CAPITOLO XXII
IL PATTO
— 1 —
Berk
Arcipelago Barbarico
«Hiccup, cos’hai mangiato a colazione questa mattina?» Stoick posò la pipa e lo guardò, seriamente preoccupato.
«Latte rancido?»
«È mai possibile
che con te non si riesca mai a fare un dialogo normale? Io sto parlando sul
serio!»
«Ed è
proprio questo che mi preoccupa!»
«Abbiamo la
possibilità di dare una svolta a questa situazione, possiamo cambiare in
meglio. Basta fare il primo passo, padre, il coraggio sta anche lì.»
«Tu pensi di
convincere Mogadon lo Spaccateste
ad ascoltare le tue condizioni per un patteggiamento?»
«Esatto. E
quando tornerò...»
«Se
tornerai, figliolo, tornerai spedito a me, in una bara. E la tua testa su un
piatto.»
«Ma
andiamo!»
«Non conosci
Mogadon, non conosci Hysteria,
e non conosci nemmeno le modalità per fare trattative con un popolo del
genere.»
«Gli Histerici non sono tutti uguali, ne hai avuto la prova
anche tu» Hiccup puntò il dito per enfatizzare sulla
sua allusione. «Come puoi sapere che lui non sia cambiato? O che non sia magari
disponibile a parlare civilmente, a trovare un compromesso?»
«Ora basta» Stoick lo fermò con voce perentoria. Sdentato smise di
masticare e Skaracchio picchiettò nervosamente la
punta dell’uncino sul tavolo.
«Arrivare a
questo compromesso, come lo chiami tu, ci è costato anni e anni di
guerre» Stoick parlava con tono autorevole, e Hiccup non osò interromperlo. «Ho perso uomini a me cari,
ho perso risorse, e ho messo al servizio la mia stessa vita per poter dare al
mio popolo un futuro felice e prospero. Ognuno ha avuto ciò che meritava e ora
siamo in pace, con i nostri draghi. Per cui, in nome del sangue versato dei
miei padri e della causa per cui mi sono battuto una vita intera, io non
firmerò un bel niente.»
«Non hai
fiducia in me, allora.»
«Non è
questione di fiducia, Hiccup, ma di intelligenza.»
«Mi stai
dando dello stupido?»
«Sei uno
sprovveduto», ribatté prontamente Stoick, «e non sei
abbastanza esperto e lungimirante. Mogadon lo è: è
stato a suo tempo il capo più temuto e rispettato dell’intero Arcipelago. È
saggio, furbo e veterano nella guerra. Tu non ci hai parlato, non lo conosci, e
non sai nemmeno quanto sia capace di abbindolare un ingenuo testone come te.»
«Non che tu
sia sempre stato un gentiluomo, in vita tua: la brutalità con cui hai fatto
uccidere la gente di Hysteria quattordici anni fa mi
meraviglia ancora, e penso proprio che tu sia la persona meno indicata per
montare in cattedra e giudicare.»
«Il discorso
è chiuso» Stoick aveva lo sguardo torvo. «Tu non
andrai da nessuna parte e non parlerai con nessuno.»
«Padre...»
«Non ti
azzardare a rispondermi. Ho detto basta.»
«Sei rimasto
fossilizzato sul passato e non pensi neanche a una minima possibilità di
cambiamento. Un po’ di spirito d’iniziativa no, eh?»
«Il
cambiamento non porta sempre esiti positivi. Bisogna essere previdenti.»
«Sappi che
non mi fermerai, questa volta. Sono perfettamente lucido, sono deciso, e sono
certo delle mia capacità di persuasione» affrontò lo sguardo
del Capo con una prepotenza mai usata prima. «Io voglio andarci, voglio
raggiungere l’obiettivo che mi sono prefissato e farò di tutto per ottenerlo.»
Portò le braccia lungo i fianchi, in quell’attimo di pausa: «Io non ho paura di
provare, padre. E tu?»
Stoick sospirò,
passandosi una mano sulla testa rifinita di crini bianchi.
«Quando hai
intenzione di partire?»
Hiccup abbozzò un
sorriso, cercando di contenere la propria esaltazione: «A Tvímánuður*, verso fine estate».
Stoick tamburellò
le unghie sul tavolo. «Io non ho alcuna intenzione di mettermi a scrivere la
profferta...»
«Penserò a
tutto io,» lo rassicurò, «tu dovrai solo porre la tua firma.»
Passò un
minuto di silenzio. Stoick guardò il piano del tavolo
con aria assorta e poi parlò, come se il suo istinto paterno stesse avvalorando
le sue obiezioni: «Io non ti ci mando, laggiù da solo».
«Non sarò
solo.»
«E non puoi
andarci nemmeno con una scorta numerosa, rischieresti troppo...»
«Avrò un
accompagnatore.»
«E chi?»
«La persona
più adatta a questo genere di compiti e il mio amico più fidato» rispose Hiccup. «Gambedipesce.»
Stoick si grattò i
baffi. «Per oggi credo di averne sentite anche troppe... Vattene, ora. Sparisci
dalla mia vista.»
Hiccup sorrise, si
girò e se ne andò trionfante, il rotolo di pergamena sottobraccio e la testa
alta. Sdentato lanciò un’occhiata ai due uomini rimasti seduti, e poi seguì il
suo cavaliere fuori dalla porta.
Stoick si
massaggiò le tempie: «È identico a sua madre. È allucinante!»
Skaracchio
assentì. «Entrambi cocciuti come le pigne verdi!»
«Mi sembra
di vedere lei, guarda.»
«Ha la testa
dura come un cinghiale, vero Stoick?»
«Identico,
spiccicato, uguale, uguale!» ripeté. «Poi mi chiedi da chi abbia preso.»
«La
cocciutaggine credo sia un difetto di famiglia...»
«Della sua»
smentì Stoick, guardando in alto. «Della mia no di
certo.»
— 2 —
Hysteria
Arcipelago Barbarico
«Allora io
vado!»
Astrid uscì da
camera sua con le armi e la sacca in spalla ed entrò in cucina. Sua madre era
seduta al tavolo a sgusciare delle noci e lo zio Finn, davanti a lei, stava
facendo colazione. La porta d’ingresso era aperta e la luce dolce della mattina
entrava nel soggiorno con un lieve pulviscolo.
«Partite di
già?» disse la donna, guardando Astrid versare un po’ di latte nel boccale.
«Non è un po’ presto?»
«Thuggory ha detto che vuole arrivare alle brughiere domani
sera» rispose la ragazza. «Prova a contraddirlo! È peggio di un tiranno,
accidenti. Lo prenderei a bastonate.»
Finn
ridacchiò masticando, e Astrid si sedette accanto a lui e inzuppò un biscotto
all’orzo nel latte.
«Mi
raccomando,» disse l’Impavido, «non dimenticatevi di litigare!»
«Su quello
puoi stare tranquillo, zio. Se calcoli una media, risultano almeno quattro
discussioni al giorno.»
«Riuscirete
mai ad andare d’accordo per più di un’ora tu e lui?» chiese la mamma, rivolta
ad Astrid. «Mi preoccupa saperti sempre in giro con i maschi, soprattutto così
lontana da casa.»
«Mamma, i
maschi hanno paura di me.»
«Sentito?»
rise Finn. «Questa è mia nipote!»
«E se un
giorno, disgraziatamente, una di queste discussioni sfociasse in una rissa
senza che ci sia nessuno a separarvi?»
«Lei conosce
i vecchi trucchi» rispose Finn. «Vero, Astrid? Un bel calcio...»
«... nei
coglioni!»
«Brava la
mia bambina.»
La mamma
guardò su, scuotendo la testa. «Delicati, siete... come cinghiali!»
«Forse è
meglio un bel cazzotto nel naso, di quelli che ti fanno vedere le stelle»
Astrid schiacciò il pugno nel palmo della mano.
«Oppure c’è
sempre la verga di tua madre, quella che usa per battere i panni» Finn allungò
la mano sul tavolo per prendere qualche seme di noce. «Vedrai con quella come
li metti in riga!»
«Miseriaccia, Astrid,» esclamò l’altra, «come farà quella
povera creatura che ti sposerà a sopravvivere per più di tre giorni?»
«Ah!»
esclamò Finn, masticando altre noci. «Chi tenterà di abbordare la mia nipotina
dovrà sudare le sette camicie! Anzi, quattordici!»
«Zio...» Astrid
sorrise dolcemente, e Finn le scoccò un bacio sulla testa: «Vai, ora. E portami a casa un bel cervo da scotennare!»
«Sissignore!»
la ragazza balzò in piedi e riprese le armi.
«Tesoro, mi
raccomando, fate attenzione lassù!» la mamma si sporse sul tavolo, vedendola
uscire di casa. La risposta affermativa di Astrid si perse in lontananza,
sfumandosi nel canto degli uccelli che riempiva l’aria di quella mattina di
sole. Sorprese suo cognato, che aveva approfittato di quell’attimo di
distrazione per prendere di nascosto altre noci. «Finn, ma insomma! Poi come lo
faccio il pane alle noci, senza le noci?»
Lui masticò
e si alzò dal tavolo. «Donna, io vado al lavoro» disse con voce ridente. «Oggi
comincio a spaccare la legna, l’estate sta finendo.»
«Siamo già a
metà Tvímánuður... L’estate
passa in un attimo e l’inverno non finisce mai.»
«Eh già,
l’aria sta cambiando» Finn prese un biscotto e si avviò verso l’uscita.
