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Autore: Jeremymarsh    19/04/2023    5 recensioni
Nel peggior giorno della sua vita, Kagome ripensa alle leggende che il nonno le raccontava da piccola prima di andare a dormire e alle quali ha smesso da tempo di credere.
È convinta che sia ormai impossibile uscire dal baratro in cui è precipitata all’improvviso, ma non è detto che tutti i mali vengano per nuocere. Un unico evento – per quanto disastroso – ha provocato conseguenze impensabili e ben presto dovrà affidarsi credenze e valori finora ignorati per sopravvivere, lasciando dietro ogni cosa conosciuta.
Genere: Avventura, Hurt/Comfort, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Inu no Taisho, Inuyasha, izayoi, Kagome, Sesshoumaru | Coppie: Inuyasha/Kagome, Miroku/Sango, Rin/Sesshoumaru
Note: Lemon, Soulmate!AU | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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Capitolo XXI: Fianco a fianco

 

 

 

“And if the house burns down tonight
I got everything I need with you by my side
Holding you and the wheel and it occurs to me
We're driving down the edge of eternity.”

If the house burn down tonight, Switchfoot

 

 

 

 

“Tieni, questa dovrebbe andarti bene.” Kagome si girò verso la voce e fu sorpresa di vedere Sango con in una mano una tuta da sterminatrice. “Non so quale sia la tua taglia, ma ho cercato di trovartene una della misura più giusta possibile. Non puoi certo scendere in battaglia con quel kimono,” continuò osservando il modo in cui era ancora vestita.

Kagome sorrise, timida. La imbarazzava ammettere che da quando Koji li aveva lasciati per permettere loro di prepararsi non era riuscita a trovare una soluzione al suo vestiario, ma ancora di più sapere che Sango aveva notato il suo problema.

Quest’ultima sembrò capire anche il suo stato d’animo. “Non c’è mica da vergognarsi. È stata una mia idea dal primo momento in cui hai affermato di voler combattere; queste armature sono create da noi sterminatori con i resti dei demoni che sconfiggiamo e ci proteggono da secoli. Indossarne una ti garantirà una cerca agilità di movimento oltre a una doppia protezione nei tuoi punti più deboli. Di sicuro meglio che indossare la veste del topo di fuoco, no?” Le ammiccò.

“Inuyasha ti ha detto che ha provato a darmela e ho rifiutato?” rise.

Sango annuì. “Ovviamente. Ma sarebbe stato stupido da parte sua abbandonare la sua armatura quando tu puoi averne una più adatta a te. Il rosso potrà anche starti bene, ma quelle maniche larghe potrebbero crearti qualche problema mentre scocchi una freccia dopo l’altra. Dopo tutto, la tua arma di preferenza è l’arco, giusto?”

La sacerdotessa lanciò un’occhiata alla faretra piena accanto a lei. “Riesco a incanalare meglio il mio potere e sono abbastanza brava.” Poi sembrò ripensarci su. “Almeno lo sono negli allenamenti.”

“Mmm.” Kagome sentì lo sguardo della sterminatrice su di sé e rialzò il suo. “Sarò schietta con te, Kagome… apprezzo molto il tuo spirito e la voglia di metterti in gioco, ma quella che ci aspetta lì fuori è roba seria. Non ci serve la tua titubanza o paura e in questo momento in te non vedo tutta la sicurezza che hai esternato quando hai detto a mio marito e mio padre di voler prendere parte a questa battaglia a tutti i costi.” Alzò la mano quando vide Kagome cercare di interromperla. “Non voglio sminuirti o dare ragione a Miroku, mi voglio solo accertare che tu sia sicura di quel che stai facendo perché lì fuori non ci sarà spazio per i ripensamenti, è chiaro?”

Le aveva parlato in modo deciso e severo, dimentica di tutte le parole gentili che aveva sempre avuto per lei quelle poche volte che si erano viste, e Kagome apprezzò anche la sincerità e la schiettezza.

Sapeva di essere terrorizzata, non tanto per i demoni che avrebbe dovuto affrontare, ma di sbagliare e mettere in pericolo gli altri, di essere un peso, e al tempo stesso non si era resa conto che con quei dubbi avrebbe corso il rischio di realizzare quelle paure. Sango aveva ragione: non c’era spazio per sentimenti deboli sul campo di battaglia e doveva essere decisa e sicura di se stessa.

