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Autore: Losiliel    05/05/2023    1 recensioni
Morifinwë Carnistir Fëanárion, giovane nipote del re dei Noldor, vive in un meraviglioso palazzo nella splendente città di Tirion, in una terra benedetta da ogni ricchezza, circondato da una famiglia unita e numerosa. La sua vita sembra perfetta sotto ogni aspetto.
Peccato che lui non la pensi affatto così.
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[ Caranthir-centrico | coming of age | vita dei Noldor in Aman | Anni degli Alberi ]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caranthir, Fëanor, Figli di Fëanor, Nerdanel, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Los Tales'
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20

Uno spettatore inatteso

(o quando prendi una decisione che potrebbe rivelarsi la peggiore della tua vita)


 

Proprio nel centro della valle, sul pavimento di assi che copriva il Lago Lucente – o lo stagno, come lo chiamava Káino con un termine che a Morifinwë suonava quasi blasfemo – era stata allestita quella che all’apparenza sembrava una pista per cavalli. Solide balaustre di legno facevano da sponde a un percorso a tratti rettilineo e a tratti sinuoso, che da uno dei due lati corti della piattaforma andava fino all’altro.

Il circuito partiva dritto e largo abbastanza da farci passare due carri affiancati. Poco oltre la metà si restringeva, faceva tre curve strette come tornanti e terminava in una grande area semicircolare. Alla fine del percorso, appena fuori dalla pavimentazione che ricopriva il Lago, era stato piantato un palo di legno con attaccato qualcosa di simile a un bersaglio per il tiro con l’arco.

Ai lati della pista si innalzavano due gradinate, già completamente occupate da uomini e donne adulti, seduti spalla contro spalla in ordinate file. Il pubblico dei giovani invece si ammassava a ridosso delle balaustre che delimitavano il circuito, o si arrangiava con soluzioni più originali, come avevano fatto Morifinwë e i suoi amici, che erano tornati ad arrampicarsi sulla torretta su cui avevano assistito alla chiusura del Lago. Arion, Huinion e Malagàl un po’ più in alto, lui, Káino e Torondo appena sotto.

In attesa dell’arrivo dei concorrenti, Morifinwë si concentrò sulla gente che occupava le gradinate, attirato da un piccolo gruppo di persone al centro di quella di sinistra. Queste spiccavano tra la folla perché indossavano tutte un mantello verde scuro col cappuccio che gli copriva il capo. Sulle panche accanto a loro gli altri spettatori avevano lasciato un piccolo spazio, come volessero mantenere una rispettosa distanza.

Morifinwë aggrottò le sopracciglia. C’era qualcosa che gli sfuggiva in quel gruppo di incappucciati, come un particolare che non riusciva a mettere a fuoco.

Una gomitata di Káino richiamò bruscamente la sua attenzione.

– Ecco i Cavalieri! – disse l’amico indicandogli un punto, non molto distante dalla loro torretta, dove il pubblico rumoreggiava, si spintonava e infine si apriva per lasciare passare qualcuno.

Nel varco così formatosi, apparvero i dieci concorrenti della Corsa del Cacciatore che avevano superato le selezioni per potersi esibire nella gara più prestigiosa della serata: ragazzi e ragazze che avanzavano a cavallo tra le urla e i fischi dei più giovani e un pacato applauso del pubblico adulto.

Quando passarono sotto la loro torretta, Morifinwë notò che il ciondolo colorato che portavano al collo, invece di essere rettangolare, aveva la forma di un cavallo impennato. Erano quasi tutti azzurri, a indicare la fascia d’età dei gemelli e di Malagàl, tranne un paio gialli come il suo.

Ma non erano di certo i ciondoli che saltavano all’occhio guardando la sfilata dei concorrenti. Questi infatti, invece di indossare la tipica divisa da atleta, sembrava avessero fatto a gara per chi riusciva a inventarsi l’aspetto più originale e appariscente.

C’era chi aveva le braccia e il collo ricoperti di gioielli, al punto che si sentiva il loro tintinnio anche dalla cima della torre su cui stava Morifinwë, chi aveva intrecciato nei capelli e nella criniera del suo cavallo grandi perline colorate, e c’era persino un ragazzo che aveva il viso completamente pitturato di verde e di nero, come se indossasse una maschera.

