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Autore: Traumerin_    11/04/2023    2 recensioni
Dopo anni passati a cercare di ricucire la ferita lasciata dalla partenza di Magnus, Alec può finalmente godere del nuovo equilibrio che è riuscito a raggiungere: lavora come avvocato presso la Penhallow Fell, ha una relazione stabile con un uomo e le sue giornate sono piene dei sorrisi e dei pasticci di suo figlio.
Ancora non sa, mentre il passato avanza insidioso nelle crepe della sua felicità, che Magnus sta facendo ritorno a New York, animato dalla necessità di recuperare il tempo perso con il suo piccolo Max – e pronto a sconvolgere qualsiasi armonia.
Convinti di doversi disporre su fronti nemici, Alec e Magnus saranno costretti ad accantonare le ostilità per affrontare un ostacolo che non avrà pietà delle loro intenzioni – e se nel percorso decideranno di tenersi la mano o continuare guardarsi con disprezzo, dipenderà solo da loro.
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alec Lightwood, Magnus Bane, Max Lightwood-Bane
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Una bugia ha bisogno di sette bugie.
 
CAPITOLO TRE
Il valore delle parole
 
Alec non ricordava come fosse nata l’abitudine di ordinare cibo cinese ogni volta che dovevano affrontare una discussione, né perché il fattorino fosse diventato consapevole di quella tradizione, ma dovette prenderne atto quando il ragazzo gli consegnò il suo ordine e una battuta incoraggiante.
Forse si era fatto sfuggire qualche lamentela di troppo – un errore inaccettabile per chi era cresciuto imparando a schivare le domande inopportune del signor Bernard – o forse gli occhioni ambrati del rider erano riusciti ad estorcergli più informazioni di quante avesse immaginato – e qui Alec non poteva che accusare il suo debole per i ragazzi asiatici.
«Temevo che aveste cambiato ristorante» ridacchiò il ragazzo mentre prendeva il sacchetto dallo zaino incastrato sulla bicicletta.
«Il vostro non è forse il miglior ristorante cinese di Manhattan?» domandò Alec, poggiandosi con una spalla alla colonna nell’atrio, realizzando che fosse passato più di un mese dall’ultima volta che lui e Ralf avevano discusso.
Il ragazzo – Tian – si strinse nelle spalle «Ha una buona concorrenza.»
«Sarebbe?»
Il castano corrugò la fronte per qualche istante, in un’espressione pensierosa che Alec non riuscì a non trovare tenera: Tian era appena oltre la soglia dell’adolescenza, ma l’età non era mai stata un deterrente agli impacciati tentativi di flirt.
Alec, che a venticinque anni aveva raggiunto piena consapevolezza del proprio aspetto e dell’effetto che aveva sulle persone – complice l’essere stato costretto ai riflettori per la sua relazione con Ralf – non poteva che sorridere delle attenzioni di Tian, lasciandosi la libertà di stuzzicare il ragazzino con provocazioni che sfumavano veloci nell’aria.
«Non posso dirtelo, altrimenti cambieresti ristorante e non ti vedrei più» rispose, compiaciuto dal suo stesso ragionamento.
Alec si lasciò andare ad una risata ilare «Tu sì che sai come ottenere quello che vuoi» commentò ironicamente, avvicinandosi per lasciargli una mancia generosa «Però magari non avrei cambiato ristorante lo stesso» aggiunse in tono più basso, indirizzandogli un occhiolino fugace.
Era pronto a fare retromarcia e lasciarsi quello sprazzo di divertimento alle spalle, quando avvertì la mano del ragazzo posarsi gentile sul suo braccio per richiamare la sua attenzione.
Alec gli rivolse uno sguardo interrogativo e Tian si grattò la nuca in imbarazzo, come se stesse cercando le parole giuste per chiedergli qualcosa.
«Avevo sperato che non ci steste più chiamando perché vi eravate lasciati» ammise, arrossendo appena «Troppo diretto?» chiese l’attimo dopo, notando lo stupore di Alec.
Il maggiore, ignorando la fitta al cuore, gli rivolse un’occhiata divertita «Un po’. E poi, se ci lasciamo, tu perdi un cliente.»
«Ma ci guadagno un ragazzo!» ribatté immediatamente, come se avesse avuto quella battuta pronta da un pezzo.
Alec scosse la testa in un moto di rassegnazione «Il tuo capo lo sa che vai in giro ad abbordare i clienti?»
«Solo i più belli» ammiccò sfacciatamente.
Il moro annuì, lasciandosi sfuggire un ghigno «D’accordo, ragazzino, ora vai a trovare qualcun altro da importunare» si congedò «E fai attenzione per strada.»
Soddisfatto della piega che aveva preso la conversazione, Tian s’aggiustò il casco sulla testa e lo salutò con un gran sorriso, riuscendo a trasmettergli un buonumore tale da fargli momentaneamente dimenticare che, ad una decina di piani più sopra, lo aspettasse una discussione che avrebbe potuto sconvolgergli la vita.
L’allegria sfumò nell’esatto istante in cui si trovò dinnanzi a Ralf, occupato a disporre tovaglioli e bicchieri sul tavolino del soggiorno, dove erano soliti consumare la loro ordinazione.
Contrariamente ad Alec, l’uomo indossava ancora gli abiti con cui si era recato al lavoro quella mattina, talmente abituato ad essere fasciato da pantaloni e camicia da non avvertirne neppure la scomodità mentre si sedeva a gambe incrociate sul tappeto.