Lei mise una
noce in bocca e continuò a sgusciare le altre. «Sei uno scroccone» disse.
* * *
Harriet
stava stendendo i panni lungo il filo davanti casa, canticchiando il motivetto
di una ballata popolare. I capelli lunghi e castani erano legati sulla sommità
della testa e ricadevano in una treccia dai nodi complessi. Era molto brava ad
acconciare i capelli, e ogni giorno portava una pettinatura diversa.
Stava
spostando un grosso panno di lino lungo il filo, quando notò qualcosa di strano
giù, in direzione del mare. Spostò la stoffa, aguzzò la vista dei suoi occhi
turchesi e schermò la fronte con la mano per vederci meglio. Una skute* mai vista prima si stava
avvicinando al porto.
Superò la
staccionata di casa e corse fino in fondo al villaggio per andare a vedere.
Quando arrivò in cima alla scalinata di pietra che conduceva alle banchine, la
barca aveva già attraccato. La vela recava uno stemma dipinto in rosso. Harriet
dischiuse la bocca: conosceva bene quel simbolo.
Un gruppo di
persone si stava radunando lì sotto, mosso dalla curiosità di conoscere la
ragione di quell’arrivo così improvviso e inaspettato. La ragazza passò dietro
le file cercando di scorgere le figure dei due uomini che stavano abbassando
una pedana sulle assi del molo. Il passo di uno stivale e di una protesi in
ferro calcò la superficie della palanca, seguito dallo svolazzare di un
mantello color blu marino.
Osvald, primo
consigliere del capo di Hysteria, arrivò in quello
stesso istante. Si fermò sul limitare della banchina, in attesa di ricevere il
giovane uomo che avanzava verso di lui a testa alta, lento ma sicuro.
Harriet si
alzò sulle punte dei piedi per osservare meglio le sembianze di quello
sconosciuto. Era molto alto, le spalle rinvigorite da una sontuosa pelliccia di
lupo su cui ricadevano i capelli, lunghi e sciolti, di colore castano ramato.
Due treccioline verticali ai lati della testa completavano l’acconciatura,
spettinata dal vento di mezzogiorno. Sotto il mantello trapelavano le forme di
un kyrtill scuro di altissima
fattura, e la cintura rifinita d’oro denotava tutta l’importanza del suo rango
sociale. Portava una lunga spada appesa al fianco e, sulla spalla sinistra, una
spilla rotonda con il sigillo del suo popolo.
Dietro di
lui procedeva un giovanotto dai capelli biondi e la corporatura massiccia. La
sua appartenenza a una sippe si
poteva attestare dalla spilla appuntata sul petto e dalla qualità del suo
abbigliamento, benché non potesse superare in eleganza quella del suo
conterraneo. Le giunture della mantellina mettevano in risalto il suo doppio
mento e il volto pingue, reso pallido dal lungo viaggio in mare.
Osvald aggrottò le
sopracciglia quando il giovane berkiano si fermò a
qualche passo da lui con un lieve sorriso sulle labbra, dicendo: «Góðan dag, herra».
«Che volete»
gli rispose Osvald, che non era certo noto per la sua
cortesia.
«Siamo qui
per chiedere udienza al vostro re, Mogadon lo Spaccateste.»
«È già stato
informato del vostro arrivo. Sta venendo qui.»
Lo videro scendere
lungo la scalinata di pietra un momento dopo, seguito da altri tre uomini.
Harriet
stava cercando di capire cosa stessero dicendo, ma con tutto quel brusio e
quello spintonare della gente non era facile sentirli.
La prima
cosa che Mogadon notò del giovane straniero fu la
magra costituzione fisica. Si fermò a poca distanza e lo squadrò. «Tu sei?»
Il ragazzo
abbassò la testa con riverenza e disse: «Hiccup Horrendus Haddock Terzo, signore. Sono giunto qui dalla
remota Berk per portarvi un messaggio a nome di Stoick
l’Immenso, mio padre».
Gli uomini
lasciarono andare una nota di stupore e Mogadon
chiese, con un sopracciglio alzato: «Che genere di messaggio?»
«Una
proposta che, se vorrete concedermi la vostra attenzione, vi illustrerò io
stesso.»
«E in cosa
consisterebbe, questa proposta?»
«Egli
desidera stabilire con voi i termini per un patteggiamento.»
La reazione
di Mogadon fu scettica: «Patteggiamento...»
«Non il
solito trattato di non belligeranza,» spiegò meglio il principe di Berk, «ma
una vera e propria proposta di pace.»
Mogadon guardò i
suoi consiglieri: «Che accidenti gli è preso a Stoick?
Anni e anni di scaramucce senza mai vedersi, e ora se ne esce con un trattato?
Di pace, poi!»
«Sarà la
vecchiaia?» suggerì Berg da dietro. «L’età fa il cuore più morbido, come si suol dire.»
«Bah!» Mogadon era tutt’altro che convinto. «Lui è l’ultima
persona da cui mi aspetterei una proposta simile.»
«Strano a
dirsi,» commentò Hiccup, «ma lui mi ha detto la
stessa cosa di voi.»
«Io non ci
credo che Stoick in persona abbia avuto
quest’idea...»
«Infatti è
stata un’idea mia», precisò il ragazzo, «e mio padre l’ha approvata.»
«Quando e
come ti è sorta quest’idea innovativa, se posso chiedere?»
«La
condizione disparata delle nostre isole mi ha spinto a riflettere, ultimamente,
e sono giunto alla conclusione che se riuscissimo a trovare un compromesso
basato sulla tolleranza e sulla comprensione, il risultato non sarebbe che un
vantaggio per entrambe le parti.»
Mogadon si toccò il
mento barbuto. «Va bene, Hiccup. Sono disposto ad
ascoltare le tue condizioni.»
Hiccup sorrise e
scambiò un’occhiata con l’amico alla sua sinistra.
«Hai portato
compagnia, vedo» disse il Capo.
«Permettetemi
di presentarvi il mio fidato collega, nonché la mente più dotta e brillante di
Berk» Hiccup introdusse il ragazzone con il palmo
della mano. «Gambedipesce Ingerman.»
Gambedipesce fece
un leggero inchino, un po’ impacciato dalla formalità di quella presentazione:
«Sono onorato, herra».
«Sarà giusto
allora che anche io vi presenti quelli che ascolteranno e valuteranno la vostra
offerta» disse il Capo, indicando i suoi consiglieri uno per volta. «Osvald il Truce, Berg il Barbaro, Fargrim
Occhiobendato e Finn Hofferson,
l’Impavido.»
Hiccup alzò gli
occhi e trattenne il respiro, quando incontrò il volto dell’uomo dalla barba
color biondo cenere: «Il vostro cognome mi è noto, signore».
«Lo credo,
lo credo» assentì Mogadon. «Come a noi è noto il
gesto che avete compiuto, l’anno scorso, nel riportare a casa la nostra
Astrid.»
«Il
Terremoto, come la chiami tu» scherzò Fargrim,
toccandosi la benda sull’occhio sinistro.
«Non so come
sia arrivata da voi, se per volontà o per sfortuna... sfortuna vostra,»
precisò Finn, col suo immancabile senso dell’umorismo, «ma suppongo, conoscendo
la tempra di mia nipote, che vi abbia creato non pochi problemi. Sono tenuto
perciò a mettere da parte i cattivi pensieri, per una volta, e ad essere
riconoscente al tuo popolo, per averle risparmiato la vita.»
«E io vi
posso assicurare che non è stato affatto un problema, signore,» rispose Hiccup con voce carica di umiltà, «ma un privilegio.»
«Udite udite» disse il Capo, alterando la tensione nell’aria
mentre gli altri uomini si guardavano tra di loro con aria complice. Il volto
di Finn Hofferson invece era serio, truce, e non
mancò di mostrarsi irritato quando pose fine a quella breve conversazione.
«Bene»
disse.
Hiccup recepì
immediatamente il messaggio e abbassò lo sguardo, di fronte ai grandi uomini di
Hysteria. Un gesto magnanimo si poteva riconoscere,
ma la semplice gratitudine non poteva andare oltre la barriera dell’odio che li
aveva sempre divisi. E solo in quel momento avvertì la pesantezza di quel
distacco, di quell’inimicizia che si era prefissato di abbattere.
Gambedipesce si
torturò le mani e deglutì. Vedere Hiccup così, solo
contro tutti, armato soltanto della fede nei suoi ideali, non fece che
aumentare i suoi dubbi riguardo l’esito di quel piano.
«Ora potete
andare ad aspettarci nella Grande Sala» disse Mogadon,
rivolto ai suoi. «Io voglio scambiare due parole con il figlio di Stoick, da solo.»
Finn fu il
primo a voltarsi e a dirigersi verso i gradini, seguito dagli altri e da Gambedipesce, mentre Osvald
faceva cenno alla gente di dileguarsi.
Mogadon scandì
qualche passo lungo il molo, guardando i movimenti dell’acqua tra le fenditure
delle assi. «Quanti anni hai, Hiccup?»
«Ventuno.»
«Hm»
rifletté il Capo. «Hai la stessa età di mio figlio.»
«Vostro
figlio?»
«Thuggory, già. Non è qui, in questo momento» disse
guardando le colline boscose a ovest. «È a caccia.»
