Videogiochi > The Arcana. A Mystic Romance
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Autore: PaolaBH2O    02/05/2023    0 recensioni
"La vita è noiosa come una storia che raccontata più volte infastidisce l'orecchio pigro d'uno già mezzo addormentato."
Vero. Se ogni evento è già stato narrato completamente, ma queste vicende non sono già scritte. Tutt'altro.
Qualsiasi storia può stravolgersi, se vista da un'altra prospettiva. E' un'occasione per cambiare ruolo, compiere altre scelte, fare nuove scoperte.
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Questa fanfiction è un crossover tra la route di Julian e la fanfction "Fortuna favet fortibus" tratta dal film "I Cavalieri dello Zodiaco - La Leggenda del Grande Tempio" (potrete trovarla nella sezione di Saint Seiya del sito). Può contenere spoiler sulle route degli altri personaggi e sulle scene alternative acquistabili con le monete.
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: MC, Nuovo personaggio
Note: Cross-over | Avvertimenti: Spoiler!
Capitoli:
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5 - Confrontation



Il saggio impara molte cose dai suoi nemici (Cit. Aristotele)



Per essere la stanza in cui si era consumato un incendio, la camera di Lucio non ne aveva davvero l’aspetto. Senza nessuno a mettergli fretta o distrarlo, Death Mask l’aveva visto con maggiore chiarezza: il legno dei mobili non si era carbonizzato, i vetri delle finestre non si erano opacizzati e i muri non erano striati di fuliggine né trasudavano il puzzo rancido che appestava anche le case dei semplici fumatori.
Aveva creduto di essere soffocato dalla cenere quando Nadia gli aveva fatto il quarto grado, ma si era trattato e continuava a trattarsi di semplice polvere: tutto ne era ricoperto, ma al di sotto di essa i mobili erano intonsi, e purtroppo non era l’unica bizzarria.
A dispetto dello stato di abbandono e della mancanza di sole diretto, non c’era odore di muffa né di umidità, un caldo torrido rendeva ogni respiro soffocante, annebbiava i sensi e si appiccicava alla pelle fino a farla sudare. Era come se il fantasma dell’incendio perseguitasse a consumare quelle pareti e ciò non faceva che aggiungere domande ad altre domande, ma era inutile supporre la storia di quel disastro quando avrebbe potuto confrontarsi col diretto interessato. Dopotutto, gli stava di fronte. Esattamente davanti a lui.
Quando aveva deciso di affidarsi al suo sesto senso da Cavaliere, unico che gli fosse rimasto a non poter essere intorpidito o confuso, ecco che lo aveva tradito svolgendo in modo egregio il suo compito; aveva espanso i confini della sua mente oltre le percezioni procurate dai cinque sensi, ascoltato le vibrazioni vitali provenienti non solo dalle altre stanze del castello, ma dagli altri piani dell’esistenza stessa e quando aveva percepito un’increspatura nella tombale calma che lo circondava, aveva riaperto gli occhi in un’allerta carica di angoscia.
A mezzo metro dal guerriero, ora stava una sagoma ricurva, con fattezze a tratti umanoidi e a tratti caprine, dai lampeggianti occhi scarlatti e privo del braccio sinistro.
-Presumo voi siate il famigerato Conte Lucio…- mormorò Cancer con voce ferma ma gola secca per l’agitazione.
Ci sarebbe stato molto di più di ciò che avrebbe voluto dirgli e chiedergli, ma lo sguardo del suo interlocutore gli suscitava un’ingiustificabile quanto viscerale paura che credeva di aver seppellito quasi vent’anni fa assieme alla sua prima vittima: erano gli occhi di Lucio e la malignità che ne traspariva ad avergli solleticato i bordi della mente quando aveva tentato di andarsene, era la primordialità del suo male a bloccare la sua lingua altrimenti tagliente e i suoi muscoli scattanti… Non la trasparenza della sua figura o la malizia della sua reputazione, ma l’imperscrutabilità di una cattiveria che nasceva e si lasciava guidare da null’altro che un caotico capriccio e che, peggio di tutto, sembrava capace anche di scrutare nei meandri più reconditi della sua anima.
La situazione poté solo peggiorare quando Lucio stiracchiò un ghigno fin dove gli permetteva il suo muso animalesco, e in un verso distorto, parlò.

-Io so invece che tu sei il Cavaliere D’oro del Cancro.-

Ridacchiò con un mezzo belato. Death Mask non trovò provocazioni o insulti per rimbeccarlo, fu solo in grado di fissarlo disgustato mentre il moncherino del braccio si alzava e un calore ustionante si irradiava all’altezza della spalla dove sembrava essersi posata la mano mancante del fantasma.