«Tian ci ha provato ancora?» gli domandò, prendendo la busta e posando le scatole sul ripiano.
Alec gli rivolse un sorriso esasperato ed annuì, la gola improvvisamente secca ed incapace di emettere altri suoni.
«Alec, possiamo mangiare prima di parlare o hai lo stomaco chiuso?»
Accedeva puntualmente che si trovassero a mangiare cibo freddo: Alec era troppo nervoso prima di una discussione e l’unica volta in cui avevano provato a posticipare la litigata dopo la cena, aveva finito per vomitare. Ralf, al contrario, riusciva a gestire le sue emozioni così bene da non cedere mai alla sua parte più irrazionale, mantenendosi ponderato e obiettivo persino nei confronti più feroci.
Alec aveva avuto modo di notare che, con lui, Ralf non perdeva mai la calma. Lo aveva visto urlare maledizioni e gridare la sua rabbia in più occasioni, ma mai la sua ira si era abbattuta sul suo ragazzo con veemenza, al contrario. Alec aveva quasi desiderato che l’altro uscisse dal suo perenne stato di pacatezza, che non gli facesse fare la parte del ragazzino preda degli istinti incapace di controllarsi, ma il massimo che Ralf era riuscito a indirizzargli era stato un “vaffanculo” di cui si era scusato l’istante successivo.
Alec non aveva idea di come Ralf avrebbe reagito quando avrebbe saputo del tradimento, se sarebbe stato capace di sottostare al proprio autocontrollo o se, al contrario, avrebbe scatenato su di lui tutta la sua furia.
Quando l’uomo gli posò la mano sulla coscia, realizzò di non avergli risposto.
«Ralf…» sospirò, sfuggendo al suo sguardo.
Ralf gli accarezzò con insistenza la gamba «Alec, non c’è niente che tu non possa dirmi.»
Il ragazzo si sforzò di trovare il coraggio di guardarlo negli occhi, fidandosi delle iridi verdi a cui aveva affidato il suo cuore, consapevole di non poter più mantenere quel segreto.
«È successa una cosa che non avrei mai voluto accadesse» sussurrò, prima ancora di rendersene conto «Il mio ex mi ha baciato.»
Il volto di Ralf non si trasformò nella maschera di durezza che s’era aspettato, né il suo sguardo divenne glaciale al punto da fargli desiderare di disintegrarsi, tantomeno le sue mani s’allontanarono schifate dal suo corpo.
Ralf restò impassibile, come se Alec non avesse ancora parlato.
«Mh?» domandò dopo qualche minuto di silenzio.
Solo nel vedere la confusione nei suoi occhi, Alec realizzò di aver frainteso ogni segnale che gli era stato inviato: Ralf non aveva mai sospettato un tradimento.
«Alec, non ho capito. Che significa che il tuo ex ti ha baciato? In che senso?» domandò l’uomo, slacciandosi la cravatta e gettandola sul divano alle sue spalle «Lo hai allontanato?»
Alec prese un respiro profondo, cercando di regolarizzare il proprio battito. Aveva immaginato un’infinità di volte lo sguardo deluso di Ralf, aveva ripetuto le scuse che gli avrebbe rivolto, aveva persino messo in conto di dover gestire una reazione violenta, ma nessuna sua proiezione poteva competere con la realtà.
Lì davanti a lui, con gli occhi lucidi dalla rabbia e la bocca spalancata dalla sorpresa, c’era un uomo che si stava sgretolando sotto il peso di un suo errore.
Alec non poteva credere d’essere la causa di quel dolore, di essere diventato l’aguzzino della persona che amava: lo aveva condannato a diffidare di un passato indubitabile e a mettere in discussione quel futuro in cui si erano sempre ritratti insieme.
«Se è uno scherzo non è divertente» lo ammonì Ralf, alzandosi in piedi con uno scatto.
Alec sospirò, sollevandosi lentamente da terra e dandogli il tempo di metabolizzare le sue parole, certo che Ralf avesse capito che non si trattasse affatto di uno scherzo.
«Alec, rispondimi!» urlò, mettendogli le mani sulle braccia e scuotendolo «Che cazzo significa che il tuo ex ti ha baciato? Lo hai fermato?»
Il terremoto emotivo che attraversò Alec non fu minimamente paragonabile allo scossone a cui Ralf lo sottopose: il senso di colpa lo schiaffeggiò con una violenza tale da costringerlo a trattenere lacrime.
«Sì» sussurrò, con voce debole «Ma non subito.»
L’uomo gonfiò il petto e prese a camminare nervosamente per il soggiorno, reggendosi la testa tra le mani.
«Perché? Quando? Ma che cazzo- Perché lo ha fatto?» domandò, colto da una disperazione che l’altro non avrebbe mai potuto immaginare potesse affliggerlo.
«Ralf-» Alec fece un passo in sua direzione, ma dovette arrestarsi quando l’uomo gli indirizzò uno sguardo irato «Ti giuro che non ha significato niente
Ralf si irrigidì immediatamente, stringendo le braccia al petto come a voler tenere insieme tutti i pezzi di sé «Quando?»
«Un paio di settimane fa.»
«E non mi hai detto niente per tutto questo tempo?» sbottò.
Alec scosse la testa «Ci ho provato, davvero. Non ho mai voluto nascondertelo, non è mai stata mia intenzione» rivelò, frustrato «Io credevo – mi era parso di capire che tu avessi intuito qualcosa.»
