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Autore: Glance    18/05/2023    0 recensioni
I capelli sparsi sul cuscino, la nuca e il collo umidi di sudore in una notte senza un alito di vento.
La leggera sottoveste incollata sulla pelle dorata dal sole del giorno che si era spento da poche ore.
La voce del mare la chiamò
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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I capelli sparsi sul cuscino, la nuca e il collo umidi di sudore in una notte senza un alito di vento. La leggera sottoveste incollata sulla pelle dorata dal sole del giorno che si era spento da poche ore. 
La voce del mare la chiamò; poggiando i piedi nudi avvertì il tiepido provenire dal  pavimento, con passi lenti e misurati raggiunse la porta finestra; passando le mani tra i capelli li raccolse fermandoli con un piccolo pettine d’argento.
Cercando un po’ d’aria guardò fuori, nel buio illuminato dalla luna piena che si rifletteva sulla superficie immobile dell’acqua.
Il frinire dei grilli riempiva il silenzio lasciato dalla voce pacata della risacca.
Scese i due gradini e si diresse verso il muretto a secco sedendosi sotto il pergolato di gelsomino.
Il profumo dei piccoli fiori bianchi sembrò portarle refrigerio.
Sospirò profondamente lasciò scorrere la mano sul collo inclinando leggermente la testa e poi fermandola sula spalla , con i polpastrelli seguì la stoffa sottile della spallina,  inumidì le labbra con la saliva.
Aveva sete, ma nessuna voglia di muoversi.
Il mare con la sua voce sembrava invitarla a raggiungerlo.
Si alzò, raccolse il tubo per innaffiare, aprì il rubinetto e fece scorrere l’acqua bevendo a piccoli sorsi.
Scavalcò poi il muretto e si diresse verso la spiaggia, avvertì la sabbia fresca, sfilò la sottoveste leggera liberò i capelli dal fermaglio e si diresse verso la riva, l’acqua le lambì le caviglie delicata come una carezza, man mano che avanzava la carezza scivolava sulle gambe e le cosce snelle facendola rabbrividire di refrigerio; contrasse leggermente il ventre tonico e piatto prese un respiro profondo e s’immerse.
Si lasciò cullare dall’acqua, gli occhi socchiusi, con la sensazione esaltante e appagante di essere da sola. Il cielo sopra di lei le regalava il suo manto lussureggiante di stelle. Chiuse gli occhi quasi sopraffatta da quel pensiero, si distese facendosi cullare senza peso dal moto silenzioso del mare calmo e piatto.
Amava la notte, quando la luna si specchiava sull’acqua scura  facendo sembrare cielo e mare la stessa cosa.
Da bambina pensava che fossero la medesima cosa.
L’oscurità del cielo e quella dell’acqua la intimorivano, il fatto di non sapere cosa vi fosse celato erano motivo di inquietudine, ma che non aveva mai avuto la meglio sul quel richiamo al quale non sapeva resistere.
Il mare era il suo elemento, la chiamava, le parlava, sapeva infonderle paura e calma.
Tornando verso riva, con un gesto lento, sistemò all’indietro i lunghi capelli, mentre rivoli d’acqua le scivolavano lungo il corpo dalla pelle tesa e sul seno sodo dai capezzoli inturgiditi da un brivido. Contrastando la resistenza dell’acqua camminò verso la spiaggia si chinò, raccolse la sottoveste e la infilò.
La stoffa leggera a contatto con la pelle bagnata le aderì addosso facendo fatica a scivolarle lungo i fianchi.
Si diresse nuovamente verso casa lavò la sabbia dai piedi: rientrando piccole chiazze d’acqua vennero abbandonate sul pavimento, di nuovo si distese tra le lenzuola candide.
Ma quella notte non era da sola e da mesi ormai sostava in maniera diversa nei pensieri di qualcuno che la guardava da lontano senza essere visto. L’afa lo aveva portato nel piccolo portico antistante il mare, celato dall’ombra era rimasto seduto ad osservarla.
Quella figura esile, snella e ancora acerba lo attirava come  un pianeta al suo satellite.
Non avrebbe dovuto provare per lei quello che sentiva, andava ripetendoselo ogni minuto, ogni attimo, ma non poteva farne a meno.
All’inizio aveva fatto fatica a capire cosa gli stesse succedendo.
Continuava a pensare che quel senso di protezione che aveva sempre provato per lei, del resto normale dato che se ne sentiva responsabile, era inevitabile che mutasse man mano che lei diventava grande.
