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Autore: SaWi    16/04/2023    0 recensioni
Vash ridacchiò e poggiò una mano sulla sua spalla, stringendola appena.
«Che c’è di male, Babbo caro?» lo interruppe con un mormorio, così basso che a stento riuscì a sentirlo sopra il rombo del suo cuore. «Ti vergogni del nostro… mh, del nostro affetto?»
Il sopracciglio di Nicholas si alzò così tanto da sparire sotto la parrucca.
«Biondino.» disse, il tono secco e piatto in completo contrasto col colorito violaceo del suo naso. «Me stai a cojonà?»
«Ah!» esclamarono Vash e i bambini in coro, indicandolo con espressioni oltraggiate. «Una parolaccia!»
«Babbo ha detto una parola cattiva!»
«Cojonà cojonà cojonà!» ripeté urlando uno dei più piccoli, iniziando a corrergli attorno ridendo.

Nicholas si veste da Babbo Natale per far diventire un po' i bambini dell'orfanotrofio. Dopo un po' di memate con i marmocchi, lui e Vash tornano alla macchina e inevitabilmente viene fuori un argomento molto caro a Nicholas: la famiglia.
Genere: Comico, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Nicholas Wolfwood, Vash the Stampede
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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WW e Vash sono basati per lo più su Stampede ma avendo iniziato il fumetto temo di aver fatto un po' un miscuglio...
Potrebbe essere quasi considerata un capitolo extra rispetto alla fic multichapter che ho già scritto su di loro, più che altro perché qui sono già in una relazione.



 

 

«E a me? E a me, Babbo??»

Una manina sporca di caramelle si aggrappò alla finta barba bianca, strattonandola verso il basso così bruscamente da cogliere alla sprovvista Babbo Natale.

«A te,» cominciò a denti stretti, districando quelle dita con una certa velocità. «Manco er carbone se non impari a rispetta’ il tuo turno.»

Il volto sorridente si rabbuiò e nei grandi occhioni scuri si raccolsero velocemente le lacrime.

Il colorito del Babbo Natale si abbinò alla pelliccia bianca del colletto.

«Sto a scherzà, sto a scherzà!» esclamò prontamente, con una risata bassa e cavernosa che non nascose affatto il nervosismo. Afferrò il bimbetto da sotto le braccia e lo scosse appena, risistemandoselo sulle gambe accanto agli altri più piccoli, intenti ad osservare e a giocare più educatamente con la punta della sua barba sintetica. «Che voi? Babbo te lo porta.»

Il bambino tornò a sorridergli, se quella bocca sdentata poteva definirsi tale.

«Un trenino! Voglio un trenino!»

«E vada pe’ er trenino.» acconsentì, giusto in tempo.  Dietro le sue spalle, arrampicandosi con un’abilità che avrebbe fatto invidia ad una scimmia, una ragazzina gli piombò davanti e gli ficcò le dita nel naso.

«E per me, Babbo?!»

Nicholas alzò gli occhi al cielo, sorrise e liberò le sue narici, pulendo i piccoli polpastrelli sul vestitino della criminale.

«Me lo devi dì te. Che voi, principessina?»

Iniziando ad elencare un’infinita lista di regali, la bimbetta iniziò a saltellare sul suo grembo rischiando di far cadere uno degli altri bambini, rimasto lì nonostante avesse già espresso il suo desiderio. Nicholas lo prese alla svelta, lasciandolo andare solo quando lo vide stabile sulle sue gambe. Il becchino lo guardò zompettare via assieme ad altri, dritti tra le braccia di Vash che era seduto poco distante all’ingresso dell’orfanotrofio e che, a sua volta, era circondato da ragazzini. Sollevò lo sguardo a quel viso, incantato dalla dolcezza con cui quegli occhi sorridevano ad ogni testolina.

E restò intontito a fissarlo, finché un altro marmocchio calò sulla sua testa, insaccandolo fino al mento dentro il suo cappello da Babbo Natale.

«Ehi!» tuonò, mantenendo la voce più bassa. Si tolse il cappello con un solo e brusco movimento e la sua parrucca bianca si rizzò tutta per aria, carica di energia elettrostatica. «So’ Babbo Natale, non un pupazzo!»

La risposta fu un coro di risate e manine che si agitarono per aria.

«Babbo fa paura, uwaaa!» strillò un bimbetto, ridendo e correndo via seguito prontamente dagli altri. Scapparono tutti, anche quelli che erano rimasti seduti su di lui; anche la bambina, che evidentemente aveva terminato il suo elenco di regali senza che il becchino se ne accorgesse.

