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Autore: Kimando714    03/05/2023    0 recensioni
La vita a quasi trent’anni è fatta di tante cose: eventi felici ed eventi che ti mandano in crisi, successi ed insuccessi, traguardi personali e lavorativi, vecchi legami che cambiano e nuovi che nascono … Giulia è convinta di saper navigare il mare di contraddizioni che la vita le sta per mettere di fronte, e così lei anche il gruppo storico di amici. Ma la vita ti sorprende quando meno te l’aspetti, e non sempre sei pronto a ciò che ti pone davanti. E forse, il bello dell’avventura, sta proprio in questo.
“Se è una storia che sto raccontando, posso scegliere il finale. Ci sarà un finale, alla storia, e poi seguirà la vita vera” - Margaret Atwood, The Handmaid’s Tale
[Terza e conclusiva parte della trilogia “Walf of Life”]
Genere: Angst, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Walk of Life'
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DISCLAIMER
Ogni riferimento a fatti o persone reali è puramente casuale. I nomi dei personaggi e dei luoghi sono di nostra invenzione, e ci scusiamo in anticipo per qualsiasi omonimia non voluta.
I diritti di questa storia appartengono esclusivamente alle sue autrici. In caso di plagio et similia, non esiteremo a ricorrere per vie legali. Uomo avvisato, mezzo salvato
😊
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We’re back!
Siete pronti ad iniziare il lungo viaggio che sarà questa terza e ultima parte della serie di Walf of Life? Per rinfrescarvi un po’ le idee vi lasciamo dei brevi riassunti di Youth e Growing, se ci avete seguito già dalle prime due parti. Ovviamente, se doveste aprire questa storia senza aver letto le prime due parti della serie, nulla vi vieta comunque di proseguire nella lettura, anche se potreste perdervi qualche collegamento e alcuni particolari. 
Infine, vi ricordiamo che potrete trovarci su Instagram come @kimando714 e su Facebook come Chiara Gioiagrigia (https://www.facebook.com/profile.php?id=100089602535826) per rimanere aggiornati sulle nostre pubblicazioni. Abbiamo inoltre aperto anche la playlist su Spotify per questa nuova storia, che verrà aggiornata man mano (https://open.spotify.com/playlist/4rD3aEh6aZMKKV2YQDRm1V?si=2acb4ae1318642a4).

Previously on Youth:
Giulia, Filippo, Caterina, Nicola, Pietro e Alessio sono un gruppo di sei aamici che, per casualità o per destino, si sono conosciuti a scuola. Durante questi anni molte cose sono successe e finalmente, dopo un anno di "separazione", anche Giulia e Caterina sono approdate in quel di Venezia, come i ragazzi avevano già fatto l'anno precedente ... Ed è proprio qui che ci eravamo lasciatiGiulia e Caterina si stanno ambientando nella nuova vita universitaria e lagunare; Filippo e Nicola danno loro una mano; Alessio è determinato e vuole raggiungere il suo obiettivo, ovvero fare carriera; infine Pietro invece fatica a convivere con le proprie emozioni e il proprio orientamento.
 
Previously on Growing: 
Passano gli anni e i “Magnifici 6” continuano a crescere in quel di Venezia. In questi anni sono due le principali sfide affrontate, con sentimenti e reazioni distinte, da tutte le coppie: la convivenza e il diventare genitori.
Aprono le danze della genitorialità Caterina e Nicola: la paura e la voglia di scappare si fanno sentire, ma la voglia di riunirsi e superare insieme queste nuove responsabilità ha la meglio.
Giulia e Filippo, invece, dopo un gioioso inizio di convivenza, ed essere sopravvissuti alle avventure matrimoniali (con tanto di ospite a sorpresa!), vedono la propria famiglia raddoppiare. La nascita delle gemelle, però, porta tensione tra la coppia più romantica sul mercato.
Anche Alessio e Pietro, con le rispettive compagne, non si fanno attendere. Dopo un iniziale malessere, un confronto con il proprio passato stravolge, in positivo, Alessio e il suo essere padre. Pietro, invece, piuttosto che affrontare i dilemmi derivanti dal suo orientamento sessuale e da quello che potrebbe nascere con Fernando, sceglie inizialmente la strada apparentemente più semplice: la convivenza con Giada. Quando, con il tempo, capisce di non poter e voler cambiare quello che è o quello che prova, la nascita di un figlio cambia le sue priorità, portandolo a chiedersi come sarebbe stata la sua vita se avesse preso scelte diverse e il tempismo fosse stato dalla sua.

