Libri > Il Signore degli Anelli e altri
Segui la storia  |       
Autore: Losiliel    19/05/2023    1 recensioni
Morifinwë Carnistir Fëanárion, giovane nipote del re dei Noldor, vive in un meraviglioso palazzo nella splendente città di Tirion, in una terra benedetta da ogni ricchezza, circondato da una famiglia unita e numerosa. La sua vita sembra perfetta sotto ogni aspetto.
Peccato che lui non la pensi affatto così.
.
[ Caranthir-centrico | coming of age | vita dei Noldor in Aman | Anni degli Alberi ]
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Caranthir, Fëanor, Figli di Fëanor, Nerdanel, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
- Questa storia fa parte della serie 'Los Tales'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A


22

Il Lanciere

(o quando ti rassegni a coinvolgere tuo fratello, anche se è l’ultima cosa che vorresti fare)



 

– Bisognerà trovare qualcuno che ti faccia da Lanciere – disse Hellë.

Erano al termine di una sessione di allenamento piuttosto impegnativa, nella quale Morifinwë aveva rischiato di scivolare da cavallo almeno due volte, e in una spaventosa occasione il suo tiro maldestro invece di centrare il bersaglio aveva quasi colpito uno dei gatti che sonnecchiavano nei pressi del campo. Perfino Káino, a un certo punto, si era stancato di assistere ai suoi insuccessi e li aveva lasciati.

Con l’umore a terra, Morifinwë stava premiando la costanza di Morvail offrendogli una mela dal suo palmo, quando Hellë se ne uscì con l’affermazione che gli rovinò definitivamente la giornata.

– Non sarai tu? – esclamò lui, talmente preso di sorpresa che la mela gli cadde di mano. Morvail emise un contrariato sbuffo dalle narici, e si chinò a rovistare col muso tra l’erba alla ricerca del frutto.

Morifinwë ripensò ai Lancieri che aveva visto all’Oscuramento. Sebbene non li avesse osservati troppo da vicino, era più che sicuro che non fossero stati dei ragazzi: nessun giovane avrebbe potuto avere una tale padronanza della lancia da riuscire a fare ciò facevano senza mettere a repentaglio la vita del Cavaliere.

– Non credevo che ci fosse un limite di età – disse.

– Non c’è, infatti – confermò Hellë. – È che io non intendo farlo.

– Perché? – Morifinwë cercò di dominare il panico crescente. Come avrebbe fatto a cavarsela se il Lanciere fosse stato un pivellino come lui, o anche un discreto atleta, che però non avrebbe mai potuto eguagliare la precisione straordinaria della ex-Cacciatrice?

Hellë recuperò la mela da terra e la diede a Morvail accarezzandogli il muso.

– Perché io non frequento l’Oscuramento – rispose, con la sua solita calma. – Non l’ho mai fatto e non voglio cominciare a farlo adesso. Preferisco evitare di incontrare vecchie conoscenze, se posso farne a meno.

Morifinwë tornò col pensiero alla sera della Meren Tulusto, quando la donna si era lasciata sfuggire amare parole di rimpianto per non essere stata in grado di proteggere i suoi compagni durante la Grande Marcia, e la tristezza di quel ricordo lo ferì più dell’angosciante consapevolezza che non avrebbe mai trovato nessuno in grado di tirare una lancia con la precisione di Hellë.

Lei dovette fraintendere la sua espressione afflitta.

– Non ti preoccupare – gli disse, – vedrai che qualcuno lo troviamo. Non hai detto di avere un fratello che eccelle nelle prove di destrezza fisica?

Morifinwë per poco non si diede una manata in fronte. Tyelkormo! Come aveva fatto a non pensarci da solo?

Forse perché l’ultima cosa che voleva era coinvolgere il fratello nei suoi affari, rischiando di diventare il bersaglio delle sue prese in giro, cosa che avrebbe polverizzato quel poco di fiducia in sé stesso che si stava costruendo con tanta fatica.

O forse perché averlo accanto, nel suo glorioso splendore atletico, non avrebbe fatto altro che evidenziare le mancanze di Morifinwë, minacciando di incrinare – sempre lì si tornava – la sua fragile autostima.

Oppure era qualcosa che affondava ancora più in profondità, alla radice stessa delle sue insicurezze: non voleva sapere come avrebbe reagito Hellë davanti a un Fëanárion di prima scelta. Pura e semplice gelosia, insomma.