«Ah sì?» borbottò Nicholas, alzandosi in piedi. «Babbo fa paura? Mo ve faccio vede’, mocciosetti.»

Si pulì le ginocchia da un po’ di polvere, si sistemò meglio la pancia finta sul ventre e si tirò su le maniche. Sotto i baffi finti, che sicuramente gli avrebbero fatto venire l’orticaria per quanto gli prudevano, si allargò un sorrisetto malefico.

«Se ve pijo—»

«Uwaaaa~»

«Venite qua, ‘ndo credete de scappà!»

Correndo con le braccia alzate e le gambe larghe, Nicholas iniziò ad inseguire i bambini con fare più simile a quello di un mostro, piuttosto che di un Babbo Natale. E i bambini si divertirono come pazzi: corsero via, lontano da lui, ma si intrufolarono anche sotto le sue gambe per farsi acciuffare e sollevare per aria tra grida allegre e piedini scalpitanti.

Se però la loro stamina era pressoché infinita, quella del Babbo Natale era molto scarsa.

«Argh, so’ circondato!» esclamò dopo dieci minuti buoni di corsa, col fiatone. Non aveva più l’età. «Babbo Natale è spacciato.»

«Preso, lo abbiamo preso!!»

«Ci darà tutti i regali che vogliamo!»

Nicholas si sedette a terra e si gettò all’indietro, allargando le braccia e le gambe a stella. I bambini continuarono a saltargli attorno e alcuni gli andarono sopra l’enorme imbottitura che aveva al posto della pancia, quasi rimbalzando via.

«Tutto quello che ve pare.» acconsentì, restando lì immobile a fissare il cielo, ormai scuro e con le prime stelle ad illuminarlo. Il sole era calato da poco, giusto mentre era impegnato a rincorrere il gruppetto di furfanti, e iniziava a far fresco.

«Tutto tutto?»

Sophia, la bambina che poco prima aveva violato il suo naso riapparve nel suo campo visivo. Le sue manine questa volta lo toccarono sulle guance, all’inizio della finta barba. Nicholas sollevò un braccio e gli accarezzò i capelli lunghi e scuri, scompigliandoli più di quanto già non fossero.

«Ce posso prova’. Che voi?»

I suoi occhioni lo fissarono, grandi e speranzosi.

«Voglio il papà.»

Le dita del becchino si arrestarono tra quei capelli, così come il battito del suo cuore. Chiuse gli occhi e quando li riaprì si mise a sedere, accogliendo la bambina sul suo grembo.

«Il papà, eh?» mormorò, riprendendo ad accarezzarla sulla testa, sulle guance tonde e calde. «Quello è difficile pure pe’ Babbo.»

«E perché?»

«Perché, Babbo?» si intromise un altro bambino, saltandogli sopra.

Già, perché.

Con un sospiro, avvolse entrambi tra le sue braccia e se li premette contro il petto. Di risposte ne aveva molte ma nessuna era soddisfacente, nessuna avrebbe rispettato l’intelligenza di quei bambini. E così, preferì tacere, scegliendo la strada del vigliacco.

«È tardi, marmocchi.» borbottò, allontanandoli da sé con un colpetto alle loro fronti. «Babbo non sa più come se chiama, tra un po’.»

«Eeeeh?»

«Ma uffa!»

Queste e altre voci squillanti si levarono attorno a lui, accompagnate da mani che afferrarono le sue vesti e tirarono la sua parrucca.

«Voglio giocare ancora, Babbo!»

«Anche io!» si aggiunse un altro bambino, sull’orlo del pianto. «Ti prego!»

«E va—»

«Su, ragazzi,» la voce di Vash, gentile ma decisa, lo interruppe prima che fosse troppo tardi. Apparve anche lui nel suo campo visivo, sorridendogli con un occhiolino. Uno dei bambini che era saltato sul grembo di Nicholas venne sollevato e, scalciando, quasi lo colpì al mento. «Babbo Natale è stanco ed è giusto farlo rincasare.»

Il marmocchio che era stato preso da Vash cercò di sfuggire oltre le sue spalle. Intanto, un altro più grandicello si appropriò del posto vacante sulle gambe di Nicholas.

«No!» si agitò quest’ultimo, nascondendo il volto sotto la barba lunga. «Resta qui, Babbo!»

«Sì, resta qui! E anche te!» intervenne una bambina, fiondandosi sulle gambe di Vash, su cui si avvinghiò come una piovra. Venne subito seguita da un’orda di altri bambini che quasi gli fecero perdere l’equilibrio. «Anche te, fratellone Vash! Resta!»