E detto ciò, vi lasciamo al prologo di Adulthood e alle note a fine capitolo!😎
 


PROLOGO - TIME DIES
 

“Los laberintos
que crea el tiempo
se desvanecen.
(Sólo queda
el desierto)
El corazón,
fuente del deseo,
se desvanece.
(Sólo queda
el desierto)
La ilusión de la aurora
y los besos,
se desvanecen.
(Sólo queda
el desierto.
Un ondulado
desierto)”

Federico Garcìa Lorca, "Y después"
 


Erano giorni freddi, il gelo dell’inverno che calava la sua scure – e il vento bianco e gelido continuava a soffiare, il manto etereo e candido della neve che ricopriva ogni cosa, ogni angolo remoto, ogni ponte.
Poi venne la pioggia, a sciogliere le ultime tracce della tanaglia dell’inverno. Abbeverò ogni radice, la linfa della vita che tornava a scorrere forte e vigorosa. Le piogge vennero a mancare con l’arrivo del caldo, della torrida brezza sotto i raggi cocenti del sole di mezzogiorno; l’aridità e la canicola non mollarono la loro presa.
Tornarono i venti, sempre più freddi, e con loro portarono di nuovo i temporali e i cieli dal manto plumbeo e scuro.
Calò di nuovo la lunga notte, con i suoi minuti interminabili e il tempo che sembrava sparire. L’attimo più lungo sarebbe stato quello che avrebbe preceduto il primo nuovo raggio di luce.
 
*
 
“Il mio cuore angustiato
Avverte alle prime luci
La pena del suo amore
E il sogno di lontananza” [1]
 