-Con un titolo del genere, io e te diventeremo senz’altro… Ottimi… amici!-

Più che un proposito, sembrava una minaccia e ancora una volta le parole a Death Mask vennero meno; impietrito dal terrore, scosso dalla testa ai piedi da un brivido gelido, supplicava dentro di sé per qualunque diversivo che lo avesse potuto smuovere, che lo avesse portato a combattere un nemico altresì inerme di fronte alla sua forza ma nessuno sapeva si trovasse lì, il tempo che avrebbero impiegato prima di venirlo a cercare era inquantificabile così come il tempo che avrebbe resistito lui senza lasciarsi scivolare nella pazzia. Poi, deus ex machina.
-Buoni, raga, buoni! Vengo in pace!-
I versi di Mercedes e Melchior si unirono alle rassicurazioni di Élan e mai il silenzio fu riempito in maniera altrettanto rincuorante e chiassosa.
Death Mask si girò in direzione della porta e di nuovo dove stava Lucio, ma il Conte era sparito; di nuovo in possesso delle sue facoltà fisiche, marciò fuori dalla camera e s'imbatté in uno scenario bislacco: i due mastini, a pelo ritto e denti scoperti, tenevano a debita distanza la fata che, per cercare di placarli, stava imitando la posa di Chris Pratt in “Jurassic World” e il tono tipico di un presentatore italiano che il Cavaliere riconobbe.
-Boniiii, shhh! State boniii!-
-Che fai?!- sbottò, non in vena delle solite buffonate.
-Sto cercando di calmarmi imitando Maurizio Costanzo, magari sono dei fan di “Buona domenica”!-
L’uomo roteò gli occhi, la afferrò per un polso e la trascinò via per il corridoio, là dove la luce del castello diradava le tenebre a sufficienza da non farlo sentire minacciato… Ma la questione era tutt’altro che alle sue spalle.
-Cos’è successo?- indagò Élan, incespicando nei suoi stessi passi.
-Nulla- tagliò corto lui con la bocca arida e la pelle puntinata dai brividi, ma la ragazza non si accontentò: si liberò dalla sua presa malferma, lo afferrò per le spalle dove l’armatura le lasciava spazio e lo costrinse a darle le dovute attenzioni. Anche quando lui rivolse gli occhi a setacciare il fondo ora vuoto del corridoio, non si diede per vinta.
-Non me la dai a bere: ti è cambiata la voce e parli a monosillabi, sudi freddo, ti tremano le mani, non riesci nemmeno a reggere il mio sguardo, sei chiaramente in stato di shock!- non le serviva molto per capire quando il suo compagno fosse turbato e dopo una rapida analisi era riuscita a scorgere in lui persino un’angoscia inedita.
Death Mask emise un verso di stizza, arricciò le labbra in un’espressione tiratissima e, come sempre quando non sapeva che strategia adoperare, la sbeffeggiò.
-E quindi che vorresti farmi fare? Sdraiare e sollevare i piedi in alto?-
-Oh no, non funzionerebbero con te. Pensavo a un tipo di approccio più… Personalizzato.-
Senza concedergli il tempo di chiederle quale fosse, Élan raccolse tutte le forze che aveva in corpo, lo spinse contro la balaustra, ci salì sopra con le ginocchia e si poggiò labbra contro labbra al Cavaliere. Gli strinse le braccia al torace per darsi ulteriore sostegno e rendergli impossibile la fuga, ma dopo un primo momento di sorpresa, Cancer le sospirò sul viso, le prese le guance tra le mani e cominciò a lasciare che i muscoli si distendessero uno per volta.
I suoi pensieri galopparono rapidi via dalla stanza infestata e a contemplare la gratitudine che provava verso la brillante, tenace creatura: non aveva speso che una manciata di secondi nella trance indotta da Lucio, troppi pochi perché potesse essere rimasto del tutto solo nel suo tragitto, il che significava che Élan lo avesse seguito quasi subito. Solo lei avrebbe potuto salvarlo da quella situazione, solo lei sarebbe stata temeraria da sfidare due mastini incazzati e risoluta quanto bastava per capire come rimettergli la testa sulle spalle e fargliela riperdere allo stesso tempo. Lei e nessun altro.
Quando lo sentì ricambiare il bacio, Élan cominciò a chiudere e aprire le labbra per dare un ritmo alla loro effusione finché non le sfuggì un gemito trasognante; prima che potesse scappargliene un altro, poggiò la sua fronte al casco di Death Mask e riprese fiato.
-Dubiti ancora dei miei metodi persuasivi?- gli sussurrò vittoriosa.
L’uomo rise ma in un modo talmente passionale e caloroso, che la giovane si morse un angolo della bocca.
-Non dubito dei tuoi metodi perversi… Ma questo già si sapeva…-
-Ho avuto un buon maestro!- replicò prima di addentargli con delicatezza il labbro inferiore incurvato in un sorriso stuzzicante.
I loro sguardi si persero l’uno dentro l’altro mentre si fissavano oltre le ciglia, fin quando una voce impacciata e piena di imbarazzo, impedì loro di proseguire.
-Scu-scusate?- era Portia. Venuta a cercarli dopo non averli trovati in camera, li aveva sentiti tubare in cima alle scale. Non era suo uso e costume intromettersi, ma viste le circostanze non aveva potuto farne a meno -Sto… Interrompendo qualcosa, vero?- Death Mask ed Élan risposero in contemporanea con un incurante “no” e uno sdegnato “sì!”, ma la rossa continuò -Ecco, mi dispiace ma la cena è pronta, i cortigiani si sono già accomodati a tavola e la Contessa Nadia dovrebbe raggiungervi tra pochi minuti. Sono venuta apposta per accompagnarvi.-
Impossibilitati a rifiutare l’invito, il duo venne scortato nello stesso salone in cui Nadia aveva spiegato a Kamya l’incarico che intendeva affidarle, e lì vi trovarono effettivamente il bizzarro gruppetto di nobili che avevano conosciuto nella sala del tè: da un lato si erano accomodati, a distanza di un posto, Valerius e Vlastomil, dall’altro, con la stessa disposizione, Volta e Vulgora; uno dei capi del tavolo era lasciato libero per la Contessa, l’altro era occupato da Valdemar.
Come li videro varcare la soglia, Volta prese ad agitarsi sulla sedia e Valdemar si girò con un sogghigno inquietante. Per l’occasione si era tolta la mascherina e i suoi denti aguzzi luccicarono sotto la luce dei lampadari; altrettanto valore non lo guadagnava il suo incarnato oliva.
Dopo tanto vagabondare e dopo tanti angoscianti incontri, Death Mask ed Élan avevano fatto il callo alle personalità eccentriche, i cortigiani non li impressionavano dunque, ed entrambi si sarebbero potuti persino prospettare l’idea di una cena gradevole se non fosse per stato per un dipinto in particolare: il banchetto di Lucio circondato da commensali animaleschi. Quello dove lui era un caprone bianco.
Non appena il Cavaliere lo vide, si bloccò sulla porta, i pugni serrati lungo i fianchi, la mandibola contratta e una paralisi muscolare che non gli lasciava scampo; la sua nemesi caprina l’aveva preceduto fin lì sulla tela e per quanto si ripetesse che fosse una coincidenza, una sbafata di olio su stoffa grezza e che la bestia stesse guardando dritta davanti a sé, Death Mask avrebbe giurato di aver scorto un guizzo sotto i suoi occhi infuocati, un guizzo che l’avrebbe seguito in ogni angolo della sala e per tutta la nottata fin dentro ai suoi incubi più nefasti.
Vedendolo assente ma non in modo pacifico, Élan gli si accostò, provò a intuire cosa lo tormentasse e alla fine se ne uscì con una strategica bugia.
-Mmmm, hai ragione, Death!- lo richiamò -Se ti sedessi accanto al Console e al Pretore rischieresti di dargli l’armatura in testa: mettiti accanto alla Procuratrice e al Pontefice, dovremmo stare tutti comodi così!-
Volta accolse la proposta con entusiasmo; Vulgora, al contrario, lanciò alla fata una serie di sfide a combatterlo per provare sulle sua ossa la sua forza smisurata. Tutto fumo e niente arrosto, i suoi scatti di collera vennero ignorati. Il Cavaliere D’oro annuì una sola volta, riservò alla compagna un’espressione di muta ma profonda gratitudine e prese il posto che gli era stato suggerito: l’incriminato pezzo d’arte stava ora alle sue spalle e magari poteva sentirsi una preda puntata dal falco, ma col passare della cena confidava se ne sarebbe dimenticato.
Élan, ora tra Valerius e Vlastomil, sfoggiò tutta la buona educazione che le avevano impartito i suoi genitori: adottò una postura scomoda ma elegante, stese il tovagliolo sulle gambe e appoggiò i palmi sul bordo della tavola in attesa dell’arrivo della padrona di casa, ma non impressionò comunque il console.
Valerius nutriva sentimenti contrastanti per gli ultimi arrivati al castello. Death Mask aveva un’armatura di tutto rispetto a sottolineare l’importanza del suo altisonante grado, ma non era capace a dimostrarne, di rispetto, e le sue buone maniere ricordavo quelle di un vaccaro piuttosto che di un uomo dell’esercito; Élan, d’altra parte, era encomiabile nei suoi sforzi di apparire all’altezza della situazione, ma anche un’insignificante popolana: nondimeno, erano elementi troppo scarni per dare un giudizio accurato e se voleva palesare il suo astio, doveva conoscere le loro intenzioni e raccogliere maggiori evidenze della loro inappropriatezza.
-Potrei chiedervi che cosa vi abbia spinti a visitare Vesuvia in questo periodo dell’anno?- fece un cenno ai servitori dall’altra parte della stanza affinché servissero da bere a tutti i commensali; arrivati al suo calice, poggiò la punta delle dita sul collo della bottiglia in modo da colmare il suo bicchiere -Immagino siate stati informati della notizia della Mascherata, anche se non pensavo una novità del genere potesse aver viaggiato tanto in fretta oltre i confini della città. Suppongo sia merito della fattucchiera e dei suoi trucchetti magici…-
Trascurando il papabile disprezzo e il tono piccato, Élan si accese e sorrise raggiante a Death Mask.
-Un ballo in maschera! Ho sempre sognato di partecipare a uno! Quando sarà? Death, dobbiamo restare assolutamente!-
Il console riuscì a mormorare a stento un “qualche settimana” che la voce del Cavaliere lo coprì.
-Ragazzina, non credo ci fermeremo tanto a lungo!-
-Potremmo farlo, se le indagini di Kamya si prolungassero e avesse bisogno del nostro supporto- gli fece notare nella speranza di persuaderlo.
Valerius si sforzò di inserirsi nel discorso, chiedendo come stesse procedendo la missione della strega, solo per venire ignorato.
-Anche se fosse, dove li troviamo dei costumi?!-
-Li facciamo con le tende in pieno stile “Via col vento”!-
-Ti sembro Rossella O’Hara, per caso?!-
-Signori, vi prego!- tuonò il Console per attirare l’attenzione: ne aveva avuto abbastanza dei loro toni assordanti, dei modi sgarbati e soprattutto del fatto che gli parlassero sopra per portare avanti uno sconclusionato battibecco. Il volgare suggerimento di Élan di travestirsi con la tappezzeria, seppur raffinata, era stata la goccia che aveva fatto traboccare la già modesta misura del cortigiano -Non siete costretti a prendere parte alla celebrazione se questo dovesse andare contro i vostri impegni. Nel caso, poi, aveste problemi con l’abbigliamento adeguato, sono certo che potrete sfruttare la simpatia che la Contessa nutre per la strega e farvi procurare il necessario. Anche se penso non vi saranno necessari vista la vostra colorata personalità!-
All’ultima affermazione accompagnò uno scatto del polso che rovesciò il bicchiere di Élan, schizzò il centrotavola di bacche e fece colare una buona dose di vino addosso ai piatti della fata e sulla sua divisa. La ragazza scattò in piedi fissando orripilata il “battesimo” e allargando le braccia tanto da far volare via il cappello del pretore. Vlastomil si affrettò a raccogliere il copricapo, Valdemar gongolò entusiasta del caos, Volta si mordicchiò le dita per la fame e Vulgora procedette a staccare le bacche dalla decorazione sporca. Il fatto che, in segreto, lo facesse con la stessa delizia con cui avrebbe strappato gli occhi ai propri avversari, non dimostrava proprio niente.
-Che sbadato! Non posso credere mi sia successo un’altra volta! Le mie sentite scuse- si giustificò tiepido il Console.
-Un’altra volta?!- sbottò Élan senza moderarsi.
-Sono mortificato…- le blande difese di Valerius non potevano suonare più false di quanto già non fossero, ma per sua sfortuna, la giovane tante cose era ma non una repressa.
-Ah no, caro il mio ragioniere! Questa non te la faccio passare liscia, non quando ho un granchio di quasi due metri che freme per menare le mani! Vai, Death Mask, scelgo te!- nell’aspettativa generale, Élan si voltò a indicare Cancer solo per trovarlo concentrato a dividersi il mucchietto di bacche in resina assieme a Vulgora.
L’uomo alzò la testa con aria spaesata.
-Che?- fece saettare gli occhi per la sala e si accorse di essere circondato da una serie di sguardi eccitati, tranne quello di Élan che lo stava fulminando.
-Che. Stai. Facendo?!- ringhiò la domanda scandendo ogni parola.
-Vuoi che mi sporchi le mani perché tu vuoi pestare lui, ma lui non vuole pestare te? Preferisco mettermi comodo! Piazzo delle scommesse col mio amico qui, come si chiama…- preso sottobraccio, Vulgora precisò il suo nome corrugando le sopracciglia -Vulgora! Mi godo lo spettacolo, insomma! Se ti può far piacere, entrambi puntiamo su di te: sei mingherlina ma tosta, i pronostici sono a tuo favore!-
-Cos’è accaduto in mia assenza?!-
Tutti i presenti scattarono in piedi per accogliere l’arrivo della sconvolta Nadia che ogni cosa si aspettava di trovare, meno che un’atmosfera di indisciplina, lite e sregolatezza -Scommesse a tavola? Altri arredi rovinati dal vino, e voi, Valerius! Credevo di essermi espressa molto con chiarezza quando vi avevo ordinato di non umiliare i miei personali ospiti ma…-
-Aspettate, aspettate!- la interruppe Élan: sapeva che il loro arrivo a palazzo avesse portato scompiglio, il rapporto tra Death Mask e Nadia, basato sul sospetto, era con ogni probabilità irrecuperabile, ma forse lei era in tempo per salvare le apparenze del Console, convincerlo della sua buona fede e ridurre l’agitazione della donna -Non è stata colpa del Console Valerius, volevo versarmi da bere ma mi è scivolata la bottiglia di mano. Sono tristemente nota per essere maldestra, ahah!-
Nadia la squadrò con aria severa: il vino le era colato sulla stola blu, su parte delle gambe e aveva proseguito la sua corsa fino alle caviglie; anche la parte bassa del ventre ne aveva accolto una buona dose, asciugandosi sulla pelle della divisa dove ora giaceva una macchia rossastra.
-È la verità?- si rivolse al Cavaliere D’oro con voce glaciale.
Cancer annuì due volte senza pronunciarsi e la Contessa decise che si sarebbe accontentata della loro versione per non protrarre oltre la scenata; alcuni camerieri sostituirono rapidi le stoviglie di Élan, altri sciamarono nella sala spingendo vassoi carichi di piatti fumanti, salsiere traboccanti di sughi speziati e piccoli cesti in cui i panini aromatizzati erano stati affettati e disposti in maniera artistica. Portia scostò e riaccompagnò al tavolo la sedia della principessa per aiutarla a sedersi, e la donna ci tenne a precisare che non avrebbe accettato il piazzamento di scommesse alla sua tavola, soprattutto se la valuta includeva le decorazioni del centrotavola. A far sparire l’evidenza del misfatto, fu Volta che, con un veloce movimento delle scarne manine, si riempì la bocca di perline colorate e le masticò rumorosamente.
-Quelle…- deglutì con disgusto Death Mask -Erano bacche… Di resina…-
La donnina si fermò per un momento prima di riprendere a sgranocchiarle rapida e mandarle giù senza sforzo.
-Erano così appetitose, tutte colorate e trasparenti, sembravano caramelle!- gli sorrise con i suoi occhioni stanchi e pieni di rughe.
Il Cavaliere ci rifletté e da oltre la tavola bisbigliò ad Élan.
-Questa qui è troppo forte, la dobbiamo portare a qualche ristorante all you can eat del Grande Tempio: li facciamo andare in bancarotta!- scherzò, pregustandosi la disperazione dei ristoratori… Almeno finché non si ritrovò a dover sedare l’emozione della procuratrice.
-Oh! Nessuno mi aveva mai invitata a cena! È un invito a cena, non è vero?-
-No!- la stroncò senza che il luccichio nel suo sguardo si affievolisse -Proprio no!-



In onore del quieto vivere Nadia aveva preso per buone la mediocre scusa di Élan e lo svogliato sostegno di Death Mask, ma non intendeva lasciar correre nessun comportamento che fosse stato meritevole di un premio o un castigo.
Per ricompensare la fata, le aveva messo a disposizione i suoi bagni privati e garantito abiti freschi per il giorno dopo, nonché una pulizia approfondita della sua divisa; col console non era stata altrettanto benevola.
Sebbene Valerius avesse denunciato la chiassosità e la mancanza di decoro del duo, Nadia aveva ribadito che il genere di condotta in cui si marchiavano a vino gli ospiti indesiderati, non fosse ammissibile né per una mera gelosia né per un paio di schiamazzi: gli amici di Kamya potevano non essere sofisticati, ma qualunque tipo di atteggiamento fuori luogo spettava alla padrona di casa correggerlo.
Inoltre, Valerius, tra i cortigiani, era colui che svolgeva meglio il proprio lavoro e verso il quale Nadia stessa nutriva maggior rispetto, ma ciò alimentava anche le aspettative e la speranza che mantenesse un ritegno ineccepibile; quindi, dopo averlo redarguito tanto a lungo, lo mandò a scusarsi con Élan. In modo sincero, stavolta.
Ciò che la principessa non poteva prevedere, era che Valerius fosse troppo orgoglioso per chinare la testa davanti a ciò che considerava un’ingiustizia e che contava sulla discrezione dei due se non avesse rispettato il copione concordato: erano tutti troppo adulti per andare a fare la spia, nevvero?