«Eh,» ridacchiò Nicholas, separando i fili sintetici della barba per acciuffare il bambino lì sotto, che si dimenò ridacchiando. «Sei fregato, biondino. So’ micidiali.»

Vash lo guardò perplesso, gli occhi azzurri grandissimi. Il bambino che aveva in braccio spalmò le piccole mani sulle sue lenti tonde, lasciandoci le impronte delle sue dita unte.

«Oh no, sono accecato!» esclamò con fare disperato, mettendosi velocemente a sedere al fianco del becchino, che scosse il capo rassegnato quando i ragazzini tornarono ad assalire entrambi con rinnovato entusiasmo. «Non ci vedo più! E ora come faccio?»

Nicholas si mise a ridere.

«Bell’aiutante de Babbo Natale.»

Anche i bambini ridacchiarono, le loro voci squillanti e allegre a circondarli piacevolmente con sempre più vigore. Vash si gettò a terra, iniziando a dimenarsi come un ossesso, braccia e gambe per aria.

«Aaaah, non vedo!» ripeteva, anche lui ridacchiando. «Sono spacciato! Babbo Natale, aiutami!»

Anche lui barcamenandosi tra bambini che gli tiravano il cappello e altri che usavano la sua pancia come un tirapugni, Nicholas lanciò un’occhiata divertita all’altro.

«Aiutatte, e come?»

«Babbo, Babbo!» intervenne un bambino prima che Vash potesse ribattere. «Il fratellone è il tuo aiutante?»

«Beh, s—»

«Ma no, che dici Marco?» lo interruppe una bambina, sbucando da dietro le spalle di Nicholas. Era Giulia, la più grande del gruppo. «Il fratellone è la Befana!»

Vash, ancora a terra, bloccò gli arti a mezz’aria. Nicholas quasi si strozzò con la sua stessa saliva, iniziando a tossire.

«Ma la Befana è brutta!»

«Non è vero!»

«Sì che è vero!»

«No!» si imbronciò la bambina, picchiando i piedi a terra. Con le braccia incrociate, si frappose tra Marco e Vash, che in tutto ciò si era messo a sedere nonostante un bambino arrampicato sulla sua testa. «La Befana è bella perché è la moglie di Babbo Natale!»

Una logica inattaccabile.

Nicholas scoppiò a ridere sguaiatamente nonostante l’occhiataccia che ricevette dalla bambina, spalle e petto che si agitavano al ritmo incontrollato delle sue risa. Poco distante da sé, però, Vash non emise un fiato: le sue labbra si schiusero, gli occhi si allargarono impercettibilmente e le sue guance si colorarono di un rosa delicato. Quando Nicholas lo notò, appena prima che quel viso si voltasse verso i bambini e tornasse a sorridere, fu il turno del becchino di arrossire, la risata interrotta bruscamente e il respiro mozzato. La barba bianca che copriva parte del suo volto non servì a nascondere il colorito più caldo, che si poggiò persino alle sue orecchie.

«La moglie?» domandò Marco, incurante della morte cerebrale dei due adulti. La loro relazione era avviata da tempo e non era solamente platonica, eppure sentirne parlare ad alta voce era per Nicholas molto difficile.

«Sì.» rispose prontamente Giulia, gonfiando il petto. «Certo che è la moglie.»

«E gli aiutanti di Babbo Natale?» chiese timidamente un altro marmocchio, quello che dalla testa di Vash era scivolato giù, aggrappato al suo collo come un koala.

La bambina ci rifletté molto accuratamente, osservata da tutti. Si erano radunati lì attorno, attenti come se fosse una giovane maestra. Proprio come se Nicholas e Vash non fossero più lì, nonostante fossero l’oggetto di quella lezione improvvisata.

«Gli elfi…» iniziò con tono deciso, annuendo a se stessa. «Gli elfi sono i loro bambini.»

«I… bambini?»

«Sì! Quando la mamma e il papà si amano tanto, allora—»

«Ok. Va bene.» li interruppe Nicholas, prossimo ad un infarto. «Nun me pare il caso che ve mettiate a parlà—»

Vash ridacchiò e poggiò una mano sulla sua spalla, stringendola appena.

«Che c’è di male, Babbo caro?» lo interruppe con un mormorio, così basso che a stento riuscì a sentirlo sopra il rombo del suo cuore. «Ti vergogni del nostro… mh, del nostro affetto?»

Il sopracciglio di Nicholas si alzò così tanto da sparire sotto la parrucca.

«Biondino.» disse, il tono secco e piatto in completo contrasto col colorito violaceo del suo naso. «Me stai a cojonà?»

