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Autore: BabaYagaIsBack    17/05/2023    0 recensioni
Re Salomone: colto, magnanimo, bello, curioso, umano.
Alchimista.
In una fredda notte, in quella che ora chiameremmo Gerusalemme, stringe tra le braccia il corpo di Levi, come se fosse il tesoro più grande che potesse mai avere. Lo stringe e giura che non lascerà alla morte, il privilegio di portarsi via l'unico e vero amico che ha. Chiama a raccolta il coraggio e tutto ciò che ha imparato sulle leggi che governano quel mondo sporcato dal sangue ed una sorta di magia e, per la prima volta, riporta in vita un uomo. Il primo di sette. Il primo tra le chimere.
Muovendosi lungo la linea del tempo, Salomone diventa padrone di quell'arte, abbandona un corpo per infilarsi in un altro e restare vivo, in eterno. E continuare a proteggere le sue fedeli creature; finchè un giorno, una delle sue morti, sembra essere l'ultima. Le chimere restano sole in un mondo di ombre che dà loro la caccia e tutto quello che possono fare, è fingersi umani, ancora. Ma se Salomone non fosse realmente morto?
Genere: Avventura, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Violenza
Capitoli:
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Un lampadario.
Quando gli occhi di Noah si riaprirono la prima cosa che vide fu quella sagoma nella penombra. I cristalli pendenti oscillavano dolcemente sopra di lui, gettando scintillii tenui sul soffitto.
Per qualche istante rimase fermo a osservarli, incapace di distinguere la realtà dal sogno, poi corrugò le sopracciglia, confuso. Una volta resosi conto d'esser sveglio provò a capire in che modo fosse finito lì, ma faticava a ricordare gli istanti prima di quel momento e non si capacitava di come dal tramonto fossero passati a... si guardò attorno. Non c'erano orologi nella stanza in cui lo avevano coricato, solo un arredo modesto appartenente a chissà quale epoca passata ridipinto per farlo sembrare meno datato. Le lenzuola con cui era stato coperto profumavano di sapone di Marsilia e attorno sentiva solo l'eco lieve di una musica priva di parole.
Si mise a sedere.
Lo specchio sul piccolo armadio davanti al letto gli rimandò indietro un'immagine stropicciata di sé. Per quel poco che riusciva a distinguere notò che aveva i capelli scompigliati, il viso leggermente gonfio per il sonno e addosso la maglia con cui aveva viaggiato. Sul comodino erano appoggiati il suo cellulare, il caricatore e un abat-jour simile a quelle che aveva visto solo sulle bancarelle durante i mercatini delle pulci. Con il polpastrello ne sfiorò un angolo, certo che se non fosse stato cauto l'avrebbe rotta. Nello scivolare lungo il paralume si accorse della piega involontaria che avevano preso le sue labbra e, dubbioso, interruppe il contatto tra il dito e la stoffa. Quella stanza, seppur mai vista prima, d'un tratto gli generò in petto una sorta di nostalgia e gli venne naturale paragonare la sensazione che stava provando a quella che si poteva provare tornando a casa dei nonni dopo anni d'assenza. Conosceva quel luogo nonostante gli fosse estraneo e, quando distrattamente il suo sguardo incrociò la piccola scrivania sotto la finestra, avvertì il cuore stringersi maggiormente. Istintivamente si trascinò sul materasso, appoggiò i piedi a terra e allungò una mano per sfiorarne il legno. Sotto i polpastrelli sentì scanalature innaturali, simboli che si intrecciavano tra di loro come parole scritte e riscritte sopra altre - e un conforto che gli sembrò latente da troppo tempo s'insinuò lungo le dita e il braccio fino a raggiungere il petto in tumulto dal suo risveglio.
Con la punta della lingua si bagnò le labbra secche.
Chissà quante lettere o ricerche il suo sé di decenni o secoli prima aveva redatto, curvo su quel pezzo di legno. Chissà se mai avrebbe ricordato quei giorni. Chiuse gli occhi e prese un grosso respiro.
L'aroma del legno e del detersivo si mischiarono alla traccia lieve di salsedine e, seguendo le necessità del suo corpo, allungò l'altra mano, quella libera. Noah si ritrovò ad aprire le imposte cigolanti, scoprendo così un cielo che già preannunciava l'alba - aveva dormito più di quanto si sarebbe immaginato e, con più preoccupazione, si domandò che fine avessero fatto gli altri. Li avrebbe trovati in qualche stanza, intenti a confabulare qualcosa? Oppure avevano finito con l'ammazzarsi a vicenda? A quell'ipotesi s'irrigidì. I ricordi del pomeriggio prima guizzarono uno a uno davanti ai suoi occhi: l'aggressione di Zenas, Colette, la mano insanguinata di Levi, le dita della quarta Chimera strette al suo viso, le parole rivolte ad Alex... una fitta alla tempia interruppe il flusso di pensieri. La mano che aveva usato per aprire le imposte gli sfiorò la fronte, premendo appena nel punto dolente.
Dannazione, come aveva fatto a perdere i sensi in un momento tanto cruciale? Cos'altro si era perso?
Mordendosi forte la lingua si voltò verso la porta, le sopracciglia nuovamente corrucciate. Qualunque cosa fosse successa dopo il suo svenimento, lui era rimasto illeso, pensò, quindi anche le Chimere dovevano star bene - ma aveva comunque bisogno di accertarsene.
Svelto si precipitò sulla maniglia di ferro, la strinse tra le dita tirandosela al petto prima di catapultarsi in un corridoio confortante, dai muri giallini e il pavimento in legno. Nemmeno dovette perder tempo a orientarsi. I suoi piedi nudi inseguirono leggeri la melodia che si faceva via via più intensa. Ad ogni nuovo passo le sue orecchie sembravano distinguer meglio il brano e, una volta arrivato sul limitare delle scale che collegavano il piano dove si trovava con quello che intuì essere il terra, si stupì nel sorridere e dare un nome alla composizione. Morgen! correva per le stanze della casa come un inno al nuovo giorno e Noah, ghignando ancor di più scuotendo il capo, si lasciò sfuggire un pensiero: Colette non cambiava mai. Richard Strauss era stato il suo grande amore musicale, aveva ascoltato i suoi brani così tante volte da poterli suonare lei stessa a memoria, eppure non si era mai stancata, nemmeno dopo tutto quel tempo.

