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Autore: Padme92    08/05/2023    1 recensioni
[L\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\\]
[L'uomo che sussurrava ai cavalli]
«“Al diavolo…!” imprecò gettando il cappello per terra, mentre gli occhi gli si velavano di lacrime.
Poi, buttandosi carponi come un uomo in preghiera, Tom urlò. Non a causa della mano sanguinante che pulsava di dolore, ma a causa di una ferita molto più profonda, provocata dall’amore sconfinato e bruciante che sentiva per Annie.»
Questa fanfiction mescola il finale del film e quello del libro de "L'uomo che sussurrava ai cavalli" per esplorare cosa succede ad Annie Graves e Tom Booker dopo la loro separazione.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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4.






Le giornate al ranch si susseguivano, se non tutte uguali, perlomeno molto simili. Solo il ridursi del numero di ore solari segnalava il lento avvicinarsi della fine dell’estate, ma per il momento i caldi, pigri pomeriggi d’agosto facevano venire voglia di crogiolarsi al sole, dimenticando ogni preoccupazione, distesi bellamente in mezzo al prato, oppure spingevano alla ricerca di una zona ombrosa, dove poter pisolare tranquilli con la schiena appoggiata contro il tronco ruvido di un pioppo. I bambini, invece, avevano sempre voglia di fare il bagno nel fiume o di andare a pesca. Joey in particolare amava preparare la canna e trascorrere lunghe pacifiche ore presso il torrente, in attesa che una trota cedesse alle lusinghe della sua esca colorata. Tom condivideva questa sua passione e, spesso, quando lo vedeva particolarmente desideroso di abbandonare la chiassosa compagnia dei suoi fratelli, si offriva di accompagnarlo a pescare in uno dei loro posti “segreti”. Non si trattava che di punti specifici un po’ più a sud lungo il corso del fiume, dove questo formava delle pozze d’acqua e delle cascatelle, perdendosi in diversi rigagnoli che zigzagavano tra i tronchi di una macchia d’alberi di betulla.
Era in uno di questi posti speciali che si trovavano quel pomeriggio, le canne strette in mano, ora concentrati, ora persi ciascuno nei propri pensieri, scambiandosi di tanto in tanto una parola o due. Joey aveva un carattere mite ma solitario, e tra tutti i nipoti era quello che assomigliava di più allo zio. Tom provava un certo qual senso di orgoglio per questo, soprattutto quando lo osservava lavorare con i cavalli: a 14 anni si intuiva già il suo dono nel rapportarsi agli animali. Talvolta Tom si era ritrovato quasi a desiderare che fosse figlio suo.
“Zio Tom?”
La voce del ragazzo lo interpellò da pochi passi più indietro rispetto a dove era seduto.
“Sì?” fece lui senza sentire il bisogno di voltarsi nella sua direzione.
“Credi che Annie e Grace si siano già dimenticate di questo posto?”
Tom non tradì la sorpresa di sentire nominare Annie, e invece intuì quello che il ragazzo aveva voluto dire veramente, ovvero: Credi che Grace si sia già dimenticata di me?
Si prese un attimo prima di rispondere, cosa che d’altronde faceva quasi sempre.
“Io non credo, Joey, “disse infine con semplicità, “Penso solo che siano molto indaffarate ora che sono tornate alla loro vita normale.”
Joey annuì, ma non sembrava soddisfatto della risposta.
“Pensi che torneranno a trovarci l’anno prossimo?” domandò, gli occhi fissi sulla lenza, ma senza vederla veramente.
“Non ne ho idea,” rispose Tom onesto, “Ti manca Grace?”
La sua era una provocazione. Sapeva che quando il giorno prima a cena Frank aveva accennato in modo scherzoso alla possibilità che Annie si facesse rivedere la primavera seguente, Joey aveva segretamente sperato che avesse ragione. Come lui, del resto.
Le orecchie di Joey si fecero paonazze a quell’insinuazione implicita, ma non provò a negare.
“Sì,” disse solo.