Capì però che non era solo quello, un dovere che sentiva di avere nei suoi confronti, ciò che provava era un fastidio che s’insinuava sotto la pelle ogni volta che si rendeva conto che non passava inosservata, ma continuava a ripetersi che chiunque avrebbe reagito in quel modo.
Se lo era ripetuto fino a quando aveva capito che quel dovere, quella responsabilità non era altro che gelosia.
Incontrarla, averla vicino, era diventato un dolore fisico: ormai, bastava la sua sola presenza, la sensazione di averla nei paraggi e il solo respirare diventava difficile.
Più di qualche volta, non era riuscito a non tremare in sua presenza e, come un adolescente, aveva sperato che lei non se ne accorgesse.
Lei aveva poco più della metà dei suoi anni, ma non era mai riuscito a provare per nessuna quello che stava provando in quel momento.
Non si era mai innamorato. Di storie un’infinità, ma mai per nessuna aveva perduto il sonno.
Con lei, invece, doveva arrendersi all’evidenza che era ovunque nella sua mente, come una ossessione.
Ne era convinto: Samuela, era diventata il suo segreto e questo lo terrorizzava,  e lo faceva sentire furioso con se stesso, e l’unico riparo veniva dato dal fatto che lei non ne fosse consapevole.
Ed era l’unico modo per proteggere entrambi.
La conosceva da sempre, ma da qualche tempo nascondeva in se quel sentimento che si era insinuato in ogni cellula del suo corpo.
Cercava di evitarla, si concedeva di guardarla da lontano.
Ormai gli era chiaro che quello che provava, era un sentimento forte, non ne capiva la ragione, non ne comprendeva il perché fosse capitato a lui, perché non una donna della sua età, ma di una cosa era sicuro, in tutta la vita un uomo poteva innamorarsi  veramente una sola volta e lui sapeva che la sua unica e sola possibilità era li, a pochi metri da lui, con la pelle umida di mare, tra lenzuola candite. Avrebbe potuto allungare una mano e sfiorarla, ma sapeva che facendolo, non sarebbe più tornato indietro, si sarebbe perduto in quell’emozione che non doveva e poteva provare.
Niente sarebbe più stato come prima se si fosse concesso di cedere.
Aveva cercato di non ascoltare il suo cuore che ormai batteva sempre come se avesse appena corso.
Il pensiero di lei gli rubava il sonno e la serenità e neanche ricordava più come fosse iniziato.
Era fermo, di fronte al mare in quella notte d’estate, immaginandola, avendo la sensazione del suo respiro regolare, sentendo il suo profumo.
Rimase così, immerso in quei pensieri tormentandosi nell’idea di lei, della decisione da dover prendere inevitabile : mettere tra di loro la maggior distanza possibile.
Ma decidere così razionalmente quella rinuncia non era facile , doveva infliggersi una pena che sentiva sarebbe stata profonda e difficile da tenere a bada.
Il primo chiarore dell’alba arrivò silenzioso e lo sorprese ancora seduto fuori a contemplare l’orizzonte, a cui aveva affidato quei suoi pensieri, e il mare che nella notte appena trascorsa, aveva sfiorato la pelle di lei.
Aveva passato l’ennesima notte insonne, con quella voglia che non si spegneva, consapevole che lei non avesse idea che a pochi metri lui stava vivendo tutto quello.
Si alzò stanco, e il silenzio che proveniva dall’interno della casa non lo invogliava a rientrare.
Decise che avrebbe nuotato fino a farsi venire i crampi, sperando che la stanchezza gli regalasse qualche ora di sonno.
L’acqua del mare a quell’ora del mattino era fredda e questo non gli dispiacque; si tuffò con un movimento agile ed elegante e cominciò a nuotare con bracciate vigorose.
Ritornando a riva tra la sabbia, notò un luccichio, si chinò e lo vide: un piccolo pettine d’argento, che riconobbe. Quell’oggetto lo fece trasalire; lo girò tra le mani sospirando e stringendo le labbra in una smorfia che era l’espressione della sua sofferenza.
Aveva fatto da sempre parte della sua vita e poi un giorno aveva smesso di essere una bambina.
Era iniziata pian piano, con uno sguardo un po’ più prolungato quando passava, notando piccoli dettagli, rimanendo affascinato da come un vestito rispetto ad un altro ne esaltava le forme, il colore ambrato che il sole donava alla sua pelle.