I gradini sotto di lui divennero sempre meno, il suono più intenso e, una volta arrivato sulla soglia di quella che gli parve una bellissima cucina rustica, si fermò. Wòréb se ne stava lì: i capelli raccolti malamente con un mollettone, lo sguardo rivolto all'orizzonte oltre la finestra sopra il lavello e una tazza in mano. Il suo corpo ondeggiava lento seguendo la melodia, una marea placida.

«Hite'orareta (sei sveglio).» La voce di Colette arrivò d'improvviso spezzando la poesia di quel momento e facendolo sussultare, conscio di poter essersi inconsciamente messo alla mercé del pericolo. E se lo avesse aggredito? Chi sarebbe corso in suo soccorso?
«I-io... sì. Sì, mi sono svegliato.» 
La donna si volse, in viso un sorriso timido e quegli occhi. Avvolgenti, penetranti, misteriosi. Chissà quante persone aveva ghermito e terrorizzato con il suo sguardo; chissà cosa avevano provato, le sue vittime, nel vedersi riflesse in quelle pupille che diventavano un tutt'uno con le iridi.
Gli fece cenno con il capo: «Shebi (siediti)» disse poi con un tono così dolce da fargli dubitare essere in realtà un ordine - e Noah osservò il tavolino addossato al muro, deglutendo. Attorno c'erano solo tre sedie, tutte così vicine da stringergli lo stomaco in una morsa. Se si fosse accomodato lei sarebbe stata a un soffio da lui e non era certo di volerle dare tutta quella confidenza.
«Guarda che i corvi non mordono» le labbra della Chimera si tesero maggiormente, intriganti e mefistofeliche.
«Già, ma banchettano comunque con le carcasse» sfuggì all'Hagufah prima ancora che potesse mordersi la lingua. Dannazione! Come aveva fatto a essere così sciocco?
Dalla gola di Colette però uscì senza preavviso una risatina e con la mano libera si coprì la bocca per nascondere l'ilarità. «Non importa quanti corpi cambi, mio Re, resti sempre così sagace!»  E ancora insistette con il capo.