L’ultimo della fila vinceva il titolo del più originale e, dovette ammettere Morifinwë, anche del più affascinante. Il ragazzo aveva raccolto le sue spesse trecce castane in cima alla testa in due strutture a punta simili a corna, e aveva le spalle e la parte superiore della schiena ricoperte da una folta pelliccia scura. Il resto del costume, dell’esatto colore dei suoi capelli, gli aderiva al corpo come una seconda pelle e metteva in evidenza il fisico asciutto e muscoloso. Somigliava a una creatura per metà umana e per metà animale.

Al suo passaggio, Káino si agitò così tanto che Morifinwë temette per la stabilità dell’impalcatura.

– Quello è Nordacil – esclamò l’amico, – il campione in carica. Sono tre anni che nessuno riesce a batterlo.

Un boato si alzò dalle file dei ragazzi quando il concorrente dalle trecce simili a corna raggiunse la pista. Piedi picchiati per terra, mani che applaudivano, voci che scandivano il suo nome: – Nor-da-cil, Nor-da-cil!

Il ragazzo concesse al pubblico un brevissimo sorriso e un cenno di saluto, prima di riassumere un’espressione seria e concentrata e andare ad allinearsi con gli altri concorrenti all’inizio del circuito.

A quel punto uno dei gemelli, da sopra di lui, esclamò: – Arrivano i Lancieri!

Morifinwë, allertato dal grido, notò che c’era del movimento a metà della pista, sul lato destro, prima delle tre curve finali. Dieci persone si stavano disponendo su un’unica fila in un punto dove la balaustra che delimitava il percorso si interrompeva per un breve tratto.

A differenza dei ragazzi a cavallo, questi indossavano la sobria divisa dell’atleta, ma guardandoli con più attenzione, Morifinwë si accorse che ciascuno di loro aveva un particolare che lo associava a uno dei cavalieri: un grappolo di perline in un ciuffo di capelli, un bracciale d’oro al polso, una pennellata nera e verde su una spalla nuda. La donna associata a Nordacil aveva polsiere e cavigliere di pelliccia. Ognuno di loro impugnava una lancia di legno scuro dalla punta dorata e, quando la innalzarono al cielo, le urla e gli applausi del pubblico si fecero sentire più forti.

Nel vedere le lance dalle punte aguzze, impugnate da quelli che, senz’ombra di dubbio, non erano ragazzi – tanto è vero che non avevano al collo alcun ciondolo colorato – Morifinwë sentì sorgere in sé una certa apprensione.

– In cosa consiste la gara? – chiese a Káino, come aveva già fatto altre mille volte da quando si erano appostati sulla torretta, senza ricevere in risposta niente di più di un frustrante: “aspetta e vedrai”.

Questa volta, però, l’amico rispose. – I Cavalieri saltano sul cavallo in corsa – disse, – percorrono il rettilineo, afferrano al volo la lancia che gli viene tirata dal compagno, fanno la tripla curva, escono nello slargo finale e tirano al bersaglio.

Morifinwë si girò verso di lui tanto in fretta che per poco non scivolò dall’impalcatura.

– Stai scherzando – disse, cercando sul viso di Káino gli indizi della presa in giro.

Káino sogghignò compiaciuto.

– Niente affatto – disse. – È la Corsa del Cacciatore.

Indicò gli incappucciati sulla gradinata di sinistra: – Li vedi gli Anziani? – disse, – nemmeno loro vogliono perdersi questo spettacolo.

Nel tornare a guardarli, Morifinwë notò che il mantello che indossavano non era disadorno come gli era sembrato a una prima occhiata, ma ricamato con simboli elaborati, quasi invisibili alla luce delle stelle, ed ebbe di nuovo la sensazione che qualcosa gli sfuggisse.

– La Corsa del Cacciatore – ripeté soprappensiero. – Che razza di nome è?