Morifinwë si passò una mano tra i capelli troppo corti e lanciò un sguardo veloce al suo corpo basso e magro.

– Anch’io preferisco evitare le vecchie conoscenze, se posso farne a meno – borbottò.

Hellë, come di consueto, minimizzò le sue preoccupazioni con un’affermazione impossibile da negare: – Non può essere peggio che chiedere a Káino.



 

Quella sera, sulla via di casa, Morifinwë cercò di elencare tutte le alternative possibili rispetto ad andare a chiedere aiuto a Tyelkormo e scoprì, con grande rammarico, che non ce n’erano.

Lasciare che ci pensasse Hellë a trovargli qualcuno significava affidarsi a uno sconosciuto, cosa che, nonostante il recente miglioramento in termini di apertura verso gli altri, la sua timidezza non gli permetteva ancora di fare.

Chiedere a Káino era impensabile. Il ragazzo non era uno capace di mettersi d’impegno al punto da riuscire a imparare così tanto in così poco tempo. E comunque Morifinwë non voleva metterlo nelle condizioni di dover condividere l’eventuale sconfitta con lui. Se avesse fallito, non avrebbe trascinato il suo migliore amico nel baratro dell’umiliazione.

Così dopo cena prese il coraggio a due mani, uscì da camera sua e marciò deciso fino a quella di Tyelkormo. Non fece in tempo a bussare che la porta si spalancò, aperta dall’interno dal fratello sbagliato.

– Curvo! – si sorprese Morifinwë, – cosa ci fai qui a quest’ora?

– Potrei dire lo stesso di te – rispose il fratellino, – levati dai piedi.

Il piccolo, ancora vestito di tutto punto con la sua treccia nera e lucida che gli ricadeva dietro la schiena, gli girò attorno e si incamminò lungo il corridoio senza voltarsi indietro.

Morifinwë sbirciò nella stanza. Tyelkormo sedeva sul letto, accanto al quale c’era una sedia vuota.

– Ma cosa…? – domandò.

– Entra e chiudi – disse Tyelkormo, alzandosi per andare a riporre la sedia presso la scrivania vicino alla finestra.

Le tende erano aperte e lasciavano passare la tenue luce della sera. Il silenzio, che a quell’ora regnava in tutta la casa, era interrotto solo dal frinire dei grilli che veniva dal giardino e da qualche latrato lontano.

Morifinwë sentì la vecchia e ben conosciuta fitta di gelosia che provava quando era testimone del rapporto speciale che legava tra loro gli altri fratelli, prima quello tra Russa e Laurë e, da quando era nato il piccolo, anche quello tra Tyelko e Curvo.

Senza riuscire a mascherare la sua irritazione, domandò: – Cosa voleva il genio in miniatura?

Tyelkormo scrollò le spalle. – Niente di particolare. A volte, se ha avuto una brutta giornata, viene a darmi il tormento. Credo lo faccia stare meglio.

– Una brutta giornata? – saltò su Morifinwë, – come può aver avuto una brutta giornata, lui? Papà gli ha detto “bravo” solo nove volte invece di dieci? Il maestro si è scordato di dirgli: “non vedevo uno come te dai tempi di Nelyafinwë?” Ah, no, forse a cena gli hanno servito un piatto in cui i piselli sono entrati in contatto con la carne…

– Vedo che anche qualcun altro ha avuto una brutta giornata – lo interruppe Tyelkormo, – sei venuto a darmi il tormento anche tu?

– No – disse Morifinwë, rendendosi conto che se voleva aiuto era partito con il piede sbagliato. – Scusa – aggiunse, per andare sul sicuro. Poi ci ripensò: – Ma perché non va da papà, se ha bisogno di qualcosa?

– Moryo, dove hai abitato in questi ultimi dieci anni? – chiese Tyelkormo, – se c’è una cosa che quel bambino non farà mai è chiedere aiuto a papà e rischiare che la sua immagine ne venga sminuita.

Per un attimo Morifinwë si sentì molto solidale col piccolo, poi constatò: – La sua immagine non verrebbe sminuita nemmeno se desse fuoco al palazzo con noi dentro.

Tyelkormo sbuffò. – Sei qui per parlare di lui?