Noah avanzò. Sentiva il cuore in gola, i muscoli tesi. Era ovvio che quella decisione fosse stupida, ma nonostante questo la prese, chiedendosi se sarebbe riuscito a fuggire in caso di necessità - e onestamente lo dubitava.
Si sedette. Lo scricchiolio del legno sotto di lui ebbe il suono di un grido agghiacciante, fu così fastidioso da fargli storcere il naso e stringere i pugni. No, nemmeno la sedia prometteva bene, figurarsi una qualsiasi conversazione che avesse avuto luogo con quella creatura.
Sperò che una qualsiasi delle Chimere gli venisse in soccorso, peccato che i secondi passassero e nessuno spuntasse dalla soglia.

Wórèb afferrò un'altra tazza, la riempì e gliela mise sotto al naso con un gesto meno violento di quanto l'Hagufah si sarebbe aspettato. Lo sguardo gli cadde involontariamente sul liquido ambrato: che fosse avvelenato? Gli sarebbe piaciuto capirlo, ma il profumo intenso di camomilla impediva al suo olfatto di percepire altro.

Fissò lei. In viso ancora quel suo sorriso ambiguo, spiazzante. Possibile che Colette soffrisse di bipolarismo? Oppure era solo una psicopatica lasciata alla mercé del tempo e della solitudine? Lo impauriva, doveva ammetterlo, eppure in un angolo recondito di sé aveva il sospetto che mai gli avrebbe fatto del male - certo, peccato che avesse perforato la mano di Levi con i propri artigli e cercato di sgozzare Zenas solo il giorno prima...

«Quindi» la donna si lasciò cadere sulla seduta: «questo è il nuovo corpo?»

Beh, rifletté Noah, tutti gli indizi sembravano dire di sì, eppure non se la sentì di rispondere con fermezza a quella domanda: nel profondo della sua coscienza stava ancora sperando che fosse tutto un sogno. Non riusciva a crederci davvero, ne aveva paura; dopotutto il sospetto che il pericolo fosse imminente non lo abbandonava mai, in particolare dopo gli avvenimenti di Vienna. Sarebbe seriamente stato capace di vivere una, cento vite così?
Smosse la tazza: «A quanto pare...» sussurrò poi.
«E a te invece cosa pare?» Il tono incuriosito di Colette sovrastò la musica intorno a loro catturando l'attenzione. Era intenta a osservare il fondo della propria chicchera con una smorfia di delusione stampata in faccia, come se avesse bevuto qualcosa di terribilmente amaro.
«In che senso?»
«In quel senso» nuovamente un sorriso: «Insomma, ti sarai fatto un'idea della situazione?»
L'Hagufah si bagnò le labbra. Erano secche come la gola, restie al parlare - peccato che estraniarsi dalla conversazione non avrebbe certo potuto giovare.
«Sono un contenitore, per quel che ho capito, quindi c'è poco su cui crucciarmi.»
«Oh! Non sminuirti così! Tu sei Salomone.»
Noah trattenne una risata: «Davvero? Perché a me non sembra. Lui è  lui ed io... sono io. Quando Salomone prende possesso di questo corpo io...» si interruppe, scuotendo il capo. Non era certo di saper descrivere la sensazione che provava quando la coscienza di Salomone emergeva, a dire il vero non ci si era mai soffermato. Diventava una sorta di co-pilota? Uno spettatore inerme?
«Tu cosa?» lo precedette Colette poggiando la tazza sul tavolo. Era vuota, completamente. Le pupille della Chimera si mossero curiose dalla ceramica a lui: «Ti hanno mai spiegato come funziona essere l'hagufah? Cosa accade quando avviene questo genere di trasmutazione?» gli chiese come una professoressa durante un esame.

