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Autore: Lartisteconfuse    17/04/2023    0 recensioni
(Ambientata in un passato non definito)
Izuku si trasferisce con la sua famiglia e fa la conoscenza di Katsuki, di cui diventa amico. Il ragazzo, però, non sa che il suo nuovo amico fa parte di una famiglia di vampiri.
Genere: Drammatico, Fantasy, Hurt/Comfort | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai | Personaggi: Altri, Izuku Midoriya, Katsuki Bakugou
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Note: Eccomi, finalmente pubblico questa cosuccia che ho scritto ormai credo due anni fa (??) 
Allora l'ispirazione l'ho avuto leggendo Il Clan dei Poe di Moto Hagio, quindi diciamo che i vampiri qui rappresentati sono simili a quelli che ho letto lì, quindi no problemi ad andare in giro alla luce del sole :D
I capitoli saranno solo 4.
Beh, spero vi piaccia e se volete fatemi sapere cosa ne pensate
Baci <3



La nuova casa era bella, grande e con un meraviglioso giardino. Era situata in una zona periferica rispetto alla cittadina e questo a Izuku piaceva molto. In questo modo poteva esplorare i dintorni senza che nessuno lo disturbasse.
Già la scuola era faticosa, Izuku era costretto a socializzare, ed essendo quello nuovo tutti cercavano di scoprire qualcosa di più su di lui, sulla sua famiglia e da dove provenisse. 
A Izuku le attenzioni non erano mai piaciute e così si ritrovava sempre a balbettare frasi sconnesse con l’ansia alle stelle, mentre i suoi compagni lo guardavano dritto in volto in attesa di una risposta comprensibile.
“Izuku, vedrai che dopo che ti sei abituato ti sentirai meglio, come alla vecchia scuola” lo aveva rassicurato sua madre, Inko. Ma sua madre non sapeva che Izuku non aveva mai avuto amici nemmeno nella scuola precedente e che spesso le aveva mentito quando aveva notato come la donna sembrasse triste ogni volta che Izuku le diceva di non avere nemmeno un amico con cui passare il tempo. 
Il fatto era che Izuku stava bene da solo. Non necessitava di un amico, a lui piaceva il silenzio, che gli permetteva di leggere o scrivere in tutta tranquillità.
E così, quando si era trasferito in quella casetta di campagna insieme a sua madre e al suo nuovo marito, Toshinori, Izuku aveva sorriso contento alla possibilità di avere tantissimi luoghi in cui passare il suo tempo immerso nella natura e nel silenzio. 
Dopo la prima settimana in cui in casa aveva regnato il caos e Izuku si era diviso tra la scuola e l’aiutare la madre in casa mentre Toshinori era a lavoro, finalmente il momento per esplorare i dintorni era arrivato.
Izuku prese il libro che stava leggendo in quei giorni e il suo fedele quaderno e li infilò nella tracolla per poi uscire.
“Io esco mamma!”
“Torna prima che si faccia buio Izuku, ho sentito delle storie-”
“Sì, mamma, ciao!” Izuku si chiuse la porta alle spalle, ignorando le parole della madre. Aveva sentito anche lui le storie a cui stava accennando Inko, erano state una delle prime cose che qualche compagno di classe gli aveva raccontato. A quanto pareva, poco distante da dove viveva Izuku, c'era una grande villa che per molto tempo era stata disabitata, ma poco prima dell'arrivo del ragazzo, una famiglia si era trasferita. Gli abitanti della cittadina non li conoscevano molto, ogni tanto incontravano il signor Aizawa Shouta e la moglie Emi che passeggiavano tranquillamente tra le vie, ma nessuno li aveva mai visti parlare con qualcuno. Inoltre, i loro due figli, un ragazzino dell'età di Izuku e una bambina, non andavano a scuola con gli altri. Tutti pensavano che la famiglia fosse abbastanza abbiente e i figli ricevessero un'istruzione privata a casa. 