Lo era, sapeva di avere quelle caratteristiche e di poter combattere senza essere di intralcio. Allora le sorrise. “Hai fatto bene a dirmelo, però ti assicuro che non dubiterò nemmeno per un istante delle mie capacità e che combatterò al vostro fianco per far sì che la battaglia finisca il prima possibile e in nostro favore.”

Sango ricambiò il suo sorriso. “L’ho sempre saputo, ma era in mio dovere dirti quelle cose. So che non ci deluderai né deluderai te stessa. E per quel che importa, so benissimo cosa stai provando – lo sa chiunque abbia combattuto almeno una volta – e la paura è un sentimento comunissimo. L’importante è sfruttarlo a proprio favore.”

“Questo è proprio quel che farò,” le assicurò ancora Kagome.

“Molto bene, allora indossa questa e fammi sapere se hai qualche problema. Nel frattempo manderò qualcuno a procurarti qualche freccia in più; ho idea che quelle lì non saranno abbastanza.”

 

*

 

La battaglia per tutti loro iniziò in modo brusco: un momento prima stavano controllando di avere tutto pronto, quello dopo erano sotto attacco. In seguito, Kagome avrebbe riflettuto che non c’era nulla di strano o sbagliato in quello; tutte cominciavano in quel modo e anzi loro avevano anche avuto un lusso che a molti non era permesso: un avvertimento.

Lei e Inuyaha, che le era rimasto a fianco fino all’ultimo, si erano scambiati un ultimo sguardo, una promessa silenziosa e un bacio frettoloso prima di separarsi e svuotare del tutto la mente se non per il loro obiettivo, ovvero la massa di demoni che stava oltrepassando le alte mura difensive del villaggio.

Kagome non lo vide più, ma non fu motivo di ansia: sapeva che Inuyasha era più che addestrato a quel tipo di situazione, piuttosto ora doveva solo dimostrare a se stessa di non essere debole e che quel potere che le fluiva nelle vene e del quale gli Dei l’avevano ritenuta degna non era andato sprecato.

Sango, nonostante fosse una delle guerriere migliori, si era assegnata alla stessa fila di Kagome, dicendole che siccome nelle prime c’erano già tanti sterminatori valorosi, lì dietro serviva qualcuno che potesse dare ordini e riprendere il controllo se ce ne fosse stato bisogno. Ma la sacerdotessa sapeva anche che aveva voluto combattere al suo fianco e darle forza, che altrimenti ci sarebbe stato qualcun altro al suo posto, e la ringraziò con un cenno della testa.

Vedere la sicurezza e la serietà che Sango emanava contribuiva a rinforzare il suo proposito così come quello di tutti gli altri che l’ammiravano e che avevano imparato da lei in missioni precedenti.

Così, Kagome fu più che pronta quando i primi demoni cominciarono ad arrivare: avevano i numeri dalla loro parte e, per questo, molti riuscirono a oltrepassare coloro che stavano in prima fila e a dirigersi senza scrupoli verso di loro. Calavano i loro capi e aprivano le loro fauci come se non vedessero l’ora di sentire la carne sotto quei denti lunghi e marci, allungavano le zampe storte, sporche, piccole e grandi tentando di afferrare quante più vittime potevano, sputavano fuoco e veleno, ma i loro avversari non erano i semplici umani di cui si cibano di solito, povere vittime che predavano nei luoghi più isolati e scuri, e il loro numero non avrebbe assicurato loro la vittoria.

Il primo obiettivo di Kagome fu un enorme millepiedi, la cui parte superiore del corpo era però umanoide, e che si diresse senza troppe esitazioni verso di lei, allungando le sue molteplici braccia tentando di stritolarla e leccandosi le labbra rosse pregustando già il suo pasto.

Kagome però era più veloce.

Il suo corpo era già in posizione, l’arco pronto e la freccia incoccata; aspettò che il suo bersaglio fosse al centro della traiettoria e poi scoccò una, due, tre frecce con invidiabile precisione. Lo colpì negli occhi, nel petto e nella pancia e per ogni colpo andato a segno si sprigionò una brillante luce rosa che anticipò di poco il momento in cui il demone venne purificato e polverizzato di conseguenza.