«Ah!» esclamarono Vash e i bambini in coro, indicandolo con espressioni oltraggiate. «Una parolaccia!»

«Babbo ha detto una parola cattiva!»

«Cojonà cojonà cojonà!» ripeté urlando uno dei più piccoli, iniziando a corrergli attorno ridendo. Il pericolo di una improvvisata educazione sessuale sembrava scampata, a quale prezzo però. Melanie, che si occupava giorno e notte dei bambini, lo avrebbe fatto fuori.

«COSA HO APPENA SENTITO?»

Per l’appunto.

La voce tonante della signora, una donna robusta sulla cinquantina, risuonò sopra tutte le altre e richiamò l’attenzione di ogni singolo bambino – e anche dei due adulti, che sentirono il proprio sangue raggelarsi, consapevoli che il rimprovero era rivolto anche a loro.

«Tutti dentro, forza! È tardi e la cena è pronta da un pezzo, avanti!» intimò senza ammettere obiezioni, raggiungendo il gruppetto. Nonostante i ragazzini fossero stati su di giri fino a qualche attimo prima, l’autorità della loro guardiana era innegabile: anche se con bronci più o meno pronunciati, tutti i bambini iniziarono ad avviarsi obbedienti verso l’edificio. Salutarono sia Vash sia Nicholas, alcuni trattenendosi per un ultimo abbraccio, ma sotto lo sguardo vigile di Melanie non osarono alcun capriccio.

Solo Sophia si attardò, aggrappandosi alle gambe di Nicholas, che intanto si era alzato.

«Fratellone Nico…» mugugnò sui suoi pantaloni, strusciandoci sopra il musetto. Il Becchino sospirò, dispiaciuto che la bambina lo avesse riconosciuto, e si chinò leggermente per scompigliarle un’altra volta i capelli.

«Dimme, birbantella.»

«Quando tornate?»

Il becchino lanciò un’occhiata a Vash, che si limitò a sorridergli. Quel sorriso triste e vuoto che detestava.

«Presto.» mentì, dandole un colpetto sulla fronte. «E ora fila a cenare. O Babbo Natale non ti porta manco un regalo.»

La bambina tirò su col naso ma rassicurata si allontanò, andando da Melanie che aveva atteso poco distante. La signora la prese per mano, ringraziò lui e Vash con un sorriso dolce, e seguì gli altri bambini nel palazzo. Vash salutò entrambe agitando la mano per aria, continuando a sorridere.

Solo quando la porta venne chiusa e dalle finestre aperte iniziò a sentirsi il vociare dei bambini, Nicholas si voltò e si avviò alla macchina, parcheggiata poco distante alle spalle dell’edificio. Non appena la raggiunsero nello spiazzo isolato e lontano da sguardi indiscreti, quasi si strappò di dosso la barba, iniziando a grattarsi la faccia.

«Dio, so’ distrutto.»

Al suo fianco, Vash si limitò a sorridergli. Si stava pulendo gli occhiali con la maglia nera, tenendola alzata sul ventre, e inevitabilmente lo sguardo del becchino venne catturato dai centimetri di pelle esposta, dalle cicatrici che segnavano i muscoli tirati. Le aveva baciate la sera prima ed era certo che poco più su, sopra l’ombelico, fosse rimasto il segno di un suo morso.

«Però sei bravo con i bambini.»

Nicholas portò lo sguardo in alto, agli occhi azzurri.

«Seh, più o meno.»

«No, dico sul serio.» Vash ripose i suoi occhiali in una tasca interna del cappotto e scansò i capelli dalla fronte. «Ci sai fare. E loro ti vogliono un mondo di bene, si vede.»

Il becchino mugugnò qualcosa di incomprensibile e guardò dritto avanti a sé, frugando nelle tasche nascoste del costume per recuperare le chiavi della macchina; nel bagagliaio era custodito il suo consueto completo, che non vedeva l’ora di indossare nuovamente. Trovate le chiavi e aperto il veicolo, si spogliò in fretta del costume rosso, scarpe incluse, ammucchiandolo senza particolari cure in un angolo del bagagliaio. In boxer, rabbrividendo per l’aria fresca che colpì la pelle sudata, prese i pantaloni neri del completo e se li infilò, notando solo a quel punto che uno dei suoi calzini si era bucato esattamente sull’alluce.

Brontolando, agitò il dito.

«E che cazzo.»

