ho sbagliato anche io. Non avrei dovuto parlarti in quel modo.»

«Mia madre mi ha rimproverata perché le ho distrutto il telaio... Forse ho esagerato anch’io.»

Thuggory fece un tripode con le dita: «Tre parole, Astrid: gestione della rabbia».

«No, non fa niente» continuò Wartihog. «Almeno ho capito che i consigli di Thuggory non sono adatti per te.»

«Finché seguirai i suoi consigli, credi a me, non troverai mai una donna.»

«I miei consigli sono più che giusti» la interruppe Thuggory. «Sei tu che non vai bene.»

Astrid smise di masticare e lo guardò accigliata: «Tu sei scemo. Ma grave!»

«E tu sei una spocchiosa» Thuggory mise da parte la pipa. «Sei maleducata, arrogante e la peggior dimostrazione del degrado del sesso femminile. Fai tanto la dura, il maschiaccio, ma i tuoi sforzi sono inutili, dal momento che non sei e non sarai mai un uomo.»

«È la tua opinione.»

«Essere brava a combattere non farà mai di te un maschio. È anche una questione fisica: fino a prova contraria non hai le palle, e non pisci in piedi. Dunque non sei un uomo.»

«Vuoi scommettere...?»

«Astrid, sei fine come un bocciolo a primavera» disse Duhbrain, e Wartihog rise di gusto.

«Ho più palle io di te, Thuggory, te l’assicuro» esordì Astrid, cercando un’altra striscia di carne nella borsa.

«Eddài, Thuggory» Duhbrain lo stuzzicò. «Almeno dillo che non ti dispiacerebbe una come Astrid!»

«Puah!» Thuggory scoppiò a ridere. «Per le brache di Thor, sarebbe un’onta! Prima di andare con una come lei, me lo taglio.»

Astrid sorrise: «Hai ragione, è meglio disfarsi delle cose che non funzionano».

«Quando la volpe non arriva all’uva dice che è acerba.»

«Come no...» lo rimbeccò. «Chissà cosa ci trova Harriet di bello in te, per frequentarti.»

«Uh, potrei farci l’elenco.»

«Da quand’è che ti piace?»

«E chi l’ha detto che mi piace?»

«Che cosa?» Astrid rimase con i filamenti incastrati tra i denti. «Non dirmi che è quello che penso...»

«Dai, su, sto scherzando» le rispose. «Ma è anche vero che non ci ho messo la firma: lo definirei più come un ottimo passatempo.»

Astrid lo guardò seriamente: «Lo sai che lei ci tiene a te, vero?»

«Tu prendi sempre le cose così seriamente?»

«Io ti dico solo questo» Astrid gli puntò l’indice contro. «Tu spezzale il cuore, e ne risponderai a me.»

Thuggory appoggiò la testa all’albero e rispose con tono rilassato: «Non cercare di intimorirmi, Astrid, che non ti riesce. Soprattutto perché io, cara mia, faccio quello che mi pare».

«Ragazzi, che sonno!» Duhbrain sbadigliò, cercando di smorzare la tensione che si era creata. «Perché non dormiamo un po’?»

«Non scherzo» continuò Astrid, con lo stesso tono. «Ti avverto, tu non mi hai mai vista davvero arrabbiata.»

«Ehi, non era una proposta» Wartihog la zittì, coricandosi. «Dormite.»

 

 

 

 

 

 

 

 

—   4   —

 

 

 

 

Mogadon completò la firma in basso a sinistra sul foglio di pergamena e poi gettò la penna d’oca sul tavolo: «Là», disse. «Siamo d’accordo.»

Hiccup era in piedi davanti a lui, un sorriso incontenibile sulle labbra e gli occhi fissi su quello che era l’inizio del più grande trionfo della sua vita. Era circondato dagli uomini del Consiglio, seduti intorno al tavolo a forma di ferro di cavallo. Lanciò un’occhiata a Gambedipesce che, seduto all’estrema destra, ricambiò il sorriso alzando i pollici.

«Sono estasiato» ammise Mogadon, a mani aperte. «Non ho mai conosciuto un ragazzo così giovane con le tue capacità retoriche.»

Osvald non pronunciò parola, ma dall’espressione del volto si capiva che era stupefatto, così come gli altri uomini disposti al tavolo.

«Sembravi un oratore romano» commentò Finn Hofferson, alzando la mano con le punte del pollice e dell’indice unite.

«A capite ad calcem*» aggiunse Mogadon.

«Vi ringrazio. Ora, se posso chiedervi qualcosa da bere...»

«Ma certo, ragazzo, ci mancherebbe. Hai parlato per ore senza bere nemmeno un sorso!»

Gli fu portato un boccale di birra, e Hiccup bevve e si riprese dalla tensione delle ore passate. Era sfinito, ma contento.

«Ragazzo» Finn gli fece cenno con l’indice di avvicinarsi. Era da tutto il pomeriggio che lo squadrava con aria di superiorità.

«Signore?» Hiccup teneva il boccale con entrambe le mani.

«Ti vedo un po’ fiacco, come mai?»

«Oh no, sono solo un po’ abbioccato dopo questo pomeriggio...»

«Se ti stancano tre ore di parlantina, non oso pensare quanto ti stanchino tre ore di battaglia...» l’Impavido si grattò i baffi. «Tuttavia ammetto che sei intelligente, per essere un berkiano,» alzò il tono della voce perché tutti potessero sentirlo, «e quindi ho deciso di sfidarti a una partita di Mazze e Artigli.»

«Finn, che fai,» disse Berg con voce scherzosa, «ti approfitti dei ragazzi più giovani di te?»

«Esatto. Scontro all’ultimo sangue, Haddock contro Hofferson. Ma non so se ce la può fare...» lo provocò, incrociando le braccia. «Mi sembra poco sveglio.»