Gli costava ammettere che in altri momenti non avrebbe esitato a restituirle quell’oggetto, sarebbe andato a salutarla e avrebbe passato insieme a lei quelle giornate come avevano sempre fatto; alla luce però di quella nuova realtà non poteva. Lei non sapeva neanche che lui fosse arrivato già da qualche giorno.
Quando l’ultima volta si erano salutati il suo profumo l’aveva avvolto quasi stordendolo e quando lei come faceva sempre gli sfiorò le labbra con un bacio si sentì morire.
Aveva capito allora, che ciò che fino a quel momento aveva cercato di non ammettere con se stesso, non poteva più essere ignorato.
Salì piano i pochi gradini del portico e rientrò in casa, nel farlo poggiò il piccolo pettine sul comò e chiuse i battenti delle persiane, dirigendosi verso la doccia.
Sperava che il getto d’acqua oltre al sale portasse via dalla sua pelle quella febbre che si era impossessata di lui e non lo abbandonava mai. Samuela, era il suo pensiero che non voleva sapere di abbandonare la sua testa con tutta quella infinità di sentimenti che lo torturavano giorno e notte, levandogli il sonno.
Non riusciva a concentrarsi su nulla e, anche lavorare, era diventato difficile .
Lei intanto, trascorreva quell’estate come sempre, diventando ogni giorno più bella.
Un raggio di sole, penetrando attraverso le persiane e le tende leggere le si poggiò sul viso sfiorandole gli occhi attraverso l’ondeggiare del tessuto candido, si coprì con un braccio in un gesto istintivo, cercando di trattenere il sonno, ma ormai il calore del giorno l’aveva raggiunta e il sale che, le era rimasto sulla pelle dal bagno della notte prima, la graffiava.
Con il ritmo lento e pigro del risveglio, si sedette sul letto, cercò di ravviare i capelli e sbadigliando portò le braccia in alto stirandosi.
Si diresse verso la doccia e aprì l’acqua.
Il getto, era come trattenuto e le sembrò strano: succedeva solo quando Lorenzo era in casa e adoperava la doccia.
Ma lui non c’era, ne era sicura, altrimenti sarebbe passato ad avvisarla del suo arrivo.
Arrivava sempre con l’inizio dell’estate e insieme trascorrevano intere giornate tra un impegno di lavoro e l’altro, il suo tempo libero lo dedicava a quel luogo dove riusciva a chiudere tutto il mondo fuori, glielo aveva raccontato un milione di volte, mentre stanco si lasciava asciugare dal sole sulla piccola spiaggia dopo aver nuotato  in sua compagnia.
Lorenzo si preoccupava che non si scottasse, si assicurava sempre che non stesse troppo al sole e le riservava sempre piccoli gesti affettuosi, fin da quando era bambina.
Era stato lui ad averle insegnato a nuotare.
Quella, era la prima volta che mancava a quel loro appuntamento implicito.
Con i capelli bagnati,  profumati di shampoo, avvolta nell’accappatoio si diresse fuori e si sporse per cercare di vedere se ci fossero tracce della sua presenza, ma non riuscì a vedere nulla.
Scese lentamente i pochi gradini che separavano il suo portico dalla  veranda della casa di lui e poggiò le mani sulla persiana dalla vernice scrostata: notò che era aperta, la tirò piano verso di sé e l’aprì.
Dentro era buio e non si sentiva alcun rumore.
I passi leggieri la guidarono con naturalezza verso la camera da letto e lì, lo vide, addormentato, con i capelli umidi e il respiro regolare.
Il cuore le sobbalzò, e nello stesso momento una lieve contrarietà velò il suo sguardo: era arrivato e non era andato a salutarla.
Ma il disappunto durò il tempo di percorrere la poca distanza che la separava da lui.
Si fermò ai piedi del letto e, sospirando lo guardò, considerando quanto per lei fosse bello e come ne fosse innamorata da sempre;  come pur cercando di farsi notare in tutti i modi lui continuasse a considerarla niente altro che una bambina, al pari di una sorella.
Girando attorno al letto gli si mise accanto e con una mano si sporse sfiorandogli i capelli morbidi e neri;  abbronzato, i muscoli tesi sul ventre da dove il lenzuolo era scivolato.
Con dita leggere sfiorandolo appena seguì la linea dello zigomo, delle labbra e del mento avvertendone il ruvido della barba e poi scivolò sul collo fin sul torace dove indugiò e avvertì il delicato solletico dei suoi peli.
