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Autore: Orso Scrive    09/05/2023    1 recensioni
Alberto Manfredi e Aurora Bresciani ricevono l’incarico di gestire la sicurezza di una mostra dedicata alla storia della frontiera americana. Fare la guardia a vecchi cimeli privi di valore non sembrerebbe essere un incarico molto gratificante, per i due carabinieri del Nucleo Tutela del Patrimonio Culturale. Ma dovranno presto ricredersi, quando la mostra verrà sconvolta da uno strano furto, che sembra collegato a un’antica maledizione degli indiani d’America e alla scoperta, ai tempi della frontiera, di una miniera misteriosa…
Genere: Avventura, Mistero, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'A&A - STRANE INDAGINI'
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7.

 

 

Monte Supersticion, giugno 1542

 

 

Liquidata la faccenda del tradimento, Coronado radunò nella sua tenda tutti gli ufficiali che gli erano rimasti fedeli, per tenere un consiglio. Pedro avanzò baldanzoso, fiero del ruolo che aveva avuto nello smascheramento della congiura. Non si sorprese a scoprire che il comandante lo volle in piedi al proprio fianco.

«Il tentativo di ammutinamento che abbiamo fortunatamente sventato per tempo, mi ha dato molto da pensare», cominciò Coronado, seduto sopra uno scranno rivestito di velluto e con i braccioli intagliati a forma di teste di leone. Il fiero esploratore, in quei due anni, era parecchio invecchiato, e rughe profonde gli solcavano la fronte e gli attorniavano gli occhi. «Mi sono posto questo quesito: quanto tempo passerà, prima che un simile tradimento si verifichi di nuovo?»

Fece scorrere lo sguardo penetrante su tutti gli ufficiali. Qualcuno riuscì a sostenerlo, ma la maggior parte abbassò il proprio, imbarazzati e soggiogati dagli occhi di quell’uomo straordinario.

«Mi chiedo: quanto passerà, prima che uno di voi mi tradisca?»

A queste parole, fece seguito un brusio di voci che cercavano di schermirsi. Coronado ignorò tutti quanti. Pedro si affrettò a inchinarsi con deferenza.

«Io, eccellentissimo signore, vi sarò fedele fino alla morte», garantì.

Coronado indugiò su di lui con lo sguardo per qualche istante, prima di replicare.

«Voi siete giovane, capitano», disse. «Quando sarete vecchio come sono vecchio io adesso, capirete che, a questo mondo, non si può riporre la propria fiducia in nessun altro al di fuori che in se stessi e, naturalmente, in Nostro Signore Gesù Cristo.»

Fece una breve pausa.

«Ma vi sono grato per la vostra fedeltà, che già mi avete dimostrato in un frangente molto difficile e delicato», concluse. «Se non fosse stato per voi, in questo momento sarei stato tratto in catene, se non addirittura ucciso. Vi sono debitore della vita. Vi assicuro che, il titolo di cavaliere, è solo l’inizio: quando faremo ritorno nella Nuova Spagna, farò di voi un uomo ricco e importante.»

Pedro si rialzò, inorgoglito da quelle parole. Un vortice di superbia lo riempì e lo avvolse, mentre si rendeva conto di essere superiore a tutti gli altri uomini presenti in quella tenda, eccettuato il comandante. Arrivò persino a domandarsi quanti, dei presenti, fossero stati al corrente della congiura, per poi defilarsi in tempo un attimo prima del disastro. Se lui si fosse trovato al posto di Coronado, non avrebbe esitato un solo istante a condannare tutti quanti a morte, senza fare distinzioni. I colpevoli avrebbero espiato e gli innocenti sarebbero stati ripagati venendo accolti in paradiso.

Il comandante si rivolse a un anziano nobile spagnolo, un uomo con una folta barba bianca e un fisico parecchio robusto, a malapena contenuto dalla corazza. Era il cavaliere Antonio Coimbra de la Coronilla y Azevedo, l’addetto alle salmerie.

«Cavaliere, dite con onestà: come siamo messi a viveri?»

Il cavaliere, uno dei pochi che prima aveva sostenuto senza paura lo sguardo di Coronado, anche adesso lo fissò imperturbabile da sotto le sue palpebre pesanti.

«Abbiamo scorte di carne, farina e frutta secca sufficienti per ancora un paio di mesi», disse. «Abbiamo anche diversi barili pieni d’acqua, mentre non abbiamo più vino, se non le poche bottiglie di Jerez della vostra riserva personale.»

Il comandante annuì con gravità.

«È come immaginavo», asserì, senza scomporsi. «Fino a questo momento, la truppa si è comportata in maniera esemplare perché ha sempre avuto di che nutrirsi. Ma che cosa succederà, allorquando resterà senza vettovaglie e i morsi della fame cominceranno a farsi sentire con prepotenza crescente?»

Fissò i suoi ufficiali uno per uno, in attesa di una risposta che non venne.

Fu lui stesso a darla.