L’aria di Luglio era soffocante, a tratti fastidiosa nonostante l’aria fresca che arrivava dal climatizzatore lasciato acceso nel salotto.
Il caldo poteva essere soffocante, ma l’atmosfera che respirava in quella casa non era opprimente. Non era nemmeno lontanamente paragonabile a quello che aveva vissuto lei, un anno prima, e di questo era felice. Era felice per Ilaria, nel modo sincero e disinteressato che poteva essere l’affetto verso una sorella.
Più la guardava stesa a letto, ancora vagamente dolorante e stanca dopo pochi giorni dal parto, e più Giulia si rivedeva in lei.
E non ci si rivedeva.
Era un costante contrasto, ricordi agrodolci e sensazioni che a lei erano toccate prima di sua sorella e che conosceva meglio.
Si riconosceva nel sorriso affaticato ma raggiante che continuava a rivolgere al nascituro, in quella stanchezza gioiosa che Giulia aveva provato allo stesso modo. Forse in Ilaria c’era anche il disorientamento, la confusione e la paura per quella nuova vita che teneva tra le braccia, delicatamente. Se fosse stato così, Giulia avrebbe voluto rassicurarla dicendole che era normale, che all’inizio si è sempre più spaventati. Poi ci si fa l’abitudine, anche se per quante cose puoi imparare a conoscere, ne rimarranno sempre un centinaio e più sconosciute che ti spaventeranno sempre.
E poi sapeva che sua sorella, in Ettore, il compagno di una vita, avrebbe potuto trovare un punto di riferimento, qualcuno su cui contare. Non era da sola.
Non quanto si era sentita lei con Filippo, accanto e così lontano come non lo era mai stato allo stesso tempo.
In questo poteva dire di non assomigliare a sua sorella: lei non sarebbe stata inascoltata, lasciata a se stessa. Non di certo quanto ci si era sentita lei.
Le cose potevano essere migliorate, Filippo poteva anche essere più o meno tornato quello di sempre, l’uomo che aveva sposato – ma quel silenzio che avevano accompagnato quei mesi, dell’anno passato, non lo avrebbe mai dimenticato.
Aveva imparato a convivere con quel ricordo, con la sua presenza tagliente che se ne stava sempre appena sotto la superficie.
Temeva sempre che potesse tornare a galla, da un momento all’altro, senza alcun preavviso.
-Stai bene?-.
Giulia si riscosse, quando sentì il calore della mano di Filippo posarsi sulla sua spalla, con delicatezza. Si girò a guardarlo, annuendo e cercando di sorridere:
-Sì, sto bene- gli disse, posandogli sopra il dorso la sua stessa mano – Le bambine?-.
-Sono di là in salotto a spassarsela- le rispose lui, ridendo – Non sembrano essere molto interessate al loro nuovo cugino-.
L’unica cosa a cui erano interessate Caterina e Beatrice, a un anno e cinque mesi d’età, era solo combinare più guai possibili nel minor tempo a disposizione. Erano estremamente vivaci entrambe, anche se, se prese singolarmente, Beatrice riusciva a contenersi più della sorella.
-Meglio che vada a sorvegliarle- aggiunse subito Filippo, lanciando una veloce occhiata ad Ilaria e Ettore, che per ora stavano prestando attenzione solo al figlio neonato – Non è il caso che distruggano casa di tua sorella e tuo cognato-.
Filippo sembrava essere riuscito ad entrare più in confidenza con le figlie solo quando erano finalmente cresciute abbastanza per smettere di piangere la notte, ed essere totalmente dipendenti da lui e Giulia ad ogni ora del giorno. Per quanto la cosa la facesse sentire sollevata, Giulia non riusciva a non dirsi amareggiata almeno in parte per quella consapevolezza.
Osservò Filippo mentre tornava di nuovo in salotto, prima di avvicinarsi a sua sorella, sedendosi a sua volta dall’altro lato del letto. Sorrise a suo nipote Davide, ancora troppo piccolo per rendersi conto di quel che succedeva intorno a lui.
-Che succede?- le chiese sua sorella, sollevando gli occhi su di lei con aria confusa. Per una volta, da più di un anno a quella parte, Giulia non ebbe il timore di non sembrare convincente mentre le rispondeva:
-Nulla, solo le gemelle che sono in una fase particolarmente esuberante. Filippo è andato a tenerle d’occhio prima che vi riducano casa in una zona di guerra-.
Con sua sorella non c’erano mai stati segreti, di nessun tipo. Giulia ancora non riusciva bene a spiegarsi perché non fosse riuscita a dirle, nemmeno una volta, di quanto le cose con Filippo si fossero trasformate dopo la nascita delle figlie.
Forse l’odore di fallimento era ancora troppo forte anche in quel momento, quando le cose si stavano riprendendo, per riuscire a lasciarsi andare a confidenze del genere con sua sorella.
-Speriamo che il piccolo non somigli alle cuginette- commentò Ettore, ridendo.
Giulia si ritrovò ad annuire, ma con aria ben più grave di quel che avrebbe voluto:
-Speriamo che almeno lui di notte dorma-.
Allungò una mano, accarezzando dolcemente i capelli ancora corti di Davide. Erano castani come quelli di Caterina, totalmente differenti dal biondo scuro di Beatrice. Lo osservò mentre sbatteva le palpebre un paio di volte, forse combattendo contro le prime avvisaglie di stanchezza.
A Giulia ricordò una volta in cui, entrambe le gemelle, quando ancora non avevano nemmeno sei mesi, avevano lottato con tutte le loro forze per non cadere addormentate. Non rammentava più chi delle due stava cullando lei – e chi invece fosse affidata a Filippo-, ma ricordava bene quel che aveva pensato in quel momento: era possibile per loro, seppur così piccole e ingenue riguardo il mondo, percepire, comprendere, che qualcosa nella loro famiglia non andava?
Era stata una domanda, seppur stupida, che aveva tormentato Giulia per lungo tempo.
-Ehi- sua sorella richiamò la sua attenzione, studiandola attentamente – Ma sei sicura di stare bene?-.
Giulia cercò di sorridere – ancora non riusciva a togliersi l’abitudine di fingere di essere serena neppure quando non lo era davvero-, rassicurante:
-Sì-.
Annuì, come a voler dimostrare ancor di più la veridicità di quelle parole.
-Sto bene-.
Quanto sarebbe durata, però, ancora non le era dato sapere.
 