Hiccup non
rispose. Cercò di interpretare l’espressione pensierosa di Mogadon,
che in quel momento trovò le parole per esprimere le sue perplessità: «Sai
perché mi è difficile fidarmi di questa tua proposta?»
«Posso
immaginare il motivo» rispose Hiccup.
«Io penso
che se Stoick avesse davvero avuto a cuore l’idea di
conseguire questo trattato, sarebbe venuto di persona a parlarne a quattrocchi
con me. E invece ha mandato te.»
«Al
contrario, è proprio per questo che dovete crederci» ribatté il ragazzo,
facendo un passo verso di lui. «Perché ha mandato il suo unico figlio nella
terra del nemico, senza scorta e disarmato, con la sola fiducia nel vostro
buonsenso.»
«Se questo
ti può tranquillizzare, non ho alcuna intenzione di farti del male. Né a te, né
al tuo collega» affermò il Capo, abbozzando un sorriso. «Non saprei dire il
perché, ma in qualche modo mi ispiri fiducia.»
«Beh, vi
ringrazio» Hiccup tentennò, non sapendo come
rispondere. «Considerando la situazione in cui siamo, mi pare un buon inizio,
no?»
Mogadon lo guardò,
un po’ dubbioso: «Sei strano, Hiccup. A guardarti non
sembri affatto un hooligan. Anzi, non sembri proprio un vichingo».
«Lo so bene»
il ragazzo abbassò il tono della voce. «Sono nato così.»
«Non mi
riferisco alla tua forma fisica, ma da come parli e come ti comporti. Se ci
fosse stato tuo padre, qui al posto tuo, questa conversazione avrebbe preso
un’altra direzione...» si grattò il naso. «Io ti dico solo che non basterà
convincere me, ma tutti i membri del Consiglio. Le loro opinioni esercitano un
gran peso sui miei giudizi.»
«Hm» Hiccup fece un sorrisetto, pensando al discorso che si era
preparato per l’occasione. «Ci proverò.»
Mogadon lo guardò di
sbieco, e quando incontrò i suoi occhi disse: «Non somigli per niente a tuo
padre».
«Come dite?»
«I vostri
occhi sono dello stesso colore, ma di faccia siete alquanto diversi» asserì Mogadon, inclinando la testa. «Somigli più a tua madre.»
«Voi», Hiccup disserrò le palpebre, «conoscevate mia madre?»
«Valka, sì. Prima che tu nascessi ci fu una grande assemblea
tra le isole del Sud e del Nord, questioni politiche» spiegò con un gesto
sbrigativo. «E sì, lei mi diede un bel po’ di filo da torcere...»
Hiccup serrò i
denti, sentendo che il suo tono si era indurito.
«Fece
un’arringa coi fiocchi» continuò Mogadon, storcendo
la bocca. «E riuscì a impedirmi di stringere un’alleanza vantaggiosa con i Berserker.»
«Ah.»
«Quella
donna... Come sta, adesso?»
Hiccup mise una
mano sulla cintura e rispose freddamente: «È morta».
«Oh» Mogadon rimase di stucco, a quella notizia. «Quando è
successo.»
«Io ero nato
da poco, quindi... praticamente ventuno anni fa.»
Il Capo
guardò il mare. «Miseria ladra.»
«Già» Hiccup fece un respiro profondo. «Quindi non ho la minima
idea di quale fosse il suo aspetto.»
«Eh, Valka era molto, molto bella... Ricordo che addirittura,
quando iniziò a girar voce del suo matrimonio, tutti si chiesero come avesse
fatto una come lei a mettersi in coppia con quel vecchio caprone di Stoick.»
Hiccup non riuscì
a trattenere una risata.
«Eravamo
giovani, al tempo...» Mogadon sorrise appena, la voce
dei ricordi. «Ecco, lei era davvero tremenda... riusciva sempre a farsi valere,
soprattutto quando si trattava della caccia ai Draghi.»
«Sì?»
«Lei era
contraria. Certe discussioni... lasciamo perdere, va’.»
«Non avrei
mai pensato che la conosceste così bene.»
«Quando Stoick si faceva accompagnare alle assemblee. Insomma, io
conoscevo lei, poi non so se tuo padre aveva altre mogli...»
«No, no» Hiccup alzò una mano. «A Berk non pratichiamo la
poligamia.»
«Nemmeno
qui. Ma io non l’ho vietata» concluse il capo di Hysteria,
avviandosi verso la scalinata. «Ora, se vuoi seguirmi,» lo invitò con un gesto
della mano, «è il momento di tornare ai nostri ruoli. Abbiamo molte cose di cui
discutere.»
Il principe
di Berk annuì con solennità, capendo che non era più il momento per i discorsi
colloquiali. È importante conoscere il nemico sul piano umano, prima di
procedere alle trattative, ma la simpatia che il capo di Hysteria
gli aveva suscitato non doveva avere ripercussioni sul piano diplomatico. Lo
scopo della sua missione era quello di stabilire la data del concilio, dove i
due capi si sarebbero incontrati per firmare l’accordo che lui stesso aveva
redatto, nei minimi particolari.
— 3 —
Si erano
accampati in alta collina, in uno spazio tra tre abeti al centro del quale ardeva
un fuocherello improvvisato per la notte. I cavalli li avevano legati a poca
distanza, in un punto dove l’erba era verde e rorida della pioggia di quella
mattina.
Thuggory
prese la pipa, pestò le foglie nel fornello col pollice e passò un bastoncino
sulla superficie, spirando lente boccate di fumo. Gli altri ragazzi mangiavano
filetti di carne essiccata alle erbe, rubandoli dalla borsa di Duhbrain che se li era portati da casa.
Astrid, che
stava trinciando la carne coi denti, rimase a bocca aperta quando guardò a
sinistra: «E tu da quando hai iniziato a fumare la pipa?»
Thuggory si
limitò a espellere fumo dalle narici e non disse nulla.
«Ma che
diamine...»
«Ti vuoi
mettere a fare le prediche da mammina adesso?»
«No, è
che... ti dona.»
Thuggory alzò
un sopracciglio.
«Ti rende
più maturo» disse lei. «Davvero, sembri intelligente!»
«Ah ah ah, come sei simpatica...»
Lei andò
dall’altra parte del fuoco, si sedette accanto a lui e gli prese la pipa di
mano. Lui non reagì, finché non la vide espirare del fumo denso e tossire.
«Ma che
schifo!» gridò Astrid facendo una smorfia. «Ma che roba è?»
«Non ti
piace il tabako?»
«Io l’ho
detto che quella roba è cattiva quanto il fiele» disse Wartihog,
mentre Astrid continuava a biascicare: «Ma dove le hai trovate quelle foglie?»
«Me le ha
vendute un mercante di nome Johann. Ha detto di essere stato nell’isola di Quisqeya* e di averle barattate con il popolo che abitava
lì.» Incontrò il viso di Astrid: «Che è quella faccia da cogliona?»
«Che isola
hai detto?»
«Quisqeya.»
«Dove
diavolo è.»
«A ovest...
Molto, molto lontano.»
«E chi ci
abita?»
«Ma che ne
so,» rispose Thuggory, espirando altro fumo, «a me
sembrava un po’ fuori di testa, quel tipo.»
Astrid si
alzò e tornò al suo posto. «Come fai a ingerire quella roba io non lo so.»
«Ha un
sapore forte,» agitò il bocchino della pipa, «proprio come piace a me.»
Astrid spirò
uno scaracchio e sputò a un metro di distanza. «È schifoso.»
«Mai schifoso
quanto le barzellette dello zio Finn» disse Duhbrain.
«Quelle sono aberranti.»
«Non tirare
in ballo quelle barzellette, adesso,» rise la ragazza, «perché vomito.»
«Lo zio
Finn...» Wartihog scosse la testa. «Io mi chiedo se
quelle freddure se le studia la notte o gli vengono così.»
Astrid
riprese a mangiare la carne e guardò Thuggory: «La
pianti di atteggiarti come se fossi l’ottava meraviglia del mondo, tu?»
«Sei
nervosa, cara?»
«Te la tiri
manco fossi l’Imperatore.»
«Beh, non
proprio l’Imperatore, ma quasi» Thuggory portò le
mani dietro la testa. «Io in teoria sarei un principe.»
«Sì, dei
miei stivali» ribatté la ragazza.
«Di certo
non sei superiore perché sei la figlia del conte Hofferson.»
«Mi fate
sentire importante» disse Wartihog con sarcasmo.
«No, Wartihog, c’è differenza» lo fermò subito Thuggory. «Non conta il grado sociale, ma quello che tu
dimostri di essere. E tu sei una persona di grande valore, sincera e leale»
aggiunse adocchiando Astrid. «Lei invece ha solo il nome, e senza di quello non
sarebbe nessuno.»
«Prego?» lei
alzò un sopracciglio.
«Non hai
accettato di sposarlo perché ti senti superiore,» l’accusò Thuggory,
«di’ la verità.»
«Te la sei
presa a male, Wartihog?» Astrid lo guardò.
«No, macché»
il ragazzo dai capelli rossi alzò una mano. «Ho sbagliato anche io. Non avrei
dovuto parlarti in quel modo.»
«Mia madre
mi ha rimproverata perché le ho distrutto il telaio... Forse ho esagerato
anch’io.»
Thuggory fece
un tripode con le dita: «Tre parole, Astrid: gestione della rabbia».
«No, non fa
niente» continuò Wartihog. «Almeno ho capito che i
consigli di Thuggory non sono adatti per te.»