Nella sala si sollevarono esclamazioni, battute e risate. Hiccup notò che Gambedipesce lo stava implorando con gli occhi di rifiutare, poi si voltò di nuovo. Finn Hofferson continuava a squadrarlo con preponderanza, ma sotto i suoi baffi comparve un sorriso, stavolta.

Hiccup alzò un sopracciglio e ricambiò lo sguardo complice del vichingo. «Per Odino e tutti gli Dei di Asgard,» rispose, «io ci sto!»

Le voci dei presenti esplosero in grida di giubilo, e Fargrim si occupò subito di portare la scatola di Mazze e Artigli e batterla sul tavolo, mentre Mogadon rideva divertito.

Gambedipesce guardò Hiccup sedersi su uno sgabello davanti al nobile stratega, mentre gli uomini di Hysteria si radunavano intorno per assistere alla partita. Passò le dita sulle palpebre assonnate, mentre veniva annunciato l’inizio di quel gioco destinato a durare tutta la notte.

 

 

 

 

 

 

 

 

—   5   —

 

 

 

 

«Ragazze, aiuto!» una fanciulla dai capelli rossicci irruppe nella Grande Sala. Era la sorella di Wartihog, e stava portando un cestino tra le braccia.

Le ragazze si voltarono quando la sentirono arrivare: «Che succede, Edith?»

«Mogadon mi ha detto di portare questo cesto di regali a Hiccup Haddock, come augurio per il suo viaggio di ritorno.»

«Il principe berkiano

«Oh, miseria!»

«E qual è il problema?»

La ragazza agitò il cesto nervosamente: «Non ho alcuna intenzione di andare a bussare alla sua capanna, a quest’ora di notte, poi! Mi vergogno come un cane».

«Ah, io non ci penso nemmeno a portarglielo!»

«Te lo scordi! La figura che ci farei!»

«Harriet, perché non vai tu?»

La povera Harriet, che si era messa a capo basso per nascondersi all’ombra dei propri capelli, guardò le altre ragazze con aria timida: «Ma... ma perché proprio io?»

«Perché tu sei la persona giusta per queste cose» le passò il cesto e la spinse in direzione dell’uscita. «E poi sei carina questa sera, su!»

«Dai, Harriet, non ti mangia mica.»

Le guance di Harriet si erano fatte rosse come due lamponi. Non era la prima volta che le altre ragazze le addossavano un compito scomodo, ma poiché lei obbediva sempre - per via del suo carattere docile e gentile -, loro se ne approfittavano spesso.

Pochi attimi dopo stava già percorrendo la salita che conduceva alla capanna degli ospiti - che fino a quei giorni era stata sempre vuota -, maledicendo se stessa e la sua incapacità di dire di no. Si fermò davanti alla porta e aspettò qualche attimo con il pugno chiuso, prima di bussare. Fece un passo indietro, e poco dopo la porta si aprì mostrando le sembianze del ragazzone che aveva visto il giorno prima al porto.

«Buonasera» la salutò lui, con un sorriso cordiale.

Lei iniziò a balbettare: «Scusate se disturbo a quest’ora, ma ho portato...»

«Chi è, Gambedipesce?» domandò una voce dall’interno, e poco dopo comparve l’altro giovane più alto, con i capelli sciolti e una tunica a mezze maniche. «Oh,» disse, «ciao!»

Harriet fece un sorriso impacciato e si schiarì la gola. «Il Capo mi ha dato questo cesto per portarlo a voi» lo porse a Hiccup. «Cioè, a voi, nel senso... a voi entrambi.»

«Uh, grazie» Hiccup prese il cestino in braccio e alzò il telo di lino che stava sopra. «Cosa sono?»

«Regali... per meglio dire, cibi nostri.»

«È molto gentile da parte vostra» Gambedipesce le rivolse un sorriso timido, mentre Hiccup frugava tra le pietanze con una mano: «Gambe...»

«Cosa.»

«Questi sono drommar* alle nocciole!» esclamò, tirando fuori un biscotto dalla forma tondeggiante.

«Scherzi?»

«Io ci vado matto per questi cosi» lo mise sotto i denti. «Hmm... me li faceva sempre mia nonna.»

«Vi piacciono, signore?»

«Signore? Miseria ladra, non ho mica quarant’anni!» le rispose, masticando. «Sono Hiccup» le porse la mano.

Lei sorrise e ricambiò la stretta: «Harriet».

«È un piacere conoscerti, Harriet. E ti prego, dammi del tu.»

«Io sono Gambedipesce, piacere» vide che lei sorrideva, mentre le stringeva la mano. «Lo so, il nome fa ridere.»

«Ma no, ho sentito di peggio.»

«Sì, il mio» Hiccup mangiò un altro biscotto. «Mi hanno dato il nome di una contrazione delle viscere, dimmi se è normale...»

«Diciamo che fra Berk e Hysteria potremmo fare a gara a chi ha il nome più strano» disse Harriet.

«Gambe, finiscili te questi biscotti, prima che faccia strage.»

«Ma grazie, Hiccup!» lo riprese l’amico, accettando il cesto. «Fammi ingrassare dell’altro, è proprio quello che mi ci vuole!»

«Ehi, io devo mantenermi lucido. Ho una dignità da conservare.»

«Dignità? Io non so nemmeno più cosa sia, la dignità...»

Harriet stava asfissiando dal ridere.

«Tanto va sempre a finire così» si lamentò Gambedipesce, portando l’oggetto dentro la capanna.

Hiccup si appoggiò allo stipite della porta: «Non farci caso, Harriet. A Berk siamo peggio dei cinghiali».

Lei ridacchiò, intrecciando le dita delle mani: «Posso fare altro per te?»

Lui si toccò il mento con sguardo pensante: «Veramente ci sarebbe una cosa...»

Gambedipesce irruppe in quel momento: «No no! Siamo a posto, per oggi. Grazie, Harriet, sei stata gentilissima» le strinse ancora la mano.