- …Samuela!!-  La voce di lui resa rauca dal sonno e dal risveglio improvviso la raggiunse facendola sobbalzare e sentire come una ladra colta sul fatto. – Cosa ci fai qui?- Gli occhi di lui la fissarono confusi e le parve di vederlo arrossire, mentre si schiariva la voce imbarazzato.
Lei ritrasse la mano e la portò ai capelli scansandoli all’indietro.
 – Quando sei arrivato? Non sei venuto a salutarmi. Perché?- Lorenzo la guardò cercando di camuffare come poteva l’agitazione che il trovarsela davanti all’improvviso gli procurava. Notò l’accappatoio e il gesto che aveva fatto per tirare  indietro i lunghi capelli bagnati. Trasalì all’idea dei loro corpi nudi così vicini. In impacciato e nervoso, si mise a sedere sul letto tirando il lenzuolo sul bacino, ringraziando di avere deciso di indossare gli slip. Lei lo guardava interrogativa e lui doveva trovare qualcosa da dire senza tradirsi. Non riusciva però a trovare nulla di convincente e spontaneo. Fu lei a rompere il silenzio. – Cosa vuol dire cosa ci faccio qui. Sono sempre qui quando so che sei a casa. Perché ti meravigli tanto? Entro ed esco da casa tua da quando ne ho memoria.-   Lo vide sospirare nervoso.
-Infatti …  sarebbe il caso magari …. Non puoi piombare qui in questo modo. - Rispose senza riuscire a guardarla negli occhi.
- Quindi. Dovrei farmi annunciare?- Le venne istintivo scuotere leggermente la testa. Lo sguardo le si dilatò in attesa di una risposta che Lorenzo non riusciva a trovare. Cosa le avrebbe dovuto dire, che lo starle vicino gli faceva bollire il sangue?
- Quindi, non sarebbe male se lo facessi  Sammy.- Rispose continuando a non alzare lo sguardo verso di lei.
- Questa è una bella novità, buono a sapersi, ma continui a non rispondere alla mia domanda.- Non aveva nessuna intenzione di lasciare perdere.
- A quale domanda?- Disse cercando di guadagnare tempo, ma capendo di stare esasperandola.
- Al perché non mi hai avvisato che eri qui.- Replicò spazientita.
- Non è che devo renderti conto di tutto quello che faccio; se non ti ho avvisata avevo i miei buoni motivi.-
-Del tipo?-
- Del tipo che magari non ero solo. Soddisfatta adesso?- Lei lo guardò per un istante interminabile in silenzio dimenticandosi di respirare. Lo stupore le si disegnò sul volto e lui si sentì stringere lo stomaco accorgendosi della sua reazione. – Cavolo Samuela!- Disse spazientito.
Non aveva mai perso la pazienza prima di quel momento con lei , ma nel rispondere a quelle domande che si facevano insistenti e non gli lasciavano modo di trovare una giustificazione adeguata fece un gesto di stizza.
La vide abbassare gli occhi, muoversi, voltarsi e andare via in silenzio, ed intuì le sue lacrime.
La bocca si mosse per articolare un suono, uno qualsiasi per trattenerla, ma non ne uscì nessuno.
Forse anche i suoi occhi si erano riempiti di lacrime, perché  ebbe come l’impressione che svanisse,
Un misto di rabbia, impotenza lo invase davanti a quella situazione per la quale non vedeva una soluzione: non poteva starle vicino, ma non riusciva neanche a rinunciare a lei.
Rimase un po’ in attesa nella segreta speranza di vederla ritornare sui propri passi e augurandosi  che non lo facesse.
Quando fu sicuro che Samuela non sarebbe tornata, si alzò e andò vicino al comò e tra le mani si fece scivolare il pettine che aveva trattenuto i capelli di lei la sera prima.
Era un regalo che le aveva fatto qualche tempo prima durante un viaggio. Era entrato in un negozio in cerca di qualcosa da portarle e tra tutte le cose il suo sguardo fu attirato da quell’oggetto:  un pettine d’argento da mettere tra i capelli che lo colpì, sembrava essere stato fatto apposta per lei.
Un sorriso triste gli increspò le labbra e la decisione fu presa in un attimo.
Non doveva restare lì.
Non restare, per non complicarsi la vita, mentire a tutti, ed era l’unico modo.
Prese la valigia e la poggiò sul letto con le budella annodate dalla rabbia che nasceva da quel senso d’impotenza che provava verso quella situazione che non aveva cercato, ma che gli era capitata tra capo e collo e non aveva nessuna soluzione.