"Spesso abbiamo provato ad avvicinarci ai cancelli della villa per cercare di vederli, ma non abbiamo concluso nulla" gli aveva detto Denki, uno dei ragazzi più esuberanti della classe. I suoi due amici, Eijiro e Tenya, avevano annuito accanto a lui, anche se poi Tenya, posizionandosi meglio gli occhiali sul naso, aveva detto: "Io ti avevo avvertito di non farlo, Denki, secondo me dovresti farti gli affari tuoi, non si spia nelle case degli altri." 
"Ma Tenya, e se fossero loro?" aveva ribattuto Denki con apprensione. A quel punto Izuku, che li aveva ascoltati con poca attenzione, si era riscosso e aveva guardato i tre con curiosità. "Fossero loro cosa?" 
Eijiro aveva sorriso e guardato l'amico con esasperazione. "Denki crede che siano gli Aizawa a uccidere le persone nel bosco." L'espressione confusa che Izuku gli aveva regalato fecero capire a Eijiro che il ragazzo non sapeva di cosa stesse parlando. 
"Ah, non lo sai ancora? Spesso si trovano dei morti nel bosco, non sono di qui, nessuno li conosce, potrebbero essere dei briganti-" A quel punto Denki si era messo in mezzo spostando Eijiro e avvicinandosi a Izuku. "Potrebbero essere sì, briganti, ma uccisi da quella famiglia strana. O come te lo spieghi che le morti sono iniziate proprio quando loro sono arrivati qui?"
Eijiro aveva sospirato spazientito. "E allora cosa pensi che facciano? Si divertono a uccidere gente durante la notte?" 
Denki aveva guardato l'amico serio. "Sì, proprio come i vampiri." 
Tenya aveva scosso la testa. "Eccolo, che ricomincia, io me ne torno al mio posto e vi conviene anche a voi due, tra poco inizia la lezione." 
Izuku aveva osservato lo scambio di battute in silenzio, ma quando Denki aveva pronunciato la parola vampiri si era di nuovo distratto. 
Vampiri. Una leggenda come tante altre, che spesso avevano occupato la mente di Izuku durante i suoi viaggi con la fantasia. Appassionato di scrittura e lettura, spesso pensava alla possibilità che creature del genere potessero esistere e sentirne parlare con la serietà usata da Denki gli aveva di nuovo permesso di immergersi nelle sue teorie e fantasticherie. 
"Ti dico che non sono vampiri" aveva esclamato Eijiro a bassa voce. 
"E perché?" 
"Escono alla luce del sole." 
E così la conversazione era terminata e i due erano tornati al proprio banco. 
Da quel giorno Izuku aveva pensato spesso a quelle parole, Eijiro aveva ragione, la maggior parte delle fonti dicevano che i vampiri non potessero uscire alla luce del sole, ma ce ne erano altre, in un numero molto più ristretto, che invece assicuravano che i vampiri potevano vivere e mischiarsi con gli umani molto più facilmente e che la luce del sole non faceva loro alcun male. 
Tutte, però, concordavano sul fatto che per vivere si cibassero del sangue degli esseri umani e che dissanguassero le vittime fino ad ucciderle. 
Con questi pensieri Izuku uscì dal giardino di casa e si avviò verso il fiume in fondo alla piccola collina su cui viveva. 
L'aria era fresca e il sole risplendeva alto nel cielo, scaldando la pelle del ragazzino. Izuku prese posto contro il tronco di un albero, dalla parte in cui il sole batteva. Quello era il posto adatto, c'era silenzio, rotto solo dallo scorrere placido dell'acqua e dal suono di qualche uccellino. 
Izuku aprì il libro che si era portato, ma non fece in tempo a iniziare a leggere la prima riga che qualcosa ci cadde proprio sopra.
Era un taccuino dalla copertina porpora, caduto aperto in mezzo alle pagine del libro. Izuku lo raccolse e dette un'occhiata alle pagine aperte: c'erano degli schizzi fatti a carboncino di una bambina. 