Morifinwë tacque e si guardò attorno, non sapendo da dove cominciare. La stanza di suo fratello era grande quanto la sua, ma decisamente più vuota. Nessuno degli interessi di Tyelkormo era cosa che si potesse chiudere in una camera. Libri e quaderni li aveva abbandonati appena aveva finito di ricevere ciò che sua madre chiamava “l’educazione base” e suo padre “il minimo indispensabile per essere chiamati Noldo”. Niente strumenti musicali, niente grandi armadi per contenere vestiti di rappresentanza necessari per gli incarichi ufficiali a corte. Sulla scrivania, un coltello da caccia a cui stava rifacendo l’impugnatura di pelle, un blocco da disegno con la copertina di cuoio, e qualche impennaggio di freccia.

Tyelkormo gli indicò la sedia e tornò a sedersi sul letto.

– Hai avuto ancora problemi con Angaráto? – gli chiese.

– Cosa? – domandò Morifinwë colto di sorpresa. Dal giorno della rissa, lui e Tyelkormo non erano più tornati sull’argomento. – No, no – lo rassicurò.

Ma il pensiero dell’Arafinwion gli riportò alla memoria ciò che aveva fatto alla gara di canoa, e questo non fece che aumentare il suo disagio. Tutto il discorso che si era preparato per convincere il fratello a dargli una mano evaporò dalla sua mente.

Ignorò la sedia e cominciò a passeggiare per la stanza.

– Devo continuare a fare domande finché non indovino? – chiese Tyelkormo. – Sai, penso che una doppia razione di problematici fratelli minori in una sola sera vada oltre le mie capacità di sopportazione. Perché non andate a scocciare Russandol, tanto per cambiare?

Per tutta risposta, Morifinwë si fermò di colpo davanti al fratello e buttò fuori: – Voglio partecipare alla Corsa del Cacciatore.

A parte interrompere la sua tirata, Tyelkormo non diede altro cenno di aver compreso le sue parole, così lui specificò: – Sono stato all’Oscuramento dello stagno, e voglio partecipare alla Corsa del…

– Frena, frena – lo interruppe il fratello, – ho capito quello che hai detto. Mi sto solo domandando se non ti abbia dato di volta il cervello.

– Lo sapevo! – Morifinwë alzò le mani in un gesto a metà tra la rassegnazione e l’invito al fratello di andarsene anticipatamente a Mandos, e si diresse alla porta. – Non ti faccio perdere altro tempo.

Ma prima che potesse mettere mano alla maniglia Tyelkormo lo richiamò.

– Carnistir, aspetta – disse, e subito aggiunse: – Scusami, è stata una serata pesante.

Sentire Tyelkormo che si scusava era un evento così raro che Morifinwë pensò di avere ancora una possibilità di convincerlo. Tornò indietro, prese posto sulla sedia e prima che potessero subentrare altri ripensamenti, suoi o del fratello, gli disse di essere stato all’Oscuramento e di aver visto la Corsa. Gli raccontò di quanto fosse stato bravo Nordacil e di come tutto il pubblico l’avesse acclamato.

– C’era papà ad assistere – disse, alla fine.

Tyelkormo restò qualche istante in silenzio, poi domandò: – È ancora per la storia della canoa, vero?

– La canoa non c’entra nulla – disse Morifinwë, e si chiese se fosse davvero così. – Vorrei solo che papà…

Si interruppe. Come c’era finito a parlare di quelle cose con Tyelkormo? Non era quello il discorso che si era preparato.

– Vorresti che papà fosse orgoglioso di te – concluse per lui il fratello. – Lo capisco, ma…

– Vorrei che papà si accorgesse che esisto.

Ecco, l’aveva detto. Sentì il calore salirgli al viso, ma alzò il mento e serrò la mascella, per affrontare qualsiasi cosa stesse per uscire dalla bocca del fratello.

Ma Tyelkormo non fece commenti. Andò alla finestra e si sedette sul davanzale; diceva sempre che gli riusciva difficile pensare quando era chiuso tra quattro mura. Alle sue spalle il cielo rifletteva bagliori argentei, un vento leggero agitava i suoi capelli chiari.