– Si ispirano a quello che facevano i Cacciatori all’Est – intervenne Torondo, – quando anche il più breve istante di esitazione faceva la differenza tra la vita e la morte. – Il tono di voce del ragazzo si fece ancora più enfatico: – Il Cacciatore poteva trovarsi appiedato e disarmato davanti all’assalto di una belva inferocita, o di qualche altro mostro, e doveva agire istantaneamente e in totale sincronia coi suoi compagni…

La sua spiegazione si interruppe di colpo, e così fece anche il rumoreggiare della valle, quando i giudici di gara entrarono in campo. Quattro di loro si disposero agli angoli della pista, mentre un quinto salì su una pedana posta a metà circuito. Poi, con una voce squillante che in quanto a potenza avrebbe fatto concorrenza a quella di Makalaurë, inaugurò la Corsa.

– Nell’Oscuramento di Ulvórë dell’anno 339 dal Risveglio – declamò, – ho l’onore di presentarvi il primo concorrente della Corsa del Cacciatore: Angandil, Noldo della Piana Calaciryana.

Tutti si lanciarono in ovazioni del ragazzo dal volto dipinto; dal pubblico dei giovani si innalzarono i suoni di tamburi improvvisati e i trilli degli strumenti di terracotta che chiamavano flauti globulari.

Angandil scese da cavallo, lo lasciò all’inizio del percorso e avanzò di una trentina di passi lungo il rettilineo. Si fermò in corrispondenza di una stella incisa sul pavimento che prima Morifinwë non aveva notato, e si voltò verso l’animale. A quel punto la folla, che aveva già ridotto il suo entusiasmo iniziale a un brusio di fondo, ammutolì.

Morifinwë si aspettava un segnale di partenza del giudice, ma Angandil fece due respiri profondi, chinò il capo per un istante, e quando lo rialzò il suo cavallo partì al galoppo verso di lui.

Il ragazzo scattò verso l’animale che gli veniva incontro e vi salì al volo come aveva imparato a fare anche Morifinwë – o come avrebbe dovuto imparare a fare, visto che il movimento del ragazzo fu nettamente più veloce e più pulito di quello dei suoi migliori salti.

Appena atterrato sul dorso del cavallo, Angandil affrontò il rettilineo deviando verso destra per avvicinarsi alla postazione dei Lancieri. Alzò il braccio e a quel segnale il suo compagno con la lancia entrò nel circuito, fece tre passi di rincorsa e tirò l’arma, che finì nella mano destra del Cavaliere come se fosse stata attirata da un laccio invisibile.

Angandil imboccò la prima curva con la lancia ben salda in mano, invertì la direzione per entrare nella seconda, poi nella terza, e non appena uscì nello spiazzo finale, scagliò l’arma contro il bersaglio e lo colpì a meno di una spanna dal centro.

Grida, applausi, fischi, tamburi e trilli esplosero e accompagnarono il Cavaliere finché andò a recuperare la sua lancia dal bersaglio, e poi ancora mentre girava attorno alla pista e faceva salire sul cavallo dietro di sé il suo Lanciere, perché ricevesse anche lui la giusta dose di ovazioni.

Morifinwë era rimasto a bocca aperta e stava per elogiare Angandil come fosse un eroe del vecchio mondo, quando i suoi amici cominciarono a commentare la prova.

– Ha tirato troppo presto al bersaglio – disse Arion, abbarbicato sulla torretta poco sopra di lui.

– Il cavallo ha perso un po’ di aderenza sulle curve – osservò Huinion al suo fianco.

– Perché ha forzato l’andatura per compensare la lancia che è arrivata in ritardo – concluse Malagàl.

Allora Morifinwë capì che la prestazione del ragazzo non era stata priva di difetti. Ascoltando le analisi degli amici riuscì a farsi un’idea su come veniva attribuito il punteggio, e scoprì che teneva conto della pulizia del gesto atletico, del tempo impiegato per colpire il bersaglio, di quanto vicino al centro si conficcava la lancia, e anche della profondità a cui arrivava. Insomma, bisognava essere molto veloci, molto precisi, e molto forti.

I commenti dei ragazzi furono messi a tacere dalla presentazione della seconda concorrente, la ragazza con le perline nei capelli. Morifinwë assistette con più consapevolezza a questa nuova prova e al termine fu in grado di commentarne la riuscita insieme ai suoi amici.

E così la gara proseguì.

Dal momento che gli atleti erano chiamati a esibirsi nell’ordine inverso con cui si erano qualificati nelle eliminatorie, ogni concorrente superava il precedente in destrezza e le corse divennero sempre più spettacolari e sempre meglio eseguite.