La sacerdotessa non aspettò e non lo vide disintegrarsi, né l’euforia o l’adrenalina che avevano cominciato a scorrerle nelle vene la distrassero per un attimo dal suo compito; passò subito al prossimo obiettivo. Non c’era tempo da perdere e non aveva bisogno di tenere gli occhi su ogni bersaglio per sapere che aveva fatto centro o che il demone non aveva più scampo.

Non vide il cenno di assenso di Sango, accanto a lei, che con il suo enorme boomerang stava uccidendo demoni più velocemente di ogni sua freccia, ma sentì per ogni tiro andato a segno il senso di sicurezza intensificarsi, la consapevolezza che ce l’avrebbe fatta.

Quando le frecce della prima faretra che aveva in spalla finirono, l’abbandonò, sentendosi molto più libera e quindi più agile. Nel frattempo, un demone fu anche più veloce di lei e registrò il dolore nel suo braccio portante quando i denti della bestia la toccarono.

Sibilò dal dolore e più di un epiteto lasciò le sue labbra, ma aveva ancora la freccia appena impugnata nella mano e si concentrò per incanalare la sua energia spirituale nella punta che conficcò con prepotenza nella gola della bestia prima che i suoi denti potessero affondare davvero nel suo avambraccio.

Inspirò una grossa boccata d’aria quando la vide disintegrarsi e controllò il proprio respiro cercando di aiutarsi con il dolore proprio mentre uno degli sterminatori, che aveva seguito lo scontro, l’affiancava. “Ce la fai ancora?” le chiese senza perdere di vista il suo opponente.

Kagome annuì. “Sì,” gli rispose poi quando si rese conto che non la stava guardando. Però, l’agilità che aveva avuto fino a qualche secondo prima sembrava sparita e sentiva il braccio molto più pesante. Il compagno accanto a lei se ne accorse quando le successive frecce furono scoccate con più lentezza.

Allora, dopo aver tranciato un’altra testa con la sua spada, l’afferrò per una mano e indietreggiò di qualche passo per allontanarsi quel tanto che bastava dal fuoco nemico. Lei l’osservò rimuovere la protezione al gomito e rivelare un compartimento segreto al suo interno, dove era conservato un piccolo tubicino. Glielo porse.

“Muoviti, applicalo sulla ferita. Non possiamo sapere se mordendoti ti ha iniettato qualcosa né possiamo nemmeno permetterci di mandarti in infermeria. Questa pomata servirà a rallentare quel che basta qualsiasi infezione anche se ti intorpidirà un po’ il braccio. Ma considerando il modo in cui ti ho visto muoverlo poco fa, forse è un bene.” Un attimo dopo era sparito e con la stessa velocità Kagome si applicò l’unguento e ritornò alla battaglia.

Continuò a mirare e tirare e nei momenti in cui sentiva di dover riprendere fiato, si circondava di una barriera rosa per difendersi ed evitare che i nemici potessero approfittare di quella debolezza. La sua capacità di generare barriere spirituali fu utile a più di un suo compagno e anche se duravano solo alcuni secondi – farle più resistenti l’avrebbe prosciugata subito – era abbastanza per riprendersi e ricominciare.

Intanto Sango, che aveva continuato a dirigere la battaglia da quel lato del campo, aveva osservato ognuno dei combattenti senza perderli di vista, nemmeno Kagome, e sebbene si fosse per un attimo preoccupata quando l’aveva vista ferita, era soddisfatta di come stava gestendo la situazione. Potevano farcela e Kagome sarebbe uscita da quella prima esperienza vincente.

 

*

 

Da un’altra parte del villaggio, un altro ragazzino scendeva per la prima volta in battaglia. Tuttavia, invece di seguire gli ordini e restare al suo posto dove altri più esperti di lui avrebbero potuto coprirgli le spalle se necessario, era andato avanti influenzato dalla vittoria che aveva avuto su alcuni demoni più deboli.

Non era consapevole del vero motivo per cui erano stati attaccati, avendo solo ascoltato il discorso ufficiale di Inuyasha, ma dentro di sé era più che intenzionato a farne fuori quanti più possibile per il legame che colui che aveva causato tutto aveva con sua sorella, per vendicarsi delle sfortune che si erano abbattute sulla sua famiglia da quel fatidico giorno.