– Non per tentare di farti desistere – disse poi, – ma cosa ti fa pensare che non otterresti l’effetto opposto, e sto parlando, ovviamente, di una figuraccia epocale, degna di essere immortalata in una delle canzonette che tanto piacciono a Findekáno? – Tyelkormo scosse la testa, – insomma, Moryo, la Corsa del Cacciatore è la gara più impegnativa tra tutte quelle dell’Oscuramento. Tanto per cominciare bisogna saper saltare su un cavallo in corsa…

– Quello lo so già fare.

– Poi devi afferrare al volo una… Cosa, scusa?

– Sono settimane che mi sto allenando. So saltare sul cavallo, riesco quasi sempre ad afferrare la lancia, e il più delle volte sono in grado anche di colpire il bersaglio. Mi manca solo qualcuno che mi faccia da Lanciere.

– Ti stai allenando da settimane? – Tyelkormo scandì le parole come se avesse dimenticato come si mette insieme una frase. – E io che credevo andassi a bighellonare col tuo nuovo amico. Per tutti i Valar, l’hai proprio presa sul serio.

E il fratello, poco ma sicuro, doveva saperne qualcosa riguardo al prendere sul serio un allenamento. Quando era poco più giovane di Morifinwë aveva dovuto affrontare una dura selezione per essere ammesso al seguito di Oromë ed essere addestrato come Cacciatore. Molti ragazzi e ragazze che avevano affrontato la selezione con lui erano figli di Nati all’Est che si preparavano da sempre per quel momento. Alla fine, come non mancava mai di ricordare a tutti, era risultato il migliore del suo anno ed era stato allenato da Oromë in persona.

Era la cosa di cui suo fratello andava più fiero.

Morifinwë pensò di aver trovato l’esca giusta: l’Oscuramento era letteralmente pieno di Nati all’Est.

– Suvvia Tyelko – lo esortò, – non dirmi che non ti piacerebbe esibirti davanti a un pubblico di quel genere.

L’altro si girò a mezzo verso l’esterno e lasciò vagare lo sguardo sul giardino sotto di lui. Inspirò profondamente l’aria della sera, borbottando qualcosa a proposito di un disastro annunciato e del pentirsene per tutta la vita.

Quando finì di contrattare con sé stesso, e Morifinwë notò che ci mise un tempo sorprendentemente breve, Tyelkormo batté le mani, si sfregò i palmi e balzò giù dal davanzale.

– Bene! – esclamò, – dopotutto sei venuto dalla persona giusta. Nessuno lancia come me, sia per forza che per precisione! Ti ho mai raccontato di quella volta…

Morifinwë lo lasciò parlare e sorrise tra sé. Aveva l’impressione che presto suo fratello avrebbe dovuto ridimensionare l’alta opinione che aveva delle proprie capacità.



 

Il pomeriggio successivo Tyelkormo lo accompagnò al campo di prova.

Invece di prendere la via Ezellohar come faceva Morifinwë quando andava alla fattoria, tagliarono la pianura in diagonale per raggiungere l’area di allenamento da nord. Tyelkormo diceva sempre che preferiva viaggiare lontano dalle strade più battute, “immerso nella natura selvaggia”, per usare le sue parole. Non che ci fosse alcunché di selvaggio nei campi coltivati e nelle distese d’erba della Piana Dorata.

Un’altra cosa a cui bisognava abituarsi, quando si viaggiava con Tyelkormo, era la presenza di animali che puntualmente si mettevano al suo seguito non appena si lasciava la città. Quel pomeriggio si erano uniti a loro due cagnolini a chiazze bianche e nere che correvano tra le zampe dei loro cavalli, mentre in alto nel cielo un falco tracciava cerchi sopra le loro teste, lanciando di quando in quando un richiamo acuto.

Tuilë, la stagione della rinascita, era giunta all’apice. I prati erano ricoperti da un folto manto di morbida erba che pareva essere bagnato dalle rugiade del Corollairë stesso, tanto splendente era il suo verde. Boccioli bianchi e rosa rivestivano i rami degli alberi nei frutteti, e i germogli spuntavano nei campi coltivati come perle di smeraldo sulla terra bruna.

L’aria era così tersa che Morifinwë individuò il campo di allenamento quando erano ancora a un miglio di distanza. L’albero solitario a cui era appeso il bersaglio emergeva dal profilo dei covoni che delimitavano il lungo rettilineo e la doppia curva finale.