"Oi, potrei riaverlo o continui a ficcare il naso nelle cose degli altri?" Al sentire quella voce Izuku chiuse di colpo il taccuino e guardò verso l'alto. Seduto su un ramo un ragazzino dai capelli biondi lo stava guardando imbronciato, una gamba penzolava nel vuoto con movimento lento. La posa in cui stava seduto era abbastanza precaria, ma lui non sembrava averlo notato o esserne infastidito. 
"Ah…ehm… scusa" balbettó Izuku. "Se scendi te lo posso ridare" aggiunse. 
Il ragazzino sbuffò sonoramente. "Perché non sali tu?" 
Izuku spalancò gli occhi. "N-non sono capace!" 
"Che bambino!" esclamò l'altro e saltó a terra in un attimo, atterrando di fronte a Izuku senza problemi. Una volta che Izuku lo ebbe davanti, vide che lo sconosciuto aveva dei brillanti occhi rossi, che in quel momento lo stavano guardando in attesa, infatti il ragazzo aveva porso la mano verso Izuku. 
"Allora?" 
"Cosa?" 
"Mi ridai il mio taccuino?" 
"Ah! S-sì, certo!" Izuku gli porse il taccuino e non sapeva perché, ma aveva il cuore a mille.
"Sono molto belli" commentò Izuku senza potersi trattenere. 
"Mh?" 
"I disegni intendo, la bambina…" 
"Mph ovvio che sono belli, li ho fatti io." 
Izuku rimase sorpreso dalla risposta, un atteggiamento così sicuro di sé non lo aveva mai incontrato in nessuno, nemmeno tra le persone più estroverse. 
"Ma grazie" aggiunse l'altro, forse avendo notato l'espressione di Izuku. 
"Mi chiamo Midoriya Izuku." Izuku allungò la mano e il ragazzino dopo un poco la strinse. "Aizawa Katsuki."
Sul volto di Izuku apparve un'espressione di realizzazione. "AH!" 
"Ei, ma che ti urli!" 
"Sei il mio vicino! O insomma, sei la casa più vicina alla mia!" 
"Ah, sei il nuovo arrivato?" 
"Sì!" 
"Bè, mi dispiace per te." Katsuki infilò il taccuino nella tracolla e si voltò per andarsene.
"Ah ehm, aspetta!" 
"Che c'è?" 
Izuku non sapeva bene perché lo avesse richiamato, era solo che non voleva che se ne andasse così presto. Era strano da parte sua volere qualcuno accanto, in fondo era venuto lì per starsene per fatti suoi immerso nel silenzio, ma la presenza di Katsuki non era un male anche se era tutto il contrario di silenzio. 
"Vieni spesso qui?" domandò. 
"Sì, perché?" 
"Bé, mi chiedevo se non fosse un problema condividere lo spazio." 
Katsuki guardò prima Izuku, che teneva gli occhi fissi sul terreno ai suoi piedi, e poi lo spazio circostante, dove ci stavano tantissimi altri posti simili a quello. 
Ma Izuku aveva parlato di condividere. 
Katsuki non poteva condividere mai niente con nessuno all'infuori della sua famiglia e si era abituato a non farlo, a stare per conto suo e a non desiderare nessuno. Perché erano sempre guai quando qualcuno si avvicinava. 
Però quel ragazzino dai ricci verdi, la faccia buffa piena di lentiggini lo stava chiamando, con la sua sola presenza lì, stava attirando Katsuki di nuovo verso il pericolo. 
Sapeva che Shouta e Emi si sarebbero arrabbiati se lo avessero scoperto, ma in fondo bastava tenerlo nascosto no? E stare attento, molto attento. 
Izuku aveva l'aria di una persona buona e totalmente innocente, non avrebbe mai portato guai a Katsuki. 
"Va bene" rispose alla fine e Izuku alzò la testa puntando i suoi grandi occhi verdi su di lui, un sorriso gigante gli illuminò tutto il volto. 
"Mi fa piacere Kacchan!" 