Noah corrugò le sopracciglia.
No, onestamente né Levi né Zenas o Alexandria si erano mai premurati di spiegargli quel tipo di dinamiche e lui si era preoccupato di altro, come la consapevolezza che al mondo esistesse qualcosa come l'alchimia nella sua forma più fantastica, la fuga da casa, le giustificazioni da dare... no, quello non era stato tra gli argomenti che aveva approfondito.

Wòréb si mordicchiò le labbra. Erano carnose, ben definite e rosee: chissà quante verità sarebbero potute uscire da lì.
«Non che io sia la più esperta, chiariamoci... Mio fratello Nakhaš ha certamente più conoscenze in merito, eppure capisco che sia difficile parlare con lui di queste cose.» Con eleganza accavallò le gambe: «Lui è più... peraqeti (pratico).» E in effetti, Levi non si era mai preoccupato di parlargli dei tecnicismi dell'Ars, in verità nemmeno Zenas lo aveva fatto; entrambi si erano concentrati sui ricordi, sulle emozioni del passato. «Ad ogni modo, se può consolarti, io lo sento. So che sei il mio Re, ma immagino che per te sia un altro discorso.» fece una piccola pausa soppesando i concetti da esprimere: «Vedi, quando avviene una trasmutazione l'anima ha bisogno di un involucro nuovo, uno spazio da riempire, un po' come per la camomilla.»
La confusione fu tale che Noah non dovette dire nulla, sul suo viso si disegnò automaticamente un punto di domanda che persino una squilibrata come Colette non riuscì a ignorare, quindi riprese: «Nella mia tazza ora c'è aria. Solo ed esclusivamente. Se io però la  dovessi riempire con la camomilla, l'aria sparirebbe.»
«Quindi?» 
«Quindi?» gli fece eco: «Oh, caro! Quando hai deciso di entrare in questo corpo tu hai ucciso l'anima proprietaria! Era una questione di sopravvivenza, o tu o lei. Insieme non ci sareste stati!» 
Ancora più confusione.
La Chimera si protese: «Non esiste alcun Noah. È morto quando tu sei stato sposato.»

Un groppo gli si formò in gola. Se per errore avesse avuto la camomilla in bocca ci si sarebbe strozzato.

Lei invece rise, esattamente come ci si sarebbe aspettato. 

 «Ma-» Noah si lasciò andare sullo schienale, le mani ora inermi tra le gambe: «Questo vuol dire...»
Colette si sporse verso di lui, alcune ciocche sfuggite al mollettone le scivolarono davanti alle spalle:  «Ben ritrovato, sire.»
 «Io però-» scosse il capo.
 «Non hai memoria, non ti senti chi sei veramente e bla, bla, bla!» Le sue pupille si alzarono al cielo per ricadere scocciate su di lui:  «Ma guarda! Paiono proprio i sintomi di un'amnesia e... beh, caro, vorrei ricordarti che giocare con le anime e i corpi, oltre alla morte, può portare anche conseguenze sulla psiche.» A quel commento l'Hagufah si morse la lingua. Avrebbe voluto risponderle che sì, glielo avevano già detto, ma ora guardando lei ne aveva avuto la riprova. Peccato non fosse tanto masochista. «Toglimi una curiosità però» la voce di Colette lo strappò ai propri pensieri: «perché nonostante l'amnesia ti sei fatto trascinare ancora in questa storia? Insomma... o hai dovuto compiere una trasmutazione di corsa, o hai volontariamente deciso di farla male. Hai scelto di dimenticare, forse per liberarti di chissà quale fardello, quindi perché tornare da noi?»