Alla fine giunse il turno del campione in carica.

– Nordacil, Noldo della Punta Scura! – annunciò il giudice dalla sua pedana e la folla di giovani esplose in un boato assordante, e anche l’applauso degli adulti fu più sentito e più duraturo.

Se Morifinwë pensava di aver già visto tutto quello che poteva vedere in fatto di agilità e destrezza, scoprì che si sbagliava alla grande.

Nordacil salì a cavallo così velocemente che i suoi occhi non riuscirono a seguirne il movimento; percorse tutto il rettilineo al galoppo senza preoccuparsi della lancia, che infatti non arrivò. Solo quando stava per imboccare la prima curva la sua compagna tirò, forte e precisa come nessun Lanciere prima di lei.

Per un terribile istante Morifinwë credette che l’arma avrebbe trapassato la schiena del Cavaliere, ma nel momento stesso in cui il suo cavallo scartò a sinistra per entrare in curva, il ragazzo assecondò il movimento piegandosi dallo stesso lato, la lancia gli passò sopra la spalla destra, così vicina da sfiorare la pelliccia che la ricopriva, e lui la afferrò senza neppure vederla arrivare.

Più tardi Morifinwë avrebbe scoperto di aver assistito alla famosa “variante Nordacil”, mossa che permetteva al Cavaliere di afferrare la lancia senza la minima deviazione dalla traiettoria ideale, e quindi senza dover perdere tempo sul rettilineo.  Lì per lì, invece, ebbe appena il tempo di rendersi conto di ciò che era successo, perché il campione affrontò le due curve restanti a una velocità sbalorditiva, e prima ancora di uscire del tutto dall’ultima curva, con una rotazione del corpo degna di un contorsionista, scagliò la lancia contro il bersaglio.

Centro perfetto.

Anche uno spettatore inesperto come Morifinwë era in grado di capire che Nordacil aveva fatto il miglior salto, il miglior tempo e il miglior centro della serata.

E infatti, dopo che lui e il suo Lanciere ebbero ricevuto le acclamazioni del pubblico, i cinque giudici si riunirono per un breve consulto prima di chiamare gli atleti presso la pedana per la premiazione, e dichiarare Nordacil di nuovo campione.

Mentre il ragazzo dalle trecce ricurve riceveva l’ambitissima singola tacca sul suo tassello azzurro a forma di cavallo, persino il pubblico di adulti sulle gradinate si alzò ad applaudire.

Anche quelli che Káino aveva definito gli Anziani, e che fino a quel momento erano rimasti a capo chino a confabulare e avevano applaudito poco o niente alle esibizioni dei vari atleti, si alzarono in piedi a omaggiare il vincitore.

Fu allora che Morifinwë capì che cosa gli era sfuggito.

C’era un uomo, tra loro, voltato di spalle perché impegnato in una conversazione col suo vicino. Quando si alzò, il cappuccio gli scivolò sulla schiena mettendo in mostra una lunga treccia scura che Morifinwë conosceva bene. E quando l’uomo si voltò verso la pista, il suo inconfondibile profilo fugò ogni dubbio.

Tra gli Anziani dei Nati all’Est, all’Oscuramento dello stagno, c’era il principe Fëanáro.

Il cuore di Morifinwë si fermò. Il calore abbandonò il suo corpo e si portò via l’eccitazione per lo spettacolo al quale aveva appena assistito e la leggera ebbrezza data dal poco vino che aveva bevuto.

Improvvisamente lucido, il suo primo istinto fu quello di scappare, di scendere dalla torretta con un balzo e nascondersi tra la folla, per paura di essere visto.

E non sapeva nemmeno perché avesse paura. Tecnicamente non aveva mentito: era fuori con Káino. E il luogo dove si trovava non era precluso a nessuno, meno che mai al nipote del Nato all’Est più importante di tutti.

– Cosa ci fa qui mio padre? – chiese, sforzandosi di tenere la voce ferma e le mani chiuse sui pali di legno dell’impalcatura per non scivolare giù.

– Chi? – domandò Káino, prima di guardare nella direzione fissata da Morifinwë, – Ah, il principe Fëanáro… e dove dovrebbe essere se non con gli Anziani?