"Come mi hai chiamato?" 
Izuku rise nervosamente, le mani sulla bocca. "Scusa, mi è scappato." 
"Tu sei tutto strano, sei…sei proprio un Deku." 
"Eh?" 
"Ci vediamo domani, vieni un'ora prima però." 
"Ah, ok, ciao Kacchan!" 
Izuku osservò la figura di Katsuki allontanarsi. E così era lui il figlio degli Aizawa, che Denki sospettava fossero vampiri e che l'intera cittadina credeva assassini. 
Quel ragazzo sembrava tutto fuorché un vampiro o un assassino. Era stato scontroso con Izuku e si era mostrato abbastanza presuntuoso, ma alla fine sembrava un normalissimo ragazzino di quattordici anni. 
E per la prima volta nella sua breve vita, Izuku voleva avere un amico e Katsuki era colui che aveva scelto. Inoltre era contento che l'altro avesse accettato di dividere insieme quel posto, poteva diventare il loro posto segreto, in cui si nascondevano dalle famiglie e trascorrevano il tempo insieme in silenzio o parlando, leggendo e disegnando o giocando. 
Con questi pensieri Izuku riprese posto sotto l'albero e provò a leggere il libro, ma la mente tornava sempre a Katsuki e così si arrese. Prese il quaderno e la matita e iniziò a scrivere una descrizione di Katsuki, delle sue impressioni e di quello che pensava al riguardo. Izuku aveva l'abitudine di mettere per iscritto tutti i suoi pensieri, perché spesso lo distraevano troppo. Se li scriveva era come se svuotasse un po' la mente e facesse ordine. 
Mentre Izuku era impegnato a scrivere, Katsuki cercava di mantenere il controllo sulle sue emozioni per prepararsi al ritorno a casa. Non doveva far scoprire a nessuno di Izuku o tutto sarebbe stato rovinato. 
Erano anni che non interagiva con qualcuno all'infuori di Shouta, Emi ed Eri e nessuno dei tre era una vera compagnia. 
Shouta era severo e silenzioso, cercava sempre di scoprire se Katsuki stesse disobbedendo e finivano a litigare spesso. Katsuki urlava con tutte le sue forze contro un muro, perché Shouta era imperturbabile davanti alla sua ira e restava impassibile. Aspettava che Katsuki si stancasse per poi rimproverarlo e lasciarlo solo come uno scemo. 
Questo atteggiamento irritava terribilmente Katsuki. 
Emi era tutto il contrario di Shouta, ma anche di Katsuki. Era un donna esuberante, sempre allegra e con la battuta pronta, molto intelligente e forte, anche se una sua debolezza era il profondo amore che provava per Shouta, che la portava a non immischiarsi nelle faccende che gestiva l'uomo o nelle litigate con Katsuki. 
Infine c'era Eri, quella che Katsuki doveva fingere fosse sua sorella, ma non lo era. Era una bambina di sette anni che al contrario del ragazzo aveva una vita davanti. 
Eri era l'unica umana di quel gruppo di persone, che all'occhio esterno si presentavano come una famiglia. 
Katsuki odiava Eri. Lei poteva crescere e avere un futuro, lui no e questo faceva nascere in lui sentimenti di odio verso la bambina innocente, che non capiva perché suo fratello provasse tutto quell'astio nei suoi confronti. 
Inoltre Eri era anche il continuo ricordo del primo assassinio di Katsuki, dato che la bambina era rimasta orfana a due anni perché Katsuki aveva ucciso i suoi genitori quando era stato appena trasformato.
Shouta lo aveva fermato prima che potesse avventarsi anche sulla bambina. Fu in quel momento che si creó quella famiglia di tre vampiri e un'umana. Shouta e Emi si incaricarono di aiutare Katsuki ad abituarsi e si presero l'incarico di crescere Eri come loro figlia. 
Katsuki trovava il tutto abbastanza stupido, perché Eri sarebbe cresciuta e li avrebbe lasciati indietro, fermi a com'erano quando l'avevano presa con loro. 