«Finché
seguirai i suoi consigli, credi a me, non troverai mai una donna.»
«I miei
consigli sono più che giusti» la interruppe Thuggory.
«Sei tu che non vai bene.»
Astrid smise
di masticare e lo guardò accigliata: «Tu sei scemo. Ma grave!»
«E tu sei
una spocchiosa» Thuggory mise da parte la pipa. «Sei
maleducata, arrogante e la peggior dimostrazione del degrado del sesso
femminile. Fai tanto la dura, il maschiaccio, ma i tuoi sforzi sono inutili,
dal momento che non sei e non sarai mai un uomo.»
«È la tua
opinione.»
«Essere
brava a combattere non farà mai di te un maschio. È anche una questione fisica:
fino a prova contraria non hai le palle, e non pisci in piedi. Dunque non sei
un uomo.»
«Vuoi
scommettere...?»
«Astrid, sei
fine come un bocciolo a primavera» disse Duhbrain, e Wartihog rise di gusto.
«Ho più
palle io di te, Thuggory, te l’assicuro» esordì Astrid,
cercando un’altra striscia di carne nella borsa.
«Eddài, Thuggory» Duhbrain lo stuzzicò. «Almeno dillo che non ti
dispiacerebbe una come Astrid!»
«Puah!» Thuggory scoppiò a ridere. «Per le brache di Thor, sarebbe
un’onta! Prima di andare con una come lei, me lo taglio.»
Astrid
sorrise: «Hai ragione, è meglio disfarsi delle cose che non funzionano».
«Quando la
volpe non arriva all’uva dice che è acerba.»
«Come no...»
lo rimbeccò. «Chissà cosa ci trova Harriet di bello in te, per frequentarti.»
«Uh, potrei
farci l’elenco.»
«Da quand’è
che ti piace?»
«E chi l’ha
detto che mi piace?»
«Che cosa?»
Astrid rimase con i filamenti incastrati tra i denti. «Non dirmi che è quello
che penso...»
«Dai, su,
sto scherzando» le rispose. «Ma è anche vero che non ci ho messo la firma: lo
definirei più come un ottimo passatempo.»
Astrid lo
guardò seriamente: «Lo sai che lei ci tiene a te, vero?»
«Tu prendi
sempre le cose così seriamente?»
«Io ti dico
solo questo» Astrid gli puntò l’indice contro. «Tu spezzale il cuore, e ne
risponderai a me.»
Thuggory
appoggiò la testa all’albero e rispose con tono rilassato: «Non cercare di
intimorirmi, Astrid, che non ti riesce. Soprattutto perché io, cara
mia, faccio quello che mi pare».
«Ragazzi,
che sonno!» Duhbrain sbadigliò, cercando di smorzare
la tensione che si era creata. «Perché non dormiamo un po’?»
«Non
scherzo» continuò Astrid, con lo stesso tono. «Ti avverto, tu non mi hai mai
vista davvero arrabbiata.»
«Ehi, non
era una proposta» Wartihog la zittì, coricandosi.
«Dormite.»
— 4 —
Mogadon completò la
firma in basso a sinistra sul foglio di pergamena e poi gettò la penna d’oca
sul tavolo: «Là», disse. «Siamo d’accordo.»
Hiccup era in piedi
davanti a lui, un sorriso incontenibile sulle labbra e gli occhi fissi su
quello che era l’inizio del più grande trionfo della sua vita. Era circondato
dagli uomini del Consiglio, seduti intorno al tavolo a forma di ferro di
cavallo. Lanciò un’occhiata a Gambedipesce che,
seduto all’estrema destra, ricambiò il sorriso alzando i pollici.
«Sono
estasiato» ammise Mogadon, a mani aperte. «Non ho mai
conosciuto un ragazzo così giovane con le tue capacità retoriche.»
Osvald non
pronunciò parola, ma dall’espressione del volto si capiva che era stupefatto,
così come gli altri uomini disposti al tavolo.
«Sembravi un
oratore romano» commentò Finn Hofferson, alzando la
mano con le punte del pollice e dell’indice unite.
«A capite
ad calcem*» aggiunse Mogadon.
«Vi ringrazio.
Ora, se posso chiedervi qualcosa da bere...»
«Ma certo,
ragazzo, ci mancherebbe. Hai parlato per ore senza bere nemmeno un sorso!»
Gli fu
portato un boccale di birra, e Hiccup bevve e si
riprese dalla tensione delle ore passate. Era sfinito, ma contento.
«Ragazzo»
Finn gli fece cenno con l’indice di avvicinarsi. Era da tutto il pomeriggio che
lo squadrava con aria di superiorità.
«Signore?» Hiccup teneva il boccale con entrambe le mani.
«Ti vedo un
po’ fiacco, come mai?»
«Oh no, sono
solo un po’ abbioccato dopo questo pomeriggio...»
«Se ti
stancano tre ore di parlantina, non oso pensare quanto ti stanchino tre ore di
battaglia...» l’Impavido si grattò i baffi. «Tuttavia ammetto che sei
intelligente, per essere un berkiano,» alzò il tono
della voce perché tutti potessero sentirlo, «e quindi ho deciso di sfidarti a
una partita di Mazze e Artigli.»
«Finn, che
fai,» disse Berg con voce scherzosa, «ti approfitti dei ragazzi più giovani di
te?»
«Esatto.
Scontro all’ultimo sangue, Haddock contro Hofferson.
Ma non so se ce la può fare...» lo provocò, incrociando le braccia. «Mi sembra
poco sveglio.»
Nella sala
si sollevarono esclamazioni, battute e risate. Hiccup
notò che Gambedipesce lo stava implorando con gli
occhi di rifiutare, poi si voltò di nuovo. Finn Hofferson
continuava a squadrarlo con preponderanza, ma sotto i suoi baffi comparve un
sorriso, stavolta.
Hiccup alzò un
sopracciglio e ricambiò lo sguardo complice del vichingo. «Per Odino e tutti
gli Dei di Asgard,» rispose, «io ci sto!»
Le voci dei
presenti esplosero in grida di giubilo, e Fargrim si
occupò subito di portare la scatola di Mazze e Artigli e batterla sul tavolo,
mentre Mogadon rideva divertito.
Gambedipesce
guardò Hiccup sedersi su uno sgabello davanti al
nobile stratega, mentre gli uomini di Hysteria si
radunavano intorno per assistere alla partita. Passò le dita sulle palpebre
assonnate, mentre veniva annunciato l’inizio di quel gioco destinato a durare
tutta la notte.
— 5 —
«Ragazze, aiuto!»
una fanciulla dai capelli rossicci irruppe nella Grande Sala. Era la sorella di
Wartihog, e stava portando un cestino tra le braccia.
Le ragazze
si voltarono quando la sentirono arrivare: «Che succede, Edith?»
«Mogadon mi ha detto di portare questo cesto di regali a Hiccup Haddock, come augurio per il suo viaggio di
ritorno.»
«Il principe
berkiano?»
«Oh,
miseria!»
«E qual è il
problema?»
La ragazza
agitò il cesto nervosamente: «Non ho alcuna intenzione di andare a bussare alla
sua capanna, a quest’ora di notte, poi! Mi vergogno come un cane».
«Ah, io non
ci penso nemmeno a portarglielo!»
«Te lo
scordi! La figura che ci farei!»
«Harriet,
perché non vai tu?»
La povera
Harriet, che si era messa a capo basso per nascondersi all’ombra dei propri
capelli, guardò le altre ragazze con aria timida: «Ma... ma perché proprio io?»
«Perché tu
sei la persona giusta per queste cose» le passò il cesto e la spinse in
direzione dell’uscita. «E poi sei carina questa sera, su!»
«Dai,
Harriet, non ti mangia mica.»
Le guance di
Harriet si erano fatte rosse come due lamponi. Non era la prima volta che le
altre ragazze le addossavano un compito scomodo, ma poiché lei obbediva sempre
- per via del suo carattere docile e gentile -, loro se ne approfittavano
spesso.
Pochi attimi
dopo stava già percorrendo la salita che conduceva alla capanna degli ospiti -
che fino a quei giorni era stata sempre vuota -, maledicendo se
stessa e la sua incapacità di dire di no. Si fermò davanti alla porta e aspettò
qualche attimo con il pugno chiuso, prima di bussare. Fece un passo indietro, e
poco dopo la porta si aprì mostrando le sembianze del ragazzone che aveva visto
il giorno prima al porto.
«Buonasera»
la salutò lui, con un sorriso cordiale.
Lei iniziò a
balbettare: «Scusate se disturbo a quest’ora, ma ho portato...»
«Chi è, Gambedipesce?» domandò una voce dall’interno, e poco dopo
comparve l’altro giovane più alto, con i capelli sciolti e una tunica a mezze
maniche. «Oh,» disse, «ciao!»
Harriet fece
un sorriso impacciato e si schiarì la gola. «Il Capo mi ha dato questo cesto
per portarlo a voi» lo porse a Hiccup. «Cioè, a voi,
nel senso... a voi entrambi.»
«Uh, grazie»
Hiccup prese il cestino in braccio e alzò il telo di
lino che stava sopra. «Cosa sono?»
«Regali...
per meglio dire, cibi nostri.»
«È molto
gentile da parte vostra» Gambedipesce le rivolse un
sorriso timido, mentre Hiccup frugava tra le pietanze
con una mano: «Gambe...»
«Cosa.»