*
 
“Il sepolcro della notte
Innalza il suo velo nero
A occultare nella luce
L’immensa cima stellata” [2]
 
La stagione d’autunno non era mai stata più gradita, addirittura amata, come in quel giorno di metà Settembre. Il sole aranciato del tardo pomeriggio rifletteva i raggi sui suoi capelli corti, facendoli rilucere come oro colato.
Anche i fili d’oro di Nicola risplendevano, facendolo sembrare, con i suoi tratti delicati e i grandi occhi blu, quasi un cherubino. Quando Alessio gli si avvicinò, arrivandogli finalmente di fronte, Nicola lo osservò attentamente, quasi a voler cogliere qualsiasi segnale che potesse dirgli qualcosa in anticipo. Era sicuro, Alessio, che il suo sorriso trionfante non lasciasse adito ad alcun dubbio.
-Allora? Come è andata?- gli chiese Nicola impaziente.
Alessio non rispose subito. Si prese qualche secondo d’attesa, pura adrenalina che gli correva nelle vene, dritta al cervello. Fu quando Nicola meno se l’aspettava che spostò la mano da dietro la schiena, sventolando davanti a Nicola il contratto d’affitto appena firmato.
-È fatta!-.
Si fermò solo per permettere a Nicola di prendere in mano a sua volta i fogli, per constatare senza alcuna ombra di dubbio la siglatura del contratto.
-Sembra che abbia ufficialmente preso in affitto metà ala del secondo piano del palazzo-.
Nicola alzò gli occhi dai fogli con un sorriso contento a disegnarli le labbra piene:
-Ora non ti rimane che riempirlo di scrivanie e di gente-.
Alessio si ritrovò a passarsi una mano sul viso, anche se non si sentiva davvero disperato come voleva far credere in quel momento:
-Come se fosse poco-.
La verità era che non vedeva l’ora di cominciare. Sapeva bene che all’inizio sarebbe stata tutta in salita, che i dipendenti sarebbero stati pochi e che prima doveva farsi conoscere in giro, ma anche davanti a tutte quelle difficoltà stava riuscendo a stento a trattenersi dal mettersi a saltare per l’euforia.
-In ogni caso vale la pena festeggiare- Nicola gli batté una pacca sulla spalla, con fare affettuoso – Spritz?-.
Per un attimo Alessio esitò: era passato un po’ di tempo dall’ultima volta che aveva bevuto qualcosa di alcolico. Si era sforzato di evitarlo, si era ripromesso di passare il più distante possibile da qualsiasi bar o supermercato nei momenti più difficili per non cedere a quella tentazione.
In quel momento, però, non sarebbe stata la stessa cosa: era felice, si sentiva vivo, più che mai.
Erano lontani i giorni in cui si faceva un bicchiere per non lasciarsi completamente soffocare dalla sofferenza.
-E spritz sia-.
La piazza di Piove di Sacco non era distante dal punto in cui si trovavano. Si avviarono a piedi, sotto la luce aranciata del tardo pomeriggio, quella del sole morente che di lì a poco avrebbe lasciato spazio alla notte.
C’era parecchia gente in giro, a quell’ora; Alessio si domandò se sarebbero anche solo riusciti a trovare un tavolo a cui sedersi in uno dei bar del centro.
-Sei contento?-.
Stavano camminando già da qualche minuto, quando Nicola parlò. Nonostante fosse Settembre inoltrato faceva ancora caldo, ed Alessio lo osservò arrotolarsi le maniche della camicia per lasciare le braccia scoperte.
Arrivarono sotto i portici di una strada che portava alla piazza dopo qualche secondo, finalmente all’ombra; guardandosi intorno, tra quelle vie a lui ancora sconosciute, Alessio si rese conto, in un attimo fugace, che Piove di Sacco sarebbe diventata quasi una seconda casa da quel giorno in poi. Sarebbe finito per conoscerle piuttosto bene, quelle strade placide e strette.
-Come non lo ero da molto- ammise, a mezza voce.
Sapeva che non sarebbe stato facile. Non lo era mai stato fino ad allora, e non lo sarebbe certo stato da quel giorno in avanti.
Sapeva però che ora le cose sarebbero state diverse, che gli sarebbe bastato allungare la mano per afferrare, finalmente, ciò per cui aveva lottato ogni singolo giorno.
Forse la sua azienda appena nata – ancora non del tutto, solo nel nome e sulla carta- non sarebbe durata per sempre, e forse sarebbe stato ben diverso da come se l’era immaginato. Non si sarebbe mai comunque pentito di averci provato con tutte le sue forze, di aver reso possibile tutto quello che aveva sempre desiderato.
Quello era l’unico raggio di luce che gli rendeva meno amare le giornate, che lo faceva alzare ogni mattina con qualche energia in più. E forse, in fondo, era anche l’unica cosa di cui gli importava sul serio.
-Si vede- disse infine Nicola, annuendo.
Era stato gentile da parte sua volerlo accompagnare fino a Piove di Sacco semplicemente per non lasciarlo completamente da solo nel firmare il contratto d’affitto per i locali dove avrebbe installato la sua impresa. Ad Alessio andava bene così: Nicola sapeva essere discreto e dimostrare il suo appoggio nella giusta misura, e sapeva che in lui avrebbe trovato qualcuno su cui poter contare sempre.
-Forse è la felicità del momento, ma sto pensando una cosa- si ritrovò a mormorare Alessio, istintivamente, mentre i portici sopra le loro teste finivano per lasciar spazio ad una delle piazze del paese. Il sole tornò a battere sui loro capelli, facendo strizzare loro gli occhi per l’improvvisa illuminazione.
-Cosa?-.
Alessio si prese qualche secondo per riflettere – anche se in quel momento non gli importava nemmeno troppo di rischiare di parlare troppo-, prima di rispondere:
-Un giorno, in futuro, non mi dispiacerebbe averti come socio-.
Nicola si girò verso di lui, le sopracciglia bionde alzate. Anche se non aveva fatto gesti eclatanti, Alessio poteva leggere tutta la sua sorpresa negli occhi, appena un po’ più spalancati del solito.
-Socio in affari con te?- ripeté, come se non gli fosse chiaro di aver capito bene.
Alessio annuì, più esitante. Non ci aveva mai davvero pensato: era stato un colpo di fulmine che gli era venuto in mente in quel momento, come un’illuminazione improvvisa. Nicola sapeva essere diligente e concentrato, e soprattutto, cosa ancor più importante, era una persona di cui poteva fidarsi.
Per un attimo ebbe la netta certezza che, se le cose si fossero messe bene e ci sarebbe stata la possibilità, quella sarebbe stata un’idea che avrebbe preso in considerazione sul serio.
Nicola si lasciò andare ad un sorriso, l’unico gesto evidente che dimostrava il suo essere rimasto piacevolmente sorpreso:
-Non sarebbe male-.
Non aveva detto altro, ma ad Alessio bastò anche solo quello.
-No, non lo sarebbe-.
Non era sicuro di cosa gli avrebbe riservato il futuro. Sapeva solo che, da quel giorno, sarebbe stato pronto ad abbracciarlo, qualsiasi cosa succedesse.
 