Ralf sollevò entrambe le sopracciglia «Come cazzo potevo intuire questo?» domandò, esterrefatto «Avevo capito ci fosse qualcosa che non andava, ma pensavo avessi trovato l’anello e stessi pensando a come – Dio, Alec, come potevi pensare che avessi intuito che il tuo ex ti avesse baciato e starmene zitto e buono?»
Il minore corrugò la fronte «Che anello?»
«L’anello per – sai cosa?» si interruppe, scuotendo la testa «Non conta. Dimmi cosa è successo.»
«Ralf, credo che dovresti prima calmarti e-»
«Non me ne frega un cazzo di quello che credi tu, Alec! Sono a tanto così dal perdere completamente il controllo di me stesso: parla o giuro che vado a spaccargli la faccia adesso
Alec sapeva di cosa fosse capace Ralf, lo aveva visto perdere le staffe un’infinità di volte, ma adesso rimpiangeva tutte quelle in cui aveva desiderato che si mostrasse più coinvolto nella loro relazione – seppur una parte di sé, la più illogica e masochista, sperava in una reazione che pareggiasse i conti e allentasse quel laccio attorno al collo.
Erano poche le cose che non aveva condiviso con Ralf nel corso della loro storia: erano dettagli della sua vita passata che custodiva gelosamente, spazi in cui a nessuno era permesso l’accesso, abitudini radicate nel suo essere di cui era impossibile sbarazzarsi.
Erano piccolezze, ma Alec non aveva mai voluto rivelarle a Ralf, né aveva intenzione di farlo adesso. E non di certo perché non lo amasse abbastanza da raccontargli ogni suo segreto, ma perché aveva promesso a se stesso di non permettere a quella parte della sua vita di rovinare il suo futuro – perché nessuno avrebbe mai dato una possibilità ad Alec se avesse saputo di non poterlo mai avere completamente, che un frammento di lui sarebbe sempre rimasto in quell’appartamento di Brooklyn, vittima di un incantesimo di imprigionamento irrevocabile.
«Ho incontrato Magnus al Downworld. È stato inaspettato, abbiamo iniziato subito a discutere per Max e poi lui mi ha baciato. Mi ha colto di sorpresa.»
Alec sapeva di non poter pretendere il perdono senza la verità, ma non poteva raccontare a Ralf di aver incontrato Magnus nel suo appartamento – in cui aveva continuato ad andare negli ultimi tre anni – né di aver prolungato quel bacio, perché la notizia gli avrebbe inflitto un dolore da cui Alec voleva proteggerlo.
«Per quanto tempo?» chiese Ralf «Per quanto tempo vi siete baciati?»
Il minore si strofinò la fronte «Trenta secondi? Dieci? Un minuto? Non lo so, Ralf. Quando ho realizzato cosa stesse accadendo, l’ho allontanato.»
«Sapevo che Magnus fosse tornato, si vocifera che voglia aprire il suo marchio e Camille gli ha già messo gli occhi addosso ma, Dio, non pensavo di dovermi preoccupare del tuo ex!»
«Non devi!» esclamò Alec «Non so perché l’ha fatto, ma te lo giuro, Ralf, te lo giuro: io amo te. Quello che è successo è inammissibile anche per me e mi dispiace aver ricambiato il bacio, ma sono pronto ad accettare tutte le conseguenze» ammise, guardandolo dritto negli occhi «Ma se ho anche solo una piccola possibilità di essere perdonato per la mia parte di colpa, allora ti giuro che combatterò fino alla fine dei miei giorni per dimostrarti che non esiste nessuno all’infuori di te.»
Alec percepì all’istante il cambiamento d’umore di Ralf: la patina di collera abbandonò i suoi occhi, permettendo alla solita pacifica indulgenza di venire a galla.
L’uomo continuò a fare su e giù nel soggiorno, dopodiché si lasciò cadere sul divano e respirò profondamente, portandosi le mani tra i capelli.
«Ti credo, Alec» affermò, con un sospiro pesante «Ho già vissuto una relazione in cui mi sono fatto guidare dagli sbagli, non permetterò che accada con te» disse, con una determinazione che riuscì a destabilizzare l’altro «Se tu mi assicuri che ha significato davvero niente, allora va bene. Dopotutto, è stato lui a baciare te.»
Alec restò immobile.
Se nei giorni che avevano preceduto quella conversazione era iniziato a scivolare lentamente verso un sentiero in cui prima di quel tradimento non aveva creduto possibile poter ricadere, quella sera vi precipitò senza possibilità di scampo. Un varco angusto e a tratti invalicabile della sua stessa anima, un tragitto labirintico in cui erano posti gli inganni più insidiosi: le sue paure, quelle incertezze che aveva combattuto sino allo sfinimento.
Alec si ritrovò in questo squarcio di se stesso, costretto ad affrontare un viaggio che aveva già tracciato, passivo spettatore del film della propria esistenza: sfocate reminiscenze di quando era un ragazzino che non aveva il coraggio d’ammettere la propria omosessualità, il terrore di non valere abbastanza, la convinzione di essere niente che si era radicata dentro di lui dopo essere stato abbandonato.
Alec era uscito da quel groviglio di timori anni prima, ci aveva messo tempo a districarli tutti, ad assicurarsi di non restare più impigliato nella loro rete fallace, ma adesso, adesso che Ralf sembrava pronto a perdonargli il male peggiore che avesse mai potuto infliggergli, Alec non poteva che lasciarsi adescare dal richiamo suadente delle sue insicurezze.
Le parole di Camille tornarono a vorticargli assillanti nella testa: sei il suo trofeo più importante.