«Questi
sono drommar* alle nocciole!»
esclamò, tirando fuori un biscotto dalla forma tondeggiante.
«Scherzi?»
«Io ci vado
matto per questi cosi» lo mise sotto i denti. «Hmm... me li faceva sempre mia
nonna.»
«Vi
piacciono, signore?»
«Signore?
Miseria ladra, non ho mica quarant’anni!» le rispose, masticando. «Sono Hiccup» le porse la mano.
Lei sorrise
e ricambiò la stretta: «Harriet».
«È un
piacere conoscerti, Harriet. E ti prego, dammi del tu.»
«Io sono Gambedipesce, piacere» vide che lei sorrideva, mentre le
stringeva la mano. «Lo so, il nome fa ridere.»
«Ma no, ho
sentito di peggio.»
«Sì, il mio»
Hiccup mangiò un altro biscotto. «Mi hanno dato il
nome di una contrazione delle viscere, dimmi se è normale...»
«Diciamo che
fra Berk e Hysteria potremmo fare a gara a chi ha il
nome più strano» disse Harriet.
«Gambe,
finiscili te questi biscotti, prima che faccia strage.»
«Ma grazie, Hiccup!» lo riprese l’amico, accettando il cesto. «Fammi
ingrassare dell’altro, è proprio quello che mi ci vuole!»
«Ehi, io
devo mantenermi lucido. Ho una dignità da conservare.»
«Dignità? Io
non so nemmeno più cosa sia, la dignità...»
Harriet
stava asfissiando dal ridere.
«Tanto va
sempre a finire così» si lamentò Gambedipesce,
portando l’oggetto dentro la capanna.
Hiccup si appoggiò
allo stipite della porta: «Non farci caso, Harriet. A Berk siamo peggio dei
cinghiali».
Lei
ridacchiò, intrecciando le dita delle mani: «Posso fare altro per te?»
Lui si toccò
il mento con sguardo pensante: «Veramente ci sarebbe una cosa...»
Gambedipesce irruppe
in quel momento: «No no! Siamo a posto, per oggi. Grazie, Harriet, sei stata
gentilissima» le strinse ancora la mano.
Hiccup li fissò
entrambi con sguardo da ebete: «Ma io volevo solo...»
«Ma noi ora
dobbiamo andare a dormire, perché domattina dobbiamo alzarci molto
presto per tornare a Berk!»
«Oh sì,
certo» lei fece un leggero inchino, mentre Gambedipesce
tornava dentro di corsa. «Buonanotte, Hiccup, e
grazie.»
«Grazie a
te» lui le sorrise e rientrò nella capanna. Non appena chiuse la porta sentì lo
sguardo severo dell’amico bruciargli addosso.
«Stavi per
chiederle di Astrid.»
Hiccup sbuffò.
«Dico, sei
pazzo o cosa?»
«E dai, ma
che male c’è? Almeno sapere come sta...»
«Non
possiamo destare sospetti. Soprattutto adesso che siamo riusciti a ottenere l’impensabile.
Vuoi buttare all’aria il piano?»
«No» Hiccup passò il palmo della mano sulla fronte. «Hai
ragione.»
Gambedipesce si
mise a sedere sulla branda dove aveva sistemato le pellicce per dormire
semisdraiato e favorire la respirazione durante il sonno. «Sono passati due
giorni e non si è ancora fatta viva. Questo vuol dire che non è qui.»
Hiccup, che aveva
preferito lasciargli il letto per farlo dormire tranquillo, si sedette per
terra e tirò su la coperta fin sotto il mento. «Si vede doveva andare così...»
Gambedipesce si
coprì e guardò il soffitto. «È incredibile che stai facendo tutto questo per
lei.»
«Lo faccio
anche per dimostrare a mio padre che non bisogna giudicare la gente a priori...
e che niente è impossibile, basta crederci.»
«Ma anche
lei sarà contenta, quando saprà la notizia di questo concilio.»
«Credo di
sì...» sorrise. «Chissà, magari quando la pace sarà fatta cambieranno un po’ di
cose.»
«Non ne
dubito. E a dire il vero lo spero, perché non ti sopporto più, è tutta l’estate
che mi parli di Astrid.»
«Piantala,
non è vero!»
«Continuamente!»
«Senti, ho
perso a Mazze e Artigli contro Finn Hofferson e mi ha
detto apertamente che faccio schifo» Hiccup cominciò
a ridere. «Ormai, peggio di così...»
«... Non può
andare.» Gambedipesce soffiò sulla candela a destra e
la stanza divenne buia. «Sono stati davvero gentili con noi. Non me
l’aspettavo.»
«Già.»
«Chissà chi
è questo Thuggory. È sempre sulla bocca di tutti...»
Hiccup aprì un
occhio: «È il figlio di Mogadon, giusto?»
«Chissà se
lui sarebbe stato d’accordo, con l’idea di quel contratto.»
«Boh, fatto
sta che domattina partiamo. Chi s’è visto, s’è visto.»
«Eh sì,
ormai è fatta. Abbiamo già festeggiato i nostri successi e subito le
nostre umiliazioni...»
«Dormi, Gambedispesce» lo zittì Hiccup,
scivolando lentamente nel sonno. «Non farmici pensare più, a quella partita.»
— 6 —
Berk
Arcipelago Barbarico
Gunilla
stava spazzando il pavimento di pietra della Grande Sala. Era il suo turno,
quella sera, e si era promessa di concludere entro la mezzanotte. Scese gli
scalini e cominciò a spostare il sudiciume verso le colonne sulla destra. D’un
tratto sentì, tra una ramazzata e l’altra, uno strano parlottio proveniente
dalla parte opposta della sala.
Fece qualche
passo più in là e capì subito che erano i gemelli. Si erano seduti a un tavolo,
l’uno accanto all’altro, e stavano discutendo di un argomento che attirò subito
l’attenzione del suo udito, sempre teso e interessato alle nuove notizie.
«Ormai
saranno già arrivati a Hysteria» disse Testa di Tufo.
«Secondo te
li avranno accolti o respinti?» chiese Testa Bruta.
«Potrebbero
anche averli impiccati o scotennati.»
«No, gli Histerici sono più tipi da decapitazione...»
Si avvicinò ancora,
origliando la conversazione, finché Testa Bruta non alzò la testa e la salutò.
«Ehi, Gunilla!»
«Ciao,
ragazzi» Gunilla smise si spazzare e si avvicinò al tavolo.
«Stavi
spazzando, eh?» la ragazza passò il dorso della mano sotto il naso. «Una palla...»
«Già, non è
proprio il massimo... però mi manca poco a finire. E voi,» aggiunse, «di che
stavate parlando?»
«Stavamo
cercando di ipotizzare se Hiccup e Gambedipesce sono vivi o morti» rispose Testa di Tufo. «Da
quando sono partiti per Hysteria, qui siamo tutti in
ansia!»
Gunilla
aggrottò la fronte: «Ecco perché vedevo Sdentato gironzolare da solo, in questi
giorni».
«Già, il
boss ha dovuto lasciare qui il suo drago per partire in missione.»
«Missione?»
Testa Bruta
mostrò il palmo della mano: «È andato a Hysteria a
parlare con Mogadon lo Spaccateste
per fare un trattato di pace. Stoick dice che è
completamente impazzito».
Gunilla
guardò di lato, stringendo il manico della scopa: «A Hysteria, eh?»
«Proprio
così.»
«Chissà
perché...» rispose la ragazza con una nota di sarcasmo.
«È andato
fuori di testa» rispose Tufo. «È quella, l’unica spiegazione.»
«Ha
coinvolto anche Gambedipesce nel suo piano» ridacchiò
Testa Bruta. «Appena glielo ha detto se l’è fatta sotto.»
Gunilla
scosse la testa e si voltò per tornare a spazzare, quando Testa di Tufo la
fermò: «Guni, ma... cosa è successo tra voi due?
Insomma, tra te e Hiccup. A inizio estate».
«Niente,
Tufo» rispose lei. «Non è successo niente. Perché?»
«Ehm, girano
voci... sul tuo conto...» Testa Bruta strinse i denti.
Gunilla li
guardò di traverso. «Voci?»
«Malelingue.»
«Dopo tutto
quell’amoreggiare con Moccicoso, quella sera... pensano che hai tenuto il piede
in due scarpe, ecco.»
Testa Bruta
s’innervosì quando notò che Gunilla la stava fissando con uno sguardo assassino
e un pugno sul fianco. «Sorella,» si difese, «lo sai che non ti approvo per ciò
che hai fatto quella sera, però io l’ho detto che non era niente di ufficiale e
che tu sei fatta così.»
«Chi ha
messo in giro queste voci?»
I gemelli
alzarono le spalle. «Tutti hanno visto che tu e Hiccup
non vi rivolgete più la parola. Dicono che lui si è sentito preso in giro da te
e che la cosa non gli è andata giù.»
«E quindi è
andata a finire che la poco di buono sono io, non è così?»
«Beh, se la
metti su questo piano...»
«Statemi
bene a sentire» Gunilla poggiò una mano sul tavolo e puntò l’indice. «La gente
può dire quello che vuole. Io non sono una schiava, sono una donna libera, e in
quanto tale ho il diritto di decidere delle mie azioni: primo. Secondo, non ho
fatto il voto di castità a nessuno, e non sono legata ad alcun tipo di vincolo
affettivo perché io non faccio promesse» esordì. «Terzo, dite al vostro
"boss" che il suo giudizio può andare a stroncarselo nel culo.»