Avrebbe viaggiato tutta la notte per tornare alla sua vita, quella lontano da Samuela, quella che esisteva da prima di lei e di quel sentimento assurdo, che per primo faticava a comprendere ed accettare lui stesso.
Ma Samuela non era qualcosa di astratto che poteva decidere di accantonare o relegare in un angolo della sua vita, perché lei era indipendente da qualsiasi decisione e volontà, perché poteva decidere di tornare sui propri  passi, puntargli quegli occhi topazio dritti nei suoi e inchiodarlo al pavimento impedendogli di muoversi,  pensare, e respirare;  perché Samuela lui l’amava profondamente con tutto se stesso, anche se aveva la metà dei suoi anni, e non poteva e non doveva.
Gli tornò alla mente che quel nome “Samuela”  era stato  tirato a sorte tra tutti quelli che erano stati proposti ; a quindici anni quando lo suggerì e venne scelto, capì che quella bambina dalla pelle di porcellana che dormiva serena nella sua culla sarebbe sempre stata legata a lui e, si sentì girare la testa, ne sentì come la responsabilità. Aveva deciso il nome di una persona che se lo sarebbe portato addosso  per il resto della vita, che lo avrebbe pronunciato un’infinità di volte, che tutti avrebbero collegato quel nome lei e alla persona che sarebbe diventata.
Tutti avevano applaudito e la scelta venne suggellata da un brindisi.
A quel tempo e per tanti anni dopo, Samuela ,era stata la bambina che gli correva incontro quando lo vedeva, che si faceva portare in braccio, che lo tempestava di domande e che si addormentava tra le sue braccia le sere d’estate mentre in tv trasmettevano canzoni o le partite del mondiale.
Non c’era un solo ricordo  che non fosse legato a lei.
Quando iniziò l’università e le sue giornate estive trascorrevano sui libri e brevi nuotate, lei lo seguiva da lontano perché le avevano detto di non disturbarlo e allora lui le faceva l’occhiolino e lei correva a fare il bagno insieme a lui.
Si aggrappava alle sue spalle perché Lorenzo la portava “all’acqua alta” .
Poi l’università era finita, con la sua l’aurea nuova di zecca era partito per perfezionare la lingua ed era venuto il periodo inglese.
Quelli erano stati gli anni di maggior distacco e distanza.
Poi era arrivato il lavoro, anche quello lo aveva portato lontano, ma la bella stagione lo riconduceva a casa.
E un giorno qualcosa era cambiato; ad attenderlo, a corrergli con le braccia al collo non c’era più la bambina che conosceva, ma una giovane ragazza in cui stentava a riconoscere la sua piccola Samuela.
Era uscita dalla sua stanza con le lacrime trattenute in gola. Erano ormai anni che piangeva a causa sua.
La prima volta era accaduto quando era tornato dalla sua trasferta inglese con una ragazza dai capelli rossi e piena di lentiggini che non faceva altro che chiamarlo “Honey”.
Ricordava ancora quei giorni, perché negli anni a venire ne seguirono altri e ogni volta la ragazza era diversa.
Di nuovo nella sua camera lasciò cadere l’accappatoio indossò la  biancheria intima e mise un vestito leggero bianco che le lasciava le spalle e le gambe scoperte; infilò i sandali e fece per uscire, ma si fermò voltandosi verso l’armadio, si avvicinò, lo aprì e dal fondo tirò fuori un cofanetto di legno
Tornò a sedersi sul letto sapendo che aprirlo voleva dire riportare a galla una marea di sensazioni.
C’era quell’oggetto legato a Lorenzo, e lo custodiva gelosamente.
Un pettine d’argento che indossava sempre.
Tirò fuori il contenitore che lo custodiva.
Era di velluto rosso, sembrava un piccolo scrigno: lo tenne tra le mani accarezzandolo e riportando alla mente il momento in cui lo aveva ricevuto.
Era innamorata di lui da sempre e sperava che lo capisse, ma non era così.
Teneva tra i capelli quel regalo e nella mente e nel cuore ogni particolare, anche il più insignificante di quei loro anni insieme fatti di momenti solo loro. Ognuno dei ricordi che aveva  contenevano qualcosa che rimandava a Lorenzo.
Portò la mano istintivamente a toccare tra i capelli quel regalo così caro al suo cuore, e si rese conto che non era al suo posto.
Guardò verso il comò e non lo vide neanche li.
Si ricordò di averlo appuntato tra i capelli la notte prima, quando era scesa in spiaggia a fare il bagno, di averlo poggiato sulla camicia da notte che aveva lasciato adagiata sulla sabbia, ma che non lo aveva ripreso con se.