*
 
“La luce d’aurora reca
Una vena di rimpianti
E la tristezza senz’occhi
Del midollo dell’anima” [3]
 
La pioggia continuava a cadere ininterrottamente, facendo scivolare le sue mille gocce lungo i vetri delle finestre, tracciando rilucenti scie infinite.
Caterina sbuffò ancora una volta, portandosi una mano alla fronte senza nemmeno darsi pena per cercare di occultare la sua rassegnazione. Lasciò la penna sui fogli del libro aperto davanti a lei – pagine piene di formule che non avrebbe imparato nemmeno dopo mille ore passate ad osservarle-, in una tacita resa che non passò inosservata agli occhi di Pietro.
-Mi vuoi ripetere la formula della sparseness?-.
Caterina lo fulminò talmente rapidamente che Pietro si accigliò:
-Un argomento a piacere? Nemmeno quello?-.
Tirò un sospiro rassegnato a sua volta, abbassando per un attimo gli occhi sul libro di Caterina.
-Non lo passerò mai quest’esame- sbuffò d’un tratto lei, richiudendo il libro con un gesto nervoso e improvviso, facendo quasi sobbalzare Pietro sulla sedia. Erano al tavolo della cucina dell’appartamento che lei condivideva con Nicola, lì fermi da ormai quasi due ore.
Sapeva che anche Pietro doveva essere stanco, demoralizzato dal fatto che, per quanto cercasse di ripeterle e spiegarle gli argomenti d’informatica nel modo più semplice possibile, lei non riuscisse a memorizzare le nozioni a dovere. Glielo leggeva in faccia, mentre si stropicciava gli occhi, mostrando le nocche arrossate delle mani per il freddo di Dicembre.
-Se vuoi laurearti, prima o poi dovrai- riprese Pietro, dopo almeno un paio di minuti di silenzio. Con un gesto estremamente paziente riaprì il libro, cercando la pagina dove erano rimasti quando Caterina l’aveva chiuso in un attimo d’impulsività.
A rivedere le pagine piene di formule e nozioni matematiche, le venne la nausea.
-E se non succedesse?- borbottò, d’un tratto molto più sfiduciata che arrabbiata. Aveva accettato di proseguire con la laurea magistrale per darsi quella possibilità in più che, con la nascita di Francesco, non avrebbe più potuto avere più avanti nel tempo. Quell’ultimo esame si stava rivelando un osso ben più duro di quanto si sarebbe immaginata.
-Vorrà dire che avrai buttato nel cesso soldi e anni per una magistrale che non prenderai mai- commentò Pietro, alzando le spalle – E mi avrai fatto dare ripetizioni totalmente inutili-.
Caterina sbuffò sonoramente, ignorando deliberatamente la prima parte della risposta dell’altro:
-Ti sei offerto tu di darmele, ti ricordo-.
Era stato quasi un gesto disperato, quello che l’aveva portata a chiedere aiuto a Pietro. Non aveva voluto chiedere a Nicola – non credeva sarebbe riuscita a sopportare un qualche suo sguardo deluso nell’apprendere quanto fosse in difficoltà per quell’esame-, e aveva dovuto scartare Alessio per non distrarlo ulteriormente da tutto il lavoro che doveva avere sulle spalle. Pietro era stata la sua unica opzione sin dall’inizio.
-Mi ricordo eccome- le rispose, lanciandole un’occhiataccia.
Caterina sbuffò ancora una volta, una sfumatura di rassegnazione nella voce. I primi dubbi sulla sua scelta di tornare a studiare erano nati già mesi prima, e la paura di quell’esame non faceva altro che ravvivarli ancora una volta.