-Oh, Cavaliere! Stavo cercando proprio voi!- trovò Death Mask fuori dai bagni della Contessa, gli andò incontro e lo salutò con voce incredibilmente chiara per essere tipo al settantesimo bicchiere della serata; il siciliano studiò la sua andatura dritta come un freccia e si lanciò in un’infinita serie di calcoli per capire come facesse tanto vino a non dargli alla testa.
-Se sei venuto a scusarti o far piovere altra merda, caschi male, vostra altezza. Élan si sta facendo un bagno e vista l’importanza che mi hanno insegnato a dare all’igiene personale, non conto di metterle alcuna fretta.-
Valerius non si stupì della fredda accoglienza, ma parve stupirsi, se non addirittura offendersi, per l’insinuazione sulle sue scuse.
-Ma io non sono venuto a scusarmi con lei! Sono venuto ad ammonire voi…-
Death Mask inclinò la testa di lato, ridusse gli occhi a una fessura e lo invitò a proseguire sorridendo con un che di minaccioso.
-Sentiamo…- lo sfidò.
-Dovreste tenere la vostra servetta col guinzaglio corto- suggerì privo di mezzi termini.
-Continua- il ghigno del Cavaliere D’oro si fece più ostile.
-È oltremodo scandaloso che si rivolga a voi trascurando sia il vostro titolo, sia la dovuta deferenza, ma che vi imponga anche dove sedervi e di intervenire in sua difesa! Trovo tutto ciò inammissibile!-
Cancer annuì bonario per il tempo durante il quale Valerius sproloquiò e, alla fine del suo sermone di stronzate, capì perché il vino non gli desse alla testa: non ne aveva una. D’altro canto, non era il tipo che si lasciasse avvincere dalla collera per poco, anzi trovava il suo discorso fonte di grande ilarità, per cui cinse il console con un braccio, gli riservò un’occhiata complice e gli diede qualche sonora pacca sulla spalla.
-Ahahah, Vally, vecchio caprone! Chi l’avrebbe mai immaginato che fossi così trasgressivo in camera da letto! Sono sempre quelli più castigati ad avere le fantasie più perverse, eh?- con un altro potente colpo in mezzo alle scapole sbilanciò tanto il cortigiano da fargli rovesciare parte del calice. Intanto, Valerius si sentì ribollire.
-Non stavo scherzando!-
-E chi scherza quando si tratta di sesso! Il prossimo suggerimento quale sarà? Manette e frustino?-
Dopo l’ennesima manata sulla schiena, Valerius studiò meglio il proprio interlocutore e dalla sua espressione intuì di essere stato deriso.
-Osate prendervi gioco dei miei consigli?!- sbraitando, serrò le dita attorno al bicchiere e le nocche gli si sbiancarono -Non credete che la servitù irrispettosa debba essere disciplinata?!-
-In questo momento credo fermamente in tre cose: la prima è che ti stia per prendere un coccolone, la seconda è che ogni termine come disciplina, punizione o castigo, si può infilare in qualsiasi allegoria sessuale, come questa, e soprattutto credo tu stia usando un sacco di paroloni per dire “odio le donne e nessuno mi si scopa da una vita”…-
La sfumatura che assunse la faccia di Valerius sarebbe stata degna di avere un nome tutto suo nel pantone dei rossi: non solo si riteneva un uomo desiderabile, ma aveva anche potuto godere della compagnia del miglior partito di Vesuvia a suo tempo! Purtroppo, a suo tempo, risaliva a…
-Quando il Conte Lucio era in vita, godevo dei favori di un amante insuperabile, tra i migliori della città!- ringhiò a denti stretti.
-Certo, certo, e dimmi, Vally, questo “amante”, lo potevano vedere tutti o soltanto tu?- Death Mask adesso lo fissava con aria di onesta preoccupazione e, per palese che fosse anche il tranello, Valerius ci cascò con tutte le scarpe.
-Ovvio che lo potesse vedere chiunque! Il mito della sua persona si era diffusa fino ai bassifondi della città, anche se la relazione era tenuta segreta!-
-Segreta, d’accordo… Ma anche a lui?- la stretta sullo sprovveduto calice si fece insostenibile e il vetro si incrinò fino a spezzarsi; il vino gli corse lungo il polso, tinse la manica della sua candida camicia e gli gocciolò via dalle dita mentre rivolgeva al Cavaliere uno sguardo velenoso -Ops, mani di ricotta, eh? Ti direi di chiamare Portia ma il suo turno è finito quindi meglio se vai a prendere scopa e paletta di corsa! Rapido, schnell!-
Con quest’ultima mordace frecciata, Cancer scostò la porta del bagno e ci si infilò sinuoso come un felino, prendendosi la libertà e il gusto di spiare fino all’ultimo millimetro la smorfia furente del cortigiano; la litigata era stata un vero toccasana per togliergli dalla testa l’esperienza vissuta con lo spettro di Lucio, ma a scacciare il ricordo in terre remote, fu l’atmosfera ovattata della stanza da bagno: le gentili note dei profumi floreali si spandevano nell’aria della sera, una fresca brezza soffiava dalla finestra da cui si godeva di una fantastica vista della città e del cielo soprastante.
A coronare il quadretto, era un’Élan coi capelli umidi e scompigliati, incantevole nella sua vestaglia di seta color cipria con un bouquet di iris ricamati nell’angolo. Aveva finito di lavarsi da parecchio tempo, si era vestita e aveva origliato la conversazione, soffocandosi nel trattenere le risate. Adesso fissava l’uomo sorridendo commossa e formando un cuore con le mani, ma Death Mask era così poco abituato a raccoglierne l’adorazione della gente, che non seppe come reagire. Il miscuglio che ne venne fuori fu maldestro e scontroso.
-Qualunque cosa tu stia facendo, smettila all’istante!-
-Ma allora ci tieni un pochettino a me!- chiocciò lei.
-… tipo…- concesse l’uomo e gli occhi della fata si fecero più luminosi. Saltellò da lui per abbracciarlo e i goffi tentativi di evitarla fallirono contro la tenace dolcezza. A guancia premuta contro l’armatura, Élan mugugnò qualcosa a proposito del non aver visto la scena o averla ignorata, ma Death Mask difese il proprio onore a spada tratta -Ragazzina, io vedo e sento tutto: solo perché decido di vendicarmi in un altro momento non significa che i conti non verranno fatti, e ora, col tuo permesso, scorterei entrambi in camera.-
Conscio dei vetri rotti fuori dalla porta, della nudità dei piedi della ragazza e di quanto le desse fastidio essere presa in quel modo, la afferrò per la vita e se la gettò sulla spalla come un sacco di tuberi. Avendo il suo delizioso posteriore a portata di mano, alla prima lamentela sul trasporto “a quarto di manzo”, le schiaffeggiò una natica, crogiolandosi nel piacere delle reazioni scatenate: un gemito soffocato tra le labbra serrate, una leggera contrazione delle cosce e un vivace porpora che le tingeva le guance. Sapeva che fosse lì, anche se non poteva vederlo, e, anche se non poteva sentirla, c’era pure una scossa di piacere che partiva dallo stomaco della ragazza per arrivarle nella zona pelvica, dove si scioglieva in un misto di ormoni. Una reazione chimica intuibile ma che non gli avrebbe confessato.
Non avrebbe osato dargli tanto potere.
Arrivati in camera, Death Mask gettò Élan sul materasso con malagrazia, abbandonandola a una lotta contro cuscini, frange e nappe, dalla quale uscì dopo diverse gomitate e manate tirate a vuoto. I borbottii di protesta che si sollevarono nel conflitto servirono a correggere ben poco la ruvidità dell’uomo: in alcune circostanze, conosceva fin troppo bene quanto i suoi modi fossero richiesti e profondamente apprezzati.
Mentre la fatina lottava per liberarsi dai soffici arredi, il Cavaliere D’oro si sedette in fondo al letto a contemplare i dettagli sfavillanti della camera; le candele nelle lampade a muro erano state accese in loro assenza ma quella luce così fioca, seppur calorosa, smorzava la spettacolarità di ogni costellazione e macchia argentata che altrimenti di sarebbe infuocata col sole. Eppure andava bene lo stesso: c’era un che di riposante nei giochi di luce tenui e negli scintillii appena fuori dalla coda dell’occhio. L’unico rimasto a Death Mask, ringraziava.
Raggiunto il fondo del letto, Élan gli si arrampicò sulla schiena e col mento poggiato su una spalla, gli bisbigliò un suggerimento agghiacciante.
-Vuoi parlarmi di cos’è successo nell’altro piano?-
Il velluto del suo tono non bastò. La sua domanda fu come un ago rovente piantato nel cervello, un taglio con la carta, le urla dei capricci di un bambino.
Fino a un attimo prima il Cavaliere si stava distendendo nella sua colossale e fastosa camera con una squisita cena nello stomaco, la soddisfazione di aver umiliato un coglione nel cuore e la donna dei suoi sogni nel letto. Donna, ci tenne a ricordare a se stesso, che fino a meno di tre ore fa era ai blocchi di partenza per sedurlo e che ora indossava una vestaglietta corta, morbida al tatto, semi-trasparente e facile da togliere.
Praticamente il sogno erotico di un’intera nazione!
Invece proprio quella donna aveva deciso di rovinare quasi tutto con la domanda più scomoda dell’esistenza… Condividere i propri pensieri e sentimenti era importante, ma col cavolo che Death Mask l’avrebbe fatto! Tuttavia non poteva essere in guai peggiori rispetto a quelli percepiti tutto il giorno da un medico di sua conoscenza.
All’improvviso, un’illuminazione.
Aveva un gossip davvero succoso, uno che ad Élan sarebbe interessato di gran lunga più di qualunque suo trauma e che avrebbe messo da parte la seduta psichiatrica.
-E se ti dicessi, piuttosto, cos’è che aveva Julian stamattina?-
Il discorso sulle angustie del rosso colse nel segno; Death Mask riuscì nel suo intento e, anche se non impiegò molto tempo a discuterne, alla fine Élan era talmente stravolta da aver dimenticato la domanda di partenza. In effetti, non si era nemmeno accorta di essere stata distratta.
-No, dai! Non è possibile! È uno scherzo, hai voglia di scherzare?!-
-Vedo che sei diventata del mio stesso parere!- Cancer scrollò le spalle con un sorriso amaro che coniugava assieme il compiacimento del “te l’avevo detto”, col dispiacere per la delusione causata.
-So come funziona la sindrome da abbandono e questa lo è in piena regola, ma è troppo anche per lui!- Élan si lasciò cadere a peso morto sul letto, si passò le mani sulla faccia e la stropicciò fino a che non dovette sbadigliare -Non c’è niente che possiamo fare per aiutarli?-
-Temo che sia troppo tardi a quest’ora…-
-Non essere melodrammatico!- gli diede un colpetto col piede sull’armatura e la tentazione di Death Mask di catturarle la caviglia per farle il solletico, fu sopraffatta dal sonno che incombeva.
-Intendevo dire è tardi per uscire. Saranno, cosa, le dieci di sera? Anche se sapessimo che fare non sapremmo dove trovarli, se hanno finito di parlare potrebbero non essere ai moli e non ho idea di dove sia il negozio della biondina… Per quanto riguarda lui so già dove sarà andato a leccarsi le ferite…- come ogni sera, si alzò, stiracchiò la schiena e i pezzi dell’armatura volteggiarono in aria prima di ricomporsi nel loro rettangolo di marmo -L’unico suggerimento che posso avanzare è di andare a dormire, è il modo più rapido per far passare la notte. Domattina decideremo il da farsi.-
Élan, sfinita, concordò. Con gli occhi pesanti e la testa ciondolante per il sonno arretrato, Death Mask gettò un paio di cuscini sul pavimento e assieme alla fata si infilò sotto le lenzuola, cullato dal dondolio delle fiammelle e dalla carezza del raso fresco sulla pelle accaldata.
La consapevolezza che li attendesse una missione ardua al loro risveglio era in cima alla lista delle preoccupazioni per la fata, ma l’abbraccio di Morfeo la portò dove il peso di nessuna delle sue angosce avrebbe potuto affogarla. La stessa buona sorte non capitò a Death Mask.
Si sforzò di addormentarsi senza permettere alle ansie future di schiavizzarlo troppo presto, si concentrò sulle sue piccole grandi fortune e sulla convinzione che nessuno più di lui meritasse una notte indisturbata di riposo… Ma nel palazzo c’era chi nutriva una convinzione più ostinata della sua, chi coltivava morbosamente un proposito che non avrebbe lasciato a marcire come gli altri avevano fatto con lui…
Io e te diventeremo senz’altro… Ottimi… amici!” aveva detto, e ci credeva con tutto ciò che era rimasto del suo essere… Doveva solo farlo comprendere anche all’oggetto del suo desiderio, e quale metodo migliore se non mostrandogli in modo diretto il perché meritasse stringere quel legame?
La testa di Death Mask guizzò nel sonno e le sue sopracciglia si corrugarono a poco a poco che la visione prendeva forma. I contorni di ciò che lo circondava erano sfocati ma chiari abbastanza da permettergli di riconoscere l'architettura di un paese freddo: struttura in legno, pareti di tronchi orizzontali e tetto basso, tutto studiato per trattenere il calore. Non era Vesuvia, era molto più a sud o molto più a nord.
La tribù che lo circondava era preda di scatenati festeggiamenti dal quale un’eco si distaccò.