Dopo solo qualche mese trascorso in quel villaggio, Sota era cambiato e non rassomigliava più quel bambino ingenuo e spaventato che vi era giunto una notte insieme alla madre e al nonno. Si era allenato a rafforzare il proprio corpo e nascondere le proprie debolezze e il bisogno di vendetta insieme all’adrenalina dovuta alle prime vittorie, al vedersi più forte, lo influenzava al punto da credersi già un uomo fatto.

Per questo, quando vide alcuni nemici proseguire nella direzione in cui sapeva si trovava Kagome non ci pensò più di una volta e li seguì, approfittando del caos e della distrazione dei suoi compagni.

Li osservò per un po’ e aspettò il momento più adatto per farli fuori entrambi in un colpo solo, ma era così preso da dimenticarsi una delle prime lezione che gli erano state impartite e ciò che lo circondava. E su un campo di battaglia essere così sprovveduto poteva rivelarsi fatale.

“Guarda, guarda, guarda,” arrivò una voce alle sua spalle che lo immobilizzò. “Qualcuno qui si è offerto volontario per essere il mio prossimo pasto?”

Sota sgranò gli occhi nel rendersi finalmente conto che per seguire i suoi due obiettivi si era isolato da tutti e che il demone che ora percepiva alle sue spalle aveva richiamato anche quelli davanti.

Si trovava circondato.

D’improvviso tutta l’adrenalina e la sicurezza scomparvero, lasciando il posto al terrore, anche se non abbandonò mai le armi che aveva in mano, anzi le strinse ancora più forte pronto comunque a giocarsi il tutto per tutto.

Sentiva il sudore cadergli dalle ciocche bagnate in faccia e bruciargli gli occhi, la presa allentarsi a causa delle mani altrettanto sudaticce, il battito accelerato del cuore rimbombargli in modo assordante nelle orecchie e deglutì, non riuscendo ancora ad ammettere la sconfitta e – soprattutto – il suo errore fatale.

Quanti altri secondi avrebbe avuto ancora? Doveva cominciare a contarli? E su chi doveva puntare lo sguardo? I due demoni davanti o quello dietro?

Non ebbe bisogno di rifletterci troppo.

Qualche secondo dopo sentì un grido di battaglia, il rumore di una lama che colpisce il suo bersaglio e una voce più che familiare urlargli: “Giù!”

Il ragazzo fece come gli venne ordinato senza esitazione, si appiattì a terra, tremando suo malgrado, e sentì poi una corrente improvvisa oltrepassarlo.

Cicatrice del vento!”

Quando infine ebbe il coraggio di riaprire gli occhi vide cinque lunghi e profondi solchi davanti a sé che cominciavano a solo qualche centimetro di distanza da dove si trovava la sua testa.

Si alzò di scatto e immediatamente dopo qualcuno lo colpì forte alla nuca.

“Cosa ti salta per la testa?” gli urlò contro Inuyasha che ormai lo aveva raggiunto. “Ci tenevi tanto a morire? E come ne sarebbe stato della tua famiglia se fossi davvero morto?” I suoi occhi dorati erano assottigliati e fiammeggianti di rabbia, le corte zanne sporgevano oltre il labbro inferiore quel che bastava per intimorirlo e le orecchie erano rizzate sul capo.

L’immagine era ben diversa da quella a cui Sota era abituato.

Ma pur realizzando di aver sbagliato, non riuscì a starsene zitto e accettare quel rimprovero. “Era per loro che lo stavo facendo!” ribatté. “Quei demoni si stavano dirigendo verso mia sorella, la tua fidanzata!”

“Kagome sa badare a se stessa e se avesse bisogno di aiuto non è sola perché ognuno di noi è stato assegnato a una squadra. Proprio come te! Cosa? Pensavi che due mesi di allenamento fossero abbastanza per affrontare dei demoni da solo? Non saresti nemmeno dovuto scendere in campo.”

Il ragazzo strinse i pugni rimandogli indietro l’espressione arrabbiata. “Voglio fare anch’io la mia parte, proprio come tutti voi.”

“E falla,” gli rispose il mezzo demone, “ma senza mettere in pericolo inutilmente la tua vita, restando lì dove ti è stato detto di restare. Se non fosse stato per me, a quest’ora saresti acido nello stomaco puzzolente di quell’oni!” Poi lo vide sgranare gli occhi e le sue orecchie si agitarono captando un rumore specifico.