Alec rifiutava di credere che i sentimenti di Ralf fossero così superficiali da permettergli di oltrepassare incolume un tradimento. Eppure, era proprio lì davanti a lui, pronto a lasciarsi alle spalle un dolore evidentemente trascurabile, come se Alec gli avesse detto di aver dimenticato di innaffiare le piante e non di aver baciato un altro.
Era così insignificante?
Alec realizzò d’aver sperato in una reazione più impetuosa, una risposta che scacciasse una volta per tutte la sensazione che Ralf non lo considerasse abbastanza. Ma non lo aveva fatto, e ad Alec non restava che chiedersi se a Ralf veramente non interessasse soltanto tenerlo buono e lasciare che recitasse la parte del bravo fidanzato da mostrare con fierezza agli eventi dell’alta società newyorkese.
«Alec…»
Si rese conto di star trattenendo un pianto solo quando avvertì il pollice di Ralf raccogliere una lacrima dalla sua guancia.
«Dimmi che è stato solo un errore» lo pregò, chiudendo gli occhi e posando la fronte contro quella del suo compagno.
Alec non sapeva se stesse realizzando di aver ceduto troppo in fretta alle sue paure o se, per la prima volta, stesse prendendo consapevolezza di una verità che aveva sempre ignorato, ma gli fu subito chiaro di non aver intenzione di scoprirlo quella sera.
«È stato un errore» confermò, la voce priva di incertezze «Mi dispiace.»
Ralf si concesse un sospiro di sollievo ed un bacio alle labbra di Alec, tirandosi poi indietro con un piccolo sorriso ad increspargli le labbra.
«Ti perdono.»
Quella che avrebbe dovuto essere una liberazione, pesò come un macigno sul cuore di Alec.
Era sull’orlo di una crisi quando il suo telefono iniziò a squillare – lo afferrò come un’ancora di salvezza.
«Izzy?» rispose, confuso.
«Alec, è successo un casino!» urlò sua sorella con voce allarmata «Devi venire qui! Anzi, no, devi cercare Jace!»
«Jace? Che ha fatto Jace? Dove sei? Che è successo?»
«Sono al Downworld. Eravamo tutti qui, ci stavamo divertendo, poi è arrivato Magnus e Jace lo ho picchiato. Dio, Alec, lo ha massacrato. Siamo intervenuti tutti, Jace è scappato via, non risponde neanche a Clary.»
Alec registrò velocemente le informazioni: Jace, Magnus, massacro.
«So dove si trova» disse «Vado a prenderlo e ci vediamo a casa.»
«Riportalo da noi» fu la supplica che gli rivolse prima di chiudere la chiamata.
Alec prese un respiro profondo e si voltò verso Ralf.
«Devo andare. Jace è nei casini.»
«Che casini? Vuoi che venga con te?»
«No, ha bisogno di me» rispose, più duramente di quanto si aspettasse «Dormo a casa, l’ho promesso a Max. Mi dispiace per la cena.»
«Non fa niente» lo tranquillizzò Ralf, alzandosi e raggiungendolo «Mi mandi un messaggio per assicurarmi che sia tutto okay?»
Alec annuì, irrigidendosi quando Ralf gli posò un bacio sulle labbra e gli rivolse un sorriso sincero.
Assurdo – insignificante?
 
 
 
Alec aveva sempre odiato i cimiteri. Erano luoghi capaci di infondergli sensazioni spiacevoli e di evocare ricordi altrettanto infausti. Non aveva mai sentito il bisogno di recarsi sulla lapide di una persona cara per piangerne la morte, animato dalla certezza che lì vi fosse sepolto un corpo ormai privo di valore. Preferiva alzare la testa verso il cielo che abbassarla verso la terra, contemplando la possibilità di un aldilà invisibile in cui le anime di quelli che aveva amato continuavano a vivere, piuttosto che arrendersi all’idea che la loro esistenza si fosse interrotta solo perché congedati dal mondo materiale.
Una visione forse infantile della morte, in netto contrasto con lo scetticismo tipico della sua personalità, eppure era l’unica speranza a cui aggrapparsi per accettare la prematura scomparsa del suo fratellino – quella perdita che aveva lasciato un vuoto incolmabile nel suo cuore.
Erano pensieri che raramente occupavano la sua mente, perché la razionalità che lo aveva sempre dominato evidenziava l’inutilità d’interrogarsi su enigmi irrisolvibili, ma erano riflessioni che sorgevano involontariamente quando varcava la soglia del cimitero dove giacevano i corpi esanimi delle uniche persone che avesse mai perso.
Alec era un accanito sostenitore della legge, le aveva giurato fedeltà e rispetto, ma era prim’ancora un fratello e non c’era decreto che potesse competere con la lealtà verso Jace. Per questo si trovò a commettere un’infrazione in uno degli ultimi posti in cui avrebbe voluto trovarsi di notte. Tuttavia, il buio non rappresentò un ostacolo per il suo obiettivo e, scavalcato il muretto, percorse a passo spedito il sentiero che lo avrebbe condotto alla sua meta.
Alec sapeva che suo fratello lo stesse aspettando, ma si assicurò di fare rumore prima di affiancarlo per non coglierlo di sorpresa.
Jace era seduto sul terreno dinnanzi ad una cappella, il volto abbassato e le mani impegnate a strappare con rabbia i fili d’erba. Sollevò la testa quando avvertì una presenza al suo fianco e lasciò che il braccio di Alec scivolasse sulle sue spalle.