-La notte del mio diciottesimo compleanno. Il clan aveva festeggiato per giorni in anticipazione dell’evento. Non sarei stato più il loro prezioso principino Monty: sarei diventato un uomo. Un uomo disposto a tutto pur di ottenere ciò che voleva. A partire da quella notte stessa…-

Sapeva di averla già sentita, ma dove?
Prima che riuscisse a rispondere al suo interrogativo, si fece notte di colpo, la gente era crollata a dormire e un ragazzo biondo stava schivando i loro corpi privi di senso per passare di fianco a un arazzo consunto; tra i morsi delle tarme si intravedevano branchi interi di cavalli, orsi e lupi divorati da sciami di scarabei famelici. Non erano rossi, ma nel loro modo di lasciarsi dietro nient’altro che ossa spolpate, diedero il voltastomaco al Cavaliere. Non se lo sapeva giustificare, ma gli sembrava segno di un cattivo presagio…

-Non mi piacevano gli scarabei, volevo che fossimo qualcos’altro, ma mio padre sosteneva che non ci fosse niente di buono nel piacere alle persone, che gli altri clan avrebbero speso le loro vite cercando di piacersi a vicenda, e per cosa poi?! La vita non riguarda l’essere apprezzati: riguarda il divorare o l’essere divorati… Una filosofia che tu stesso hai abbracciato da molto tempo.-

Piuttosto arrogante da dire! Cosa ne sapeva quel, chiunque fosse, di che vita Death Mask avesse fatto? Davvero pensava di capirlo tanto da conoscere le motivazioni che lo avevano spinto verso certe scelte? Comodo ignorare la crescita e i cambiamenti abbracciati nelle ultime settimane! Tuttavia, precise o meno che fossero le sue supposizioni, da dove le aveva tratte?
Un altro arazzo si stagliò nella luce lunare, più grande e curato del precedente: i suoi intrecci rappresentavano una donna immersa nella caccia, il sangue spietato della sua gente le scorreva nelle vene mentre inseguiva una preda agonizzante, la scena successiva la vedeva elevarsi sopra una montagnola di carcasse putrefacenti; chiunque altro si sarebbe accontentato della cattura, ma lei era una vera cacciatrice.
Il ragazzo giunse a un immenso portone socchiuso, trattene il respiro e vi sbirciò oltre.
-Madre, sei sveglia?- bisbigliò, ma l’ombra addormentata a gambe incrociate stette in silenzio -Vorrei che non dovesse andare in questa maniera, lo sai. Avresti potuto crescere il tuo più grande alleato, che ne sapevi che invece stessi facendo crescere il tuo più grande inc…-
La figura scosse le spalle e Death Mask vide il giovane scansarsi dalla porta per appiattirsi contro la tappezzeria.
Patetico! Avesse avuto almeno il fegato per minacciare alla luce del giorno! Era già diventato insopportabile al punto da fargli roteare gli occhi, ma il peggio stava dietro l’angolo.
Una volta ricomposto, il ragazzo uscì dalla porta principale e si addentrò in una fitta boscaglia innevata; si spinse sempre più a fondo tra gli alberi senza curarsi dei fiocchi gelidi che gli si posavano sulle guance e tra i capelli, ma incespicò quando un barbagianni emise un verso stridulo. Batté la schiena contro un tronco che gli lasciò sulle mani una resina viscida, ma dal sorriso trionfante che gli si stampò in faccia quando la annusò, si poté capire che la sua ricerca stesse giungendo a una conclusione.

-Dal giorno della mia nascita ero destinato a guidare questa orda di miscredenti: era arrivato il mio momento di brillare! Ma anche se lo sapevo, dovevo comunque dimostrarlo, dovevo fargli vedere che non si potesse scherzare con me e per riuscirci… Mi sarei dovuto fare un amico nel bosco quella notte…-

Un’ampia radura circolare si aprì davanti al giovane; la neve si diradava in maniera troppo netta per essere stata tolta di recente, e l’aria si increspava come un fornello acceso senza fiamma: doveva essere afosa e carica di miasmi gassosi. Una volta che non fu più nascosto da travi o foglie, Death Mask finalmente riconobbe il suo anfitrione: Lucio. Seppur con qualche anno di meno sulle spalle, il suo sogghigno altezzoso era inconfondibile.
Ecco di chi era la voce che aveva sentito! Il bastardo lo aveva davvero seguito dentro i suoi sogni!
Death Mask menò i pugni nel tentativo di colpirlo, ma la sua figura sfarfallò appena. Si era chinato poco fuori dallo spiazzo e stava armeggiando con una pietra focaia finché una scintilla scoccò e diede vita a un disegno complesso di fiamme pallide e all’apparenza prive di calore. Pieno di aspettativa, si sfilò gli stivali, si tagliò entrambe le piante dei piedi ed entrò nel cerchio; qualcosa che gli scivolò sotto i piedi venne richiamato dal sangue sfrigolante e il terreno si smosse al suo passaggio.
Lucio cadde sulla schiena e l’espressione del suo viso preannunciò l’arrivo di una creatura che nemmeno i feticci contro il male avrebbero potuto contenere, ma la rievocazione delle parole di sua madre gli rammentò perché si fosse spinto fino a lì.

-Qual è il piano per domani, ma? Avrò una cerimonia? Magari una corona o un cambio di stile.-
-Ascolta, ragazzo, se pensassi che ti meriti una corona, non sarebbe perché sei sopravvissuto per diciotto anni fuori dall’utero.-
-Ma tu sei il loro leader e io il tuo erede! Se non diventerò più potente, cosa diventerò?-
-Più grande, finalmente. La tua infanzia finirà.-
-E cosa significa?-
-Significa che non vivrai più a scrocco mio o di tuo padre. D’ora in poi ti arrangerai da solo…-

Una sagoma opalescente, dalla pelle viscida e sporco di grumi terrosi, emerse nella radura: era un verme, con fattezze umane deformi e un lungo collo che ripiegò finché la testa non fu all’altezza di quella di Lucio.
Aprì con lentezza gli occhi luminosi mentre si ripuliva il corpo con un paio dei suoi tentacoli appuntiti e grigiastri; dell’altro paio, terminante con delle mani, le dita si intrecciarono formando un unico blocco untuoso. Liberato dall’ossessione per chi fosse l’impudente biondino, Death Mask venne investito dal dubbio sul perché nel mento del mostro e nell’arcata delle sopracciglia, gli apparisse un che di familiare.
-Vlagnagog…- mormorò Lucio.

-Il serpente della distruzione. Per quanto lo temessimo, il mio clan venerava quella ripugnante creatura. Non sapevo che aspetto dovesse avere, ma non me ne aspettavo uno simile…-

-È-è un onore incontrarvi, io sono Montag, figlio di Morga e Lutz. Sono certo che li conoscerete vista la loro devozione.-
Il suo sorriso nervoso si deformò ulteriormente appena l’essere aprì la bocca e tra le aguzze e bavose fauci si intravidero due lingue attorcigliate l’una con l’altra.
-Vlagnagog? Temo tu abbia evocato il verme sbagliato: il serpente della distruzione è avvizzito anni fa. La tua gente non pone mai il suo orecchio alla terra?- la bestia scosse con lentezza la testa e i cerchi dorati che penzolavano dai lobi cascanti ciondolarono -Un tempo dimorava qui, grasso e risplendente dei tributi del tuo clan, ma loro sono avari, non vogliono condividere… Quand’è stata l’ultima volta che gli avete offerto un sacrificio?-
Montag scattò in piedi, oltraggiato dallo spreco di ansia.
-È morto?! Allora chi sei tu?!- la deferenza che gli aveva fatto chinare il capo era avvizzita come il suo dio.
-Sono il verme della pestilenza, e non sarò facile da conquistare: le lusinghe sono vuote e non riempono le nostre bocche. Ora dimmi, perché mi hai attirato, Montag, figlio di Morga e Lutz?-
Il verme della pestilenza lo esaminò inquisitorio mentre Montag deglutiva a forza. Nei brevi istanti di silenzio che ne seguirono, il Lucio-spettro tornò a farsi sentire.