Per un secondo fu come se il tempo si fosse fermato e avesse ricominciato a scorrere solo quando registrò il dolore.

Senza perdere tempo, allora, spinse con violenza Sota a terra, lontano, mentre qualcosa gli trapassava lo stomaco e gli toglieva il fiato, costringendolo a piegarsi a terra e a vomitare sangue senza poter davvero reagire. Il suo corpo non gli diede modo di alzare lo sguardo su chiunque lo avesse colpito alle spalle o utilizzare la zanna che ancora stringeva nella mano portante.

Per sua fortuna, fu Sota questa volta a venirgli incontro.

Dimenticando per un attimo che quella situazione era solo colpa sua – o forse per ricambiare il favore e dimostrare a Inuyasha che non era così inutile o sciocco – Sota si rialzò e lanciò un pugnale cosparso di veleno dritto al cuore del suo opponente. Lo colpì anche se il lancio mancava di precisione, ma la sostanza che era stata applicata alla lama bastò a far accasciare il demone che poco dopo cominciò a contorcersi.

“Fallo fuori,” rantolò Inuyasha dopo che Sota si fermò a guardarlo senza fare nulla. “Non puoi lasciarlo vivo,” continuò dopo aver vomitato altro sangue.

L’altro annuì. Si avvicinò con cautela per assicurarsi che non potesse colpirlo e prenderlo di sorpresa con uno di quegli stessi tentacoli che avevano colpito Inuyasha e poi, deglutendo, conficcò la spada lì dove il pugnale non era arrivato: nel cuore.

Quando fu diventato polvere, Sota si concesse finalmente di tirare un grosso respiro di sollievo ma poi, ascoltando Inuyasha tossire e soffocare, si affrettò a soccorrerlo.

“Mi dispiace, è tutta colpa mia.”

“Keh, non abbiamo tempo per le scuse,” gli sibilò di rimando Inuyasha, riuscendo a rialzarsi a fatica facendo leva su Tessaiga e poi asciugandosi la bocca sporca di sangue prima di mantenersi la ferita aperta con la stessa mano. “Ho sbagliato anch’io a non accorgermi di quel bastardo.”

Sota si morse la lingua per non ribattere, sapendo che comunque Inuyasha non sarebbe stato colpito se non si fosse distratto per causa sua.

“Ritorna al tuo posto,” lo sentì continuare, “io andrò avanti.”

“No che non lo farai,” si impose allora. “Riesci a stento a camminare. E che ne sarebbe di mia sorella se il nemico approfittasse di questa situazione per farti fuori?” gli chiese rigirandogli la stessa accusa che gli aveva fatto quando lo aveva salvato. “Ora saresti tu quello avventato. Ti accompagno in infermeria.”

Inuyasha gli strinse le dita attorno al polso e poi, mostrandogli le zanne, ribadì: “In caso tu non te ne fossi mai accorto, sono un mezzo demone; mi riprenderò a breve.”

Sota non si fece influenzare. “Con lo stomaco squarciato e mentre continui a sputare l’anima? Avrai anche sangue demoniaco nelle vene, ma non ti sarà d’aiuto se lo vomiti invece di tenertelo dentro.” Poi si liberò con forza dalla sua presa, incurante dei suoi artigli, e lo aiutò a reggersi. Per sua fortuna qualcuno poco dopo li noto, perché non credeva sarebbe riuscito a trascinare un demone cane ostinato quanto Inuyasha fino alla parte opposta del villaggio in circostanze normali, figurarsi quando erano ancora sotto attacco.

Con l’aiuto di altri due sterminatori che pure andavano nella stessa direzione, finalmente raggiunsero l’infermeria.

Nel frattempo Inuyasha era peggiorato e non appena Sota scostò la porta di bambù per passare, vomitò un’ultima volta prima di perdere del tutto i sensi.

“O mio Dio,” esclamò una voce femminile che subito raggiunse il ragazzo per assisterlo visto che il mezzo demone era diventato mille volte più pesante. Sota la riconobbe come la madre di quest’ultimo e le sorrise incerto anche se con il suo aiuto riuscì ad appoggiarlo su un lenzuolo lì a terra.