-Comunque la vedo dura- borbottò, torturandosi le mani, sotto il tavolo.
Non alzò gli occhi, quando sentì una mano di Pietro appoggiarsi delicatamente sulla spalla, come a volerla scuotere e darle sostegno contemporaneamente:
-Non puoi abbatterti così, non ad un passo dalla fine-.
Quando Caterina alzò gli occhi verso di lui, Pietro parlò ancora, stavolta con aria solenne:
-La vita ci presenterà sempre degli ostacoli, ma sta a noi trovare la forza per superarli-.
Per un attimo, ascoltandolo e guardandolo, ebbe quasi l’impressione che Pietro stesse parlando più a se stesso che non a lei. Era una sensazione che non riusciva a togliersi dalla testa, anche se non aveva alcuna prova razionale per poter dire con sicurezza che fosse davvero così.
-E questa da dove l’hai tirata fuori?- gli chiese scettica, dopo alcuni secondi di silenzio.
Pietro alzò le spalle, scuotendo appena il capo:
-Mi è venuta sul momento-.
Caterina rimase in silenzio per un secondo, gli occhi puntati su Pietro, prima di scoppiare a ridere. Di fronte alla faccia basita dell’altro non riuscì a fare a meno di ridere ancora di più; sentì quasi le lacrime agli occhi, mentre si portava una mano davanti alla bocca. Anche se Pietro prese a scuotere il capo, con aria rassegnata, Caterina lo vide chiaramente sorridere tra sé e sé.
-Mamma?-.
Caterina cercò di frenare subito le risate: si ricompose il più in fretta possibile, girandosi verso la soglia della cucina. Francesco la stava guardando con i grandi occhi scuri vagamente confusi, i capelli biondi da accorciare che cominciavano ad andargli davanti agli occhi; doveva essersi svegliato da poco dal suo consueto pisolino pomeridiano.
-Tesoro, tutto bene?- Caterina aspettò che fosse lui a muoversi per primo, se voleva raggiungere lei e Pietro al tavolo. Francesco rimase fermo per qualche attimo, stropicciandosi gli occhi; a guardarlo così, sepolto nel maglione un po’ troppo grande per il suo fisico mingherlino, Caterina ebbe quasi la tentazione di avvicinarglisi e tenerselo stretto per un po’.
-Ho sonno- mormorò Francesco, con la voce vagamente arrocchita per il risveglio recente. Caterina si trattenne a stento dal ridere: era incredibile quante ore riuscisse a dormire suo figlio, ed avere comunque sonno una volta sveglio.
-Vieni qui-.
Allungò una mano, in un chiaro invito a raggiungerla. Si voltò per un attimo verso Pietro, col timore di trovarlo in disaccordo con la sua scelta nell’invitare Francesco a restare con loro: era consapevole che con il bambino lì l’impegno sarebbe venuto meno, ma non sarebbe nemmeno riuscita a dir di no a qualche momento in più con suo figlio.
Il sorriso che Pietro stava rivolgendo a Francesco la rincuorò a sufficienza per lasciar perdere qualsiasi dubbio. Francesco li raggiunse in pochi attimi, arrampicandosi tra le braccia di Caterina per riuscire a sedersi sulle sue gambe; gli lasciò un leggero bacio sui capelli biondi, prima di tornare ad osservare Pietro.
-Mio caro, ora assisterai tua madre mentre tenterà di spiegarci qualcosa sul modello booleano- Pietro sorrise sornione a Francesco, facendolo ridere – Siamo pronti?-.
Alzò gli occhi su Caterina, in attesa di una conferma che venne con un sospiro rassegnato:
-Siamo pronti-.