– Intendevo cosa ci fa qui, all’Oscuramento.

– Sarà venuto a vedere la Corsa – rispose Káino, come se fosse la cosa più ovvia del mondo, – hai mai visto nessuno come Nordacil?

Assistere a una gara, suo padre? Che sciocchezza! Fëanáro non si interessava di stupidaggini del genere. Era già tanto se andava a vedere quelle dei suoi figli, e lo faceva soltanto per verificare che facessero una bella figura.

Eppure eccolo lì, che applaudiva insieme al resto del pubblico e guardava Nordacil e gli altri concorrenti, se non con interesse, di certo con attenzione.

Cosa avrebbe dato Morifinwë per essere al posto anche solo dell’ultimo di quei ragazzi!

Per un attimo lasciò libera la fantasia e si immaginò la sorpresa e l’orgoglio sul volto del padre nel riconoscere uno dei suoi figli tra i dieci campioni applauditi da tutta la valle e dagli Anziani della comunità dei Nati all’Est.

Di sicuro nessuno dei suoi fratelli si era mai cimentato in quella impresa. Non Tyelkormo, che se ne sarebbe vantato in lungo e in largo, né Makalaurë, che era del tutto disinteressato alle competizioni atletiche, e quasi certamente nemmeno Russandol, che non aveva tempo da perdere con faccende di così poca importanza.

Morifinwë s’immaginò di essere lì, al posto di Angandil, l’ultimo arrivato – non di Nordacil, perché anche la sua fantasia più sfrenata aveva un limite – e di stare davanti al padre a fare ciò che nessuno dei suoi fratelli aveva mai fatto prima.

Durò solo un istante.

Faceva male lasciare libera l’immaginazione, perché poi bisognava tornare alla realtà delle cose, dove niente del genere poteva accadere, dove lui sarebbe stato sempre l’ultimo tra i suoi fratelli.

E proprio mentre quella innegabile verità spazzava via i suoi sogni di gloria, con la coda dell’occhio vide Torondo, alla sua sinistra, che si sporgeva pericolosamente per acclamare Nordacil a pieni polmoni, e sopra di lui Malagàl e i gemelli che facevano altrettanto.

E improvvisamente si rese conto di dove fosse. Lontanissimo da casa. Con gente che conosceva appena. Sotto una volta stellata che faceva apparire il mondo piccolo come la punta di uno spillo. In breve: in quello che lui, fino al giorno prima, non avrebbe esitato a definire un incubo.

Eppure, in quell’incubo, Morifinwë non si era tirato indietro. Si era messo in gioco.

Portò una mano al petto e trovò il ciondolo con le tre tacche che lo testimoniava.

Sì, l’aveva fatto davvero. E poteva farlo ancora.

La decisione che prese fu tanto improvvisa quanto irrevocabile. Non si era mai sentito così determinato in vita sua. Era come se tutti i dubbi e le incertezze che lo avevano accompagnato negli ultimi anni fossero spariti, evaporati insieme alla rugiada degli Alberi Sacri che era stata dispersa dal vento a inizio serata, o sigillati per sempre sotto le assi che ricoprivano il Lago.

Káino gli aveva detto che l’Oscuramento avveniva due volte l’anno. Uno alla fine di Ulvórë e uno a metà di Lairë.

Morifinwë giurò a sé stesso che all’Oscuramento di Lairë di quell’anno avrebbe partecipato alla Corsa del Cacciatore, e sarebbe riuscito ad arrivare tra quei dieci ragazzi che ricevevano l’applauso del principe Fëanáro.

Più ci pensava, più gli sembrava possibile.

Certo, avrebbe dovuto lavorare duro, avrebbe dovuto dedicarci tutto il suo tempo libero. Ma in fondo una parte del lavoro era già fatta. Sapeva già saltare a cavallo con un’abilità solo di poco inferiore a quello dei ragazzi che aveva appena visto esibirsi (escluso Nordacil, si capisce), e in quanto a cavalcare non se la cavava affatto male. Per quanto riguardava il resto della prova, invece, quello che comportava saper usare una lancia… beh, per quello avrebbe dovuto chiedere l’aiuto di qualcuno.