Hiccup li fissò entrambi con sguardo da ebete: «Ma io volevo solo...»

«Ma noi ora dobbiamo andare a dormire, perché domattina dobbiamo alzarci molto presto per tornare a Berk!»

«Oh sì, certo» lei fece un leggero inchino, mentre Gambedipesce tornava dentro di corsa. «Buonanotte, Hiccup, e grazie.»

«Grazie a te» lui le sorrise e rientrò nella capanna. Non appena chiuse la porta sentì lo sguardo severo dell’amico bruciargli addosso.

«Stavi per chiederle di Astrid.»

Hiccup sbuffò.

«Dico, sei pazzo o cosa?»

«E dai, ma che male c’è? Almeno sapere come sta...»

«Non possiamo destare sospetti. Soprattutto adesso che siamo riusciti a ottenere l’impensabile. Vuoi buttare all’aria il piano?»

«No» Hiccup passò il palmo della mano sulla fronte. «Hai ragione.»

Gambedipesce si mise a sedere sulla branda dove aveva sistemato le pellicce per dormire semisdraiato e favorire la respirazione durante il sonno. «Sono passati due giorni e non si è ancora fatta viva. Questo vuol dire che non è qui.»

Hiccup, che aveva preferito lasciargli il letto per farlo dormire tranquillo, si sedette per terra e tirò su la coperta fin sotto il mento. «Si vede doveva andare così...»

Gambedipesce si coprì e guardò il soffitto. «È incredibile che stai facendo tutto questo per lei.»

«Lo faccio anche per dimostrare a mio padre che non bisogna giudicare la gente a priori... e che niente è impossibile, basta crederci.»

«Ma anche lei sarà contenta, quando saprà la notizia di questo concilio.»

«Credo di sì...» sorrise. «Chissà, magari quando la pace sarà fatta cambieranno un po’ di cose.»

«Non ne dubito. E a dire il vero lo spero, perché non ti sopporto più, è tutta l’estate che mi parli di Astrid.»

«Piantala, non è vero!»

«Continuamente!»

«Senti, ho perso a Mazze e Artigli contro Finn Hofferson e mi ha detto apertamente che faccio schifo» Hiccup cominciò a ridere. «Ormai, peggio di così...»

«... Non può andare.» Gambedipesce soffiò sulla candela a destra e la stanza divenne buia. «Sono stati davvero gentili con noi. Non me l’aspettavo.»

«Già.»

«Chissà chi è questo Thuggory. È sempre sulla bocca di tutti...»

Hiccup aprì un occhio: «È il figlio di Mogadon, giusto?»

«Chissà se lui sarebbe stato d’accordo, con l’idea di quel contratto.»

«Boh, fatto sta che domattina partiamo. Chi s’è visto, s’è visto.»

«Eh sì, ormai è fatta. Abbiamo già festeggiato i nostri successi e subito le nostre umiliazioni...»

«Dormi, Gambedispesce» lo zittì Hiccup, scivolando lentamente nel sonno. «Non farmici pensare più, a quella partita.»

 

 

 

 

 

 

 

 

—   6   —

 

 

Berk

Arcipelago Barbarico

 

 

 

 

Gunilla stava spazzando il pavimento di pietra della Grande Sala. Era il suo turno, quella sera, e si era promessa di concludere entro la mezzanotte. Scese gli scalini e cominciò a spostare il sudiciume verso le colonne sulla destra. D’un tratto sentì, tra una ramazzata e l’altra, uno strano parlottio proveniente dalla parte opposta della sala.

Fece qualche passo più in là e capì subito che erano i gemelli. Si erano seduti a un tavolo, l’uno accanto all’altro, e stavano discutendo di un argomento che attirò subito l’attenzione del suo udito, sempre teso e interessato alle nuove notizie.

«Ormai saranno già arrivati a Hysteria» disse Testa di Tufo.

«Secondo te li avranno accolti o respinti?» chiese Testa Bruta.

«Potrebbero anche averli impiccati o scotennati.»

«No, gli Histerici sono più tipi da decapitazione...»

Si avvicinò ancora, origliando la conversazione, finché Testa Bruta non alzò la testa e la salutò. «Ehi, Gunilla!»

«Ciao, ragazzi» Gunilla smise si spazzare e si avvicinò al tavolo.

«Stavi spazzando, eh?» la ragazza passò il dorso della mano sotto il naso. «Una palla...»

«Già, non è proprio il massimo... però mi manca poco a finire. E voi,» aggiunse, «di che stavate parlando?»

«Stavamo cercando di ipotizzare se Hiccup e Gambedipesce sono vivi o morti» rispose Testa di Tufo. «Da quando sono partiti per Hysteria, qui siamo tutti in ansia!»

Gunilla aggrottò la fronte: «Ecco perché vedevo Sdentato gironzolare da solo, in questi giorni».

«Già, il boss ha dovuto lasciare qui il suo drago per partire in missione.»

«Missione?»

Testa Bruta mostrò il palmo della mano: «È andato a Hysteria a parlare con Mogadon lo Spaccateste per fare un trattato di pace. Stoick dice che è completamente impazzito».

Gunilla guardò di lato, stringendo il manico della scopa: «A Hysteria, eh?»

«Proprio così.»

«Chissà perché...» rispose la ragazza con una nota di sarcasmo.

«È andato fuori di testa» rispose Tufo. «È quella, l’unica spiegazione.»

«Ha coinvolto anche Gambedipesce nel suo piano» ridacchiò Testa Bruta. «Appena glielo ha detto se l’è fatta sotto.»

Gunilla scosse la testa e si voltò per tornare a spazzare, quando Testa di Tufo la fermò: «Guni, ma... cosa è successo tra voi due? Insomma, tra te e Hiccup. A inizio estate».

«Niente, Tufo» rispose lei. «Non è successo niente. Perché?»