Non ci volle molto che riuscì a distinguere anche Hellë. Si era procurata una decina di lance e le stava piantando nel terreno a metà del percorso. Dava loro le spalle, ma Morifinwë sapeva che doveva essersi accorta della loro presenza già da un pezzo. Non per la prima volta, provò una profonda soddisfazione nel pensare che quella donna, che nessuno avrebbe mai potuto cogliere di sorpresa, dotata di capacità straordinarie e di enorme esperienza, spendeva il suo tempo per dedicarsi a lui e al suo addestramento.

Morifinwë guardò il fratello. Non voleva perdersi la prima reazione di Tyelkormo alla vista della sua istruttrice. Di proposito non gli aveva detto niente di lei: né che era una Nata all’Est, né che era stata una Cacciatrice, e neppure che era una donna.

Ma con enorme sorpresa scoprì che Tyelkormo non stava affatto guardando Hellë: stava fissando lui con aria sbalordita.

– Che c’è? – domandò, passandosi una mano tra i capelli, immaginando che la cavalcata li avesse resi un disastro peggio del solito.

– Stai sorridendo – osservò il fratello.

Morifinwë si accorse che era così. – E allora?

– E allora? – ripeté Tyelkormo, – l’ultima volta che ti ho visto sorridere ti tenevo ancora in braccio.

Morifinwë non seppe cosa ribattere, e finì che arrivarono al campo senza più parlare.

I cagnolini con cui avevano viaggiato raggiunsero Hellë per primi, le saltellarono attorno scodinzolando, si presero una buona dose di carezze e si lanciarono di corsa in campo aperto. Quando loro smontarono da cavallo, erano già fuori vista.

Senza attendere di essere presentato, Tyelkormo offrì la mano alla donna con la sua consueta disinvoltura.

Morifinwë rimpianse di non aver preparato Hellë all’incontro col fratello selvaggio e si rassegnò, mortificato, ad ascoltare una delle sue battute di spirito, tipo: “Sono qui per salvare la situazione” o, peggio, “Ho sentito che avete bisogno di qualcuno che sappia maneggiare una lancia”.

Ma non appena le loro mani si toccarono Tyelkormo rimase come bloccato, e dalla sua bocca semiaperta non provenne alcun suono. I suoi occhi si strinsero per un attimo, poi si spalancarono e caddero sul bracciale di Hellë.

La donna mantenne la sua espressione neutra, anche se Morifinwë notò il leggero tremolio delle palpebre di quando era intenta a estendere le percezioni.

– Sei uno dei ragazzi di Oromë – disse lei, stringendo la mano al fratello.

Tyelkormo si riscosse e tornò a guardarla in viso.

Erano alti quasi uguali e sebbene Tyelkormo fosse notevolmente più robusto, a vederli lì, uno di fronte all’altra, Morifinwë ebbe la strana impressione che in qualche modo si somigliassero. Eppure non potevano essere più diversi: lui con quella massa di capelli chiarissimi arruffati dalla cavalcata e quel viso che mostrava in tempo reale tutto ciò che gli passava per la testa. Lei austera, scura, imperscrutabile.

– Lo sono stato, signora – disse il fratello chinando leggermente il capo. Morifinwë non lo aveva mai visto esprimere tanto rispetto per qualcuno.

– Mi chiamo Hellë – si presentò lei, – non c’è bisogno del “signora”.

– Ma… – Tyelkormo esitò, e lui capì che quello che aveva scambiato per rispetto era qualcosa di più. Era soggezione. – Ma sei una Cacciatrice dell’Est – concluse.

– Lo sono stata – disse lei.

Il fratello si aprì in un sorriso dolce, quasi imbarazzato, del tutto diverso dal suo tipico ghigno da seduttore, ma forse, proprio per questo, ancora più affascinante.

– Io sono Tyelkormo – disse, – il fratello di Moryo.

E io sono quello venuto male, pensò Morifinwë.

Dire che accanto a quei due si sentiva fuori posto non rendeva nemmeno lontanamente l’idea dello spaventoso senso di inadeguatezza che stava provando. Si chiese, per la centesima volta, se non avesse fatto male ad aver coinvolto il fratello.

A peggiorare le cose Hellë, terminate le presentazioni, non perse tempo a salutarlo e lo indirizzò verso l’inizio del percorso come se volesse toglierselo di torno il prima possibile, con una casuale spintarella sulla schiena.