Al suo fianco Vash ridacchiò e allora il becchino sollevò lo sguardo su di lui, arrossendo leggermente quando incrociò le iridi azzurre. Si sentì improvvisamente esposto e, ad accentuare l’imbarazzo, contribuì l’espressione dell’altro, un temibile misto di innocenza e improvviso desiderio. Nicholas si sentì in dovere di colmare il silenzio che era calato tra loro con un commento molto intelligente:

«Tanta roba, ve.»

Vash continuò a sorridere e, malgrado un colorito acceso alle guance, guardò in basso dove le mani di Nicholas stavano litigando con la chiusura dei suoi pantaloni.

«Tanta e grande.» scherzò, sollevando lo sguardo al becchino giusto in tempo per cogliere il colore violaceo del suo viso, prima che si voltasse borbottando come una pentola a pressione prossima ad esplodere.

Considerando come Vash fosse gradualmente sempre più a suo agio con la loro relazione e come questo fosse sia un bene sia un pericolo mortale per il suo povero cuore, Nicholas si affrettò a rivestirsi completamente, continuando a dare le spalle all’altro. Abbottonò in fretta la camicia, lasciando rigorosamente aperti gli ultimi bottoni, e si infilò la giacca. Prese infine gli occhiali da sole dal taschino e li sistemò sul suo naso. Due secondi dopo, realizzando che era ormai buio pesto, li rimise via.

Solo a quel punto si voltò verso Vash, trovandolo seduto poco distante su un masso, a guardare le stelle. Lo avvicinò in silenzio, recuperando sigaretta e accendino.

«Hai fatto?» gli chiese l’altro.

«Sì. Ma te dispiace se non partimo subito? Me vorrei n’attimo rilassa’ e fumamme na sigaretta.»

Vash batté le palpebre un paio di volte, osservandolo. Poi annuì, spostandosi leggermente sul masso così da fargli spazio.

Nicholas accettò l’offerta silenziosa e sedette al suo fianco, sistemandosi più vicino a Vash sia per volontà sia per evitare che la roccia si conficcasse dolorosamente tra i suoi glutei. Accese la sigaretta e inspirò a pieni polmoni il tabacco, soffiando fumo in alto a coprire il cielo stellato. Non amava guardare le stelle, lo facevano sentire insignificante e piccolo. Continuò quindi così, ad oscurarle, finché la sigaretta non fu consumata fino al filtro e a quel punto la gettò via, ne prese una seconda e accese anche quella.

«Sai, biondino.» iniziò però a parlare, la sigaretta tra le labbra senza realmente fumarla. «Sai perché so così diverso coi ragazzini?»

Al suo fianco, Vash si voltò per guardarlo. Con la coda dell’occhio il becchino lo vide inclinare il capo di lato, confuso.

«Diverso?»

«Sì, diverso.»

L’altro parve riflettervi.

«Non saprei.»

Nicholas fece una risata breve e priva di divertimento, fermandola per fare un tiro alla sigaretta. Si girò a quel punto verso Vash, rispondendogli mentre il fumo soffiava tra di loro e colpiva il viso dell’altro.

«Manco io.»

«E allora perché me lo chiedi?»

Fece spallucce, curvando le labbra verso il basso.

«Così, pe’ fa’ conversazione.»

Vash non disse nulla e Nicholas tornò a guardare in alto. Non si aspettava le dita del biondo sul suo naso, ad accarezzarne la leggera curva fino alle labbra, fino alla sigaretta attorno a cui si strinsero per allontanarla dalla sua bocca.

«Ehi.»

Si voltò, indispettito, ma ogni protesta venne spenta dalla vista di Vash con la sigaretta tra le labbra e gli occhi chiusi. Il petto che si allargava, il fumo che piano sfuggì dal suo naso mentre respirava.

«Secondo me non sei diverso con i bambini, Wolfwood.»

La sigaretta venne riposta tra le sue labbra e il becchino rischiò di farsela cadere addosso, sulla coscia, perché Vash gli sorrise e gli soffiò il fumo contro, si avvicinò e le punte dei loro nasi quasi si toccarono.

«Sei sempre il solito. Burbero e dolce.»

«Ma che ca—»

«Sh.» lo zittì con un dito tra di loro, sulle sue labbra e accanto alla sigaretta. «Sei stato tu a chiedermi un parere, te lo sto semplicemente dando.»

Sorridendogli si riallontanò dal suo volto.

«Sei buono e premuroso in un modo tutto tuo.»

Nicholas lo vide mordersi l’interno della guancia. L’espressione cambiò, facendosi più triste ma non meno certa di quel che stava dicendo.

«Saresti… un ottimo padre, secondo me.»