[1],[2],[3] 
Federico Garcia Lorca, "Alba"

NOTE DELLE AUTRICI
Con il prologo di oggi diamo il via all'inizio della fine... Con Adulthood finiremo la trilogia di Walk of Life, quindi scopriremo anche i destini dei nostri protagonisti!
Al contrario del prologo di Growing, qua non ci troviamo di fronte a flash forward dei capitoli che verranno, ma a tre eventi sparsi nell'anno 2020. E se ve lo stavate chiedendo: no, non ci sarà traccia della pandemia di Covid in questa storia 😷❌. Anche perchè quando abbiamo iniziato a scrivere i capitoli, una pandemia mondiale non era neanche lontanamente immaginabile come evento ... Prendete questa storia come una realtà parallela in cui il 2020 è stato un anno come un altro 😅
Vediamo rispettivamente Giulia e Filippo diventati zii e alle prese con il loro rapporto ancora non del tutto ripresosi dai tanti cambiamenti avvenuti nelle loro vite, Alessio che finalmente realizza il suo sogno più grande e dà vita ad una sua impresa, e infine Caterina che, pur con difficoltà, sembra avviarsi alla tanto sudata laurea magistrale... Insomma, molta carne al fuoco che inizierà ad essere sviscerata sin dal capitolo 1.
A tal proposito, tenete a mente che Adulthood ricoprirà un periodo temporale che andrà dal 2021 al 2025 ... Quindi tanti capitoli! Al contrario delle due parti precedenti, siamo ancora in fase di scrittura: attualmente siamo al capitolo 47 e ne rimangono ancora circa una ventina da scrivere, epilogo compreso. Dovremmo farcela senza ritardi 🧐
Ci rivediamo subito mercoledì prossimo, il 10 maggio, con il capitolo 1!
Kiara & Greyjoy


 
   
 
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