Solo che Hellë – e lui avrebbe dovuto ricordarselo – non faceva mai niente di casuale. Infatti, mentre Morifinwë si incamminava al suo posto maledicendo le sue mancanze, sé stesso, il destino e pure il fratello, lei si chinò sulla sua spalla e sussurrò: – Non tutto l’oro brilla, Carnistir.

Poi, come se niente fosse, come se non avesse detto le esatte parole che Morifinwë aveva bisogno di sentirsi dire, come se non avesse piantato nel suo cuore la certezza di essere apprezzato, aggiunse a voce più alta: – Forza, Moryo, vai in posizione.

Morifinwë fece come gli veniva detto. Cercò di liberare la mente da tutto ciò che non riguardava la Corsa, prese dei lunghi respiri per regolarizzare il battito del cuore, e visualizzò nella sua testa ogni singolo movimento che si apprestava a compiere, come gli era stato insegnato. Fece un paio di salti al volo su Morvail per riscaldarsi, poi prese il suo posto all’interno del circuito per provare l’intera gara.

Fu Hellë a effettuare il primo lancio, per mostrare a Tyelkormo come si aspettava che venisse eseguito, e Morifinwë rischiò di schiantarsi contro il covone che delimitava la prima curva pur di non perdersi l’espressione sbalordita del fratello davanti all’incontestabile abilità della ex-Cacciatrice.

In seguito, la donna si limitò a dare a Tyelkormo consigli su come calibrare la forza in modo che la lancia arrivasse tra le mani di Morifinwë con la giusta precisione e con la velocità ottimale. Troppo veloce, e lui non sarebbe riuscito ad afferrarla, troppo lenta e lui sarebbe stato costretto a imboccare la doppia curva in ritardo. Una spanna più a destra, e l’arma sarebbe stata fuori dalla sua portata, una spanna più a sinistra, e gli avrebbe trafitto la spalla.

Fortunatamente Tyelkormo era davvero l’abile atleta che si vantava di essere e, dopo un’ora di lavoro sotto la supervisione di Hellë, cominciò a lanciare in modo quasi indistinguibile da lei. Considerato che dall’abilità del fratello dipendeva il suo successo, se non addirittura la sua vita, Morifinwë ne fu molto sollevato.

Ma ciò che lo rese ancora più felice, e che lo fece bruciare di orgoglio di sé, fu vedere la sorpresa e l’ammirazione sul volto di Tyelkormo quando si rese conto che Morifinwë sapeva davvero saltare su un cavallo in corsa, e che il più delle volte riusciva ad afferrare la lancia senza lasciarsela sfuggire, a infilare le due curve senza scivolare da cavallo, e a tirare al bersaglio senza mancare il tabellone.

Considerato tutto, fu un pomeriggio proficuo. Non cadde nemmeno una volta e in una singola memorabile occasione colpì il bersaglio esattamente nel centro. Un risultato eccellente, dovuto forse al fatto che quel giorno non era lui quello sotto giudizio, quello su cui si concentrava tutta l’attenzione di Hellë, e non era quindi gravato del carico delle aspettative.

O forse c’entravano quelle parole sussurrate, che tanto significavano per la sua fiducia in sé stesso. Non tutto l’oro brilla, Carnistir.

Quando le campane suonarono undici rintocchi, Hellë dichiarò finito l’allenamento. Morifinwë sapeva che a quell’ora i suoi compiti la richiamavano alla fattoria, e infatti la donna non si dilungò in saluti.

Strinse la mano a Tyelkormo: – Ottimo lavoro, Lanciere.

– È stato un onore – rispose il fratello.

A lui disse: – A domani, Carnistir.

Poi voltò loro le spalle e andò a recuperare le lance, prima di imboccare il sentiero che riportava alla fattoria.



 

Morifinwë e Tyelkormo ripresero la strada che avevano fatto all’andata, ma decisero di fare il primo tratto a piedi per far riposare Morvail e perché nessuno dei due aveva fretta di rientrare tra le mura di casa. Fatti pochi passi, il falco ricomparve sulle loro teste e i cagnolini sbucarono da chissà dove per scodinzolare al loro seguito.

Tyelkormo era insolitamente silenzioso e, cosa ancora più strana, continuava a lanciargli occhiate di traverso, cercando di non farsi notare.

– Sputa il rospo – gli disse Morifinwë, quando fu stufo di essere scrutato come se gli fossero cresciute due teste.