Fu assalita dal panico di averlo perduto.
Poggiò la scatola sul letto e si precipitò fuori, ripercorse il tragitto inverso, guardò attentamente, ma non riuscì a vederlo.
Non poteva averlo perduto.
Quel pettine era la cosa più cara che avesse di lui.
Istintivamente corse verso casa sua chiamandolo con la voce rotta dal pianto.
Lorenzo si voltò, confuso di vederla nuovamente, e notando la sua agitazione, fu assalito dalla paura che le fosse capitato qualcosa.
L’accolse tra braccia dove lei aveva cercato rifugio. – Stai bene? – Le domandò tentanto di farle sollevare il viso rigato dalle lacrime.
Samuela scosse il capo senza dire nulla, ma stringendosi più forte  a lui. Quel gesto fu come una scarica elettrica, provò delicatamente a sciogliere entrambi da quell’abraccio, ma lei lo trattenne, stringendolo più forte a se, procurando in lui quell’agonia che gli tornava a scorrere sotto la pelle, dentro le vene. Sospirò nel tentativo di rimanere disinvolto, quello di sempre.
- Cosa succede. Vuoi dirmelo?-  Samuela sollevò il viso e i suoi occhi, quello sguardo d’ambra che lui temeva, lo investì in pieno facendogli inciampare i battiti del cuore. Con una mano le scansò i capelli e senza accorgersene, la sua bocca che, lo attirava come una calamita, fu pericolosamente vicina; il respiro caldo di lei era un misto di note marine e caramello.
Per un attimo il tempo tra di loro si fermò, i loro respiri si mischiarono.
Lei era tutto quello che sentiva mancare nella sua vita.  La guardò negli occhi e capì, e per un istante interminabile sentì mancargli la terra sotto i piedi. “Lei lo amava!”
Quella ragazzina era innamorata di lui.
- Stai partendo?- Gli chiese, con sconforto e meraviglia nella voce. Continuando a respirargli  sull’anima. La valigia  aperta e i vestiti sparsi sul letto in quel caos che lo caratterizzava che era la sua vita, erano un’immagine eloquente.
All’improvviso la realtà, con il presente e con tutta la contraddizione di quel momento tornò e lo riconsegnò alla ragionevolezza del buon senso. L’adulto era lui e lei solo una bellissima ragazzina con gli occhi spalancati su sogni tanto diversi ormai dai suoi pieni di disillusione.
Ad un tratto i suoi anni sembrarono pesargli come un macigno sulle spalle.
Quella casa, dove aveva passato le ore più felici della sua vita era piena di ricordi, si rendeva conto, legati a lei e non poteva pensare di trovarsi da nessun’altra parte se non lì in quel momento e con lei tra le braccia, e ad un tratto sembrò che in quella stanza non ci fosse più aria.
Non poteva, e non doveva permettere che tutta quella situazione andasse oltre.
Si rese conto che la stringeva ancora tra le braccia e lei lo guardava aspettando una risposta.
- Si. – Rispose senza aggiungere altro e sciogliendosi da quell’abraccio.
- Perché?- Domandò, con un filo di voce. Guardandolo come se al mondo non esistesse nessun altro.
- Ho da fare.- Rispose lapidario, evitando di incontrare i suoi occhi.
- Ma non lavori mai in questo periodo. Lo so. - Rispose, con la voce sporcata dal pianto trattenuto.
- Non ho detto che devo lavorare, Sammy. Ho detto che ho da fare.- Sapeva di darle un dolore, ma voleva che lo sentisse distaccato, per farla desistere da quel sentimento. Era ingiusto, crudele, ma lei aveva diritto di vivere la sua vita con qualcuno che non poteva e non doveva essere lui. Temeva che dare voce a quel sentimento avrebbe fatto pagare ad entrambi un prezzo troppo alto e lui non voleva che pagasse per un suo errore.
Lorenzo aveva sempre adoperato quell’appellativo per chiamare Samuela.
Per lui era sempre stata solo Sammy.
Era stato lui a coniarle quel diminutivo.
Erano stati i suoi genitori a tenerla a battesimo.
L’amicizia tra la sua famiglia e quella di Samuela si perdeva nell’adolescenza di suo padre.
Un’amicizia come tante, nata tra i banchi di scuola e proseguita con gli affari.
Avere rilevato il piccolo albergo nel luogo delle loro vacanze, aveva permesso ai due amici di realizzare un sogno.