Il moro non fiatò quando Jace gli si raggomitolò contro e rimase in silenzio anche nel notare le sue nocche arrossate. Il suo pensiero non poté che volare a Magnus e al modo in cui doveva essere ridotto, venendo immediatamente pervaso da un forte senso di colpa: se non avesse messo tempestivamente Jace al corrente di quanto successo quella mattina, forse avrebbe potuto evitare che suo fratello arrivasse a scagliarsi fisicamente sul suo ex.
Era certo che Jace, nonostante l’odio che nutriva nei confronti di Magnus, fosse pentito del suo comportamento.
Alec ci aveva messo diverso tempo a capire il motivo per il quale, quando era turbato, Jace scappasse di casa per andare alla tomba dei suoi genitori. All’inizio credeva si trattasse del bisogno di sentirsi vicino alla sua famiglia di nascita, di ricordare la sua vita prima che venisse irrimediabilmente squarciata da quel dolore atroce. Alec lo aveva sempre seguito in silenzio – anche quando avevano appena finito di litigare, anche se l’unica cosa che avrebbe voluto fare era prenderlo a pugni – e sedevano lì, spalla contro spalla finché Jace non mormorava una battuta per alleggerire l’atmosfera.
Quando erano diventati fratelli, quando il dolore della perdita li aveva accomunati e Jace si era fidato di lui al punto da non volergli nascondere nessuna parte di sé, gli aveva fatto comprendere la verità sulla necessità di trovarsi in quel luogo: Jace sentiva il dovere di scusarsi, perché s’era ripromesso, nell’istante in cui aveva detto addio ai suoi genitori, che avrebbe fatto del suo meglio per non deluderli.
Mantenersi fedele a se stesso era uno dei cardini della vita di Jace ed era impossibile, per lui, non correre da Stephen e Celine a chiedere perdono quando sentiva d’essere venuto meno al suo impegno – e a Max, a cui aveva promesso di prendersi cura di tutta la famiglia.
Chiunque conoscesse Jace non avrebbe mai potuto indovinare che sotto quella maschera da duro e l’ironia pungente si nascondesse una tale fragilità – e ad Alec, in fondo, piaceva essere l’unico custode di quella parte così intima di suo fratello.
«Quando Magnus ti ha lasciato…» sussurrò Jace, spezzando la quiete notturna.
Alec venne colto da un brivido e suo fratello gli strinse una mano.
«Ho avuto paura di perderti» continuò il biondo, con la testa ancora poggiata sul petto del fratello «Dopo i miei genitori, dopo Max…» sospirò e serrò gli occhi «Sei stato così male quando Magnus se n’è andato che ho temuto di poter perdere anche te» disse, rivelando per la prima volta una paura che Alec gli aveva sempre letto nello sguardo «Ma ti sei ripreso. Ce l’abbiamo fatta, ce l’hai fatta. E ora lui torna e tu mi crolli davanti come se questi anni non ci fossero mai stati e io… io non posso permettere che ti faccia stare male di nuovo. Non potrei mai perdonarmelo se dovesse accaderti qualcosa. A te, o al piccolo Max.»
Alec lo strinse più forte a sé, chiedendosi quando fosse stata l’ultima volta che Jace gli aveva aperto il cuore in quel modo così diretto. Erano soliti esserci l’uno per l’altro e confidarsi ogni segreto, ma mettere a nudo i propri sentimenti era un’azione che si concedevano quando erano sull’orlo di una crisi o di una sbronza.
Nell’adolescenza non avevano neanche mai provato ad andare oltre un “Ti guardo le spalle”, in parte perché entrambi convinti d’essere troppo virili per manifestare le proprie emozioni, in parte perché Alec sembrava provare una vera e propria repulsione verso le parole. Aveva sempre ritenuto che i gesti avessero un peso maggiore, che restassero impressi nella mente più a lungo, che il loro effetto potesse sentirsi anche nel tempo. Un gesto implicava concretezza ma al contempo racchiudeva l’intenzione e sottintendeva l’affetto. Un gesto era tangibile, una parola sarebbe rimasta sempre sul piano astratto, irreale, effimero.
Di essere spaventato dalle parole, Alec l’aveva capito solo quando aveva conosciuto Magnus.
Magnus non si limitava ad usarle: ci giocava, si divertiva, le faceva proprie e vi dava sfumature nuove. Con Alec, Magnus aveva caricato le parole di una potenza distruttiva e le aveva scagliate su di lui come se fossero granate pronte a far esplodere tutte le sue certezze. Gli aveva fatto scoprire la forza persuasiva di una semplice sillaba e il fascino dell’arte oratoria. Lo aveva spinto a rivalutare la labilità di una frase e comprendere l’autorevolezza che poteva avere persino un sussurro – gli aveva mostrato l’eternità di un’eco.
Gli aveva insegnato che parlare servisse a dar forma ai pensieri, a razionalizzare le paure, ad entrare in possesso delle proprie emozioni. Gli aveva fatto comprendere l’importanza del dialogo e quale fosse il ruolo delle parole nella vita di ciascuno, la loro abilità nel costruire legami e distruggere un amore.
Ma soprattutto, Magnus gli aveva svelato che il vero potere delle parole stesse nella capacità di lasciare un segno indelebile nel cuore di chi le ascoltava, sovvertendo irrimediabilmente la convinzione della loro irrisolvibile inconsistenza.