«Ma...»
«Nessuno sa
com’è andata realmente, ma siccome la donna sono io, è ovvio che sono io la
responsabile, la malfattrice, la poco di buono...!»
«Stai
esagerando, Gunilla... nessuno ha detto questo.»
«La gente parla
tanto, ma non lo sa che io, quella cosa, l’ho fatta per ripicca.»
«Ripicca?»
«Mi sono
vendicata, sì.»
«Perché.»
«Perché lui
mi ha usata.»
I gemelli la
guardarono, increduli.
«Cosa
credevate? È lui che mi ha presa in giro, per tutto il tempo» spiegò la
ragazza, mettendosi dritta.
«Ma come...»
«È evidente
che aveva qualcun’altra per la testa e stava usando me per
distrarsi.»
«Non è
possibile...» disse Testa di Tufo.
«Visto? È
questo quello che dicono tutti quando si tratta di Hiccup.
Guardate che non è perfetto, anche lui, come tutti, può sbagliare!» alzò il
tono della voce. «Passava il tempo con me e nello stesso momento pensava a Miss
Biondina-arrogante, laggiù. E io che cosa sono, la bambola usa e getta?!»
«Gunilla, io
conosco Hiccup da quando siamo nati», asserì Testa di
Tufo, «e ti posso assicurare che lui non è affatto il tipo che usa le persone
in questo modo.»
«Assurdo...»
Testa Bruta portò le mani sulle guance.
«Sapete, io
sarò anche la figlia di un falegname, sarò povera e ignorante, ma non sono
stupida» disse incrociando le braccia. «Credeva che non me ne sarei accorta?
Beh, non è così. Ho fatto quello che ho fatto per fargli capire chiaramente che
io non pendo dalla sua bocca, che non sto a piangermi addosso per i suoi
capricci e soprattutto che non mi faccio prendere per i fondelli da nessuno.
Occhio per occhio, dente per dente.»
«Se parli di
lui in questo modo, allora vuol dire che non lo conosci abbastanza» insistette
Testa di Tufo, con tono basso e calmo.
«Secondo me
hanno sbagliato tutti e due» rifletté Testa Bruta. «Perché se le cose stanno
così, lui non è stato affatto carino a dare false speranze...»
«Io non mi
ero illusa affatto», la interruppe Gunilla, «e neanche speravo in un lieto
fine. Se non eravamo destinati va bene così, pace. Però ecco, io la vedo più
come una questione di rispetto reciproco.»
«È stato un
malinteso, tutto qui» disse Tufo.
«È vero,
Tufo, è stato un malinteso» Gunilla riprese la granata tra le mani. «Quello che
non sopporto è che ci si accanisca subito contro di me, senza nemmeno sapere la
verità.»
«Gunilla, ma
ti sei davvero offesa?»
«Stavamo
solo parlando...»
«Lo avete
fatto anche voi» la sua voce s’indebolì repentinamente. «Non mi sorprende che
vi siate schierati subito dalla sua parte, è il vostro amico» tirò su con il
naso e riprese a spazzare con più violenza. «Lui ne può avere anche cento, di
ragazze. Lui è un uomo, è libero di farlo, non c’è niente di male...»
Testa Bruta
s’intristì, quando la sentì parlare con il magone, mentre si passava le mani
sugli occhi: «Possono pensare quello che vogliono, a me non importa... non mi
importa niente».
Fece per
andarle in contro, ma suo fratello la fermò e le disse con un cenno di
lasciarla sola, avviandosi verso l’uscita. Non appena fu sulla soglia del
portone, Testa Bruta si voltò un’ultima volta e sentì il cuore spezzarsi,
quando vide Gunilla, ferma sul posto, iniziare a piangere in silenzio.
— 7 —
Hysteria
Arcipelago Barbarico
«Sono a casa!»
Astrid varcò la porta d’ingresso e buttò la bisaccia sul tavolo. «C’è nessuno?»
«Ehi,
Astrid,» sua madre comparve dalla porta che accedeva alle camere. Aveva una
coperta sulle spalle. «Com’è andata la caccia?»
«Benissimo,
mamma! Quest’anno è stata fruttuosa.»
«Bene, sono
contenta.»
«È
mezzogiorno ma sto morendo di sonno. Stanotte ho dormito pochissimo...»
«Se hai
fame, qui c’è il brodo di gallina caldo.»
«Bene»
Astrid strofinò le mani e andò a prendere una ciotola di legno per servirsi.
«Allora, che mi sono persa in questi giorni? Niente di nuovo, vero? Non succede
mai un cavolo su quest’isola...» soffiò sul mestolo e guardò sua madre. «Che è
quella faccia?»
La donna si
avvicinò con un sorriso civettuolo e le prese le mani, invitandola a sedersi
sulla panchina vicino a lei: «Tesoro mio, non indovinerai mai chi è venuto in
questi giorni».
Astrid piegò
la bocca all’ingiù: «Boh, che ne so. Un mercante sventurato?»
Sua madre si
morse il labbro inferiore, che non stava più nella pelle.
«Ma che hai?
La pressione alta?»
«È venuto il
figlio di Stoick l’Immenso, in persona, da Berk.»
Astrid
guardò un punto nel vuoto e poi di nuovo sua madre: «Eh?»
Lei scoppiò
a ridere. «È stata una visita inaspettata, ha sorpreso un po’ tutti, devo
dire.»
Astrid era
ancora imbambolata: «Quando».
«Ehm, due o
tre giorni fa. È andato via ieri mattina presto.»
La ragazza
batté le palpebre e scosse appena la testa come per svegliarsi da un
incantesimo. «Oh, oh...» balbettò. «Beh... e perché?»
«È questo il
bello!» esclamò la mamma, elettrizzata dalla portata del pettegolezzo. «È
venuto a parlare con Mogadon, per illustrargli le
clausole di un contratto di pace!»
Astrid
chiuse un momento gli occhi e ritirò le labbra per trattenere tutte le passioni
che sentiva crescere dentro di sé. «E Mogadon che ha
detto.»
«Ha
accettato» esultò la mamma. «Hanno organizzato un concilio che si terrà tra
trenta giorni, nel palazzo delle assemblee nell’Isola del Silenzio. Lì Stoick e Mogadon si incontreranno
insieme ai membri del concilio delle loro isole, trarranno le conclusioni del
contratto e firmeranno la pace.»
Astrid cercò
di raccogliere quel poco di autocontrollo che le restava per non gridare a
squarciagola e rovesciare il tavolo, le panche e tutti i piatti. «È fantastico,
mamma.»
In quel
momento sentirono varcare la soglia. «Piccola peste» disse Finn, entrando in
casa con un fastello di legna. «Hai scovato un bel po’ di cacciagione, ho
visto!»
«Finn» la
donna si alzò per apparecchiare. «Hai fame? Ho preparato il brodo.»
Astrid approfittò
del momento per prendere un bicchiere d’acqua e cercare di inalare più ossigeno
possibile.
«Sto morendo
di fame!» esclamò lo zio, accatastando la legna accanto al focolare. «Ehi,
Astrid, dopo mi aiuti a spezzare il daino eh!»
«Sì, zio...
Adesso credo che laverò i piatti...»
«Prima di
mangiare?»
«Sì, non
credo di avere più fame...»
«Cara, ma ti
senti bene? Stai tremando.»
«Sto
benissimo, mamma» rispose, un po’ titubante. Si diresse verso il bacile
riempito d’acqua e vi gettò dentro piatti e posate di legno, mentre gli altri
due cominciavano a mangiare il brodo.
«Hm, Finn,»
la donna lo chiamò, «perché non rifai l’imitazione di quel ragazzo di Berk? Mi
hai fatta sganasciare dal ridere ieri.»
«Ah già!
Astrid,» Finn bevve dal cucchiaio e si alzò in piedi, «questa la devi sapere
perché è uno spasso.»
Astrid girò
la testa e lo guardò.
«Hai
conosciuto il figliolo di Stoick l’Immenso quando eri
a Berk, no?»
«Sì... di
vista» mentì Astrid.
«Che
personaggio... Io penso che tipi come quello ne conosci uno ogni mille anni. Se
ne arriva su una barchetta, senza scorte e senza armi, con la compagnia di due
marinai e il suo compare dal nome strano che è il quintuplo di lui...»
«Gambedipesce, vero?»
«Sì, esatto.
Insomma arriva, tutto ben vestito, posato ed educato, e quando è davanti al
tavolo del consiglio di Hysteria...» Finn allargò le
braccia e si mise in posa nell’imitazione più fedele e spassosa che nessuno
sarebbe mai stato capace di imitare così bene. «"Gentili signori del
consiglio, lasciate che mi presenti umilmente come Hiccup
Horrendus Haddock Terzo degli Hooligan figlio di Stoick Primo l’Immenso degli Hooligan figlio di..." e
non so quanti nomi ha detto.»
Astrid scoppiò
a ridere, vedendo suo zio andare avanti con quell’imitazione così realistica -
soprattutto quando agitava le braccia e le spalle balbettando - e sua madre,
che si era già piegata in due.
«Zio, ti
prego smettila» Astrid si asciugò una lacrima, cercando di calmare il troppo
riso. «Prima che mi venga un crepacuore.»
Finn si mise
seduto a tavola e riprese a mangiare, parlando con più serietà. «È stato
portentoso. Quello se diventa capo ti fa un mazzo così, alle assemblee.»