Quell’amicizia era parte del suo mondo, ogni cosa era legata a quello nella sua vita.
La sua casa, le vacanze, il lavoro e ora l’amore.
Due amici che avevano oltrepassato il significato che normalmente si da a questa parola.
Li legava un affetto fraterno, sincero.
Lui doveva tutto a quell’amicizia, a quel senso profondo di lealtà che legava suo padre  al padre di Samuela e, anche per questo, per la riconoscenza che doveva, per ciò che era accaduto nella sua vita dopo, non poteva dare voce a quel sentimento.
Era un ricordo doloroso, e per questo non lo evocava quasi mai.
Samuela, con la sua allegria incontenibile, lo aveva salvato dal baratro nel quale sarebbe caduto se non avesse avuto tutti loro accanto.
I primi tempi, aveva cercato di anestetizzare il dolore prendendo le distanze da tutto , ma quando aveva capito che non poteva riuscire a prenderle da se stesso, aveva iniziato a vivere sempre in movimento.
Tutto, era coinciso con il suo periodo di studi universitari.
Preparava la sua bella tesi in economia quando, i suoi genitori ,si regalarono una barca per l’anniversario; una di quelle cose di cui suo padre, aveva sempre parlato di voler fare.
Non era uno sprovveduto, anzi, era piuttosto esperto; aveva fatto il militare in marina, ma qualcosa quel giorno in mare era andato storto, e lui non li aveva più visti tornare.
Riuscì a laurearsi, ma ancora adesso di quel giorno, non era capace di avere un ricordo chiaro; poi venne il periodo inglese, come lo aveva sempre chiamato lei, e tutte quelle  storie collezionate  nel tentativo di colmare quel vuoto, ma nessuna gli aveva mai dato la sensazione di essere nuovamente intero.
Continuava a sentirsi scollato da se stesso, l’unico momento in cui riusciva a ritrovarsi, a ricondurre tutto ad una normalità perduta, era quando Samuela e la sua famiglia gli erano accanto.
Vicino a loro, in quella casa con l’unica famiglia che gli era rimasta, poteva avere l’impressione che nulla fosse accaduto.
Le cose però inevitabilmente cambiano e lui lo aveva imparato sulla sua pelle, e così Samuela fatalmente era diventata grande: il liceo, gli amici, una giovane donna camminava adesso dove quella bambina correva, gli parlava con una voce che non ricordava, lo guardava con occhi che conosceva, ma che non erano più gli stessi.
Avevano in loro la luce appena accennata di una timida malizia.
Solo con lei, era in grado di sentirsi nuovamente a casa e, la ferita profonda di quella perdita, smetteva di sanguinare.
Si sentiva responsabile per quell’incidente, non era voluto andare con loro, era stanco, doveva preparare un esame, anche se sua madre aveva insistito e si era arresa al suo rifiuto lasciandogli un bacio sulla fronte.
“ Perché non vuoi mai andare con la tua mamma. Lo sai che alla zia manchi tanto? Mi dice sempre: Almeno tu Sammy non crescere troppo in fretta.”
Non era passato un giorno senza che non avesse pensato che se essere con loro avrebbe potuto fare la differenza.
Il padre di Samuela una volta gli aveva detto che quella, era stata una fortuna , almeno lui si era salvato.
Questo lo faceva sentire anche peggio se era possibile.
Erano stati momenti bui, ma la normalità di una quotidianità e con lei, era riuscito a rimanere a galla. Poteva succedere di essere distratto da una di quelle parole complicate di Samuela di cui lei ignorava il significato , ma che suonavano bene e quindi le infilava in quelle sue conversazioni  per darsi un tono.
Una delle tante smorfie di quanto veniva richiamata all’ordine, sentire alla radio una delle canzoni di cui si innamorava, che tutti sapevano a memoria per il numero di volte che l’ascoltava a tutto volume.
La spontaneità di non trattarlo diversamente, con quel modo che avevano tutti di diventare invisibili per non disturbarlo, per non rischiare di incappare in situazioni che gli permettessero di ricordare.
La spontaneità genuina di quella ragazzina, che agiva senza apparenze, lo aveva tenuto ancorato a se stesso.
Poi erano state le traduzioni di latino e greco che Sammy gli mandava in visione, oppure quelle d’inglese,
 i loro scambi di opinione sulla matematica.  Samuela aveva un’opinione del tutto personale dei numeri e delle regole. Non riusciva a capire come con i suoi ragionamenti strampalati riuscisse a far quadrare quelle espressioni.