Magnus aveva stravolto ogni prospettiva che Alec aveva della vita, aveva rivoluzionato il suo essere e gli aveva fatto scoprire un mondo che prima di allora aveva sempre visto e mai osservato. Era anche riuscito a farlo scomparire, quel mondo, a rendere insignificante l’aria stessa, ma a distanza di anni Alec era capace di scindere il dolore della perdita dalla gioia intensa che aveva caratterizzato la loro relazione. Poteva anche odiarlo per averlo ferito, ma era consapevole di essergli debitore di un’esistenza che altrimenti sarebbe stata terribilmente silenziosa.
«Non accadrà» disse con voce ferma «Non permetterò più a nessuno di ridurmi in quello stato.»
Un tempo Alec avrebbe pronunciato quelle parole soltanto per rassicurare Jace, adesso, invece, le pensava seriamente. Il vantaggio di toccare il fondo era la certezza di una risalita: conosceva i gradini per l’abisso e poteva fare del suo meglio per evitarli – baciare Magnus lo aveva fatto ruzzolare giù dall’intera scalinata, ma si era ripreso in fretta e avrebbe fatto attenzione a non commettere nuovamente lo stesso sbaglio.
Neppure la paura di non essere amato da Ralf come sperava avrebbe potuto ridurlo in quello stato pietoso di anni prima: non aveva più quella paura totalizzante di andare in frantumi – come si poteva rompere un’anima già spezzata?
«Ho parlato con Ralf» ammise, portandosi le gambe al petto quando suo fratello si raddrizzò per osservarlo «Gli ho detto di Magnus e lui ha capito.»
Jace annuì «Come ti senti?»
«Grato, confuso» mugugnò, passandosi una mano tra i capelli «È così facile perdonare il fatto che il tuo ragazzo baci un altro?»
«Ehi» lo ammonì immediatamente il biondo, dandogli una leggera pacca sulla schiena «Non sei stato tu a baciare lui. È colpa di Magnus, è sempre colpa sua.»
Alec sospirò «Vorrei davvero poter scaricare la colpa su di lui, Jace, ma tra i due sono io quello impegnato in una relazione e sono anche io ad aver fatto sì che quel bacio accadesse. Magnus potrà anche essere il fattore che scatena la mia irrazionalità, ma sono io che ho deciso di assecondarla.»
«Perché l’hai assecondato se sapevi fosse la scelta sbagliata?»
Alec scosse la testa, affatto intenzionato a cercare una risposta. Aveva sempre creduto nella possibilità di un’alternativa, non era mai stato un sostenitore del “non ho altra scelta”, eppure, quando si era ritrovato con Magnus, si era sentito esattamente così: prigioniero di una sola volontà.
«Non lo sopporto proprio» sbuffò Jace.
«Non è vero.»
«Non sopporto che riesca a stravolgerti la vita!»
«Questo è vero, sì» confermò Alec «Sai che sembri Max quando ti imbronci così?» ridacchiò, sperando di scacciare la tristezza di suo fratello.
Il biondo esplose in una risata chiassosa che si disperse per tutto il piccolo cimitero, attirando l’attenzione del custode e costringendoli a scappare per non essere acciuffati. Scavalcarono il muretto e corsero sui marciapiedi ancora affollati di una New York ormai immersa nella notte, rallentando il passo solo quando furono sicuri di essersi mescolati tra la folla.
Con il respiro affannato e un sorriso complice, s’avviarono verso la pasticceria preferita di Isabelle, certi che sarebbero stati accolti da una sfuriata che soltanto un cornetto alla crema avrebbe potuto addolcire.
Fortunatamente il signor Bernard non era di turno quella sera e i loro genitori erano già andati a dormire, riducendo il numero delle minacce che i due giovani dovevano affrontare alla sorella – e al Presidente Miao, offeso con Alec per essere stato abbandonato un’intera giornata.
Il gatto aveva un modo tutto suo d’esprimersi ma Alec, presente dal suo ritrovamento in quel cassonetto in Greenpoint Avenue e negli ultimi sei anni, sapeva interpretare alla perfezione i suoi miagolii e i suoi atteggiamenti. Per questo motivo, nonostante Isabelle si fosse fatta trovare nel soggiorno con le mani sui fianchi ed il cipiglio arrabbiato in attesa di una spiegazione, Alec non poté che riversare la sua completa attenzione sul Presidente Miao, che giaceva composto sul bracciolo del divano e gli rivolgeva il più astioso degli sguardi.
«Oh, Presidente, scusami» sospirò, lanciando la busta con il cornetto nelle mani di Jace e correndo verso l’animale che, nonostante l’aria diffidente, non oppose alcuna resistenza «Ho avuto giorni terribili» spiegò, stringendolo tra le proprie braccia e accarezzandogli il dorso.
«Per tutti i santi!» sbottò Isabelle, rubando il sacchetto dalle mani di Jace e sedendosi sul divano accanto ad Alec «Sei diventato un gattaro inquietante. Smettila di parlargli come se ti capisse!»
«Lui mi capisce!» ribatté il maggiore, coprendo le orecchie del gatto «Izzy è solo arrabbiata, non la ascoltare» sussurrò poi al Presidente, acciambellato tra le sue braccia e troppo occupato a godersi le carezze del suo padrone per curarsi d’altro «Max?»
«Dormiva già quando sono arrivata, ha detto che lo hai fatto stremare al parco questo pomeriggio. Ora voglio una spiegazione» proruppe la ragazza, con la bocca già piena «Basta bugie. Voglio sapere che cavolo è successo tra te e Magnus e se devo picchiarlo anche io.»