Tom ammirò la sua trasparenza. Per un breve momento provò a immaginarsi come sarebbe stato se, una volta cresciuti un pochino, tra lui e Grace fosse sbocciato un sentimento di natura più profonda della semplice amicizia.  E come sarebbe stato se, Dio volendo, Annie fosse tornata lì ogni estate insieme a lei. Per un attimo gli scorsero davanti agli occhi della mente tutta una serie di immagini che appartenevano ai ricordi più preziosi che aveva di lei: Annie che contemplava il tramonto durante la loro prima cavalcata insieme; Annie che gli si avvicinava silenziosa sotto una candida luna; Annie che, completamente nuda, teneva stretto il suo sesso guardandolo con occhi pieni di desiderio.
Il suo sognare ad occhi aperti fu interrotto dal grido trionfante di Joey. Si voltò e non poté fare a meno di sorridere al nipote che teneva alta la canna da pesca, dal quale ora penzolava una trota che si agitava forsennata nel tentativo di liberarsi dall’amo. Non fece in tempo a complimentarsi che sentì tirare a propria volta e, con muta concentrazione e qualche colpetto di gomito, alla fine si ritrovarono entrambi a riva a contemplare il loro bottino.
“Bel colpo, zio!” fece Joey estasiato dalla loro fortuna “due pesci in un due minuti, è un record.”
“Stasera ce li facciamo cucinare da tua madre, direi che ce lo meritiamo,” gli assicurò Tom, dopodiché smontarono le canne e, presa in una mano la cassetta da pesca, negli altri il sacchetto coi pesci, ripresero la via di casa.
Quando giunsero sulla veranda, Tom risistemò la cassetta nella cassapanca, mentre Joey correva in casa a far vedere le trote ai fratelli e alla madre.
“Guardate che abbiamo preso! Sono enormi,” lo sentì annunciare con entusiasmo Tom.
Le voci dei gemelli e di Diane si aggiunsero subito dopo.
“Fammi vedere!”
“Bravissimo, Joey!”
“Mamma, stasera li mangiamo?”
“Se fate i bravi fino all’ora di cena, può darsi di sì.”
Udì l’urlo di gioia dei più piccoli e poi Diane cambiare completamente tono di voce mentre chiedeva a Joey dov’era rimasto lo zio. Fu allora che Tom decise di entrare a sua volta nella casa. Non parlava con Diane dalla sera precedente, ma quando la vide sul suo viso non c’era traccia di risentimento o imbarazzo, solo i suoi modi tradivano una certa freddezza.
“Mi cercavi?” le chiese lui, aspettandosi come al solito un qualche tipo di richiesta o raccomandazione.
“A dire il vero sì…” cominciò Diane mordendosi il labbro. “All’inizio mi sono chiesta se fosse il caso di avvisarti, ma poi Frank ha detto che dovevo assolutamente dirtelo.”
“Dirmi cosa?” la interrogò disorientato.
“La signora MacLean ha chiamato più o meno un’ora fa. Vi cercava.”
“Chi?”
“La donna di New York. Annie.” chiarificò Diane “Il marito fa MacLean di cognome.”
“Ah. E chi cercava?” domandò brusco.
“Te e Joey,” disse lei come se si trattasse di qualcosa di ovvio “Lei e la figlia volevano salutarvi.”
“E tu che gli hai detto?” incalzò lui.
“Che vi avrei portato i loro saluti…”
Vedendolo aggrottare le sopracciglia come un falco pellegrino, Diane si affrettò a terminare la frase.
“… e che le avreste richiamate una volta tornati dall’uscita a pesca.”
Le sopracciglia di Tom si rilassarono, poi superò la cognata a grandi passi per dirigersi al piano superiore. Mentre saliva le scale si fermò, come se avessi dimenticato qualcosa, e disse solo:
“Diane. Grazie per il messaggio.”
Il solco sul suo viso si incurvò appena in una specie di sorriso e Diane capì che era disposto a dimenticarsi delle sue parole del giorno prima.