«Ehm, girano voci... sul tuo conto...» Testa Bruta strinse i denti.

Gunilla li guardò di traverso. «Voci?»

«Malelingue.»

«Dopo tutto quell’amoreggiare con Moccicoso, quella sera... pensano che hai tenuto il piede in due scarpe, ecco.»

Testa Bruta s’innervosì quando notò che Gunilla la stava fissando con uno sguardo assassino e un pugno sul fianco. «Sorella,» si difese, «lo sai che non ti approvo per ciò che hai fatto quella sera, però io l’ho detto che non era niente di ufficiale e che tu sei fatta così.»

«Chi ha messo in giro queste voci?»

I gemelli alzarono le spalle. «Tutti hanno visto che tu e Hiccup non vi rivolgete più la parola. Dicono che lui si è sentito preso in giro da te e che la cosa non gli è andata giù.»

«E quindi è andata a finire che la poco di buono sono io, non è così?»

«Beh, se la metti su questo piano...»

«Statemi bene a sentire» Gunilla poggiò una mano sul tavolo e puntò l’indice. «La gente può dire quello che vuole. Io non sono una schiava, sono una donna libera, e in quanto tale ho il diritto di decidere delle mie azioni: primo. Secondo, non ho fatto il voto di castità a nessuno, e non sono legata ad alcun tipo di vincolo affettivo perché io non faccio promesse» esordì. «Terzo, dite al vostro "boss" che il suo giudizio può andare a stroncarselo nel culo.»

«Ma...»

«Nessuno sa com’è andata realmente, ma siccome la donna sono io, è ovvio che sono io la responsabile, la malfattrice, la poco di buono...!»

«Stai esagerando, Gunilla... nessuno ha detto questo.»

«La gente parla tanto, ma non lo sa che io, quella cosa, l’ho fatta per ripicca.»

«Ripicca?»

«Mi sono vendicata, sì.»

«Perché.»

«Perché lui mi ha usata.»

I gemelli la guardarono, increduli.

«Cosa credevate? È lui che mi ha presa in giro, per tutto il tempo» spiegò la ragazza, mettendosi dritta.

«Ma come...»

«È evidente che aveva qualcun’altra per la testa e stava usando me per distrarsi.»

«Non è possibile...» disse Testa di Tufo.

«Visto? È questo quello che dicono tutti quando si tratta di Hiccup. Guardate che non è perfetto, anche lui, come tutti, può sbagliare!» alzò il tono della voce. «Passava il tempo con me e nello stesso momento pensava a Miss Biondina-arrogante, laggiù. E io che cosa sono, la bambola usa e getta?!»

«Gunilla, io conosco Hiccup da quando siamo nati», asserì Testa di Tufo, «e ti posso assicurare che lui non è affatto il tipo che usa le persone in questo modo.»

«Assurdo...» Testa Bruta portò le mani sulle guance.

«Sapete, io sarò anche la figlia di un falegname, sarò povera e ignorante, ma non sono stupida» disse incrociando le braccia. «Credeva che non me ne sarei accorta? Beh, non è così. Ho fatto quello che ho fatto per fargli capire chiaramente che io non pendo dalla sua bocca, che non sto a piangermi addosso per i suoi capricci e soprattutto che non mi faccio prendere per i fondelli da nessuno. Occhio per occhio, dente per dente.»

«Se parli di lui in questo modo, allora vuol dire che non lo conosci abbastanza» insistette Testa di Tufo, con tono basso e calmo.

«Secondo me hanno sbagliato tutti e due» rifletté Testa Bruta. «Perché se le cose stanno così, lui non è stato affatto carino a dare false speranze...»

«Io non mi ero illusa affatto», la interruppe Gunilla, «e neanche speravo in un lieto fine. Se non eravamo destinati va bene così, pace. Però ecco, io la vedo più come una questione di rispetto reciproco.»

«È stato un malinteso, tutto qui» disse Tufo.

«È vero, Tufo, è stato un malinteso» Gunilla riprese la granata tra le mani. «Quello che non sopporto è che ci si accanisca subito contro di me, senza nemmeno sapere la verità.»

«Gunilla, ma ti sei davvero offesa?»

«Stavamo solo parlando...»

«Lo avete fatto anche voi» la sua voce s’indebolì repentinamente. «Non mi sorprende che vi siate schierati subito dalla sua parte, è il vostro amico» tirò su con il naso e riprese a spazzare con più violenza. «Lui ne può avere anche cento, di ragazze. Lui è un uomo, è libero di farlo, non c’è niente di male...»

Testa Bruta s’intristì, quando la sentì parlare con il magone, mentre si passava le mani sugli occhi: «Possono pensare quello che vogliono, a me non importa... non mi importa niente».

Fece per andarle in contro, ma suo fratello la fermò e le disse con un cenno di lasciarla sola, avviandosi verso l’uscita. Non appena fu sulla soglia del portone, Testa Bruta si voltò un’ultima volta e sentì il cuore spezzarsi, quando vide Gunilla, ferma sul posto, iniziare a piangere in silenzio.

 

 

 

 

 

 

 

 

—   7   —

 

 

Hysteria

Arcipelago Barbarico

 

 

 

 

«Sono a casa!» Astrid varcò la porta d’ingresso e buttò la bisaccia sul tavolo. «C’è nessuno?»

«Ehi, Astrid,» sua madre comparve dalla porta che accedeva alle camere. Aveva una coperta sulle spalle. «Com’è andata la caccia?»

«Benissimo, mamma! Quest’anno è stata fruttuosa.»

«Bene, sono contenta.»

«È mezzogiorno ma sto morendo di sonno. Stanotte ho dormito pochissimo...»

«Se hai fame, qui c’è il brodo di gallina caldo.»

«Bene» Astrid strofinò le mani e andò a prendere una ciotola di legno per servirsi. «Allora, che mi sono persa in questi giorni? Niente di nuovo, vero? Non succede mai un cavolo su quest’isola...» soffiò sul mestolo e guardò sua madre. «Che è quella faccia?»