Le labbra di Noah si schiusero desiderose di dare una risposta, eppure non l'aveva. L'ipotesi intavolata dalla Chimera non aveva mai minimamente sfiorato i suoi pensieri e, se l'aveva fatto con quelli dei suoi compagni di viaggio, di certo non l'avevano condivisa con lui. In tutta onestà, non gli erano state lasciate molte alternative. Catapultandosi nella sua vita, Levi, Zenas e Alexandria avevano stravolto ogni cosa. Sì, gli avevano detto che se avesse voluto avrebbe potuto rifiutarsi di partire con loro, ma avevano aizzato in lui una curiosità logorante, nonché si erano portati appresso la minaccia del Cultus. Restando a Vienna avrebbe messo a rischio non solo se stesso, ma tutte le persone a cui si era affezionato. La risposta alla domanda di lei poteva quindi essere solo una: «Non avevo scelta.»

Colette si passò la lingua sulle labbra nascondendo un sorriso, poi allontanò lo sguardo verso l'alba sempre più simile a una mattina: «Non prendiamoci in giro, mio Re.» Tornò a guardarlo. La luce dorata del giorno le carezzò la chioma mettendo in risalto le sfumature bluastre, a tratti verdi: «Ho vissuto davvero tanti anni, più di quelli che avrei voluto, lo sai. Ti ho conosciuto, Salomone. Ho visto ogni tua faccia, sia esteriormente che internamente. Tu non dubiti, non cedi a nessuno se sotto sotto non lo vuoi. Sei un Sovrano ed è questo che gli uomini come te fanno. Hai avuto scelta ed è qui che ti ha portato. Chissà se è stato il tuo amore per Levi o il brivido dei bei vecchi tempi a farti cambiare idea. Me lo dovrai spiegare, un giorno.»
Con le dita affusolate s'impossessò della tazza che gli aveva porto poco prima, se l'accostò alle labbra e ne bevve un sorso.

«E se non dovessi mai ricordare?» gli sfuggì di bocca prima che potesse realmente soppesare quelle parole.
Lei fece spallucce.
«Lo farai.»
«Come fai a esserne tanto sicura?»
Colette allontanò la ceramica dal viso. Il suo sguardò cadde lontano: «Capisci l'ebraico, giusto? Questo è già un segno.» La tazza tornò sul tavolo e la Chimera colse l'occasione per sciogliersi i capelli. Sembrava così serena rispetto al giorno prima. Nonostante gli sbalzi d'umore che l'avevano colta anche durante quella conversazione, a Noah parve di poter compiere un passo falso vista la sincerità con cui gli aveva parlato; così deglutì il timore.

«Posso farti una domanda?» Di fronte a quella richiesta le sopracciglia di Wòréb si piegarono in un arco perfetto, il suo viso s'illuminò. «Perché quando Salomone è morto vi siete separati?»
La gioiosa sorpresa di lei mutò improvvisamente. Le labbra si piegarono all'ingiù e le sue immense pupille fuggirono da lui. Scosse appena la testa.
«Non è colpa di nessuno» biascicò, quasi stesse parlando tra sé e sé. Aveva smesso di rivolgersi a lui e, di tanto in tanto, nell'esitazione delle sue parole, il capo le scattava compiendo un movimento tipico dei rapaci. «O forse di tutti. Un tempo si sono levate molte accuse, sai? Alcune talmente maligne che hanno creato squarci impossibili da ricucire. Anche adesso, per quel che mi riguarda.» Il tono era acuto, come se stesse provando a recitare un copione la cui scena drammatica era giunta; eppure Noah non dubitò nemmeno per un secondo della sua sofferenza. Se la voce e le parole avevano un ché  di forzato, i suoi occhi umidi e vacui valevano più di tutto il resto:  «La sofferenza unita al verbo è un'arma micidiale, mio Re, persiste nei secoli e può essere maneggiata da chiunque, anche dagli stolti. Arriva dritta al cuore e lo lacera, una lama che non ammette errori... La piccola Z'év ha avuto semplicemente la sfortuna di diventare il capro espiatorio di un fallimento comune.» Tese le labbra per un istante, l'ennesimo tic che provò a tradirla. «Zenas ha provato a difenderla, me lo ricordo bene... ed è finito a sua volta nel mezzo. Abbiamo compiuto un massacro nei giorni seguenti alla tua scomparsa, ci ferivamo con così tanta rabbia...»