Un sorriso gli comparve sul volto al pensiero di chi avrebbe dovuto coinvolgere.

Quando scese dalla torretta per seguire i ragazzi che si accodavano al corteo dei festeggiamenti, stava ancora sorridendo.



 

Il viaggio di ritorno sembrò molto più lungo di quello di andata. Forse perché Morifinwë bruciava dall’impazienza di arrivare, o forse perché fu di gran lunga più scomodo.

Il carro delle merci era talmente pieno che non c’era posto per tutti i ragazzi, perché alle casse che lo occupavano all’andata se n’erano aggiunte quasi altrettante.

Arion e Huinion si unirono al padre sul carro degli adulti, mentre lui e Káino si ritagliarono un posticino sull’estremità del pianale, con le gambe che penzolavano nel vuoto, quasi sepolti da casse e bauli. Proprio davanti a loro cominciava la fila dei cavalli che era andata a sostituire i quattro di Rowen.

Káino aveva la testa che gli ciondolava e appena entrarono nella forra buia che dalla valle del Lago Lucente portava a Taniquetil, cominciò a sbadigliare.

Morifinwë invece non aveva sonno, anzi era pieno di domande. Ne prese una a caso tra le mille che gli affollavano la mente e la rivolse all’amico: – Perché gli adulti non assistono alle gare?

Káino represse uno sbadiglio: – A sentire Hyarmo, le gare sono cose da bambini. Le organizzano solo perché così gli adulti possono parlare dei loro affari senza averci tra i piedi.

Poi abbassò la voce e si chinò sull’orecchio di Morifinwë, anche se nessuno avrebbe potuto sentirli: – In realtà non è così. Dicono che Oromë alleni dei ragazzi come Cacciatori anche ai giorni nostri, così come faceva coi Nati all’Est durante la Grande Marcia.

– Certo – disse Morifinwë, – mio fratello…

Káino sollevò la testa di scatto, improvvisamente sveglio.

– Mio fratello – riprese Morifinwë, e si rese conto che l’ultima cosa di cui voleva parlare in quel momento era Tyelkormo, – mi ha detto che è così – concluse.

– È un grande onore per un Nato all’Est avere un figlio al seguito di Oromë – continuò Káino. – E sai dove li scelgono i ragazzi che vengono mandati da lui?

Fece una pausa a effetto.

– All’Oscuramento – concluse, – tra i vincitori delle gare.

E poi aggiunse, come se stesse esponendo la prova inoppugnabile della sua teoria: – Se no perché i giudici ti chiedono il nome?

Morifinwë aveva sentito mille volte i racconti di Tyelkormo sui suoi primi anni di addestramento, e sulle difficoltà che aveva incontrato dovendo competere con ragazzi che erano preparati a quello fin dalla nascita. Allora gli era sembrato impossibile che suo fratello, così forte, agile e veloce, potesse aver incontrato qualcuno che gli avesse dato filo da torcere, ma dopo aver visto le gare di quella sera non gli sembrava più tanto strano.

Il pensiero delle gare gli fece venire in mente un’altra domanda.

– Come hanno fatto i gemelli ad arrivare entrambi primi nella gara di equitazione?

Káino sbadigliò per l’ennesima volta e fece vari tentativi di appoggiare la testa a un grosso baule dietro di loro, alla ricerca di una posizione comoda.

– Si aspettano – rispose. – Sono quasi sempre loro due i primi… i cavalli di Rowen sono imbattibili… ma chi precede l’altro rallenta finché non passano insieme sul traguardo.

– Non capisco – disse Morifinwë, che non avrebbe mai rinunciato a una vittoria piena per condividerla, tanto per dirne uno a caso, con Tyelkormo.

– Nemmeno io – confermò Káino. La testa alla fine gli crollò sulla spalla di Morifinwë. – Tu sei come un fratello per me, Moryo, ma se credi che ti aspetterei in una gara dove sto vincendo, stai fresco – biascicò, prima di chiudere gli occhi.

– Mi ci manca solo un altro fratello – borbottò Morifinwë. Ma passò lo stesso un braccio attorno alla vita dell’amico per evitare che, nel sonno, con tutti quegli scossoni scivolasse giù dal carro.
 