Quando aveva abbassato il ricevitore, Annie si era rimproverata l’agitazione con la quale aveva detto a Diane che avrebbe voluto parlare con Tom. La sensazione di non stare per niente simpatica alla cognata si era acuita enormemente da quel breve scambio di parole. Non poteva biasimarla, non dopo che Tom le aveva raccontato della loro breve frequentazione tanti anni prima che conoscesse la sua prima moglie. D’altra parte era convinta che niente di quello che lei o il cognato facessero o pensassero di fare fossero affari che la riguardavano. La sua gelosia aveva un non-so-ché di ridicolo, eppure era un ostacolo che la metteva di malumore, così come quella di Robert. Ciononostante si era decisa a chiamare, a sfidare i loro giudizi e a voler sentire di nuovo la voce dell’uomo che amava. Grace era rimasta accanto a lei e aveva gridato un saluto a Diane, salvandola almeno in parte dall’imbarazzo di quella conversazione, ma era rimasta delusa quando aveva saputo che né Tom né Joey erano in casa.
“Riproveremo più tardi”, le aveva assicurato Annie, sebbene ora si sentisse più restia a farlo.
Ma non ce ne fu bisogno. Quando Annie aveva ormai altro per la testa, immersa nella stesura di un’intervista che aveva condotto la settimana precedente, il telefono squillò.
“Annie Graves”, rispose lei in automatico.
Utilizzava sempre il suo nome da nubile, forse per il desiderio di conservare la sua identità e insieme la sua libertà come individuo unico. Un’altra di quelle scelte che Robert aveva rispettato, seppur non condividendola.
“Ah, quindi non sei la signora MacLean?” si sentì rispondere da una voce tanto famigliare che le venne la pelle d’oca.
Presa in contropiede, rimase un attimo interdetta prima di parlare di nuovo.
“…Tom?” disse alla fine, stupefatta.
“Ho saputo che hai chiamato,” fece lui con la sua solita pacata sicurezza.
“I-io…” cominciò nel tentativo di riprendersi dalla sorpresa “Sì, in effetti. Però non mi chiamo MacLean, mi sono rifiutata di cambiare cognome da sposata.”
“Mi pareva,” fece Tom per nulla stupito.
“Spero perdonerai il disturbo,” affastellò lei “ma Grace ha insistito tanto, ci teneva a sapere come andavano le cose. E poi a dirla tutta credo che le manchi Joey.”
“E a te?” domandò lui.
“E a me cosa?” fece Annie senza capire.
“Non ti manca niente di questo posto?” chiese Tom a bruciapelo.
Annie inspirò profondamente prima di formulare una risposta.
“Mi mancano i tramonti,” disse poi, il che era una parte di verità.
“Capisco,” fece Tom e ad Annie parve quasi di vedere il lieve sorriso che gli si formava sul viso.
“Solo i tramonti?” continuò lui, stavolta con tono chiaramente allusivo.
“No, Tom…” ammise infine, chiedendosi perché dovevano giocare a far finta che non fosse accaduto niente tra di loro, “Non solo i tramonti. Lo sai.”
“Lo so,” fece lui, impregnando quelle due sillabe di mille significati.
Annie non sapeva più come andare avanti. I suoi occhi iniziarono a luccicare di commozione, ma a tutti i costi voleva impedirsi di piangere. Non sarebbe giovato a niente.
“Tutto bene?” chiese Tom dopo un istante di silenzio un po’ troppo lungo.
“Sì, tutto bene,” mentì lei.
“Sono contento di sentirti,” disse lui in modo dolce, come indovinando la verità dietro la menzogna.
“Anch’io sono contenta,” fece lei con voce velata.
“Grace è lì?” domandò lui, pensando di intuire già la risposta.
“No, no… È andata con Robert a vedere il nuovo maneggio dove abbiamo trasferito Pilgrim.”
“Oh,” commentò Tom, “Sta bene?”
“Sì, sì. Abbiamo deciso di portarlo lì perché non ci fidavamo più degli altri proprietari, non dopo come l’avevano trattato.”
“Avete fatto bene, senza dubbio.”
Annie esitò ancora qualche attimo, poi si risolse a fargli la domanda che l’assillava da tempo.
“Senti, c’è una cosa che vorrei chiederti…” iniziò incerta.
“Spara,” la invitò lui.