«Gli hai
fatto almeno i complimenti per il suo discorso?»
Finn ascoltò
la domanda di sua cognata aspirando rumorosamente il brodo: «Nemmeno morto».
«Ma dai...»
«Abbiamo
giocato tutta la notte a Mazze e Artigli e ha perso. È molto bravo a giocarci,
ma pur di non dargli soddisfazione gli ho detto: "Ragazzo mio, fai proprio
schifo. Buonanotte!" e sono andato via.»
«Ma quanto
sarai ignorante!»
«Non sono
ignorante» rispose Finn. «Sono un Hofferson.»
Mentre loro
continuavano a parlare, Astrid sgattaiolò via di nascosto ed entrò in camera
sua, richiudendo la porta dietro di sé. Gettò la testa indietro e sorrise:
forse c’era davvero una possibilità. Forse le loro vite stavano per cambiare in
meglio.
Aprì il
grosso baule sulla destra, e dopo aver frugato un po’ tirò fuori il kyrtill verde che aveva conservato in segreto
dall’anno prima. Si alzò in piedi e lo osservò a lungo con un sorriso stampato
sul volto, per poi stringerlo forte al petto e ricercare col naso, tra le
fibre, l’odore di colui che ne era stato il proprietario.
Avvertì quel
senso di leggerezza che sentiva soltanto di notte, quando sognava di varcare i
confini del cielo sul dorso di un drago. Era così persa nelle fantasie che non
si era neppure resa conto di aver iniziato a girare in tondo con aria sognante,
la mente piena di domande sul futuro, di se e di ma,
di immagini e storie con un solo e unico protagonista.
Se qualcuno
fosse entrato nella camera di Astrid Hoffeson in quel
preciso istante, e l’avesse vista in quelle condizioni, l’avrebbe certamente
presa per pazza.
— 8 —
Berk
Arcipelago Barbarico
Hiccup Horrendus Haddock Terzo varcò l’ingresso della Grande Sala,
seguito da Skaracchio e dal suo fedele Furia Buia che,
non avendolo visto per due settimane intere, saltellava avanti e indietro con
la lingua penzoloni e una forte agitazione in corpo.
Stoick l’Immenso,
allora seduto sul trono, non appena vide il figlio avanzare verso di sé tutto
pimpante non poté trattenere un sorriso: «Sei tornato vivo, vedo».
«Vivo,
vegeto, sazio e soddisfatto, mio caro paparino» rispose il giovane,
sbandierando il rotolo di pergamena.
«Scherzi,
Haddock?»
«No,
affatto» Hiccup gli passò il foglio e poi scese gli
scalini, dandogli il tempo di leggere la prova della sua piccola vittoria.
«Come
accidenti hai fatto a convincere quel bracalone di Mogadon?»
«Eh,
padre... storia lunga.»
«L’hai
pagato.»
«No.»
«L’hai
minacciato.»
«Neanche.»
«Gli hai
regalato un prosciutto di yak.»
«Ma no!»
«Hai usato
la peggiore arma di tutte...»
«No, padre,
nessuna arma pericolosa. Questa, vecchio mio, si chiama retorica.»
Stoick squadrò più
volte il foglio da cima a fondo, per poi arrendersi di fronte all’evidenza.
«Questa è proprio la firma di Mogadon» ammise. «Sono
senza parole, figliolo.»
«Ancora non
ci credi, eh?» Skaracchio avvolse un braccio attorno
alle spalle del ragazzo, stritolandolo. «È stato bravo, il nostro Hic.»
«È stato
merito anche di Gambedipesce. Non ce l’avrei mai
fatta senza di lui.»
«Ma dov’è,
ora?» chiese Skaracchio, guardando indietro.
«Ha avuto
qualche problemino con il mal di mare...» rispose Hiccup,
liberandosi dalla presa ferrea del grande fabbro.
«Per
raggiungere l’Isola del Silenzio in questa data dobbiamo prepararci un po’
prima con le navi» pensò Stoick ad alta voce,
alzandosi dal trono.
«Padre» Hiccup lo fermò. «Mogadon è stato
gentile e disponibile nei miei confronti. Io ho fatto il possibile e sono fiero
di aver raggiunto questo traguardo. Ma questo è solo l’inizio, ora dipende tutto
da te.»
Stoick non rispose
e si avviò verso l’uscita.
«Promettimi
che proverai a trovare un compromesso» gli disse, seguendolo. «Promettimelo.»
«Hiccup, io cercherò di avere giudizio e di fare ciò che è giusto»
rispose il grande Capo. «Ma non ti prometto niente.»
Uscì dal
portone e prese a scendere giù per la scalinata. «Lascerò Berk al tuo comando,
mentre sarò via.»
Hiccup si fermò
sulla soglia e prese un respiro, mentre Sdentato spingeva la testa contro il
suo fianco. «Mio padre non è ancora convinto. Ma io ho fiducia in questo piano,
bello» lo accarezzò sul naso. «Funzionerà.»
* * *
Hysteria
Arcipelago Barbarico
«È una
follia» Thuggory finì di leggere la copia del
contratto e gettò la pergamena sul tavolo davanti a suo padre.
«Thuggory, hai letto cosa c’è scritto sul quel foglio o
parli tanto per dare aria ai denti?»
Astrid, che
era seduta all’estrema destra del tavolo del Consiglio, scosse la testa con
disappunto. Erano lì in pochi, quella sera. Solo il Capo e i suoi consiglieri
più fidati.
«Ho letto
tutto con la massima attenzione, padre. E lo ripeto, è una follia.»
«C’è scritto
che possiamo riprendere i contatti con l’esterno. Non saremo più isolati, Thuggory. Potremo riprendere i commerci con le altre isole
dell’Arcipelago, sai cosa vuol dire questo?»
«Potremo, ma
solo con determinate regole. C’è scritto lì.»
«E ti pare
poco?» sbottò Mogadon. «Sai cosa vuol dire questo per
la nostra economia, dopo anni e anni di isolamento?»
«Quella è
solo la bozza del contratto. È una proposta, non è ancora nulla di ufficiale»
rispose il ragazzo con sicurezza. «Non è che se arriva un tipetto bravo a
parlottare, tu rimani incantato e credi a tutte le promesse che ti fa.»
«C’è la
firma di Stoick, su quel foglio. È convalidato, non è
una presa per i fondelli, ragazzo.»
«E chi ti
dice che questo Hiccup, o come cavolo si
chiama, stesse dicendo la verità? Chi ti dice che questo non sia un piano
architettato da lui e da suo padre per fregarti?»
«Ma andiamo,
Thuggory...»
«Pensaci.
Loro stanno benissimo lassù, vivono in pace e sono ricchi economicamente. A
loro non gioverebbe nulla, questo trattato, quindi perché scomodarsi tanto per
aiutarci?»
«Perché c’è
anche chi pensa al bene degli altri, là fuori» Astrid incrociò le braccia. «E
non solo a se stesso, come fai tu.»
Lui le
rivolse uno sguardo assassino, che Mogadon smorzò
immediatamente quando riprese il discorso: «Ascolta, Thuggory.
Sai che io ti chiedo sempre consiglio prima di procedere, ma questa volta non
ho intenzione di lasciarmi sfuggire un’occasione del genere».
«Diamine,
quel ragazzo ha convinto pure me!» esclamò Osvald. «E
lo sai che per convincermi ce ne vuole! Sono più cocciuto di un mulo e non
cambio idea nemmeno sotto minaccia!»
«Ma voi
avete parlato con lui, non con Stoick!» insistette Thuggory. «Suo figlio non conta un accidente in questa
faccenda. È il capo che decide, è lui che firma il trattato, dannazione.»
«Al concilio
ne parleremo e ci metteremo d’accordo sui particolari.»
«Padre, ma
per favore!» Thuggory lo invitò a parlare seriamente.
«Non vi siete mai potuti vedere, vi siete fatti la guerra a vicenda per anni, e
nei periodi di "pace" non facevate che mettervi i bastoni fra le
ruote. Ora tutto a un tratto pensi davvero di metterti d’accordo con lui senza
trovare riscontri?»
«Viva
l’apertura mentale...» commentò Astrid, guardandosi le unghie.
«Io aspiro a
un cambiamento, Thuggory» spiegò il Capo con estrema
serietà. «Io ho visto cosa eravamo un tempo, eravamo ricchi e potenti,
rispettati. E adesso? Ci hanno cancellati dalle mappe dei commerci, non
esistiamo più. Dobbiamo uscire da questo guscio, figliolo, dobbiamo riprendere
vita, e questo è il primo passo.»
«Non sempre
il cambiamento porta esiti positivi» rispose Thuggory,
rimanendo sulla sua posizione. «E a me questa storia non piace per niente...
c’è qualcosa sotto, me lo sento.»
«Quello che Thuggory vuole dire», intervenne Finn, «è che dovremmo
prestare molta attenzione a questo concilio. La questione è delicata, e se il
giovane Haddock si è mostrato aperto e disponibile, non è detto che anche Stoick lo sia.»
«Certo,
certo, questo lo terrò in considerazione. Ora andate» disse rivolto ai due
ragazzi. «Noi dobbiamo finire di discutere sulla nota dei commerci, e vedere di
riuscire ad ottenere un vantaggio maggiore.»
Astrid diede
la buonanotte e uscì dalla Grande Sala. Imboccò la stradella che conduceva
verso la sua casa, quando una presa ferrea l’abbrancò per il braccio e la
spinse contro la pianta di un olmo a qualche passo di distanza.