La vide allargare gli occhi inorridita mentre prendeva nota delle ferite del figlio e si sentì ancora più in colpa. “Non è troppo grave, vero?” le chiese.

Izayoi alzò lo sguardo su di lui, poi sbatté le palpebre come se stesse cercando di metterlo a fuoco. “Oh, no… no. Non troppo; per fortuna il suo lato demoniaco lo aiuterà a rimettersi in sesto, ma,” deglutì, “ma ammetto che non mi fa un bell’effetto.”

Considerando che vi era un buco della grandezza di un pugno nel suo stomaco, rifletté Sota, a nessuno avrebbe fatto piacere.

“Ma tra qualche ora avrà già cominciato a richiudersi da sola. Forse è meglio che venga fasciata adesso, però. Proverò a fermare l’emorragia,” gli disse ancora sforzandosi di sorridere. “Grazie per averlo portato qui.”

Nello stesso istante vide sua madre avvicinarsi, spaventata sia dalla visione di Inuyasha che dalla sua presenza lì. “Sota, cos’è successo?”

“Io, ecco-”

“Forse è meglio se resti qui, non hai una bella cera e sembri scioccato,” lo interruppe la donna.

“No, mamma, c’è ancora molto da fare e-”

“Ha ragione, signora,” si intromise uno degli sterminatori che li aveva accompagnati, rivolgendo a lui uno sguardo severo. “Sota non è più in grado di continuare.” Poi gli diede una pacca sulla spalla e gli sorrise. “Hai fatto il tuo dovere finora e te ne siamo grati; ora lascia che siano gli altri a concluderlo.”

Sì, bel dovere che ho compiuto; per colpa mia Kagome ha rischiato di perdere anche il secondo fidanzato,” pensò acido, mordendosi la lingua per evitare che quelle parole lasciassero la sua bocca. Poi sospirò ammettendo che non avrebbe potuto fare altro e si lasciò trascinare via dalla madre, lasciando Izayoi e altre donne più esperte a occuparsi dei feriti.

 

*

 

Qualche ora dopo, la battaglia si era finalmente conclusa con la vittoria degli sterminatori, ma mentre si asciugava la fronte imperlata di sudore e si recava all’infermeria per farsi vedere il braccio ferito ora più che mai pesante, Kagome non si sentiva poi tanto vittoriosa. Aveva l’impressione che lo scontro più importante doveva ancora avere luogo. Dopo tutto, Naraku non era ancora mai davvero sceso in campo.

Sospirando, le spalle cadenti a causa di tutto il peso che stavano sopportando, Kagome spostò la porta di bambù e finalmente entrò nella capanna affollata, sperando di trovare il modo di visionare la propria ferita anche da sola. C’erano casi molto più gravi che richiedevano assistenza.

Stava per voltarsi verso una donna e chiederle informazioni quando degli hakama di un rosso acceso catturarono la sua attenzione.

I suoi occhi prima e le sue gambe poi scattarono in quella direzione e subito riconobbe la figura distesa su una brandina con l’addome completamente bendato. Accanto, sua madre gli stava asciugando il viso, anche se lui stava cercando di farla desistere muovendo il braccio; lei non ne volle sapere e, anzi, lo riportò in posizione sdraiata non appena tentò di alzarsi.

“Inuyasha,” quasi gridò precipitandosi da lui. “Cosa?”

“Oh, bene,” esclamò Izayoi vedendola, l’espressione molto più rilassata di prima. “Ora che ci sei tu qui, Kagome, lo lascio nelle tue mani. Sono sicura che sarai un’ottima infermiera.”

“Un ottima carceriera vorrai dire,” mugugnò Inuyasha.

La madre lo colpì affettuosamente su una spalla. “Ti sembra il modo di accogliere la tua fidanzata?” Poi scuotendo la testa, passò a occuparsi di altri feriti.

Il mezzo demone allora alzò lo sguardo su Kagome e le porse un timido sorriso vedendola preoccupata. “Ehi,” la salutò, “non è nulla.”

“Mmm,” annuì lei poco convinta, prendendo il posto che Izayoi aveva appena liberato e afferrando l’unguento lì accanto. “Permetti che sia io a giudicare?”

“E sia,” le concesse, “ma prima…”

“Prima?”