La donna si avvicinò con un sorriso civettuolo e le prese le mani, invitandola a sedersi sulla panchina vicino a lei: «Tesoro mio, non indovinerai mai chi è venuto in questi giorni».

Astrid piegò la bocca all’ingiù: «Boh, che ne so. Un mercante sventurato?»

Sua madre si morse il labbro inferiore, che non stava più nella pelle.

«Ma che hai? La pressione alta?»

«È venuto il figlio di Stoick l’Immenso, in persona, da Berk.»

Astrid guardò un punto nel vuoto e poi di nuovo sua madre: «Eh?»

Lei scoppiò a ridere. «È stata una visita inaspettata, ha sorpreso un po’ tutti, devo dire.»

Astrid era ancora imbambolata: «Quando».

«Ehm, due o tre giorni fa. È andato via ieri mattina presto.»

La ragazza batté le palpebre e scosse appena la testa come per svegliarsi da un incantesimo. «Oh, oh...» balbettò. «Beh... e perché?»

«È questo il bello!» esclamò la mamma, elettrizzata dalla portata del pettegolezzo. «È venuto a parlare con Mogadon, per illustrargli le clausole di un contratto di pace!»

Astrid chiuse un momento gli occhi e ritirò le labbra per trattenere tutte le passioni che sentiva crescere dentro di sé. «E Mogadon che ha detto.»

«Ha accettato» esultò la mamma. «Hanno organizzato un concilio che si terrà tra trenta giorni, nel palazzo delle assemblee nell’Isola del Silenzio. Lì Stoick e Mogadon si incontreranno insieme ai membri del concilio delle loro isole, trarranno le conclusioni del contratto e firmeranno la pace.»

Astrid cercò di raccogliere quel poco di autocontrollo che le restava per non gridare a squarciagola e rovesciare il tavolo, le panche e tutti i piatti. «È fantastico, mamma.»

In quel momento sentirono varcare la soglia. «Piccola peste» disse Finn, entrando in casa con un fastello di legna. «Hai scovato un bel po’ di cacciagione, ho visto!»

«Finn» la donna si alzò per apparecchiare. «Hai fame? Ho preparato il brodo.»

Astrid approfittò del momento per prendere un bicchiere d’acqua e cercare di inalare più ossigeno possibile.

«Sto morendo di fame!» esclamò lo zio, accatastando la legna accanto al focolare. «Ehi, Astrid, dopo mi aiuti a spezzare il daino eh!»

«Sì, zio... Adesso credo che laverò i piatti...»

«Prima di mangiare?»

«Sì, non credo di avere più fame...»

«Cara, ma ti senti bene? Stai tremando.»

«Sto benissimo, mamma» rispose, un po’ titubante. Si diresse verso il bacile riempito d’acqua e vi gettò dentro piatti e posate di legno, mentre gli altri due cominciavano a mangiare il brodo.

«Hm, Finn,» la donna lo chiamò, «perché non rifai l’imitazione di quel ragazzo di Berk? Mi hai fatta sganasciare dal ridere ieri.»

«Ah già! Astrid,» Finn bevve dal cucchiaio e si alzò in piedi, «questa la devi sapere perché è uno spasso.»

Astrid girò la testa e lo guardò.

«Hai conosciuto il figliolo di Stoick l’Immenso quando eri a Berk, no?»

«Sì... di vista» mentì Astrid.

«Che personaggio... Io penso che tipi come quello ne conosci uno ogni mille anni. Se ne arriva su una barchetta, senza scorte e senza armi, con la compagnia di due marinai e il suo compare dal nome strano che è il quintuplo di lui...»

«Gambedipesce, vero?»

«Sì, esatto. Insomma arriva, tutto ben vestito, posato ed educato, e quando è davanti al tavolo del consiglio di Hysteria...» Finn allargò le braccia e si mise in posa nell’imitazione più fedele e spassosa che nessuno sarebbe mai stato capace di imitare così bene. «"Gentili signori del consiglio, lasciate che mi presenti umilmente come Hiccup Horrendus Haddock Terzo degli Hooligan figlio di Stoick Primo l’Immenso degli Hooligan figlio di..." e non so quanti nomi ha detto.»

Astrid scoppiò a ridere, vedendo suo zio andare avanti con quell’imitazione così realistica - soprattutto quando agitava le braccia e le spalle balbettando - e sua madre, che si era già piegata in due.

«Zio, ti prego smettila» Astrid si asciugò una lacrima, cercando di calmare il troppo riso. «Prima che mi venga un crepacuore.»

Finn si mise seduto a tavola e riprese a mangiare, parlando con più serietà. «È stato portentoso. Quello se diventa capo ti fa un mazzo così, alle assemblee.»

«Gli hai fatto almeno i complimenti per il suo discorso?»

Finn ascoltò la domanda di sua cognata aspirando rumorosamente il brodo: «Nemmeno morto».

«Ma dai...»

«Abbiamo giocato tutta la notte a Mazze e Artigli e ha perso. È molto bravo a giocarci, ma pur di non dargli soddisfazione gli ho detto: "Ragazzo mio, fai proprio schifo. Buonanotte!" e sono andato via.»

«Ma quanto sarai ignorante!»

«Non sono ignorante» rispose Finn. «Sono un Hofferson

Mentre loro continuavano a parlare, Astrid sgattaiolò via di nascosto ed entrò in camera sua, richiudendo la porta dietro di sé. Gettò la testa indietro e sorrise: forse c’era davvero una possibilità. Forse le loro vite stavano per cambiare in meglio.

Aprì il grosso baule sulla destra, e dopo aver frugato un po’ tirò fuori il kyrtill verde che aveva conservato in segreto dall’anno prima. Si alzò in piedi e lo osservò a lungo con un sorriso stampato sul volto, per poi stringerlo forte al petto e ricercare col naso, tra le fibre, l’odore di colui che ne era stato il proprietario.