 

Rientrarono alla fattoria che era quasi il crepuscolo, proprio mentre stava cominciando il secondo mescolarsi delle luci. Erano stati via due giorni interi e Morifinwë non aveva chiuso occhio per tutto il tempo, eppure non aveva sonno. Il pensiero della decisione presa lo teneva sveglio, insieme al desiderio di cominciare quanto prima a prepararsi, e all’ansia di mettersi in gioco e di scoprire cosa sarebbe stato capace di fare.

Era certo che Hellë avrebbe potuto aiutarlo. Dopotutto, chi meglio di una ex-Cacciatrice poteva prepararlo per una gara il cui nome era la Corsa del Cacciatore?

Non era, però, altrettanto sicuro che lei avrebbe voluto aiutarlo. Non si poteva mai prevedere la reazione della donna, quando si parlava di cose che le ricordavano il suo passato.

Il carro su cui viaggiavano Morifinwë e Káino entrò nel piazzale e si girò per favorire il distacco dei nuovi cavalli e lo scarico delle merci. Un nutrito gruppo di persone attendeva il loro arrivo: Rowen e i suoi aiutanti, molti bambini tra cui una saltellante Lissi, e persino Arsanarwë che, appoggiato alla balaustra del ballatoio, osservava da lontano col suo sorriso svagato.

Lo sguardo di Morifinwë andò dritto alla ricerca di un vestito azzurro e una chioma di trecce raccolte. Individuò Hellë a metà strada tra la carovana e la fattoria, e quando vide che anche lei sembrava stesse cercando qualcuno sui carri, il suo cervello chiaramente stremato per la mancanza di sonno gli suggerì che quel qualcuno poteva essere lui. Saltò giù dal carro e le corse incontro. Avrebbe voluto abbracciarla, tanto era felice di rivederla.

Si rese conto di quello che stava facendo solo quando fu a un passo da lei, e Hellë alzò le mani coi palmi rivolti in avanti per tenerlo a distanza.

– Carnistir.

Disse il suo nome come un’ammonizione a riprendere il controllo di sé.

O forse lo disse come un saluto, perché sfoggiava uno dei suoi mezzi sorrisi e lo guardava in un modo che a lui parve tutto nuovo, come se lo vedesse per la prima volta. Ci mise un attimo per capire che doveva essere per i vestiti che indossava, e per il ciondolo giallo che aveva al collo, che testimoniava che aveva partecipato all’Oscuramento non solo come spettatore.

– Presumo che ti sia divertito – disse infatti Hellë.

Morifinwë si accorse che non aveva ancora detto nulla. Di tutte le cose che facevano a gara per uscirgli di bocca, tra cui: “mi sei mancata” era la meno compromettente, riuscì all’ultimo a deviare su quella più importante: – Hellë, ho preso una decisione!

La donna fece una smorfia: – Com’è che ho paura che coinvolgerà anche me?

Morifinwë abbassò la voce, per non farsi sentire da chi gli stava intorno. – Voglio gareggiare nella Corsa del Cacciatore – disse.

Hellë sbatté le palpebre un paio di volte.

– Hai deciso di puntare in alto – commentò.

Morifinwë giudicò un ottimo segnale il fatto che non si fosse messa a ridere, e si colpì il petto con un pugno. – Puro Noldo – disse.

Lei inarcò un sopracciglio: – E che cosa ti fa pensare che riuscirai nell’impresa?

– Il fatto che me lo insegnerai tu! – rispose prontamente Morifinwë.

Questa volta lei trattenne a malapena una risata. – Ragazzino, la tua impertinenza finirà per procurarti dei guai – disse.

Era una frase che gli ripeteva spesso, ma Morifinwë si ricordò di quando gliel’aveva detta per la prima volta, la sera del ballo in camera sua. Arrossì e il suo entusiasmo venne meno. Abbassò lo sguardo sul bracciale di cuoio della donna e chiese, incerto: – Me lo puoi insegnare tu, vero?

Hellë dovette capire quanto fosse importante per lui quella richiesta perché, tornata subito seria, disse: – Sì, Moryo. La ritengo una sciocca gara dal nome pretenzioso, ma se sei disposto a imparare, te lo posso insegnare io.