– Ti ha chiamato Carnistir.

– Grazie tante. È il mio nome.

Tyelkormo fece una smorfia: – E quante persone, al di fuori della famiglia, conoscono il tuo amilessë?

Morifinwë cominciò a contare. E finì subito.

– Nessuno – ammise.

Dopo un breve silenzio, Tyelkormo sentenziò: – Hai una cotta per lei.

Morifinwë non disse nulla, ma fu come se avesse risposto.

– Lei lo sa? – insistette il fratello.

Lui fece un cenno affermativo con la testa. Poi uno negativo.

– Più o meno – disse. – Sa che sono attratto da lei, non le ho parlato di… – cercò la parola giusta. Gliene venne soltanto una: – innamoramento, o roba del genere. L’ho trovato meno complicato.

Si preparò a sopportare le prese in giro del fratello su quanto fosse patetico innamorarsi di una donna come quella, sbagliata per lui sotto tanti di quei punti di vista che si faceva fatica a elencarli.

Ma l’altro disse: – E lei come ha reagito?

– Ha detto che mi passerà. Che sono solo un ragazzino, basta aspettare e col tempo passerà.

Tyelkormo lo guardò incuriosito. – E funziona? Aspettare? – Sembrava sinceramente interessato alla risposta.

– Neanche un po’ – rispose lui. – Si riesce a tenere a bada l’attrazione, il più delle volte, ma il sentimento è un’altra cosa.

– Lo sospettavo. Che intenzioni hai?

Morifinwë non rispose, c’era un limite a ciò che voleva condividere col fratello riguardo la sua vita privata e l’aveva già sorpassato da un pezzo. E comunque, non avrebbe saputo come rispondere nemmeno se avesse voluto.

– Ho intenzione di partecipare a quella gara – disse, per chiudere il discorso, – e di evitare di essere immortalato in una delle canzonette di Findekáno.

Tyelkormo scrollò le spalle e scoppiò a ridere. Era impressionante la velocità con cui riusciva a cambiare umore.

Dopo qualche istante iniziò a canticchiare:

Il torneo ha un gusto amaro
per il figlio di Fëanáro
che arrivando impreparato
picchia duro sul selciato.
Che dolore, il Cavaliere!
Ce l’ha dritto nel…

– Deficiente – lo interruppe lui, ma siccome il buonumore di Tyelkormo era contagioso, intonò:

Un Lanciere che fa orrore
fa sbagliare anche il migliore

Tyelkormo rise ancora e ribatté:

Un Lanciere col mio aspetto
tutte le fanciulle si porta a letto

Morifinwë contò le sillabe. – Troppo lungo – obiettò.

– Sì, me l’hanno detto in molte – confermò Tyelkormo.

Lui scosse la testa ma non poté fare a meno di sorridere alla battuta.

Col mescolarsi delle luci si sollevò una brezza leggera, che portò con sé il profumo degli alberi in fiore. Il grido del falco tagliò l’aria un’ultima volta, poi il rapace svanì all’orizzonte. Era tempo di rientrare anche per loro. Morifinwë si accucciò a salutare i due cagnolini e Tyelkormo ne approfittò per scompigliargli i capelli. Lui gli allontanò la mano senza troppa convinzione.

Poi montarono a cavallo e si lanciarono al galoppo verso casa.



 

 


NOTE

Grazie a chi ha letto!

Nomi canonici, conversione Quenya - Sindarin
Morifinwë, Moryo, Carnistir = Caranthir
Curvo, Curufinwë = Curufin
Tyelkormo (qui chiamato anche Tyelko) = Celegorm
Russandol (qui chiamato anche Russa) = Maedhros
Makalaurë (qui chiamato Laurë) = Maglor
Angaráto = Angrod
Arafinwion = figlio di Arafinwë, cioè di Finarfin
Fëanáro = Fëanor
Findekáno = Fingon

Personaggi di mia invenzione
Káino, il migliore amico di Morifinwë
Morvail, il cavallo di Morifinwë

Nomi di mia invenzione
Via Ezellohar, principale strada di collegamento tra Tirion e Valmar
Piana Dorata, ampia pianura tra Tirion e Valmar

Nomi canonici usati non-canonicamente
Tuilë, la stagione paragonabile alla nostra primavera



 

  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Signore degli Anelli e altri / Vai alla pagina dell'autore: Losiliel