Il tempo era passato, e il dolore si era ovattato.
Il mondo che conosceva, era cambiato e con lui Samuela, sino a trasformarsi nella ragione che non gli permetteva di prendere sonno e allo stesso tempo quella che gli impediva di poterne palare. Sentiva di potere impazzire.
Non capiva come gli fosse potuto succedere.
Di sicuro si era bevuto il cervello, lei aveva solo diciassette anni e non poteva provare tutto quello che provava lui.
Una tenerezza infinita:  era come se fosse  diventata la sua pelle, le sue ossa.
Non si era mai sentito così neanche da adolescente.
Avrebbe dato la vita per lei.
Quando l’aveva guardata negli occhi, era stato come ricevere un pugno perché si era visto riflesso nel suo sguardo e aveva capito.
La decisione che era seguita, era stata la conseguenza più logica.
Si era scostato da lei e voltandole le spalle aveva continuato a riempire la valigia.
Lei aveva allungato una mano gli aveva poggiato le dita affusolate sul polso.
Un gesto che tra di loro c’era stato infinità di volte, ma che adesso lui non riusciva a contenere.
Il cuore gli era sobbalzato nel petto ed era stato costretto a deglutire. Si era immobilizzato e pregava che lei non lo abbracciasse alla vita come faceva sempre quando lui preparava le valige.
Samuela esitò un attimo, ma quel gesto che aveva il sapore di un rituale arrivò.
Lei gli cinse la vita e si adagiò alle sue spalle.
Quel contatto, sentirla sulla sua pelle: a separarli solo il tessuto leggero del vestito di lei, lo fece rabbrividire.
Era un folle, l’amava e si detestava per questo.
“ Lorenzo”, la voce di lei appena un sussurro, ma non poteva permettersi di farsi raggiungere da quella tenerezza.
A quel punto si sciolse da quell’abbraccio domandandosi come avrebbe fatto a mantenere fede a quello che si stava imponendo di fare.
Allontanarsi da lei.
Tra di loro non c’era nulla e non ci sarebbe mai stato.
Samuela lo guardò ritornare  alla sua valigia e da una parte sperò che lui in quel gesto non fosse riuscito a leggere nulla di diverso da quello  che aveva sempre rappresentato.
Ne era innamorata da sempre ma se lui lo avesse intuito, sarebbe morta di vergogna.
Nessuno dei due riuscì a quantificare il tempo che passarono in silenzio in quella stanza.
La cosa che entrambi sapevano era che avrebbero voluto fermare quel momento. Poter rimanere vicini anche senza confessarsi niente.
Lorenzo però aveva terminato di sistemare le sue cose e lei lo vide prendere i bagagli.
- Allora hai deciso; non resti. Non cambi idea. – Lorenzo la guardò cercando di dare a quel momento una disinvoltura che non aveva, sforzandosi di trovare la determinazione necessaria.
- No Sammy, non rimango.- E senza guardarla si voltò provando a sistemare la tracolla di un borsone su una spalla.
- E perché? – Samuela aveva bisogno di sentirlo da lui quale fosse quest’impegno che gli impediva di trascorrere quel tempo con lei. Perché tentava di trovare un modo per avercela con lui, un modo che le permettesse di non pensare, di non sentire la sua mancanza; perché forse se fosse riuscita ad essere in collera magari quella pena si sarebbe attenuata. Però, Lorenzo, come capitava da un po’, lasciava le sue domande senza una risposta.- Siamo alle solite: non rispondi. Perché fai così Lorenzo? – Ma lui si ostinava volutamente in quel silenzio, perché non voleva e non poteva darle una ragione a qualcosa che sapeva stava andando contro ogni sua volontà. Perché il cuore gli gridava di restare, di voltarsi e stringerla tra le braccia, di rassicurare entrambi. Perché l’amore, quel tipo d’amore che stava provando in quel momento per lei non poteva essere una brutta cosa. Ma in quanti avrebbero capito? Come avrebbe spiegato alla persona che gli aveva fatto da padre negli ultimi anni, che si era innamorato di sua figlia. Come avrebbe potuto guardarlo negli occhi e tradire la sua fiducia?
Prese a chiudere la valigia con gesti misurati, guardando di tanto in tanto il telefono rimanendo in un ostinato silenzio.
Samuela non capiva il perché di tanta ostinazione, ricacciando indietro le lacrime senza dire nulla uscì dalla stanza.
 
  
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