– Grazie! – esclamò Morifinwë sollevato, e provò di nuovo, impellente come non mai, il desiderio di abbracciarla, – non sai quanto…

– Ora vai – lo interruppe Hellë, – devo aiutare a scaricare – e come a conferma di ciò arrivò la voce di Faniel che la chiamava dal carro.

Morifinwë la guardò allontanarsi col suo incedere sicuro e silenzioso.

Non sai quanto mi sei mancata, concluse, in silenzio.

La vide esitare un attimo, come se avesse colto il suo pensiero. Ma forse fu solo un inganno della sua mente esausta.

 

 



 


NOTE

Grazie a chi è arrivato fin qui!

01.
Secondo il mio headcanon, la comunità dei Noldor Nati all’Est, pur adeguandosi al calendario Valinoreano e alla concezione della durata degli anni adottata dai Valar in Aman, faceva partire il conto degli anni dal Risveglio dei Primogeniti, avvenuto nel 1050 degli Anni degli Alberi (Y.T.). Essendo la storia ambientata nel 1389 Y.T., ecco spiegato perché il giudice di gara sostiene che sono nel 339.

02.
Nelle mie ricerche per accertarmi che i nomi da me inventati non fossero già stati usati da altri autori, ho trovato un Angandil nella storia Angandil’s strange evening di Huinare. Dato che si trattava di un craban (corvo) di Saruman, ho deciso che non poteva in alcun modo essere confuso con un Noldo di Aman e l’ho lasciato come nome per uno dei concorrenti. Il sito sul quale ho trovato la storia nel 2019 (quando ho cominciato a scrivere LCDC) non è più raggiungibile, quindi non posso lasciarvi il link diretto, e mi dispiace perché era una breve storia molto carina.

03.
Per chi fosse interessato, qui c’è la pianta del circuito nel quale si corre la Corsa del Cacciatore.

04.
I Laghi Lucenti sono bacini in cui vengono conservate la pioggia di Laurelin e la rugiada di Telperion perché siano sorgenti di luce dove i raggi degli Alberi Sacri faticano ad arrivare

05.
Chi ha letto altre mie storie, avrà forse notato alcuni riferimenti ad esse disseminati lungo tutto il racconto. Qui, per esempio, si accenna al passato di Tyelkormo con Oromë, al quale di faceva riferimento anche in Spiriti Affini. Il Findekáno che abbiamo incrociato nel capitolo 3 e nel capitolo 16 è quello di Tenn’Ambar-metta e di Un esperimento mal riuscito, racconto dove viene citata anche Erlindiel (anche se non per nome). Non è affatto necessario aver letto le altre mie storie per orientarsi in questa, ma se foste curiosi, andare a spulciare la raccolta Los Tales

 

Nomi canonici, conversione Quenya - Sindarin
Morifinwë, Carnistir = Caranthir
Makalaurë = Maglor
Fëanáro = Fëanor
Russandol = Maedhros
Tyelkormo = Celegorm

Personaggi di mia invenzione
Káino, il migliore amico di Morifinwë
Arion, un ragazzo che abita alla fattoria, amico di Morifinwë
Huinion, il suo gemello
Torondo, un ragazzo della Piana Calaciryana
Malagàl, una ragazza di Alqualondë
Angandil, un concorrente della Corsa del Cacciatore. Il suo nome viene da Anga (iron) e -ndil (suffisso per friend).
Nordacil, il campione indiscusso della Corsa del Cacciatore. Il suo nome (o, meglio, il suo epessë) viene da Norië (race, running) e -dacil (il suffisso per victor, winner)
Rowen, la fondatrice della fattoria, allevatrice di cavalli
Lissi, la sorellina di Káino
Arsanarwë, il maestro di matematica di Morifinwë, marito di Rowen
Faniel, una donna che lavora alla fattoria

Nomi di mia invenzione
Ulvórë, una stagione a metà tra l’autunno e un mite inverno
Piana Calaciryana, stretta striscia di terra pianeggiante tra Tirion e il mare
Punta Scura, la zona sotto le pendici orientali di Túna, perennemente all’ombra della collina stessa

Nomi canonici usati non-canonicamente
Lairë, la stagione paragonabile alla nostra estate

 

 

 

  
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