Inuyasha alzò un sopracciglio in modo suggestivo e lei rise, suo malgrado, prima di calarsi verso di lui e baciarlo. Il mezzo demone ricambiò con fervore, alzando la mano per infilarla nei capelli di lei e sentirla ancora più vicina. 
“È bello rivederti, koishii,” le sussurrò affettuosamente, come se fossero stati lontani per settimane, mesi.

“Sì,” concordò lei, baciandolo una seconda volta e accarezzandogli la guancia.

Erano sempre così presi da quel che accadeva loro intorno che talvolta si dimenticavano di quanto fosse nuova la loro relazione e del poco tempo che avevano da dedicarle. Era raro riuscire a vivere momenti così semplici e Kagome non vedeva l’ora di poterlo fare in totale tranquillità, non in un’infermeria o con l’ansia di ciò che poteva accadere.

Lui annuì, come se le avesse letto nella mente, e poi si distese di nuovo, lasciando che Kagome si occupasse di lui.

Con cura, riprese il lavoro che aveva cominciato Izayoi, togliendogli le bende sporche e rivelando una enorme cicatrice rossastra e infiammata.

Fu difficile trattenere un singulto nel vederla.

Se pure era vero che una ferita mortale per Inuyasha si era chiusa nel giro di qualche ora, il segno che si era lasciata dietro le faceva capire quanto fosse stata grave anche per lui che era un mezzo demone.

Non distolse lo sguardo mentre con le dita ne tracciava i contorni. “Cos’è successo?” bisbigliò. Lo sentì irrigidirsi in risposta e alzò il viso, concentrandosi su quello di lui e notando che era ancora molto pallido. “Chi ti ha fatto tutto ciò?”

“Non mi crederai se ti dico che non è niente e che è già tutto passato, vero? La ferita non era nemmeno avvelenata, quindi il mio corpo non sta avendo alcun problema a riprendersi. Non capisco perché non dare il mio posto a qualcuno che ne ha davvero bisogno,” sbuffò lui guardandosi attorno.

Kagome scosse la testa e Inuyasha ci rinunciò.

“Un tentacolo mi ha trapassato,” ammise riluttante, “e ho perso un po’ di sangue. Ma non ero solo e sono riuscito ad arrivare qui in tempo. Anche se sarei comunque potuto tornare a combattere.”

Lei lo guardò scettica. “Un tentacolo ti ha trapassato?” ripeté. “Come ha fatto a prenderti alla sprovvista? Dà alle tue orecchie più credito di questo!” continuò lanciando un’occhiata a suddette appendici che appena richiamate erano diventate tutte rosse.

“Stavo uccidendo un altro demone e mi sono distratto,” borbottò con un’alzata di spalle e senza incontrare i suoi occhi.

“Inuyasha,” lo richiamò Kagome, per nulla persuasa.

“Senti, non voglio farti preoccupare, ok?” Ancora non la stava guardando e Kagome si spostò per rientrare nel suo campo visivo.

“Tenendomi le cose nascoste mi preoccupi ancora di più. Pensavo avessimo deciso di non farlo più per evitare fraintendimenti.”

I loro occhi si incontrarono. “C’è tanto di quel dolore che vorrei tenerti nascosto e non posso,” confessò, “e preferirei che queste piccole cose-”

“Piccole?” lo interruppe ritornando a fissare la sua ferita. “Che tu sia umano o no, questa non è piccola.”

“Te l’ho detto, si è già richiusa e tra qualche ora sarò come nuovo. Ti avrei dato ragione se stessi ancora sanguinando o se fossi stato avvelenato, ma-”

“Non c’entra niente la velocità con cui ti stai riprendendo! Non ti rendi conto della gravità della situazione in cui ti sei trovato. Se non fossi riuscito a raggiungere l’infermeria o se il demone che ti ha colpito non fosse morto, avresti potuto fare la sua fine. Senza contare che c’è qualcosa di importante che mi stai tenendo nascosto e che mi conferma che di tutto questo niente è piccolo,” sbottò Kagome, infastidita dalla sua testardaggine.

Kagome lo sentì sospirare, come se non avesse più modo di fingere, percepì l’esitazione rimasta ma anche la rassegnazione e nell’attesa che si decidesse cominciò a spargere l’unguento sulla pelle rossa e delicata, massaggiando per far sì che si assorbisse con facilità.