«Stammi bene
a sentire» Thuggory inchiodò le sue spalle al tronco
con forza e le puntò contro l’indice. «Prova anche solo un’altra volta a
contraddirmi e a mettermi in ridicolo davanti al Consiglio e quel visetto te lo
rovino a suon di pugni, è chiaro?»
«Che cosa?»
«È
chiaro?» ripeté lui, con tono di minaccia.
«Intanto
metti giù quelle mani!» lei si liberò con uno strattone e gonfiò il petto con
rabbia. «E non ti provare più a spingermi in quel modo, che la prossima volta
ti rifilo un calcio nei...»
«Se c’è una
cosa che non sopporto», la interruppe, «è di essere preso in giro da una donna,
in sede di assemblea.»
«Io dico
quello che mi pare, per Odino!»
«No, tu devi
imparare a frenare la lingua, alla presenza degli uomini. E se io parlo da solo
con mio padre, tu non ti devi permettere di mettere bocca!»
«Ma
piantala, Thuggory, una buona volta» lei fece in una
smorfia e si avviò. «E vedi di far prendere aria a quella testa bacata che ti
ritrovi.»
Lui le prese
il braccio sinistro e glielo storse dietro la schiena, ma lei fu svelta, riuscì
a liberarsi e a sferrare un pugno con l’altra mano. Lui le fermò il polso
all’altezza del viso e lo strinse così forte da impedire la circolazione del
sangue.
«Lasciami»
lo intimò a denti stretti.
«Forse non
ti è chiaro il concetto» ribadì il ragazzo con tono veemente. «Non devi
rispondermi e non devi sminuirmi. Devi portarmi rispetto, perché la mia
opinione vale esattamente quanto la tua.»
«Sai perché
nessuno ascolta le tue opinioni? Perché non valgono un cazzo» lei avvicinò la
bocca alla sua, con estremo disgusto. «Esattamente come te.»
Gli occhi di
Thuggory lanciarono uno strenuo grido di minaccia
nello stesso istante in cui la lasciò andare. Lei fece un passo indietro,
cercando di sopprimere il dolore al braccio: «Prova a mettermi di nuovo le mani
addosso e giuro che ti faccio fuori», il suo sguardo era crudo e senza paura.
«Che sia chiaro.»
«Bah!» Thuggory le passò avanti e si allontanò, con un mezzo
sorriso. «Tu bada bene a come ti comporti, da ora in poi. E fa’ che non
risucceda, perché la prossima volta che ti metterò le mani addosso non la
racconterai più.»
«Uh, certo»
lo schernì, alzando la voce per farsi sentire. «Tremo proprio dalla paura,
guarda!»
Era rimasta
sola, lì vicino all’albero a massaggiarsi il polso. Non aveva mai pensato che
l’atteggiamento di Thuggory potesse prendere una
piega simile, ma in fondo non le importava. Il giorno dell’assemblea era sempre
più vicino, e ogni momento passato non faceva che accrescere la sua speranza e
la sua fiducia in un destino diverso.
* * *
Ormai era
autunno. Astrid lo percepì non appena fu fuori dalla porta di casa, quella
mattina. Il cielo era nuvoloso e il vento spirava dal mare annunciando l’arrivo
della pioggia.
Si strinse
nella mantella e vide al porto le tre piccole navi, pronte a solcare le onde
dello Stretto dell’Ira di Thor e raggiungere l’Isola del Silenzio a nord-ovest.
«Sei già in
piedi, piccola peste?» Finn Hofferson uscì di casa
ben vestito, con un grosso mantello nero sulle spalle.
«Sì. Volevo
assistere alla vostra partenza.»
«Ti vedo
sorridente» le mise un braccio intorno alle spalle e presero a scendere giù per
il villaggio, in direzione del porto. «Sei contenta di questo concilio?»
«Sì, lo
ammetto... Ma sono anche un po’ nervosa.»
«Ammetto di
esserlo anch’io, un pochino. Sai, si tratta pur sempre di far dialogare Mogadon e Stoick senza far volare
i coltelli.»
Si fermarono
in cima alla scalinata di pietra.
«Non starò
via per molto» la rassicurò. «Qualche giorno... proprio a esagerare, una
settimana. Dipende da quanto ci metteranno quei due a mettersi d’accordo»
incontrò il sorriso di sua nipote e la strinse al suo fianco per lasciarle un
bacio sulla testa. «Tieni d’occhio la mamma. Ah,» aggiunse, «e comincia a
ripulire quelle pellicce che ho messo nel cesto in bottega, che quando torno le
conciamo per bene!»
«Sissignore
agli ordini!» rispose la ragazza sull’attenti, mentre lui cominciava a scendere
le scale.
Astrid restò
lì ad aspettare finché le navi non furono sparite al di là del promontorio. Si
strofinò le mani, esaltata, si voltò e tornò a casa saltellando come una
bambina.
— 9 —
Stava
ripulendo una pelliccia di coniglio grezza al lume di una candela, quando il
suo udito colse un suono lontano, quasi impercettibile, proveniente
dall’esterno.
Era una voce
indistinguibile che ripeteva: «Sono tornati!»
Astrid
drizzò la testa, e un sorriso raggiante le illuminò il viso. Si alzò
immediatamente e corse in direzione della porta, incappando in sgabelli
pellicce e mobili, mentre il cuore cominciava a batterle all’impazzata. Si
gettò sull’anta e uscì all’esterno della capanna, cercando di scorgere il porto
dall’alto.
Era una
bella giornata di sole, con qualche nuvola passeggera qua e là. Non c’era
vento, ma l’aria era umida e faceva molto freddo.
Si diede a
una corsa sfrenata giù per il villaggio - ostacolata dal lungo e ingombrante
vestito azzurro che indossava - e quando arrivò in cima alle scale di pietra
era già in preda all’eccitazione. Alzò il lembo della gonna e iniziò a
scendere, impaziente di sentire i risultati del tanto atteso concilio, quando
s’imbatté nella figura di Thuggory, che stava
risalendo le scale di corsa. Gli sorrise, perché in quel momento avrebbe
sorriso a chiunque, ma quando vide che lui aveva gli occhi lucidi e arrossati,
e teneva in braccio un involto di panni intrisi di sangue, il peso del tempo le
crollò addosso come un macigno.
Thuggory si
accorse che lei fissava le stoffe di lino come se si fosse paralizzata. Aveva
fretta, ma si prese quei secondi in più per dirle che cosa significassero.
«Opera dei
tuoi amici berkiani, eh...»
Astrid
guardò in basso, e solo in quel momento si accorse che al porto c’era una sola
nave attraccata, delle tre che erano partite giorni prima.
Discese la
scalinata e arrivò di corsa nel punto in cui si dipartiva la passerella
dell’area di approdo. Al di là delle gomene e delle reti da pesca sparse sulle
assi, vicino alle cime di ormeggio della nave, c’era sua madre. Era di spalle,
e aveva i capelli biondi raccolti in una crocchia dietro la testa.
Stava
parlando con Mogadon, che in quel momento era a capo
chino e le parlava a bassa voce, mentre le stringeva la mano. Astrid non poteva
sentirli. Solo lo strillare dei gabbiani e il languore del mare.
Ma tutto le
fu chiaro, e un senso di paura le squarciò il petto quando vide sua madre
crollare in ginocchio, il viso coperto dalle mani.
E piangere.
FINE
PRIMO VOLUME
Tvímánuður: nel calendario
norreno corrisponde al periodo compreso tra il 15 agosto e il 14 settembre.
Skute: era la più piccola
delle imbarcazioni vichinghe, destinata generalmente a corrieri, piccoli
trasporti e viaggi. Poteva contenere dai tre agli otto uomini.
Gambedipesce Ingerman: nome
completo di Gambedipesce, ripreso dalla serie
tv Dragons: Race to the Edge. Nella serie di libri, invece, non ha
cognome.
Quisqeya: nome con cui la
popolazione indigena dei Taino chiamava l’isola di Hispaniola (oggi divisa tra
gli stati di Haiti e Repubblica Dominicana), nei Caraibi. Il termine si
legge kiskeya, e significa «madre di
tutte le terre».
A capite ad calcem: locuzione
latina che significa «da capo a fondo», quindi, «dalla testa ai piedi».
Drommar: biscotti di
origine svedese. Il termine significa «sogni».
Sintesi
illuminante | L’Isola del Silenzio (Silence) è ripresa dalla serie di libri.
N.d.A.
(2017) | Tutto, mi sarei aspettata, tranne che pubblicare
l’ultimo capitolo di questo libro proprio il giorno di Natale!
Ci siamo: questo è il punto di svolta da cui dipenderanno tutte le vicende del
Secondo Volume. Questa prima parte è stata una sorta di preparazione,
e solo adesso si entrerà nel vivo della storia. La trama del prossimo libro,
che è già stata tutta pianificata, non ha ancora certezze riguardo la quantità
di capitoli.
Poiché sono un po’ scombussolata dalla conclusione di questo Primo Volume - che
ha subito vari mutamenti dall’anno scorso, prima di arrivare all’edizione
definitiva -, non posso far altro che ringraziare i gentili lettori per aver
letto e commentato, e per avermi accompagnata in questa prima avventura.
Sperando che continui a piacervi e appassionarvi, vi auguro delle Buone Feste
un felice anno nuovo :)
Eilonwy