«Si ribelleranno, ecco che cosa succederà. Questa congiura sventata è partita dall’alto, e questo l’ha stroncata sul nascere. Ma, se la fame non spingerà voi stessi ad agire contro di me, di sicuro lo farà con gli uomini. Si ammutineranno contro noi tutti. A quel punto, non ci saranno ordini in grado di fermarli. Ecco perché non possiamo andare ancora avanti. La nostra spedizione deve concludersi qui. Domattina volgeremo le spalle a questo luogo e ricominceremo la marcia verso il Messico. Il materiale cartografico raccolto da padre Marco sarà la prova del nostro successo e, in futuro, potrà servire a organizzare nuove esplorazioni.»

Gli ufficiali si guardarono l’un l’altro, qualcuno espresse un parere favorevole. Quasi nessuno cercò di mascherare un’espressione di puro sollievo. Ma Pedro non udì e non vide nulla. Sentì soltanto la ridda di pensieri insondabili che gli attraversò in fretta il cranio.

Infine, parlando a voce più alta di tutti gli altri, esclamò: «Ma non possiamo abbandonare tutto proprio adesso, che siamo a un passo dal raggiungere Cibola!»

Non poteva credere di aver marciato, di aver faticato e sofferto, di aver rischiato la propria vita e tradito quella di vecchi amici, per poi arrendersi così. Certo, aveva le ricchezze e le due donne che lo attendevano sotto la tenda, e tornava a casa con un titolo nobiliare. Avrebbe potuto coronare il sogno di impiantare un hacienda e viverci come un nababbo, mentre il lavoro sarebbe stato svolto tutto dai campesinos messicani. Ma la sola idea di abbandonare la ricerca di Cibola era agghiacciante, gli toglieva il fiato.

«Il comandante ha ragione, capitano», lo redarguì il cavaliere de la Coronilla y Azevedo. «Con i viveri che ci restano, possiamo soltanto compiere metà della marcia verso il Messico. Saremo comunque costretti a fermarci a fare rifornimenti, lungo la strada. Ma, se proseguiamo, nulla ci garantisce che troveremo Cibola in breve tempo. Se le sette città dovessero sorgere a oltre due mesi di cammino da qui, e nel frattempo non trovassimo villaggi indiani o altri luoghi da cui approvvigionarci, per tutti noi sarebbe la fine. Una fine lenta e dolorosa, aggiungo.»

Pedro lo fissò con aria di sfida. Il cavaliere non mosse un muscolo e restò impassibile. Aveva preso parte a troppe avventure – battaglie, assedi, esplorazioni, compreso un lungo viaggio nel meridione alla ricerca di Eldorado – per lasciarsi intimidire da un ragazzino nato dal nulla.

«Le sette città sino vicinissime», disse il giovane cavaliere, sicuro di se stesso. «A… a non più di una settimana di cammino da qui.»

Coronado, che aveva trascorso gli ultimi istanti a fissare il pavimento coperto di tappeti lisi e polverosi, probabilmente perso a rimuginare sul suo fallimento, alzò di scatto la testa. Lo guardò con vivo interesse.

«Sembrate molto sicuro delle vostre parole, capitano», constatò.

Pedro si morse il labbro, incerto. Poi, però, riprese sicurezza.

Annuì con forza.

«È così, comandante», borbottò. «Io… questa notte, mi è apparsa in sogno Nostra Signora di Guadalupe. Ella mi ha predetto che, molto presto, Cibola sarà in vista, e che sarà nostro dovere riportare quelle sette città profane sotto l’autorità di Dio Onnipotente.»

Alcuni ufficiali sghignazzarono. Coronado li fulminò subito con lo sguardo. Le risate si spensero immediatamente. Tutti quanti erano a conoscenza della profonda devozione religiosa del comandante.

«Mi chiedo perché a voi e non a me», mormorò il comandante. «Ma forse è stata la Madonna a guidare la vostra anima alla scoperta della congiura. Nostra Signora deve avervi scelto come suo vassallo.» Annuì e alzò la voce. «Mi avete convinto, capitano. Domani, riprenderemo la marcia tra i monti.»

Il cavalier de la Coronilla y Azevedo fece un passo avanti.

«Con tutto il rispetto, comandante, ma mi sembrerebbe una decisione piuttosto avventata», disse, con il suo vocione.

«Noi siamo come il Popolo d’Israele, in marcia nel deserto verso la Terra Promessa», fece Coronado.

«Già, ma noi non abbiamo una colonna di fuoco a guidarci nella direzione corretta e, soprattutto, non abbiamo un angelo a farci piovere addosso la manna dal cielo», rimarcò il cavaliere.

Coronado lo guardò senza parlare. Poi cercò l’approvazione degli altri ufficiali. Da parte di nessuno trovò un sostegno. Era solo. Soltanto nello sguardo di Pedro vide brillare la stessa fanatica scintilla che animava il suo.

Annuì.

«Come governatore della Nuova Galizia, devo ovviamente sottostare al consiglio degli uomini nominati a miei consiglieri dal viceré», parlò. «Ma, come capo di questa spedizione, ordino che il cavaliere Pedro Alvarez, alla testa di un manipolo di uomini, prenda la via delle montagne. Noi resteremo qui ad aspettare per quindici giorni, razionando i viveri. Se, entro e non oltre il sedicesimo giorno, non avremo avuto notizie riguardo la scoperta di Cibola, la colonna riprenderà la sua marcia verso il Messico e la spedizione sarà ufficialmente conclusa.»

Pedro si mise sull’attenti.

«Non vi deluderò, comandante», garantì.

 

 
   
 
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