Inuyasha rabbrividì di conseguenza, ma non seppe dirsi se era stato per il contatto con le dita di lei o per il freddo della pomata, poi, non potendo più tergiversare, ammise: “Ero arrabbiato quando è accaduto e lo sai che, beh-”

“Che la rabbia è l’unico sentimento che può farti perdere sul serio la ragione?” continuò per lui.

Inuyasha annuì. “È stato stupido da parte mia, perché gli stavo facendo una ramanzina per essere così irresponsabile nel mezzo di una battaglia e poi sono stato io stesso a-”

“A chi, Inuyasha? A chi stavi facendo una ramanzina?” Kagome non poté fare a meno di interromperlo di nuovo, fermando per un attimo il movimento delle dita sulla sua pelle.

Lo vide deglutire, poi distogliere lo sguardo e infine udì l’unico nome che avrebbe potuto farla preoccupare più di quanto già non era: “Sota.”

“Sota?” Kagome sobbalzò, inorridita. “Cosa ci facevi tu vicino a mio fratello? Lui non è per nulla abituato a combattere, Koji mi aveva assicurato che fosse rimasto al sicuro nelle retrovie e tu eri in prima linea e-”

Il mezzo demone le afferrò le mani e la costrinse a guardarlo negli occhi per farla smettere di farfugliare. “Ehi, ascoltami bene, è proprio perché non volevo che reagissi in questo modo che non volevo dirtelo, ma devi solo sapere che Sota sta bene, molto meglio di me; è al sicuro e ha imparato una lezione importante.”

“Oddio.” Kagome sgranò gli occhi rendendosi conto di un’altra cosa. “È per colpa di Sota che sei stato ferito in questo modo?” Lo strattonò per liberare le mani e quando lui glielo concesse ricominciò a ispezionare la ferita già chiusa ma ancora delicata con più attenzione di prima. “Sei stato trapassato… dalla schiena alla pancia,” sottolineò con un filo di voce più per stessa che per lui. “Trapassato.”

Poi lo aiutò ad alzarsi e gli chiese di mettersi su un fianco così che potesse occuparsi anche di quella – e guardare, con orrore, l’origine di quella ferita che in altre circostanze avrebbe potuto essergli fatale anche se non era debole quanto un umano – e suo malgrado, Inuyasha la lasciò fare. Si rendeva conto, ora più che mai, che quelle dita che si muovevano frenetiche sulla sua pelle erano il tentativo di Kagome di sfuggire alla paura, toccarlo per assicurarsi che era davvero lì con lei e, più di tutto, anche un modo indiretto per chiedergli scusa.

Ma non ne aveva bisogno; Kagome non gli doveva nulla. E anche se qualche ora prima era stato tremendamente arrabbiato con Sota, sapeva che parte di quel sentimento era scaturito dal sollievo di essere riuscito a salvarlo in tempo da morte certa – e aver salvato lei dal dolore che l’avrebbe colpita.

Finì anche per rilassarsi sotto il tocco benefico di Kagome e non mosse più alcuna lamentela, apprezzando ciò che stava facendo. Il modo in cui sembrava venerare il suo corpo, in quei momenti, sembrò quasi aiutasse il suo sangue demoniaco a reagire, spronarlo a far tornare ogni cosa com’era prima perché, così, forse un po’ delle sue ansie sarebbero svanite.

Ma anche se non funzionava così, l’idea stessa aiutò Inuyasha a sollevarsi’, così come il medicarlo stava aiutando Kagome.

Infine, il silenziò che li avvolse parlò più delle tante parole che si erano scambiati finora e li incoraggiò a tenere duro un altro po’, perché tutto sarebbe finito prima o poi e loro, anche se feriti, ne sarebbero usciti integri. Insieme.

 


N/A: Spero il capitolo sia stato di gradimento ed è vostro dovere morale farmelo sapere 😜. 
Il capitolo prossimo sono riuscita a cominciarlo sul serio solo ieri (aaah), ma il mio obiettivo è pubblicarlo comunque entro le due settimane. Non temete. Tanto vogliamo sapere tutti che fine hanno fatto Sesshomaru, Toga e Rin, no? 

A prestissimo ❤. 

 

   
 
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