Avvertì quel senso di leggerezza che sentiva soltanto di notte, quando sognava di varcare i confini del cielo sul dorso di un drago. Era così persa nelle fantasie che non si era neppure resa conto di aver iniziato a girare in tondo con aria sognante, la mente piena di domande sul futuro, di se e di ma, di immagini e storie con un solo e unico protagonista.

Se qualcuno fosse entrato nella camera di Astrid Hoffeson in quel preciso istante, e l’avesse vista in quelle condizioni, l’avrebbe certamente presa per pazza.

 

 

 

 

 

 

—   8   —

 

 

Berk

Arcipelago Barbarico

 

 

 

 

Hiccup Horrendus Haddock Terzo varcò l’ingresso della Grande Sala, seguito da Skaracchio e dal suo fedele Furia Buia che, non avendolo visto per due settimane intere, saltellava avanti e indietro con la lingua penzoloni e una forte agitazione in corpo.

Stoick l’Immenso, allora seduto sul trono, non appena vide il figlio avanzare verso di sé tutto pimpante non poté trattenere un sorriso: «Sei tornato vivo, vedo».

«Vivo, vegeto, sazio e soddisfatto, mio caro paparino» rispose il giovane, sbandierando il rotolo di pergamena.

«Scherzi, Haddock?»

«No, affatto» Hiccup gli passò il foglio e poi scese gli scalini, dandogli il tempo di leggere la prova della sua piccola vittoria.

«Come accidenti hai fatto a convincere quel bracalone di Mogadon

«Eh, padre... storia lunga.»

«L’hai pagato.»

«No.»

«L’hai minacciato.»

«Neanche.»

«Gli hai regalato un prosciutto di yak.»

«Ma no!»

«Hai usato la peggiore arma di tutte...»

«No, padre, nessuna arma pericolosa. Questa, vecchio mio, si chiama retorica

Stoick squadrò più volte il foglio da cima a fondo, per poi arrendersi di fronte all’evidenza. «Questa è proprio la firma di Mogadon» ammise. «Sono senza parole, figliolo.»

«Ancora non ci credi, eh?» Skaracchio avvolse un braccio attorno alle spalle del ragazzo, stritolandolo. «È stato bravo, il nostro Hic.»

«È stato merito anche di Gambedipesce. Non ce l’avrei mai fatta senza di lui.»

«Ma dov’è, ora?» chiese Skaracchio, guardando indietro.

«Ha avuto qualche problemino con il mal di mare...» rispose Hiccup, liberandosi dalla presa ferrea del grande fabbro.

«Per raggiungere l’Isola del Silenzio in questa data dobbiamo prepararci un po’ prima con le navi» pensò Stoick ad alta voce, alzandosi dal trono.

«Padre» Hiccup lo fermò. «Mogadon è stato gentile e disponibile nei miei confronti. Io ho fatto il possibile e sono fiero di aver raggiunto questo traguardo. Ma questo è solo l’inizio, ora dipende tutto da te.»

Stoick non rispose e si avviò verso l’uscita.

«Promettimi che proverai a trovare un compromesso» gli disse, seguendolo. «Promettimelo.»

«Hiccup, io cercherò di avere giudizio e di fare ciò che è giusto» rispose il grande Capo. «Ma non ti prometto niente.»

Uscì dal portone e prese a scendere giù per la scalinata. «Lascerò Berk al tuo comando, mentre sarò via.»

Hiccup si fermò sulla soglia e prese un respiro, mentre Sdentato spingeva la testa contro il suo fianco. «Mio padre non è ancora convinto. Ma io ho fiducia in questo piano, bello» lo accarezzò sul naso. «Funzionerà.»

 

 

 

 

* * *

 

 

 

 

Hysteria

Arcipelago Barbarico

 

 

 

 

«È una follia» Thuggory finì di leggere la copia del contratto e gettò la pergamena sul tavolo davanti a suo padre.

«Thuggory, hai letto cosa c’è scritto sul quel foglio o parli tanto per dare aria ai denti?»

Astrid, che era seduta all’estrema destra del tavolo del Consiglio, scosse la testa con disappunto. Erano lì in pochi, quella sera. Solo il Capo e i suoi consiglieri più fidati.

«Ho letto tutto con la massima attenzione, padre. E lo ripeto, è una follia.»

«C’è scritto che possiamo riprendere i contatti con l’esterno. Non saremo più isolati, Thuggory. Potremo riprendere i commerci con le altre isole dell’Arcipelago, sai cosa vuol dire questo?»

«Potremo, ma solo con determinate regole. C’è scritto lì.»

«E ti pare poco?» sbottò Mogadon. «Sai cosa vuol dire questo per la nostra economia, dopo anni e anni di isolamento?»

«Quella è solo la bozza del contratto. È una proposta, non è ancora nulla di ufficiale» rispose il ragazzo con sicurezza. «Non è che se arriva un tipetto bravo a parlottare, tu rimani incantato e credi a tutte le promesse che ti fa.»

«C’è la firma di Stoick, su quel foglio. È convalidato, non è una presa per i fondelli, ragazzo.»

«E chi ti dice che questo Hiccup, o come cavolo si chiama, stesse dicendo la verità? Chi ti dice che questo non sia un piano architettato da lui e da suo padre per fregarti?»

«Ma andiamo, Thuggory...»

«Pensaci. Loro stanno benissimo lassù, vivono in pace e sono ricchi economicamente. A loro non gioverebbe nulla, questo trattato, quindi perché scomodarsi tanto per aiutarci?»

«Perché c’è anche chi pensa al bene degli altri, là fuori» Astrid incrociò le braccia. «E non solo a se stesso, come fai tu.»