“Questa non è la prima volta che chiami… vero?”
Silenzio. Annie non sapeva come interpretarlo.
“Tom?”
“È vero,” fece lui alla fine, come se gli costasse uno sforzo ammetterlo, “Ho telefonato ieri. Sei stata tu ad alzare la cornetta?”
Ad Annie prese a battere il cuore un po’ più forte.
“No, a dire il vero è stato Robert.”
Tom restò in silenzio.
“Ha detto che… Che mi cercavi. Anche per questo mi sono decisa a chiamare.” 
Un altro silenzio, questa volta più lungo. Tom se lo era aspettato. All’inizio era convinto che fosse stata Annie a tenere il ricevitore quando aveva sentito respirare. Per questo aveva chiamato il suo nome. Ma una volta abbassata la cornetta gli era sorto il dubbio che non fosse lei. Per la prima volta provò una vena di imbarazzo e non gli riuscì di pensare a una scusa plausibile da addurre per quel gesto. Alla fine optò di nuovo per la verità.
“Mi manchi, Annie,”
A sentire il suo nome pronunciato con cotanta tenerezza dall’uomo che amava, Annie si sentì leggermente mancare. Cosa stavano facendo?
“Mi sembra che avessimo deciso di non parlarne più. Di non sentirci più. Perché hai chiamato? Ieri e tutte le altre volte, lo so che eri tu. Come puoi pretendere che io vada avanti se – se tu…” Ecco che la voce le si incrinava e i suoi occhi iniziavano a minacciare un acquazzone.
“Non capisci che così non ce la faccio?” sbottò in preda alla frustrazione.
“Perdonami,” sussurrò Tom come se le stesse parlando all’orecchio “Non era mia intenzione farti soffrire ancora di più. Davvero.”
Lacrime silenziose le sgorgarono dagli occhi, appannandole la vista.
“Non so se ti perdono,” gli disse con voce rotta “Non so se ce la faccio, Tom.”
Sentendosi finalmente libera di dare voce a quello che aveva nel cuore, nella casa vuota di Chatham e per la prima volta dopo essere tornata nello stato di New York, Annie pianse fino a perdere le forze.

Tom si maledisse per il fatto di non poter essere lì con lei, di non poterla stringere fra le braccia, consolarla, dirle quello che voleva sentire.
“Nemmeno io mi perdono per averti lasciato andare via,” sussurrò piano, consapevole di rigirare il coltello nella piaga aperta dei loro cuori.
I singhiozzi di Annie lo facevano sentire impotente e nell’ascoltarli gli occhi gli si velarono a sua volta. Ma non avrebbe pianto. Doveva essere forte, ora più che mai, doveva resistere per lei.
Oh, Annie, pensò nella disperazione più totale, se solo le cose fossero diverse da come sono, mi sarei permesso di amarti fino alla vecchiaia, fino alla morte stessa. E voleva dirglielo, voleva dirle una volta di più quanto l’amava, anche adesso che erano lontani, forse più di prima. Ma qualcosa lo bloccò.
“Non fare così, Annie,” la pregò dolcemente “Non c’è bisogno di piangere. Siamo qui, siamo ancora noi due, l’uno nel cuore dell’altra.”
“Tom… Oh, Tom,” continuava a ripetere lei, accarezzandogli l’anima ogni volta che pronunciava il suo nome. Per chissà quale ragione suonava così diverso detto da lei?
“Annie,” disse a sua volta, cercando di rassicurarla quanto più poteva col suono della sua voce.
Avrebbero voluto dirsi tante cose, ma non ce n’era bisogno: ognuno dei due riusciva a indovinarle. Sapevano entrambi che il motivo per cui era meglio evitare ogni contatto era proprio quello che stava succedendo in quel momento e che avrebbe reso solo più difficile il ritorno a una vita che non li comprendeva insieme.
“Cosa dovremmo fare?” sentì Annie chiedere, dopo essersi un po’ calmata.
“Non dobbiamo fare niente, Annie,” rispose con sincerità “Dobbiamo solo aspettare. Tentare di vivere la nostra vita separati e vedere come sarà tra un anno, due anni, o dieci. Per ora le regole sono queste, e non possiamo fare altro che seguirle.”