«Nessuno picchierà Magnus» chiarì Alec, gettandole un’occhiata obliqua mentre Jace tornava dalla cucina con un bicchiere d’acqua per la sorella e si sedeva sul pavimento di fronte a loro.
Alec si sistemò meglio sul divano e prese un respiro profondo. Se a Jace aveva potuto risparmiare i dettagli del suo incontro con Magnus, sapeva che Isabelle non si sarebbe lasciata sfuggire neanche il più piccolo particolare, addentrandosi in domande indiscrete a cui Alec, alla fine, avrebbe risposto per sfinimento.
Isabelle, l’unica a riuscire a tirargli fuori più di due parole prima dell’arrivo di Magnus, adorava il nuovo Alec e il poter avere conversazioni con suo fratello senza arrivare a litigare per la sua insistenza.
Alec aveva passato anni a tenere i suoi fratelli lontano dai suoi problemi, certo che il suo compito fosse proteggerli e non addossare loro ulteriori pesi ma, dopo essere crollato e aver lasciato loro il compito di rimettere insieme i pezzi, aveva capito che condividere ciò che gli passava per la testa giovasse ad entrambe le parti: a se stesso, alleggerendo così il carico che portava sulle sue spalle; e a Isabelle e Jace, rassicurati dalla certezza che Alec sapesse di poter sempre contare su di loro.
Perciò, non esitò nell’accontentare Isabelle quando gli chiese i dettagli di quella notte, immergendosi poi nell’accurata narrazione degli eventi di quella giornata, dalla visita di Magnus, alle ricerche con Lily, alla conversazione con Ralf e la sua reazione.
Quando finì di raccontare, si ritrovò a doversi proteggere dagli schiaffi di Isabelle.
«Brutto idiota» lo apostrofò, colpendolo sulla testa e scansando gli artigli del Presidente Miao, intervenuto in sua difesa «Hai il cervello bacato, tu!» continuò, pizzicandogli una gamba «Lasciare che Magnus ti baciasse!» urlò sottovoce, incredula.
«Ahia» si lamentò Alec, massaggiandosi la parte colpita e stringendo il gatto con più forza per evitare che si scagliasse su sua sorella – seppur tentato di lasciarsi vendicare «Non c’è bisogno di farmelo notare, so di essermi comportato come un coglione.»
«Invece te lo faccio notare eccome, Alec!» sbottò, scuotendo la testa «Non posso credere che tu abbia fatto una cosa del genere a Ralf… e ti aveva anche comprato un anello!»
«Non credo fosse quell’anello. Sarebbe troppo presto.»
«Tu hai davvero dei problemi. Quell’uomo ti ama da impazzire, cos’altro deve fare per farti capire che vuole passare tutta la sua vita con te? Dio, Alec, pensavo che avessimo superato la fase in cui Magnus ti fa perdere la testa! Sono così-»
«Iz, ora basta» la interruppe Jace «Alec sa di aver sbagliato, non c’è bisogno che tu lo faccia sentire una merda.»
«No, sei tu che sbagli a coccolarlo» lo ammonì, rivolgendosi poi nuovamente ad Alec «Io sono tua sorella e sarò sempre dalla tua parte, ma devi renderti conto di aver fatto una cazzata. Quello che hai fatto è grave, Alec, Ralf avrebbe potuto lasciarti! Perché cazzo non ti stai disperando?»
«Perché so di meritarlo, Isabelle!»
«Ma perché sei così tranquillo?» proruppe la sorella, frustrata.
Alec sospirò, lasciandosi sprofondare nel divano «Cosa vuoi sentirti dire?» domandò, consapevole delle paure che Isabelle continuava a tacere.
«Che il pensiero del ritorno di Magnus non ti distrae al punto da mettere il futuro della tua relazione in secondo piano» affermò senza alcuna esitazione.
Il fratello le rivolse un’occhiata diffidente «Non è così.»
«Sii più convincente.»
«Non è così!» esclamò Alec, esasperato.
Isabelle lo fissò impassibile prima di voltarsi verso Jace e indirizzandogli uno sguardo angosciato. Il biondo rispose con un cipiglio preoccupato, ma Alec, troppo stanco per decriptare la conversazione silenziosa in atto tra i due, decise di non ribattere – qualsiasi cosa avesse detto sarebbe suonata come una bugia.
«Zia?»
La vocina di Max richiamò l’attenzione dei tre fratelli. Il bambino avanzò nel salone, i piedi scalzi e il viso segnato dalle pieghe del cuscino. Una mano trascinava Berry, l’orsetto di pezza che aveva con sé da quando lo avevano trovato – ormai quasi quattro anni prima – mentre con l’altra si stropicciava un occhio.
«Zia Izzy, hai detto bapak?»
Isabelle, non sapendo come gestire la situazione, lanciò uno sguardo allarmato ad Alec, il quale scosse impercettibilmente la testa e le fece segno di non rispondere.
Max si accasciò sulle gambe di Jace, che lo chiuse immediatamente in un abbraccio protettivo e gli lasciò un bacio tra i ricci.
«Bapak ha chiamato per dire che gli manchi tanto, ma stavi dormendo e non volevo svegliarti» mentì Alec.
Gli occhioni blu di Max si spalancarono «Mi svegliavi!» lo rimproverò, rimettendosi in piedi «Chiama! Chiama bapak!» insisté, arrampicandosi sul padre e scacciando malamente il povero Presidente.
«Max, è tardi» provò a dissuaderlo, mentre il bambino tastava le tasche del suo pantalone alla ricerca del telefono «Forse bapak dorme.»