Li odiava, ma non poteva lasciarli. Da solo non sarebbe mai riuscito a sopravvivere. 
Katsuki ripudiava la sua natura e dopo quella prima notte in cui aveva ucciso i genitori di Eri, non aveva più preso il sangue a nessuno. 
Si cibava da Aizawa o Emi, che uccidevano solo persone cattive, malintenzionati. 
Essendo vampiri molto vecchi i due non avevano nemmeno il bisogno di uccidere, ma necessitavano di più sangue se volevano passarlo a Katsuki. 
Quindi alla fine sempre per colpa sua qualcuno moriva, ma fin quando Katsuki non partecipava, la sua coscienza non veniva turbata. 
"Sono a casa" salutò Katsuki una volta entrato all'ingresso. 
"Bentornato Kat, fatto bei disegni?" domandò Emi con il solito sorriso. 
"Non molto, non ero ispirato." 
"Oh, peccato, c'è un bellissimo cielo oggi."
"Sì, vado in camera" disse Katsuki avviandosi al piano di sopra, non regalando a Emi nemmeno uno sguardo. 
"Va da Shouta, ti deve dire una cosa." 
A quelle parole Katsuki si voltò per guardare Emi sul fondo delle scale. "Dove sta?" 
"Nello studio."
Katsuki cercò di non mostrarsi incuriosito, era raro che Shouta volesse parlargli, soprattutto quando non aveva fatto niente, se si escludeva la litigata della sera prima e il fatto che avesse conosciuto Izuku, ma quest'ultima cosa era impossibile che fosse già stata scoperta. 
Bussò alla porta dello studio e aspettò che la voce di Shouta gli desse il permesso di entrare. 
"Emi mi ha detto che volevi parlarmi, che c'è?" 
Shouta era seduto alla scrivania ricoperta di carte e inchiostri. Guardò Katsuki con sguardo impassibile. "Ci ho pensato" disse. "E puoi andare in città." 
A quelle parole Katsuki si fece più attento, l'eccitazione iniziò a invaderlo. Era perfetto così, proprio ora che aveva conosciuto Izuku. 
"Sì, ma mai senza aver prima bevuto."
Katsuki annuì lentamente. "Va bene." 
"E se dovesse capitare che io o Emi non ti abbiamo dato nulla o non ci siamo, non esci tra la gente. Chiaro?" 
"Chiaro."
Shouta sospirò stanco. Era sempre stanco. 
"Va bene, abbiamo finito, puoi andare." 
Katsuki però non si mosse e rimase a osservare l'uomo, che alzò la testa per guardarlo interrogativo. "Che c'è?" 
"Perché questo cambio di idea? In tutti questi anni non mi hai fatto avvicinare mai a nessuno." 
Shouta sospirò e si poggiò allo schienale della sedia. "Perché voglio darti fiducia e perché la nostra prossima meta sarà una città."
"Davvero?" domandò Katsuki sorpreso. "Perché?" 
"Perché Eri sta crescendo e deve abituarsi anche alle grandi città quando è ancora con noi."
"Giusto. Eri." 
Shouta gli lanciò un'occhiata severa. "Katsuki tu lo sai che non posso cambiare il tuo destino, ti stiamo aiutando."
"Lo so! Ma è frustrante ok?" 
"Stando con gli umani forse imparerai quanto ormai sei differente da loro e riuscirai a diventare indipendente, così puoi andartene come hai sempre voluto." 
Katsuki rimase in silenzio soppesando l'idea. 
"Non mi vuoi." 
"Non rigirare le mie parole. È la tua ostilità che non voglio, perché ho sempre e solo cercato di aiutarti da quando ti ho trovato." Shouta si alzò e raccolse le sue carte, superò Katsuki e si avviò alla porta. "Quando vorrai andare in città avvertici e ti daremo sangue sufficiente che ti permetta di stare in mezzo a tanti umani." Con questo Shouta uscì lasciando Katsuki da solo. 
   
 
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