Intuì subito che Annie non era affatto soddisfatta di quella risposta, ma era sicuro che in fondo comprendesse la verità delle sue parole.
“Grace mi ha chiesto di tenerci in contatto. Parla già di venire a trovarvi la prossima estate, capisci?
“Capisco,” mormorò rendendosi effettivamente conto delle implicazioni.
Se lei e Robert avessero voluto farla felice, si sarebbero lasciati convincere a tornare nel Montana, presto o tardi che fosse. E poi c’era la questione di mantenere i rapporti: voleva dire telefonarsi almeno per le feste canoniche, due o tre volte all’anno, come minimo. Come avrebbero potuto lasciare che il tempo raffreddasse i loro sentimenti, farli pervenire a una qualche forma di accettazione della loro situazione, se continuavano a sentirsi?
“Robert come la pensa?” chiese dopo qualche istante di valutazione.
“Non me lo dice,” rispose Annie “Ieri credeva che io e te ci sentissimo di nascosto. Gli ho spiegato che non era così, ma non so se si è convinto.”
“Si è arrabbiato con te?” le chiese rammaricato di averle causato ancora più problemi.
“No, non era arrabbiato, era solo… triste,” disse lei.
Tom si rabbuiò. Puoi giurarci che è triste, pensò preso da un vago senso di colpa.
“L’ho ferito, Tom,” fece Annie seria “Le cose già non andavano prima del Montana, adesso sono proprio ferme, in bilico. Non penso di essere in grado di salvarle.”
Non penso di volere salvarle, era quello che voleva dire in realtà. Tom afferrò il sottotesto. Rammentò quando le aveva chiesto perché non le lasciava cadere e basta. Lei non aveva risposto. Forse non lo sapeva nemmeno lei perché non riusciva ad arrendersi, anche se questo avrebbe voluto dire poter tornare da lui. Certo, Grace avrebbe sofferto, ma la verità è che avrebbe sofferto comunque nello scoprire, presto o tardi, che i suoi genitori avevano recitato una farsa per anni pensando di proteggerla. Personalmente al suo posto avrebbe preferito conoscere e affrontare la verità. Ma sapeva che la sua opinione non contava nulla, non aveva nessun diritto di interferire né poteva decidere per Annie.
Trasse un lungo, profondo respiro, ponderando bene le parole da rivolgerle.
“Tu sai già come la penso, Annie,” disse andando a sedersi alla sedia della sua scrivania “Devi fare le tue scelte, e io sarò felice di rispettarle.”
“Certo che non mi rendi le cose più semplici così…” commentò lei scuotendo la testa.
“Le cose non sono mai semplici né complicate, Annie. Sono e basta. Proprio come le persone e i loro sentimenti.”
Annie sospirò.
“Non so come fai ad avere sempre ragione,” fece un po’ imbronciata.
Tom rise sommessamente.
“Non lo so nemmeno io.”
“Grace direbbe che sei l’unica persona che riesce ad averla vinta con me,” commentò lei.
“E adesso ci sto riuscendo?”
Annie non rispose subito. Sapeva cosa intendeva dire: l’avrebbe convinta a lasciare Robert? Non glielo avrebbe mai chiesto in modo esplicito, ma tutto girava attorno a questo.
“Penso che lo scopriremo presto… In un modo o nell’altro.”
“Sì,” convenne “Lo penso anch’io.”
Una voce maschile lo chiamò da dietro la porta. Era Frank e aveva bisogno di aiuto per un lavoro. Anche Annie lo sentì. Era giunto il momento dei saluti.
“Allora salutami Frank,” fece lei in fretta “E dì a Joey che se chiama stasera verso le otto faccio rispondere Grace.”
“Va bene, lo farò senz’altro.”
“Va bene,” ripeté lei.
“Allora ciao,” le disse con una sfumatura divertita nella voce.
“Sì,” fece Annie, riluttante a chiudere la telefonata “Allora… Ciao, Tom.”
“Ciao Annie.”
 
   
 
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