Lui le rivolse uno sguardo assassino, che Mogadon smorzò immediatamente quando riprese il discorso: «Ascolta, Thuggory. Sai che io ti chiedo sempre consiglio prima di procedere, ma questa volta non ho intenzione di lasciarmi sfuggire un’occasione del genere».

«Diamine, quel ragazzo ha convinto pure me!» esclamò Osvald. «E lo sai che per convincermi ce ne vuole! Sono più cocciuto di un mulo e non cambio idea nemmeno sotto minaccia!»

«Ma voi avete parlato con lui, non con Stoick!» insistette Thuggory. «Suo figlio non conta un accidente in questa faccenda. È il capo che decide, è lui che firma il trattato, dannazione.»

«Al concilio ne parleremo e ci metteremo d’accordo sui particolari.»

«Padre, ma per favore!» Thuggory lo invitò a parlare seriamente. «Non vi siete mai potuti vedere, vi siete fatti la guerra a vicenda per anni, e nei periodi di "pace" non facevate che mettervi i bastoni fra le ruote. Ora tutto a un tratto pensi davvero di metterti d’accordo con lui senza trovare riscontri?»

«Viva l’apertura mentale...» commentò Astrid, guardandosi le unghie.

«Io aspiro a un cambiamento, Thuggory» spiegò il Capo con estrema serietà. «Io ho visto cosa eravamo un tempo, eravamo ricchi e potenti, rispettati. E adesso? Ci hanno cancellati dalle mappe dei commerci, non esistiamo più. Dobbiamo uscire da questo guscio, figliolo, dobbiamo riprendere vita, e questo è il primo passo.»

«Non sempre il cambiamento porta esiti positivi» rispose Thuggory, rimanendo sulla sua posizione. «E a me questa storia non piace per niente... c’è qualcosa sotto, me lo sento.»

«Quello che Thuggory vuole dire», intervenne Finn, «è che dovremmo prestare molta attenzione a questo concilio. La questione è delicata, e se il giovane Haddock si è mostrato aperto e disponibile, non è detto che anche Stoick lo sia.»

«Certo, certo, questo lo terrò in considerazione. Ora andate» disse rivolto ai due ragazzi. «Noi dobbiamo finire di discutere sulla nota dei commerci, e vedere di riuscire ad ottenere un vantaggio maggiore.»

Astrid diede la buonanotte e uscì dalla Grande Sala. Imboccò la stradella che conduceva verso la sua casa, quando una presa ferrea l’abbrancò per il braccio e la spinse contro la pianta di un olmo a qualche passo di distanza.

«Stammi bene a sentire» Thuggory inchiodò le sue spalle al tronco con forza e le puntò contro l’indice. «Prova anche solo un’altra volta a contraddirmi e a mettermi in ridicolo davanti al Consiglio e quel visetto te lo rovino a suon di pugni, è chiaro?»

«Che cosa?»

«È chiaro?» ripeté lui, con tono di minaccia.

«Intanto metti giù quelle mani!» lei si liberò con uno strattone e gonfiò il petto con rabbia. «E non ti provare più a spingermi in quel modo, che la prossima volta ti rifilo un calcio nei...»

«Se c’è una cosa che non sopporto», la interruppe, «è di essere preso in giro da una donna, in sede di assemblea.»

«Io dico quello che mi pare, per Odino!»

«No, tu devi imparare a frenare la lingua, alla presenza degli uomini. E se io parlo da solo con mio padre, tu non ti devi permettere di mettere bocca!»

«Ma piantala, Thuggory, una buona volta» lei fece in una smorfia e si avviò. «E vedi di far prendere aria a quella testa bacata che ti ritrovi.»

Lui le prese il braccio sinistro e glielo storse dietro la schiena, ma lei fu svelta, riuscì a liberarsi e a sferrare un pugno con l’altra mano. Lui le fermò il polso all’altezza del viso e lo strinse così forte da impedire la circolazione del sangue.

«Lasciami» lo intimò a denti stretti.

«Forse non ti è chiaro il concetto» ribadì il ragazzo con tono veemente. «Non devi rispondermi e non devi sminuirmi. Devi portarmi rispetto, perché la mia opinione vale esattamente quanto la tua.»

«Sai perché nessuno ascolta le tue opinioni? Perché non valgono un cazzo» lei avvicinò la bocca alla sua, con estremo disgusto. «Esattamente come te.»

Gli occhi di Thuggory lanciarono uno strenuo grido di minaccia nello stesso istante in cui la lasciò andare. Lei fece un passo indietro, cercando di sopprimere il dolore al braccio: «Prova a mettermi di nuovo le mani addosso e giuro che ti faccio fuori», il suo sguardo era crudo e senza paura. «Che sia chiaro.»

«Bah!» Thuggory le passò avanti e si allontanò, con un mezzo sorriso. «Tu bada bene a come ti comporti, da ora in poi. E fa’ che non risucceda, perché la prossima volta che ti metterò le mani addosso non la racconterai più.»

«Uh, certo» lo schernì, alzando la voce per farsi sentire. «Tremo proprio dalla paura, guarda!»

Era rimasta sola, lì vicino all’albero a massaggiarsi il polso. Non aveva mai pensato che l’atteggiamento di Thuggory potesse prendere una piega simile, ma in fondo non le importava. Il giorno dell’assemblea era sempre più vicino, e ogni momento passato non faceva che accrescere la sua speranza e la sua fiducia in un destino diverso.

 

 

 

 

* * *

 

 

 

 

Ormai era autunno. Astrid lo percepì non appena fu fuori dalla porta di casa, quella mattina. Il cielo era nuvoloso e il vento spirava dal mare annunciando l’arrivo della pioggia.

Si strinse nella mantella e vide al porto le tre piccole navi, pronte a solcare le onde dello Stretto dell’Ira di Thor e raggiungere l’Isola del Silenzio a nord-ovest.

«Sei già in piedi, piccola peste?» Finn Hofferson uscì di casa ben vestito, con un grosso mantello nero sulle spalle.