-La ruota della fortuna girò e con lei anche le mie possibilità di successo. Il piano era di patteggiare per la distruzione dei miei genitori, ma se avessi giocato bene le mie carte, avrei potuto comunque trionfare.-

-Fanculo! Perché mi stai mostrando questi ricordi?!- Death Mask prese a sbraitare contro il giovane Lucio solo per realizzare a metà frase quanto inutile fosse il suo sfogo. Il ragazzo nel sogno lo stava ignorando mentre l’interlocutore corretto osservava al riparo di un impercettibile dietro le quinte.
Raffazzonata una mezza strategia, Montag sfoggiò la sua migliore espressione da politico e con tono confidente, imbonì il Verme della Pestilenza.
-Sono venuto per chiedere il tuo aiuto. Non potrei essere più d’accordo con te, il mio popolo dovrebbe compiere maggiori sacrifici, ma i miei genitori sono al comando e non acconsentiranno mai. Prenderei volentieri il loro posto ma guardami: sono il piccolo della cucciolata, un fuscello, non ho possibilità contro di loro! Hai detto di essere il verme della piccolezza?-
-Pestilenza!- si inalberò la creatura -Perché dovrebbero preoccuparmi i tuoi affari da mortale?-
Montag emise un verso sprezzante.
-Be’, conosci la mia gente, giusto? Discendo da una lunga stirpe di parassiti, ci chiamano i Flagelli del Sud. Se mi aiuterai, ti prometto un generoso tributo, oh grande… Grande…- si smarrì quando si accorse che la divinità non gli avesse rivelato nient’altro che il suo titolo -Come hai detto di chiamarti?-
-Non l’ho fatto. Solo gli sciocchi danno il loro vero nome agli sconosciuti, Montag, figlio di Morga e Lutz…-
Preso di nuovo in contropiede, il giovane tentò di buttarla in ridere.
-Mi hanno già chiamato così una volta o due!- la sua patetica risata fu l’unica a sentirsi in tutta la radura mentre il Verme della Pestilenza ponderava la convenienza dell’offerta. Al termine della sua riflessione, catturò Montag in una disgustosa spirale. Tra i due vi era una distanza sufficiente a impedire che si toccassero, ma non da impedire che gli aliti viscidi della creatura raggiungessero i suoi polmoni.
-Potrei anche stringere un patto con te, ma richiederò un prezzo insopportabile, inoltre avrò bisogno di qualcosa che appartenga… A te- persino i suoi sibili acuti lasciavano nell’orecchio una sensazione unta e persistente.
Disperato nel suo sforzo di mantenere il contegno e non lasciarsi sfuggire alcun gemito di paura, al biondino giunse una folgorazione.
-E se fosse qualcosa dei miei genitori? Non ci sono affezionato e se potrai aiutarmi…- le gocce di sudore freddo che gli correvano sulle tempie si asciugarono nei miasmi gassosi e le parole che gli uscirono dalla bocca furono altrettanto aride -Ti darò i loro cuori.-
Il grido rabbioso di Death Mask riecheggiò in tutta la foresta e se fosse stato udibile oltre i confini del ricordo, avrebbe fatto agghiacciare parecchi stormi; cominciava ad averne davvero troppo della sua giovane nemesi: a dispetto dell’età adulta, Lucio mentiva come un bambino viziato e dispettoso, provocava sua madre nel sonno per paura delle conseguenze e, anche se era nel pieno delle sue forze e ben piazzato, manipolava gli altri nel compiere le malefatte al posto suo. Il Cavaliere era indeciso su cosa lo urtasse di più: la totale mancanza di iniziativa per sbrigare i propri crimini, o il tradimento nei confronti di una famiglia che lo voleva far crescere e rendere indipendente.
Avrebbe anche potuto condividere la filosofia del fare il necessario per raggiungere i traguardi desiderati, ma quando ciò comportava schiacciare i propri nemici, non gli alleati! Solo un momento troppo tardi si rese conto di quanto la sua riflessione suonasse nuova persino alle sue stesse orecchie, e comprese che Lucio non fosse l’unico a star ignorando i suoi progressi…
-I cuori dei tuoi genitori? Suppongo siano “tuoi” a sufficienza- il verme sollevò il mento verso il plenilunio e ingollò l’aria in abbondanti quantitativi. Il modo in cui la fiutava era raccapricciante: a ogni respiro chiudeva le palpebre pregustando il sapore della sua cacciagione, anche se sembrava se ne stesse già nutrendo, mandando giù le loro carcasse senza masticarle. Una volta trovate le sue vittime spalancò gli occhi, il suo sguardo vitreo si colmò delle lattiginose pupille e la bava che gli colava dalle fauci si insinuò tra i solchi del collo -Posso sentirli… Il loro legame con te è incredibilmente forte… I loro cuori sono duri ma succulenti…- Montag si illuminò alla notizia e la sua luce non cessò di brillare nemmeno all’imprevisto successivo -Non posso ucciderli: potrò solo prenderli quando saranno indeboliti.-
-Al resto penserò io. Tu ti occuperai di loro quando il momento sarà favorevole. Allora, affare fatto?-
Il Verme della Pestilenza si avviluppò sul ragazzo finché i confini dei loro corpi non si confusero in una massa indistinta di arti umani e tentacoli; solo il potere che pervase Montag gli impedì di rigettare come avrebbe fatto in circostanze meno bizzarre.

-Appena il suo potere mi strisciò addosso, mi sentii cambiare. I tagli sui piedi si rimarginarono, la mia visione sbiancò e quando il mio cuore venne colpito, percepii la sua forza scorrermi nelle vene.-