«No, è mattina da bapak» rispose semplicemente, inconsapevole che il padre non si trovasse più su un fuso orario diverso «Dai, papà» lo pregò «…pe’ favore» aggiunse dopo un po’, ricorrendo alla parolina magica.
«Ruffiano» lo ammonì Alec, facendo scontrare il proprio naso con quello del piccolo, portando Max a ridere divertito.
Alec cercò il numero di Magnus in rubrica ed avviò la videochiamata, mentre Max si sedeva comodamente su di lui e afferrava il telefono tra le sue manine.
Come d’abitudine, Magnus non lasciò squillare il telefono neppure tre volte prima di accettare la chiamata.
«Bapak!» trillò Max non appena il volto del padre comparve sullo schermo.
Magnus era appena visibile nella penombra di quella che sembrava la sua camera da letto, ma Alec – che quel viso avrebbe saputo disegnarlo ad occhi chiusi – riuscì subito ad individuare lo zigomo tumefatto ed il sangue raggrumito vicino al labbro, ritrovandosi a trattenersi dall’urlare imprecazioni contro suo fratello.
«Mirtillino mio!» rispose l’uomo con altrettanto entusiasmo «Che ci fai ancora sveglio?»
«Gli ho detto che avevi appena chiamato per dirgli quanto ti mancasse e ti ha voluto richiamare» intervenne Alec, mentre Max annuiva con convinzione.
Magnus non esitò un secondo nell’assecondarlo «Max, mi potevi anche richiamare domattina» ridacchiò affettuosamente.
«Ma perché buio?» domandò il bambino, muovendo ingenuamente il telefono per cercare di scorgere più dettagli sulla stanza dove si trovava il padre «Quando qui notte, è mattina a Parigi.»
«Non è proprio così» rispose Alec, quando si accorse che Magnus fosse in difficoltà «La mattina deve ancora arrivare a Parigi adesso.»
«Ma qui è buio!» si oppose Max, appellandosi all’unica informazione che i suoi genitori gli avevano dato per fargli comprendere il fuso orario: era troppo piccolo per imbarcarsi in discorsi più complessi su meridiani e paralleli.
«Non ho ancora alzato le tapparelle» inventò Magnus, in una scusa che sembrò placare lo scetticismo del figlio.
«Quando vieni da me, bapak?»
Un sorriso addolcito spuntò sul volto di Magnus «Prestissimo, tesoro mio, te lo prometto.»
«Tra poco è la mia festa» sottolineò Max «Faccio così» disse, mostrando quattro dita e perdendo la presa sul telefono «Ops» ridacchiò, riprendendolo.
«So bene che fai quattro anni, mocciosello mio. E non mi perderei la tua festa per niente al mondo.»
«Mi porti il regalo?»
«Te ne porto mille.»
Alec roteò gli occhi, ma si astenne dal commentare.
«Però prometti. Non ci vediamo dai coniglietti» s’imbronciò Max, che detestava dover passare interi mesi lontano dall’altro genitore.
«Te lo prometto. E ti prometto anche che non passeremo più così tanto tempo lontani.»
Max squittì di gioia e Alec si irrigidì: che Magnus promettesse il mondo a Max e poi non glielo portasse impacchettato in una scatola d’oro era esattamente ciò Alec voleva evitare accadesse – se Magnus avesse osato giocare con i sentimenti di suo figlio, lo avrebbe ridotto in cenere.
Max sbadigliò sonoramente e si poggiò al petto di Alec «Mi dici la favola per la nanna, bapak?»
Alec sapeva che Magnus non si sarebbe mai sottratto a quella richiesta, per cui afferrò il proprio telefono e si sistemò meglio sul divano, permettendo a Max di assumere una posizione confortevole sul suo petto.
Nella quiete della notte, mentre il sopraggiungere del sonno dissipava le tensioni del giorno, i presenti si lasciarono trasportare dalla voce armoniosa di Magnus in terre lontane e battaglie fantasiose – e se Alec sperò che anche il loro conflitto potesse essere risolto con un braccialetto dell’amicizia e la promessa di regni alleati, restò un pensiero intrappolato tra le increspature dei suoi sogni.
 
 
 
 
 
Note dell’autrice
Rieccomi con il terzo capitolo!
Questo è stato un po’ tosto da scrivere, perché Alec si trova a vivere delle emozioni davvero forti e contrastanti, ma spero di essere riuscita a trasmettere i timori circa la sua relazione con Ralf e la confusione per tutto ciò che ruota attorno alla figura di Magnus.
È un capitolo ancora di “assestamento”, si chiarisce ulteriormente l’impatto di Magnus nella vita di Alec e si inizia a scorgere quanto effettivamente Magnus e Max siano legati – nonostante la distanza.
Mi dispiace avervi fatto aspettare a lungo, ma soltanto le vacanze di Pasqua mi hanno permesso di avere un po’ di tempo per revisionarlo e pubblicarlo. Ne approfitto anche per rassicurare chi mi chiede se Magnus inizierà ad essere più presente nella storia: sì, Magnus è protagonista tanto quanto Alec, già dal prossimo capitolo lo vedremo sulla scena con costanza. Inoltre, la storia prenderà un sacco di svolte, quindi dopo questi capitoli introduttivi entreremo subito nel vivo della vicenda.
Grazie di cuore a chiunque abbia recensito, letto e seguito la storia nonostante i miei tempi lunghissimi!
A presto,
Traumerin
   
 
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