All'Hagufah si strinse lo stomaco. Nemmeno riusciva a immaginarsi quei momenti, la frustrazione e il senso di smarrimento che doveva aver colto le Chimere.
«E Levi? Lui non ha preso le redini della situazione? Non ha...»
Stavolta il ghigno di Colette rimase sul suo volto per più tempo: «Cosa avrebbe dovuto fare? Era distrutto. La sua vita improvvisamente aveva perso un senso d'essere. Tu sei il motivo per cui lui esiste. Non ti aveva mai realmente perso. Per te aveva rinunciato anche al suo desiderio più grande, io lo so! E d'improvviso non c'eri più.» Finalmente tornò a fissarlo. Un'ombra le aveva oscurato lo sguardo: «Nakhaš non mangiò o uscì dalla propria stanza per giorni e quando lo fece, beh... era ormai troppo tardi. Alexandria era partita di notte senza dire nulla a nessuno e Nikolaij l'aveva seguita, forse. Zenas ed io stavamo preparando i bagagli per luoghi differenti, convinti che mai avremmo voluto rivederci. Hamza e Willhelmina invece uscivano, sprofondavano nell'alcol e nei vizi, tornavano giusto per lamentarsi di quanto fossimo infantili e poi sparivano di nuovo.» Si morse le labbra con veemenza, rischiando di romperle. «Tu non c'eri più, non saresti tornato ed il nostro mondo era sprofondato nell'oscurità. Finalmente eravamo libere, anche di morire, eppure la cosa ci faceva talmente male da non volerlo realizzare.» 

La stretta allo stomaco aumentò e una sorta di nausea parve minacciare la gola di Noah. Era stato davvero così importante un tempo? Aveva davvero distrutto le loro vite e la famiglia imperfettamente perfetta che erano stati sino a quel momento? Si sentì bruciare. Con una mano strinse forte la maglia, all'altezza del petto in modo da far passare più aria possibile. Tirò tanto che il collo di cotone emise un rumore di cuciture rotte tutt'altro che rassicurante.

Non riusciva a comprendere. Più si sforzava meno otteneva, esattamente come quando cercava di ricordare. Senza accorgersene affondò i denti nel labbro inferiore. Con un pugno picchiò sul tavolo: «Vorrei riavere indietro la sua memoria, davvero. Vorrei potervi aiutare, capire, rispondere, ma...» La sensazione di calore aumentò, il suo corpo ne fu invaso. Doveva a loro così tanto da far male nonostante li conoscesse da poco più di un mese, eppure sapeva che la storia del Re e le sue Chimere nasceva molto prima della sua attuale coscienza.
Premette il braccio sul tavolo, lo fece con una rabbia che non riusciva a controllare e, d'improvviso, qualcosa accadde. Il legno si fece molle come un materasso, il suo pugno vi sprofondò dentro nascondendo tutto il mignolo - quando Noah se ne rese conto, spostando lo sguardo, si accorse di aver sciolto la superficie del piano.

Colette spalancò le palpebre: «Oh, beh! Direi che imparare nuovamente a governare l'Ars potrebbe essere un ottimo punto di partenza per noi!» Con dita sicure, cosa che lui al suo posto non avrebbe mai osato fare, gli cinse la mano. Per tutti i secondi in cui la loro pelle restò a contatto, l'Hagufah trattenne il fiato, terrorizzato all'idea di rivivere con Wòréb ciò che era accaduto con Z'év: «Però gradirei che il tuo allenamento non coinvolgesse l'utensileria di casa mia, caro... sai, ci tengo» scherzò poi, come se il loro contatto non avesse generato in lei alcuna reazione.
Come era possibile?

Habemus Capitolo! E quasi non ci credo T.T
Stravolgere la conversazione tra Noah e Colette (e in generale l'apparizione della Quarta Chimere) è stato davvero estenuante, sarò onesta, ma mi auguro che il risultato ne sia in parte valsa la pena. Di certo ci sarà bisogno di un'ulteriore revisione, più avanti, però per adesso mi accontento del risultato - voi, invece, fatemi sapere cosa ne pensate!

 

A presto!

 

   
 
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