Fino a quel momento Lucio si era impegnato per riportare con dovizia i particolari che Death Mask avrebbe altrimenti ignorato, ma, a discapito del suo ruolo da protagonista, anche il biondino era rimasto all’oscuro di sconcertanti peculiarità… I tremori febbrili che lo avevano scosso al primo vero contatto col Verme, per esempio, o le convulsioni epilettiche che ne erano derivate in seguito… Se non avesse conosciuto il finale della storia nel lungo andare, Death Mask avrebbe creduto che il Verme della Pestilenza lo avesse ingannato per divorarselo subito, senza sé, senza ma e senza intermediari…
Sciagura volle che la storia non fosse che agli inizi.
-Montag, figlio di Morga e Lutz, per la durata del tuo compleanno porterai la mia morbosa malattia. Finché non mi ripagherai, non saremo liberi l’uno dall’altro.-
In trance, Montag aveva un tono simile alla sua controparte caprina ma più distante.
-Non ti deluderò. Resta qui ad aspettarmi, verrò a cercarti io a lavoro compiuto, non ho intenzione di scappare.-
-Scappare? Potrai farlo quanto vuoi ma ti seguirò ovunque, non importa dove andrai… Saremo indivisibili…- il Verme della Pestilenza lo liberò avvolto in una lattiginosa aura, posseduto da un maleficio senza eguali ma anche privo dell’energia per reggersi in piedi, e come il principe dei Flagelli perse i sensi, anche per Death Mask si fece tutto buio.
Quando la luce mattutina lo accecò col suo candore innevato, gli eventi presero a scorrere rapidi proprio come la corsa nella quale si lanciò Montag al suo risveglio. Scattò in piedi e sfrecciò lontano dalla radura maleodorante attraverso gli alberi; era diretto al suo accampamento con lo stesso vigore di un leone, ma venne domato da poche, brevi parole di sua madre: dove sei stato?
Con ogni probabilità non erano state le parole in sé, quanto il loro tono severo o lo sguardo gelido della donna, ma tanto bastò al ragazzo per essere addomesticato in un gattino. Ne seguì un dialogo insignificante in cui un figlio colpevole, armato solo di tono incerto, occhi sfuggenti e scuse banali, cercava di fregare una madre arguta, inquisitoria e affilata quanto la sua lancia; comprese che il ragazzo stesse cercando di guadagnare tempo, ma si lasciò distrarre dai moti di orgoglio del figlio che difendeva a spada tratta la sua nuova condizione di “adulto” capace di badare a se stesso in quanto diciottenne.
Come se l’esperienza e la maturità si potessero conquistare in una sola notte! Death Mask scosse la testa biascicando un paio di insulti, ma il suo sguardo scettico si riempì di lacrime di divertimento e la sua bocca di risa sguaiate quando Morga accusò Montag di credere che la Terra girasse attorno a lui piuttosto che al sole.
Per gli dei, era una donna fantastica! E ora che la studiava meglio, non era neppure da buttar via: non era nel fiore degli anni, un paio di rughe stavano già spuntando sulle guance e sugli zigomi tatuati, ma la sua pelle nivea e la chioma di un biondo pallido la rendevano una tipica bellezza glaciale. Come potesse Lucio essere la sua progenie, era un mistero destinato a rimanere tale.
Quasi stesse assistendo a un film piuttosto che a un ricordo, il Cavaliere si riscoprì a fare il tifo per Morga, sperando con una cospicua porzione delle sue forze che la maledizione ottenuta da Lucio non facesse presa su di lei… Purtroppo, non era un copione che si stava dipanando davanti ai suoi occhi affinché lo modificasse, e con l’arrivo di Lutz e l’abbraccio in cui il loro “adorabile” principino li costrinse, la loro condanna venne firmata…
Non servì più di un giorno. Lutz cadde malato entro sera e, incurante della sua condizione, accettò lo stesso il combattimento all’ultimo sangue che gli venne proposto dal figlio. Anche lui sembrava un uomo rispettabile agli occhi di Death Mask, uno contro il quale avrebbe combattuto volentieri e che avrebbe potuto anche tenergli testa nei suoi giorni migliori, ma ciò che si poteva scorgere nello sguardo di Montag mentre gli conficcava il suo pugnale arrugginito in mezzo al petto, e mentre il sangue gli correva sulle mani e tra le dita, non era rimorso, non era tristezza o rammarico…
Era estasi.
Poteva saldare metà del suo debito, ma passò un altro giorno, poi un altro, dopo un altro ancora, e lei non cedeva di un passo… Non riposava, mangiava a stento, quasi non sbatteva le palpebre pur di tenere sotto sorveglianza la sua malefica progenie, finché la vita non le donò l’opportunità per riprendersi quella data a lui.
Montag capì di essere stato visto mentre consegnava il cuore di suo padre al Verme della Pestilenza quando Morga emerse dagli alberi dall’altra parte della radura; la donna si lanciò subito in un combattimento serrato, uno in cui lui non aveva scampo.
-Non dovresti essere qui fuori, mamma!- si sforzò di darsi un tono, ma Morga lo divorò con lo sguardo -Dovresti essere a letto!-
-Ingrata larva che non sei altro…- ringhiò lei. La lingua lunga del ragazzo gli si appiccicò al palato e per poco anche Death Mask non scattò sull’attenti -Per nove mesi ho sofferto la nausea del portarti in grembo… Comparata a quella pena, questa non è che un’influenza estiva!- era la sola forza di volontà a tenerla in piedi, perché il suo aspetto era disastroso: le iridi grigie erano affogate in una cornea scarlatta, le vene sulle guance erano così cariche di sangue da formare diramazioni sotto gli occhi e, nei punti in cui si intravedevano, anche le dita erano di una sfumatura innaturale -Mi domandavo come avresti affrontato questo compleanno, avrei dovuto saperlo che avresti fatto una cosa del genere- ad ogni affondo della sua lancia le energie dichiaravano il loro ritorno -Sei un moccioso viziato, siamo sempre stati troppo buoni con te, anche in battaglia non ho mai permesso che ti facessi male e guarda come sei diventato: non sai cosa voglia dire combattere per la tua vita!-
Tra una sferzata e l’altra Lucio riuscì a trovare tempo a malapena per risponderle.
-Nem-nemmeno io voglio farti del male, ma’, sono tuo figlio!-
-Eri anche figlio suo e gli hai rubato il cuore…- con un calcio al centro del petto lo spedì a terra e prima che si potesse ricomporre, gli aveva puntato la lancia alla gola -Ciononostante, ho deciso di viziarti un’ultima volta- fece roteare l’arma in aria e la conficcò accanto alla testa di Lucio -Ti darò un vantaggio, farai meglio a correre per salvarti.-
Col volto rosso per la vergogna, il giovane fece scivolare via l’ascia dal palmo sudato, si rimise in piedi e scappò senza voltarsi indietro; corse per ore senza fermarsi perché conosceva fin troppo bene le atrocità riservate ai traditori, ma si bloccò al qualcosa che gli strisciava sulla nuca. In uno scatto di panico quasi si strappò i capelli ma alla vista dell’intruso, il suo animo ne rimase incantato: era uno scarabeo di un rosso tanto brillante da luccicare anche di notte e anche quando lo schiacciò tra le dita, facendolo esplodere in uno sbuffo di polvere.
Death Mask venne scosso da un violento fremito alla sua vista, se lo sentì nelle ossa, nel cuore e in ogni nervo. Era un sentimento indecifrabile il suo, un misto di paura, repulsione e cattiveria, avrebbe riconosciuto dovunque quella sudicia blatta, ma non poteva essere connessa con la malattia del Verme… Lui aveva dato al bastardo una maledizione…
Una che funzionava come una malattia, però, e che era veicolata dallo stesso insetto che lo aveva accolto al suo arrivo in città…
Il filo del pensieri che lo avrebbe condotto a una realizzazione importante venne reciso da caotici stralci di scenari: interi campi di battaglia pieni di moribondi con occhi rossi e vene pulsanti, altri demoni, altri rituali, altri patti e altri debiti destinati a rimanere insoluti, Montag che cambiava il suo nome e si guadagnava da vivere come mercenario…
Non per merito delle sue doti ma la sua carriera era lo stesso brillante e il salto di qualità venne dall’incontro col Conte Spada… di Vesuvia. Il nobile lo assoldò per una battaglia in cui si sarebbe potuto fare un nome, ma anziché uscirne con un titolo glorioso, Lucio ne uscì con una gravissima ferita al braccio sinistro. Il danno era incontenibile, il sangue perso era troppo, senza operazioni o interventi, in poche ore se ne sarebbe andato…
Alla vista di una dottoressa dall’aria saggia e del suo allievo sospettosamente familiare, Cancer sbuffò sdegnato: era colpo di scena più scontato della storia! Era l’esatto motivo per cui detestava i prequel, potevi sperarci quanto volevi ma già sapevi dove si sarebbe andati a parare, conoscere le origini di qualcosa non sempre aveva la sua utilità.
I due medici erano venuti per tenere fede alla propria missione. Gli strumenti a disposizione era mal puliti e rudimentali ma erano anche gli unici, e tra urla assordanti, cinghie legate al tavolo di lavoro e fiumi di sangue, Lucio vide amputato il suo arto un tessuto reciso alla volta.
Violenza e morte erano il pane quotidiano del Cavaliere, ma la sua politica sulla tortura spettava soltanto ai peggiori doppiogiochisti, in più il patimento emotivo e fisico vissuti dal biondino, finirono per contagiare anche lui, costringendolo a svegliarsi di botto, ansimante e madido di sudore; quell’americanata dove se uscivi da un incubo scattavi in piedi come una molla, non si applicò a lui, che, sovrastato dai suoi bruschi ansimi, tentò appena di riguadagnare le forze per mettersi a sedere.
Dopo quella che sembrava un’infinita quantità di respiri corti e occhi persi nel vuoto, fece perno sui gomiti, sforzò i polsi, raddrizzò la schiena e si lasciò cadere in avanti sui palmi delle mani; si passò le dita sul volto e tra i capelli quando capì che solo parte del suo viso era stata toccata e aveva sentito il freddo delle sue mani… Il braccio sinistro non si era mosso. Era convinto di averli alzati entrambi ma il gesto gli era venuto così spontaneo che in un primo momento non si era reso conto che l’arto fosse rimasto al suo fianco. Alla realizzazione lo alzò, lo stese e lo piegò, chiuse e aprì le dita della mano diverse volte e tutto andò come da copione.
Non soffriva di paralisi notturne e da che ne sapeva non ne esistevano di parziali, ma la notte stava procedendo male in qualunque caso: proprio il braccio che Lucio aveva perso era lo stesso che non rispondeva agli impulsi appena sveglio, ciò era accaduto dopo che erano stati in due a trovare similitudini con l’odiato conte e dopo che la paura per cui sarebbe stato perseguitato anche in sogno, si era dimostrata fondata.
Avendo l’urgenza di riconnettersi con la realtà, Death Mask si sfilò le lenzuola di dosso, poggiò i piedi per terra e il contatto col pavimento gelido, lo rimise al mondo; le visioni orrende dell’incubo smisero di sciamargli dietro alle palpebre e la ruvidezza del marmo gli ricordò la stessa della quarta Casa. Gradevole e consolatoria fu soprattutto la spalla setosa che gli si poggiò tra le scapole, mormorando una frase con voce impastata.
-Gocce di pioggia sulle rose e i baffetti dei gattini…-
-Come?- le labbra dell’uomo si arcuarono in un sorriso alla conferma che la fata sognasse le leziosità che aveva supposto.
-Sembra tu stia passando una nottataccia, quindi ho pensato di farti adottare il metodo di Julie Andrews in “Tutti insieme appassionatamente”: fai un elenco delle cose che ti piacciono come, non lo so, la birra, le scazzottate… Picchiare i bambini?-
Il siciliano girò la testa con lentezza per non farla cadere, ma la sbirciò comunque da sopra la spalla con espressione perplessa.
-Tu pensi che picchi i bambini per svago?-
-Lo fai per lavoro? Non lo so, non è un’opzione che mi sono mai sentita di escludere…-
Le vibrazioni sulla schiena dell’uomo gli fecero capire che stesse scherzando e gli irradiarono calore nel petto.
-Non c’è sfida, onore o divertimento a menare un ragazzino, puoi toglierlo dalla lista. Certo, a meno che non abbia scelto di fare il Cavaliere, in tal caso si chiama “allenamento” e non è illegale.-
-Wow, che cosa per niente da chiamata al telefono azzurro da dire! Pollici in su per te!- in breve furono in due a ridere e tutto tornò a essere fresco, pulito e gioioso come lo erano le sere passate al Grande Tempio. Élan sperava davvero di non starsi sbagliando, santo Dio, cosa avrebbe dato per poter leggere nella testa del Cavaliere senza doverglielo chiedere apertamente, ma l’atmosfera le sembrava si fosse stesa tanto da permetterle di correre quel rischio, scommettere su quell’intuizione e sfidare la pazienza dell’uomo -Quindi… Non è che te la sentiresti di dirmi cos’è successo nella camera del Conte?-
Cancer provò un brivido interiore a sentirselo nominare, ma sapeva di non poter rimandare la discussione troppo a lungo, per giunta era privo di gossip, giustificazioni convincenti o forze per mentire, senza contare quando allettante suonasse l’idea di arrendersi e vuotare il sacco! Inspirò a fondo, raccolse le idee e tentò di sintetizzare in modo rapido ma efficace.
-Ho visto il suo fantasma.-
-Solo?- Élan si stupì ma si affrettò anche a correggersi -Non fraintendermi, immagino possa essere spaventoso, ma per uno con la tua reputazione? Voglio dire, quanto pauroso può essere un semplice fantasma? Ne abbiamo visti talmente tanti che ho cominciato a farci il callo pure io!-
-Non si tratta solo di questo… Non c’è fantasma standard che possa smuovermi ma Lucio è di tutt’altra risma: era quasi tangibile, caldissimo e carico di tutta la sofferenza che ha seminato in vita… Mi sono sentito come se la mia sanità mentale fosse appesa a un filo molto, molto sottile… E di una cosa sono certo: voglio prendermi una pausa dai poteri da Cavaliere. Basta sesto senso, basta visioni che nessun mortale dovrebbe avere, basta fantasmi, capre, fantasmi a forma di capra e compagnia cantante… Almeno finché restiamo ospiti qui- la sua confessione aveva un certo peso e non gli portò particolare conforto… La fata lo sentì nel nodo tra le spalle rigide e nella contrazione dei muscoli velati di sudore quando lo strinse tra le abbraccia.
-Perciò… Niente cose preferite che scaccino le negative? Quando i cani mordono, quando le api pungono, quando mi sento triste… Mi ricordo semplicemente delle mie cose preferite e non mi sento più male- canticchiò senza convinzione tra uno sbadiglio e l’altro. Nei suoi viaggi aveva soccorso e continuava a soccorrere chiunque dimostrasse di averne bisogno, ma le idee più brillanti venivano meno quando era Death Mask a essere in difficoltà: voleva fargli percepire il suo sostegno, però l’apprensione stroncava ogni iniziativa. Per loro fortuna Julie Andrews aveva posto nelle mani di entrambi una soluzione calzante.
L’inguaribile ottimismo della fata portò un sorriso sulla bocca dell’uomo; gli incubi del conte erano peggio del morso di un cane o della puntura di un’ape, con ogni probabilità sarebbero andati ad aggregarsi a una lista di traumi pressapoco infinita che presto o tardi avrebbe fatto meglio a discutere con uno psichiatra, ma forse c’era qualcos’altro che avrebbe potuto condurlo in uno stato di abbandono dei propri timori.
-Canta ancora.-
-Cosa?!-
Death Mask si lasciò cadere all’indietro ed Élan nel suo sgusciare via, se lo ritrovò con la testa poggiata sulle cosce a mo’ di guanciale.
-Sei così stonata che è quasi divertente. Vuoi darmi una mano? Canta! Mi mette di buon umore!- il Cavaliere si accomodò nell’incavo delle sue gambe con un sorriso godurioso stampato in volto, e una fata incazzata nera sopra la testa -Rapida! Chop-chop!- la spronò.
Élan gli avrebbe volentieri spaccato un vaso in testa, ma con Death Mask sapeva di essersi conquistata anche quel genere di rapporto: un reciproco sostenersi, aiutarsi e comprendersi, ma anche un duello costante a colpi di ironia, chimica e audaci flirt. Con poca freschezza per stuzzicarlo né strumenti ad accompagnarla, alzò gli occhi al cielo, si schiarì la gola e intonò la prima canzone che le fosse venuta in mente.

Il gentil sesso lo chiamano spesso
Ma il suo amore è ingiusto come un truffatore
Mi ruba i pensieri
Commette ogni tradimento
Di logica, con nient'altro che uno sguardo

La prospettiva di ascoltarla a occhi chiusi si faceva allettante per Death Mask, i respiri lenti e gli sbadigli profondi. Col tocco leggero della ragazza che gli passava le dita tra i capelli, i pensieri si fecero leggeri come piume e la voce divenne piano piano distante… A contrario di quanto affermava per farla infuriare, era davvero bravissima e lui lo sapeva.