«Sì. Volevo assistere alla vostra partenza.»

«Ti vedo sorridente» le mise un braccio intorno alle spalle e presero a scendere giù per il villaggio, in direzione del porto. «Sei contenta di questo concilio?»

«Sì, lo ammetto... Ma sono anche un po’ nervosa.»

«Ammetto di esserlo anch’io, un pochino. Sai, si tratta pur sempre di far dialogare Mogadon e Stoick senza far volare i coltelli.»

Si fermarono in cima alla scalinata di pietra.

«Non starò via per molto» la rassicurò. «Qualche giorno... proprio a esagerare, una settimana. Dipende da quanto ci metteranno quei due a mettersi d’accordo» incontrò il sorriso di sua nipote e la strinse al suo fianco per lasciarle un bacio sulla testa. «Tieni d’occhio la mamma. Ah,» aggiunse, «e comincia a ripulire quelle pellicce che ho messo nel cesto in bottega, che quando torno le conciamo per bene!»

«Sissignore agli ordini!» rispose la ragazza sull’attenti, mentre lui cominciava a scendere le scale.

Astrid restò lì ad aspettare finché le navi non furono sparite al di là del promontorio. Si strofinò le mani, esaltata, si voltò e tornò a casa saltellando come una bambina.

 

 

 

 

 

 

 

 

—   9   —

 

 

 

 

Stava ripulendo una pelliccia di coniglio grezza al lume di una candela, quando il suo udito colse un suono lontano, quasi impercettibile, proveniente dall’esterno.

Era una voce indistinguibile che ripeteva: «Sono tornati!»

Astrid drizzò la testa, e un sorriso raggiante le illuminò il viso. Si alzò immediatamente e corse in direzione della porta, incappando in sgabelli pellicce e mobili, mentre il cuore cominciava a batterle all’impazzata. Si gettò sull’anta e uscì all’esterno della capanna, cercando di scorgere il porto dall’alto.

Era una bella giornata di sole, con qualche nuvola passeggera qua e là. Non c’era vento, ma l’aria era umida e faceva molto freddo.

Si diede a una corsa sfrenata giù per il villaggio - ostacolata dal lungo e ingombrante vestito azzurro che indossava - e quando arrivò in cima alle scale di pietra era già in preda all’eccitazione. Alzò il lembo della gonna e iniziò a scendere, impaziente di sentire i risultati del tanto atteso concilio, quando s’imbatté nella figura di Thuggory, che stava risalendo le scale di corsa. Gli sorrise, perché in quel momento avrebbe sorriso a chiunque, ma quando vide che lui aveva gli occhi lucidi e arrossati, e teneva in braccio un involto di panni intrisi di sangue, il peso del tempo le crollò addosso come un macigno.

Thuggory si accorse che lei fissava le stoffe di lino come se si fosse paralizzata. Aveva fretta, ma si prese quei secondi in più per dirle che cosa significassero.

«Opera dei tuoi amici berkiani, eh...»

Astrid guardò in basso, e solo in quel momento si accorse che al porto c’era una sola nave attraccata, delle tre che erano partite giorni prima.

Discese la scalinata e arrivò di corsa nel punto in cui si dipartiva la passerella dell’area di approdo. Al di là delle gomene e delle reti da pesca sparse sulle assi, vicino alle cime di ormeggio della nave, c’era sua madre. Era di spalle, e aveva i capelli biondi raccolti in una crocchia dietro la testa.

Stava parlando con Mogadon, che in quel momento era a capo chino e le parlava a bassa voce, mentre le stringeva la mano. Astrid non poteva sentirli. Solo lo strillare dei gabbiani e il languore del mare.

Ma tutto le fu chiaro, e un senso di paura le squarciò il petto quando vide sua madre crollare in ginocchio, il viso coperto dalle mani.

E piangere.






 

 

 

 

FINE
PRIMO VOLUME

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tvímánuður: nel calendario norreno corrisponde al periodo compreso tra il 15 agosto e il 14 settembre.
Skute: era la più piccola delle imbarcazioni vichinghe, destinata generalmente a corrieri, piccoli trasporti e viaggi. Poteva contenere dai tre agli otto uomini.
Gambedipesce Ingerman: nome completo di Gambedipesce, ripreso dalla serie tv Dragons: Race to the Edge. Nella serie di libri, invece, non ha cognome.
Quisqeya: nome con cui la popolazione indigena dei Taino chiamava l’isola di Hispaniola (oggi divisa tra gli stati di Haiti e Repubblica Dominicana), nei Caraibi. Il termine si legge kiskeya, e significa «madre di tutte le terre».
A capite ad calcem: locuzione latina che significa «da capo a fondo», quindi, «dalla testa ai piedi».
Drommar: biscotti di origine svedese. Il termine significa «sogni».

 

Sintesi illuminante | L’Isola del Silenzio (Silence) è ripresa dalla serie di libri.

 

N.d.A. (2017) | Tutto, mi sarei aspettata, tranne che pubblicare l’ultimo capitolo di questo libro proprio il giorno di Natale!
Ci siamo: questo è il punto di svolta da cui dipenderanno tutte le vicende del Secondo Volume. Questa prima parte è stata una sorta di preparazione, e solo adesso si entrerà nel vivo della storia. La trama del prossimo libro, che è già stata tutta pianificata, non ha ancora certezze riguardo la quantità di capitoli.
Poiché sono un po’ scombussolata dalla conclusione di questo Primo Volume - che ha subito vari mutamenti dall’anno scorso, prima di arrivare all’edizione definitiva -, non posso far altro che ringraziare i gentili lettori per aver letto e commentato, e per avermi accompagnata in questa prima avventura. Sperando che continui a piacervi e appassionarvi, vi auguro delle Buone Feste un felice anno nuovo :)

 

Eilonwy

 

 

 

 

 

 

   
 
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