Parole che si insinuarono nel petto del becchino, che strinsero il suo cuore e minacciarono di soffocarlo.

Uno sbuffo d’aria, una risata forse, scappò dalle sue labbra. Prese la sigaretta ammezzata e la spezzò, gettandola lontano ancora accesa. Guardò in alto e per un istante le stelle parvero sfocate, un indistinto mucchio di piccole luci che si sovrapponevano tra loro, ma fu sufficiente battere le palpebre perché tornassero i consueti puntini definiti. Mondi, universi distanti e forse già estinti.

«Io, n’ottimo padre.» ripeté con amarezza. «Sei proprio ‘no stupido, biondino.»

Accanto a lui, Vash si mosse finché le loro spalle non si toccarono.

«Lo so.» sussurrò, incrociando lo sguardo di Nicholas con un sorriso. «Ma tu non sei da meno.»

Il becchino sbuffò e scosse il capo, incredulo.

«T’ho detto de piantalla de vede’ solo il bello della gente.»

«Sì. Ma non mi hai detto cosa fare quando le persone sono solamente belle.»

La bocca di Nicholas si aprì e si richiuse senza che ne uscisse alcun suono. Poi gli diede una spallata, non troppo delicata.

«Ma finiscila.»

«Di dirti quel che penso?»

Il becchino non gli rispose, non direttamente. Portò una mano avanti a sé e con il palmo rivolto verso l’alto schiuse le dita, prima strette in un pugno.

«Le vedi ‘ste mani?» chiese, fissando le sue stesse dita. Un po’ tozze, ruvide di calli; ai suoi occhi sporche di sangue. «Co queste non credo proprio de pote’ fa il padre.»

Le dita più snelle e affusolate dell’altro si poggiarono sulle proprie e le strinsero. Nicholas guardò il contrasto tra le loro carnagioni e notò la differenza tra le loro temperature, quella di Vash sempre più bassa, piacevolmente fresca.

Continuò a guardare le loro mani anche quando Vash le portò al suo viso, soffiandovi sopra nel momento in cui parlò nuovamente:

«Credi male.»

Rabbrividì quando le labbra si poggiarono sulle sue nocche e istintivamente cercò di ritirare il braccio. Vash però lo tenne saldamente e la sua mano restò lì, in balia di quella bocca e di quel tocco. Allora Nicholas alzò un sopracciglio e serrò la presa attorno a quella dell’altro, cercando di fargli male.

«Ma che c’hai oggi, non t’ho mai sentito spara’ così tante sentenze una dietro l’altra.»

«Eheh.» lo sbuffo di aria calda continuò ad accarezzare la sua pelle. «I bambini mi hanno attaccato la parlantina.»

La presa attorno alla mano del becchino si allentò e l’uomo ne approfittò immediatamente per ritirarla, cercando di nasconderla in fretta nella tasca dei suoi pantaloni. Gli sembrò stupido però, così la riportò all’aria aperta e, prima che ne fosse consapevole, i polpastrelli trovarono il loro posto sulla coscia di Vash.

La strinsero e la lasciarono andare un paio di volte, indecise come il loro proprietario.

«Me sa che non è solo questo però che t’è preso.» disse infine, in un mormorio.

«Dici?»

Le spalle di Vash si irrigidirono leggermente e le sue iridi si allontanarono da quelle di Nicholas, che invece andò a cercarle, serissimo. Anche se un po’ tardi, aveva capito il suo sciocco gioco.

E voleva prenderlo a sberle.

«Non te lascio anda’ via da solo. È inutile che provi a convincemme a resta’ qui co’ giri strani de parole.»

Vash abbassò lo sguardo alla mano di Nicholas, su di sé. Le sue dita meccaniche vi si avvicinarono e ne sfiorarono i contorni, quasi avesse improvvisamente timore di toccarla.

Non ebbe però paura di parlare.

«Non vorresti una famiglia?»

Per qualche attimo, Nicholas restò in silenzio ad ascoltare il battito del proprio cuore. Poi, stufo marcio, fece scattare la propria mano e la avvolse all’avambraccio di Vash, le dita a scivolare nella fessura tra le finte ossa. Lo sentì tremare sotto il suo tocco.

«Sì che la voglio.» strattonò quel braccio verso di sé, così che Vash gli finisse contro, l’altra mano a spingere contro il suo petto per non finire anche con il volto sui pettorali del becchino. «E pure numerosa.»

«Ma—»

«Non ce stanno “ma”.» lo interruppe con decisione. «Finimo quello che c’è da fa’ e poi tornamo qua, assieme.»