Una tempesta infuria all'orizzonte
Di desiderio e angoscia e lussuria
È sempre una brutta notizia
È sempre perdere, perdere
Allora dimmi amore, dimmi amore
Come fa a essere giusto?
Ma la storia è così
Distrugge col suo dolce bacio
Ma la storia è così
Distrugge col suo dolce bacio

In men che non si dica, Élan si ritrovò con l’uomo addormentato sulle sue gambe, una stanchezza contagiosa nella sua voce impastata e ben poca voglia di intonare la seconda strofa; gli poggiò con attenzione la testa su un cuscino, andò a spalancare le finestre per fare entrare il fresco della notte e si arrampicò di nuovo sul letto, rannicchiandosi accanto al Cavaliere per fargli percepire la sua presenza.
-Sogni d’oro, Death…- gli bisbigliò prima di sfiorargli con le labbra una guancia spinosa di barba.
Era deliziosa e piena di delicatezza, ma la sola bontà delle sue premure non bastò a tenere il conte lontano a lungo, e dopo avergli riempito la testa con numerosi e impressionanti dettagli sulle sue origini, era impaziente di condividere altri aneddoti della sua avvincente ascesa al potere.
Ristabilitosi dall’operazione e vinto lo scontro per il quale Spada lo aveva assoldato, Lucio venne accolto sotto la sua ala e venne messo al corrente dei segreti di Vesuvia; il conte lo prese tanto in simpatia da conferirgli il proprio titolo al momento della sua morte, avvenimento che, strano a dirsi, non fu Lucio a provocare. Tuttavia non gli lasciò in eredità solo un titolo facoltoso e una città da amministrare, ma anche i natali improvvisi di una lista di nemici che il biondino si preoccupò di rimpolpare, a partire da due prodigiosi alchimisti: erano una coppia davvero affiata, avevano un aspetto cordiale e un atteggiamento zelante che li portò a lavorare duramente per creare l’iconica protesi di Lucio, ma anziché pagarli a sufficienza da portare il segreto con loro nella tomba, l’uomo optò per la più economica scelta di rinchiuderli nei sotterranei. La promessa di ricchezza era stata sostituita da una di morte al mattino seguente e l’opportunità di non lasciare un lavoro incompiuto, venne colta quando dichiarò che avrebbe mandato delle guardie a occuparsi anche del bambino dei due.
Death Mask sentì che c’era stato un tempo in cui avrebbe concordato con la sua scelta, ma il sadismo di volerli separare anche nelle segrete del castello, e uccidere un bambino senza colpe, superava i suoi nuovi standard. Specie se immaginava se stesso ed Élan al loro posto…
Degli stralci di un altro demone caprino, più minaccioso e più imponente, gli lampeggiarono davanti agli occhi ma non riuscì a cogliere la sua parte nella tragedia.
Nel frattempo Lucio continuò a farsi forte del suo maleficio conquistando e sterminando grazie agli scarabei; nessuna vittoria era davvero sua, anche se suo era il nome che si poteva leggere in ogni cadavere abbandonato per strada o sul campo con gli occhi iniettati di sangue e le vene gonfie… Anche quando non era la maledizione a colpire, era lampante il passaggio del conte. L’avrebbero potuto testimoniare i cittadini di Karnassos, il cui sindaco venne assassinato perché si era lamentato del sovrasfruttamento delle risorse della città; alle loro proteste, Lucio scrollò le spalle e rispose che gli sarebbero dovuti essere riconoscenti per averli liberati da quello che palesemente era un demone.
Come si usa dire, però, morto un papa se ne fa un altro, Karnassos aveva dato il suo addio a un semplice sindaco, così almeno la pensava Death Mask, ma a quei poveri disgraziati di Nopal andò peggio. Il Cavaliere D’oro sapeva riconoscere un ricatto mafioso quando ne vedeva uno, e quello lo era in piena regola: anche se in cambio di protezione, i cittadini si opposero all’ordine di cedere un terzo delle loro risorse di cactus e, per pura combinazione, un mastodontico scarabeo rosso si librò nei cieli del loro villaggio la notte stessa.
L’imposizione aumentò a due terzi e per evitare la distruzione, fu tassativo accettare.
Il combattimento non fu verosimile, non fu appassionante e non si concluse a tarallucci e vino, a Death Mask fece venire il latte alle ginocchia solo a guardarlo: la difesa era piena di aperture, le finte prevedibili e gli attacchi non avrebbero ribaltato nemmeno una vecchietta artritica. Lucio aveva costruito la sua fortuna sulle sue balle e ora che aveva un “complice” non era più nemmeno in grado di collaborare!
C’era molta più credibilità nei film bollywoodiani, ciò nonostante bastò un solo vero fendente per abbattere la bestia che esplose in una pioggia di minuscoli insetti. Scavarono nel terreno fino a scomparire, lasciandosi dietro un’infinità sabbia smossa; se non avesse imparato ad adattarsi alla logica del sogno, Death Mask avrebbe ceduto al panico nel vederseli cadere addosso, avrebbe attivato la sua chela di cosmo e avrebbe colpito alla cieca rischiando di ferire Élan accanto a lui, invece si concentrò sulle percezioni materiali, chiuse gli occhi e non ne sentì nemmeno uno strisciargli sulla pelle. Non sapeva che guai collaterali dovettero affrontare i nopaliani, ma fu certo che la cattiveria della sceneggiata avrebbe portato loro molti più grattacapi di quelli intesi.
L’attenzione ritornò a Vesuvia, su un gruppo di orfanelli che avevano rubato dell’anguilla; nel suo bel completo rosso con pelliccia e lucidi stivali neri, Lucio minacciò di punirli se li avesse colti a rubare ancora e per una volta tanto non sembrò un pazzo irragionevole: avrebbe potuto optare per il taglio delle mani a uno di loro come monito, oppure schiavizzarli finché non avessero ripagato il debito, invece li aveva soltanto redarguiti. Tutta quella generosità era sospettosa per Death Mask e anche se i bambini aveva accolto con gioia il suo invito a pranzo, un orfano più alto degli altri, condivise i dubbi del Cavaliere. Il Conte lo notò e cercò di convincerlo a farlo diventare un gladiatore, tentandolo con la prospettiva di cibo a volontà, ma il ragazzino tentennò e Lucio insistette fino a sbugiardare la sua natura tirannica.
A salvare la situazione fu una macchia di capelli bianchi con vestiti violacei fuori misura, ma le immagini divennero indefinite, i lineamenti incomprensibili e i colori si fusero fino a non permettere di seguire l’evoluzione della vicenda. Il Cavaliere D’oro si ritrovò in un buio impalpabile, qualche sprazzo di luce faceva capolino qui e lì ma erano poco più che fiammelle flebili, soffocate da uno spazio infinito e impenetrabile.
I primi segnali di vita che percepì furono un gorgoglio acquoso e un gracidio, dopodiché una luce crepuscolare si spanse tutto attorno e un’oasi dall’aspetto surreale diradò le tenebre; delle strane creaturine luminose volteggiavano a mezz’aria o si rilassavano sulle foglie lucide, mentre l’acqua opalescente scintillava di una luce che lo invitava ad avvicinarsi.
Death Mask si sentì al sicuro all’interno del sogno per la prima volta, la sgradevole sensazione degli incubi di Lucio stava scemando in fretta e per cacciarla in maniera definitiva, prese un bel respiro e soppesò meglio il vapore profumato dell’oasi; un frizzante profumo di agrumi, acqua marina e fiori gli riempì le narici rinfrescandogli le idee e ricordandogli di tutto ciò che di buono aveva trovato nella sua infanzia. Col cuore più leggero e passi che affondavano nella sabbia arancione, si avvicinò ai bordi dello stagno dove una o due salamandre di luce si gettarono in acqua e una manciata di farfalle si involò sbattendo le alucce; la frenesia gli parve inappropriata viste le sue intenzioni pacifiche e un commento sottovoce gli sfuggì.
-Non tutti insieme, mi raccomando…-
-Si fanno avvicinare solo dagli ospiti che gli piacciono.-
La voce che gli rispose poco distante era tutt’altro che nuova, in effetti era così familiare da fargli alzare gli occhi al cielo e cascare le braccia… L’unico interrogativo era come avesse fatto a non notare prima la sua presenza. Raccolse le forze necessarie per fingere tolleranza e si voltò dopo aver montato una parvenza di sorriso il meno falso possibile.
-Asra! Quanto tempo! Avrei dovuto immaginare che questa fosse opera tua, tu aggiungi quel tocco di mal-di-retina a ogni delirio!- in realtà non gli davano fastidio colori tanto vivaci dopo i campi putrefacenti del Conte, ma doveva pur schernirlo in qualche modo!
Il mago era disteso su fianco appena fuori dal bordo dello stagno e sul suo viso aleggiava il suo miglior sogghigno volpino; aveva affondato un dito nell’acqua e nei ghirigori che creava agitandolo, scintillavano delle increspature ipnotiche per i pesciolini.
-Nemmeno un “ciao” o un “grazie” mi dici?- lo canzonò con tono mieloso -Eppure dovresti! Sono io che ti ho cavato fuori dai sogni di Lucio e ti ho lanciato un incantesimo protettivo…-
-Tu cosa?- gli domandò asciutto l’altro.
-Durerà solo per qualche giorno e sarebbe stato meglio se fosse stato lanciato all’inizio della nottata, ma Lucio non potrà a raggiungerti. Non come prima, almeno. Non c’è di che!-
Death Mask lo squadrò con occhi circospetti rimanendo fermo sul posto e a braccia incrociate.
-Fammi il piacere! Nessuno fa niente per niente, a che gioco stai giocando?-
In questo il Cavaliere ci aveva preso: il tessuto dei sogni era estremamente liquido se manipolato con un po’ di magia, e nella sua oasi di pace Asra aveva percepito che il Conte stesse per rivelare sia segreti di poco valore che altri dannatamente importanti del suo passato. Non sapeva perché il suo vecchio aguzzino avesse scelto proprio Cancer, ma non poteva lasciare che la sua vita privata venisse sbandierata a un soggetto simile; forse era solo un’inutile precauzione, ma era meglio non correre rischi.
-Diciamo che, per usare le parole di Nadia, gli amici di Kamya sono anche i miei. Fintanto che potrete assicurarmi che la terrete fuori dai guai, vi darò il supporto necessario quando richiesto.-
-Ma io non ho chiesto il tuo aiuto…-
-Troppo tardi!- il mago alzò lo sguardo verso la figura del Cavaliere e notò che un flutter di piccole meduse luminescenti gli si era appollaiata sulle spalle senza che l’altro le avesse notate. Il giovane raccolse una manciata di sabbia e si avvicinò a Cancer con fare sinuoso -Adesso però è tempo che ti svegli.-
-Sono appena arrivato!-
Le proteste vennero soffocate dalla sabbia che venne soffiata in faccia e dai tonfi che gli riempirono le orecchie, martellandogli per la testa.
-Sveglia sveglia!- cinguettò Portia fuori dalla camera -Sorgi e splendi, raggio di sole!-
Élan scivolò giù dal letto e corse ad aprirle la porta con addosso ancora solo la vestaglietta e niente altro; la cameriera varcò la soglia con un vassoio pieno di pasticcini e frutta fresca, in volto aveva stampato il sorriso energico di chi aveva cominciato a lavorare da ore ma non ne risentiva.
-Come hai fatto a bussare con le mani occupate?- la fata le fece segno di lasciare tutto sul letto alleggerendo al volo il vassoio di un dolcetto di pasta frolla e fragole.
-Ho usato la testa!- esclamò Portia con tono fiero.
-Cioè hai preso a testate la porta?-
Le due si scambiarono un segno d’intesa reciproca prima di scoppiare in una risata adorabile.
Adorabile, certo, ma anche chiassosa, proprio quel genere di risata che avrebbero reso insofferente un uomo che aveva trascorso la notte a basculare tra incubi e insonnia.
Un uomo come Death Mask, che, per l’appunto, allungò un braccio oltre il letto, rubò il cuscino ad Élan e se lo sbatté sull’orecchio, isolandosi in un rifugio di seta e piume dallo scarso potere insonorizzante; sentiva di essere circondato da un’aura di stanchezza e rancore e non solo per la sfilata di ignobiltà di Lucio, ma anche per la mancata comprensione dei suoi obbiettivi!
Tutte le sue atrocità, tutte le sue “imprese”, tutto il suo pavoneggiarsi ed esibirsi una volta potevano essere state votate alla conquista di una mandria di caproni, ma non si capiva cosa volessero da lui! Se farselo amico era il suo obbiettivo, era riuscito solo a ripugnarlo e, assurdo ammetterlo, a spaventarlo.
Cancer era abituato al sangue, alla guerra e a tutto ciò che ne conseguiva, ma viverlo tramite gli occhi di Lucio, privato della libertà di scegliere od opporsi, era un supplizio. Non voleva abbandonarsi al sonno ed essere trascinato da capo in un turbinio di colpi bassi e scorrettezze, ma allo stesso tempo non era un ragazzino, era un Cavaliere D’oro, orgoglio del Grande Tempio e soldato della Dea Atena, non poteva nascondersi!
Tutta la vicenda, inoltre, poteva essere un’arma a doppio taglio: se la protezione che gli aveva lanciato Asra avesse funzionato, avrebbe potuto godere di un riposo degno di questo nome, in caso contrario, al conte sarebbe stata servita un’altra chance per fornirgli la cartina tornasole di tutta la storia, quella che avrebbe potuto sbrogliare ogni incoerenza o trascinare alla rovina chi stava indagando con anima e corpo: la notte della sua morte.
Il tutto per tacere di quanto stesse assumendo le connotazioni di una faccenda personale…
Le sue riflessioni vennero interrotte dal rumore di una sedia trascinata in sottofondo; Élan ne aveva recuperata una per Portia e le aveva offerto di mangiare con loro, ma la rossa si era limitata ad accettare una tazzina di caffè. Indaffarata com’era, se si fosse seduta, non si sarebbe rimessa più in piedi. Soffiando sulla bevanda fumante aveva infilato una domanda dietro l’altra nascondendo la questione pressante in un ventaglio di frivolezze circostanziali.
-Avete trascorso bene la notte? Che programmi avete per oggi? Come vanno le indagini di Kamya? Contate di fermarvi a lungo e partecipare alla Mascherata?-
-No. Nessuno. Tuo fratello sta bene. Vallo a sapere…- rantolò Cancer.
Portia impallidì e balbettò una mezza protesta.
-I-io non…-
-Non sono nato ieri, rossa, siete come due gocce d’acqua, non era difficile da capire…- il Cavaliere si alzò e fece scorrere gli occhi su ogni pastina e dolcetto finché non elesse la caffettiera mezza piena come colazione ideale; indisturbato dalla temperatura ne consumò il contenuto tutto d’un fiato e la ripose sul vassoio con un verso compiaciuto.
-Forse tu non sei nato ieri ma le tue buone maniere sì- puntualizzò Élan con un ciglio inarcato e dondolando la sua tazzina intonsa per il manico.
-Comunque manterremo il segreto, non ci guadagniamo niente a sputtanare tuo fratello…- l’uomo tirò i muscoli delle braccia per risvegliarsi un minimo, ma nonostante l’esercizio e la caffeina ingerita, sembrava che le forze stessero pure diminuendo.
Portia spostò lo sguardo verso Élan che confermò.
-Hai la nostra parola- un sospiro di sollievo e delle risposte più esaurienti misero la parola fine all’argomento “parentele scomode e dove trovarle” -Non sappiamo cosa conti di fare Kamya né dove si trovi, il che significa che non abbiamo programmi. Mi piacerebbe visitare il resto del palazzo e anche partecipare alla festa, ma senza vestiti vedo dura sia l’una che l’altra.-
-A quello posso porre rimedio subito!- Portia si precipitò con entusiasmo fuori dalla stanza e tornò con un corsetto, un camicione e dei pantaloni alla cavallerizza freschi di sartoria. Nadia aveva selezionato il tutto apposta per Élan, azzeccando a occhio le misure e le tonalità che si accostavano meglio al suo incarnato.
Sbalordita, la fata li distese sulle lenzuola con grande cura: il colore principale dell’abbigliamento era un turchese brillante, ma era l’orlo dorato del camicione a incendiarsi davvero nella luce mattutina; accostandoselo addosso capì che le avrebbe coperto i fianchi e il petto, ma non le spalle, risultando in una scollatura morbida molto invitante. Un ricamo di piume di pavone correva su tutto il corsetto, frastagliandone lo scollo a cuore, e facendolo scintillare con le lunghe file di gemme incastonate in ogni bordo; sui pantaloni da cavallerizza due file di nastrini setosi, anch’essi dorati, si intrecciavano dai fianchi fino alle ginocchia, poco sotto le quali trovavano il loro posto degli stivaletti di cuoio scuro dal tacco basso.
Ultimo ma non ultimo, era un opale blu cangiante circondato da file di zaffiri e smeraldi; montati con strategia su una base dorata, formavano un occhio della coda di pavone, nonché una collana degna di una principessa.
Élan trasmettere il messaggio a Portia.
-Sentitevi liberi di girare per il castello a vostro gradimento, troverete me e la Contessa nelle stanze di Lucio, se ne avrete bisogno. Buona giornata!-
Mentre la cameriera si sbrigava di nuovo ai propri doveri, Élan corse a cambiarsi per provare i nuovi abiti; non avere restrizioni rendeva l’impazienza incontenibile, e la curiosità di indossare un corsetto autentico, a quanto pareva, la rendeva tanto ostinata da riuscire a allacciarselo da sola. Quando si rimirò nello specchio la luce mattutina investì i cristalli più bassi del bordo, gettando dei coriandoli luminosi sulle gambe della fata e sulle larghe maniche della sua nuova camicia; si divertì a compiere ampi gesti e a piroettare finché la testa non prese a girarle.
Si fermò e fu sul punto di ripetere la performance a Death Mask quando lo trovò sprofondato nel sonno; era talmente esausto che aveva affondato la testa in un cuscino, si era girato dall’altra parte e, senza che ci avesse fatto caso, lo sguardo gli si era annebbiato. Adesso aveva la schiena mezza scoperta, le braccia strette a un altro cuscino e un flebile ronzio che si levava dalle labbra scostate.
La fata stiracchiò un sorriso intenerito e si inginocchiò accanto a lui; gli accarezzò il volto scostando le ciocche ingioiellate e gli passò un dito sulla mandibola. Aveva imparato così tanto da quando si erano incontrati, entrambi lo avevano fatto, e qualcosa le suggeriva che avessero ancora molta strada da percorrere, ma una delle lezioni a cui aveva dato maggior valore era la consapevolezza che Death Mask poteva anche avere il proprio ritmo, ma le avrebbe sempre concesso la possibilità di affrontare i suoi demoni assieme, doveva solo mettersi il cuore in pace e aspettarlo.
-Sogni fatati, mio Cavaliere- fu l’ultimo augurio a sussurrargli prima di andarsene dalla camera in punta di piedi.
Intanto, dentro l’oasi paradisiaca di Asra, Cancer avrebbe potuto volentieri passare del tempo gradevole con la sua dolce metà; ce la vedeva mentre faceva amicizia con gli animaletti lucenti, mentre lasciava che la circondassero e mentre lo punzecchiava schizzandogli addosso l’acqua e invitandolo a giocare con lei… Ma la verità era che stesse passeggiando frenetico lungo il bordo dello stagno, saltando dentro e fuori i ricordi di Lucio a intervalli scostanti. Un momento stava cercando dei compagni granchi dai quali farsi eleggere loro capo, quello dopo era testimone di un uomo incatenato e dalla lunghissima chioma nera mentre combatteva in un’arena, schernito dalla gente e dal conte stesso, le palme scuotevano le foglie sopra di lui agitate da un vento impercepibile e in un battito di ciglia una Nadia di bianco vestita gli stava gomito a gomito… Sopra a un altare.
Quel pendolo gli faceva consumare più energie che assistere a un solo truculento scenario, senza contare che smorzava la strategia che aveva deciso di adottare: un tale di cui non ricordava il nome aveva parlato di “sfuggire all’orrore dentro il cuore dell’orrore”*, peccato proprio che non sapeva di che orrore si stesse parlando! Era come cercare di rimettere assieme un mastodontico puzzle senza avere pezzi che combaciassero tra di loro. Ora cominciava a capire il “caratteraccio” di Kamya e la sua frustrazione.
Uno spiraglio di soddisfazione personale lo ebbe quando uno specchio gli restituì il riflesso di Lucio colpito dal suo stesso maleficio; aveva i capelli arruffati, gli occhi rossi anche sulle palpebre, le ossa si intravedevano attraverso la camicia aperta e sulle guance scarnite, persino le venature della sua protesi si erano tinte di scarlatto. Ecco le informazioni per cui aveva intrapreso quel piano suicida!
Mancava così poco al momento della verità, ma gli intervalli si fecero più serrati e i frammenti divennero flash di cui persino i contorni erano nebulosi; una vertigine lo piegò sulle ginocchia mentre si teneva la testa tra le mani, la sabbia gli si infilò nelle aperture dell’armatura mentre il grido selvaggio che gli lasciava la gola gettava il panico nella fauna dell’oasi. Tra gli sporadici volti che riconobbe ci furono i Cortigiani, la capra simile a Lucio, e… In mezzo all’incendio che gli divampò tutto attorno…
Julian.
Non poteva sbagliarsi, era proprio lui lì, nelle stanze del conte inghiottite dalle fiamme.
Death Mask riaprì gli occhi immediatamente, la testa gli pesava e il suo corpo era intorpidito, ma almeno era di nuovo nella propria stanza. Carico di determinazione e sordo alle sue stesse condizioni fisiche, saltò giù dal letto e scattò verso la porta; l’armatura lo ricoprì nel tempo di pochi vacillanti passi ma appena giunse al successivo corridoio, era perfettamente dritto sulle spalle, la sua andatura fiera e il suo cuore travolto dall’odio per il conte. Non gli importava di ciò a cui aveva assistito, il contesto era insufficiente per accusarlo senza colpo ferire e, anche se fosse stato, l’arresto e l’esecuzione di Julian non erano affari suoi.
La sua massima priorità adesso, era portare ordine in un raffazzonato discorso, uno col quale avrebbe persuaso Nadia a rivedere le proprie dichiarazioni perché si trovavano davanti a un nemico comune, un disgraziato che, all’anima della buona creanza e in mezzo a tanti sogni, non gli aveva passato nemmeno i numeri vincenti del lotto!
Girato l’angolo si imbatté in Élan. Tutta sorridente, a vedere l’espressione cupa del suo volto, si fece anche lei scura in viso e si lanciò al suo inseguimento.
-Death Mask! Che succede, hai una faccia preoccupante!- mentre l’uomo saliva a lunghe falcate le scale per le stanze del conte, lo implorò di ascoltarla -Ti prego, fermati, parlami, mi stai spaventando!- allungò il passo correndo finché non riuscì ad afferrarlo per un braccio -Death Mask!-
Cancer l’aveva notata ma l’ostinazione dei suoi sentimenti lo spinsero a liberarsi con uno strattone e varcare con solennità la soglia della camera; erano passate poche ore ma i servitori avevano pulito fino all’ultimo granello di cenere ed erano stati così abili nel riportarla al suo fasto originario, che il guerriero avrebbe creduto si fosse trattato di un tuffo nel passato se non fosse stato per i presenti: a voltarsi verso di lui furono Nadia e Portia, ma altri due sguardi esterrefatti gli si posarono addosso, l’uno era di Kamya… L’altro di Asra.










*È Thomas Ligotti, dal libro “Nottuario”



N.d.A.
Here we are again con un nuovo capitolo! Lungo e pieno di scene originali, spero di aver rispettato la promessa di brividi, il titolo prende spunto dalla rispettiva canzone del musical di Jekyll e Hyde. Forse abbiamo trovato qualcuno che possa tenere testa al nostro crostaceo? Stay tuned, la trama si infittirà a breve!
   
 
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