Mentre Vash riprese a mordersi l’interno della guancia, Nicholas lo accarezzò fino al polso e le loro dita si intrecciarono come prima, ma con più dolcezza. Avvicinò anche i loro volti e fece toccare le loro fronti, appagando in parte il suo desiderio di dargli una testata.

«I ragazzini so’ tutti adottabili, mica stanno all’orfanotrofio pe’ sport.»

Vash lo osservò con i suoi grandi occhi e finalmente ridacchiò, sicuramente per il rossore che era affiorato sulle guance del becchino, ormai bollenti.

«Poco fa hai praticamente detto che non saresti un buon padre.»

«E chi sta a dì il contrario?» mugugnò, la fronte corrugata. «Io sarei un padre pessimo, te no però.»

Vash sembrò capire quel che intendeva solo allora, perché cercò di fuggire. Nicholas fu però più veloce di lui: entrambe le mani volarono al suo volto e lo afferrarono, mentre le loro fronti si scontrarono in una testata. Il tocco di prima evidentemente non era stato sufficiente.

«’Ndo scappi.»

Le ciglia lunghe e chiare gli nascosero gli occhi, che guardarono ostinatamente in basso.

«Wolfwood…»

«Parla. Ma vedi de non spara’ stronzate.»

L’indecisione si impossessò per un momento di quei lineamenti, oscurandoli. Vash parlava tanto, a volte, ma quando si trattava di esporsi era praticamente impossibile cavargli qualcosa. Nicholas stesso si comportava così, lo aveva appena fatto, perciò non riuscì a rimproverarlo.

«Allora credo che… dovrei starmene zitto.»

«Probabile.»

Vash sollevò lo sguardo e le proprie mani, accarezzando la barba corta. Inclinò il capo e lo baciò sulle labbra, una carezza innocente non fosse stato per il peso del suo corpo, completamente affidato al becchino. Poggiò poi il volto contro la sua spalla, respirando lentamente.

«Restiamo un altro po’ qui?» sussurrò sulla stoffa della camicia. «Qualche minuto.»

«Ma pure n’ora. T’ho detto, voglio rilassamme.»

Le braccia di Nicholas si avvolsero intorno alle spalle di Vash e lo strinsero senza chiedere nulla in cambio. Eppure, Vash ricambiò comunque, le mani strette dietro la sua schiena e a tirare la stoffa del completo nero.

Restarono così per qualche minuto, ad ascoltare l’uno il respiro dell’altro, finché quello di Nicholas non uscì in uno sbuffo.

«Così manco c’ho freddo.»

«Perché, di solito hai freddo?» lo punzecchiò l’altro. «Sei sempre una fornace, Nico.»

“Nico, eh.”

«’Na fornace, addirittura.»

Vash annuì sulla sua spalla e poi voltò il capo, così che la punta del suo naso lo sfiorasse sul collo. Le labbra seguirono quel tocco, baciandolo, e i denti graffiarono la pelle.

«Mi scaldi sempre.»

Nicholas rise brevemente, un rombo basso che provenne direttamente dal suo petto.

«Ho detto che voglio rilassamme, biondino.»

«E… e se ti bacio non ti rilassi?»

Il becchino sollevò entrambe le sopracciglia e con una mano andò a pizzicargli la nuca, tra i capelli corti. Vash fremette contro di lui.

«Non direi.»

La lingua inumidì la sua pelle scura, poco sotto l’orecchio.

«Se faccio così?»

La mano di Nicholas si alzò allora ai capelli più lunghi, che afferrò e tirò. Vash fu costretto con la testa all’indietro, le labbra schiuse in un lamento non troppo silenzioso. Ai margini della città, di notte, si sentiva tutto.

«Nemmeno.»

Il biondo cercò di imbronciarsi, ma fu poco credibile a causa del sorrisetto dispettoso che curvò le sue labbra.

«Ti arrabbi?»

«No.»

«Che fa quindi, signor Babbo Natale?»

Nicholas pensò alla propria risposta. Ci pensò mentre i suoi denti lo mordevano lungo il collo esposto; ci rifletté mentre la mano tra i capelli scese e andò ad accarezzargli la linea della mascella fino a solleticare il lobo con l’orecchino. E continuò a pensarci anche mentre le altre dita accompagnarono Vash a cavalcioni sopra di sé, afferrandogli una coscia muscolosa.

Si sarebbe preoccupato del dolore al fondo schiena solo quando si sarebbe alzato dal masso sotto di sé.

«Me vie’ fame.»

Vash lo guardò con occhi scuri e lucidi, con le gote rosee e accaldate.

«Allora mangia.»

Tra loro era sempre stato così, fin dall’inizio: non esprimevano facilmente i propri pensieri e così le discussioni erano fatte per lo più di silenzi, di parole non dette che comunque lasciavano il segno e li portavano a riflettere. Nonché a scappare, spingendoli a cambiare subito discorso con battute e più raramente con carezze e baci. Si trattava di un loro tratto comune, che occasionalmente faceva infuriare entrambi ma che più spesso veniva accettato quasi con rassegnazione. Come in quel momento, in cui il becchino si mosse contro l’altro, portando una mano tra le sue gambe.

Non aveva affatto dimenticato quanto gli era stato detto; le parole di Vash risuonavano ancora nella sua testa ed era certo che lo stesso valesse per il biondo. Anche mentre questi sospirava e si premeva contro la sua mano, strusciandosi.

Nicholas voleva comunque una famiglia numerosa. Una famiglia da poter condividere con lo scemo che stava baciando.

Si allontanò e lo lasciò completamente andare. Vash si aggrappò alle sue spalle con entrambe le mani, guardandolo con confusione e un pizzico di indignazione. Nicholas però lo ignorò e giunse le mani davanti a sé, chiudendo gli occhi.

«Ti ringrazio, Signore, pe’ questo pasto che me offri.»

«Wolfwood!»

Il becchino aprì un occhio per sbirciare in direzione dell’altro. Ridacchiò e lo richiuse.

«Che c’è? M’hai detto de magnà e io ringrazio nostro Signore prima d’abbuffamme.»

Vash sbuffò e il becchino fu sicuro che avesse gonfiato le guance.

«Sei il prete più blasfemo che conosca.»

«Ne conosci altri?»

«Per ora no.»

Nicholas spalancò gli occhi.

«Per ora?»

Le mani di Vash si spostarono al suo volto, ancora una volta a strofinarsi sulla barba ispida prima di afferrare la pelle tra indice e pollice e tirare.

«Devo valutare bene con chi tornare qui e adott— uwa

Altre volte, però, quel che si erano detti riaffiorava prima del previsto, spesso per colpa di Vash, e il cuore del becchino ne subiva le conseguenze.

Sentendo il proprio respiro venire meno, Nicholas prese Vash e lo sollevò assieme a sé. Le gambe del biondo si avvolsero dietro la sua schiena e il becchino lo sorresse con una mano sul fondoschiena e l’altra tra le sue scapole.

«Macchina.» disse solamente, avviandosi al veicolo parcheggiato a qualche passo di distanza.

«Macchina?»

«Se famo sesso qua fuori te ritrovi la sabbia pure nel culo.»

Il colore del volto di Vash si abbinò a quello del suo cappotto.

«Nicholas

L’uomo oggetto di quel rimprovero – perché il suo nome pronunciato a quel modo era l’equivalente di una lunga ramanzina – aprì in qualche modo la portiera posteriore della macchina.

«D’accordo, sì, non “se famo sesso” ma “se famo l’amore”. Resta il fatto che non voglio la sabbia sul cazzo.»

Si chinò e con dolcezza adagiò Vash sul sedile posteriore, sistemandosi prontamente sopra di lui. Lo spazio era un po’ angusto e se Roberto fosse mai venuto a conoscenza di quel che stava per fare sicuramente lo avrebbe ucciso, ma Nicholas era determinato sia a non farsi scoprire sia a divorare quel pasto che gli era stato offerto.

E Vash, a giudicare da come lo guardò e da come lo attirò a sé, gli sembrò della stessa opinione.

«Wolfwood.»

«Dimme.»

Lo baciò sul collo e Vash gli accarezzò i capelli. Soffiò al suo orecchio una promessa che probabilmente sarebbe stata infranta:

«Torneremo qui.»

Nicholas intrufolò le mani sotto di lui e lo abbracciò, abbandonandosi a quel tepore.

 

 



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Se avete letto fin qui, vi ringrazio!
Ho pensato per qualche attimo di chiudere diversamente la fic, accennando che forse Vash sarebbe capace di concepire, ma mi è parso fuori luogo e affrettato come discorso quindi ho lasciato perdere. L'idea che però Vash possa concepire e soprattutto voglia farlo, assieme a WW, mi devasta e quindi è probabile che prima o poi scriverò qualcosa in merito. (La sola idea di WW che poggia una mano sul ventre ancora piatto di Vash e si mette a piangere di commozione mi fa morire.)
A parte ciò, niente, avevo solo bisogno di scrivere di WW con i bambini perché è semplicemente meraviglioso, voglio proteggerlo.
   
 
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