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Autore: aelfgifu    20/05/2023    2 recensioni
Dopo l'infortunio nella finale di Champions League, Karl è costretto a rimanere a Monaco durante le vacanze per portare a termine la riabilitazione. Ma a Monaco è rimasto anche qualcun altro...
Un giovane uomo alla scoperta di sé stesso, una donna piena di lati oscuri, una città deserta e lo splendore dell'estate.
[Seguito di Ritratto estivo di ragazzo svedese].
Genere: Romantico, Slice of life, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Hermann Kaltz, Karl Heinz Schneider, Marie Schneider, Nuovo personaggio, Stefan Levin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Tutti i miei cari'
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13. Skål!
 

Sono seduti sul terrazzino di Julia, di fronte a un tramonto color di rosa, in un’aria di tarda estate ancora calda e profumata. Non sembra possibile che già tra un paio di settimane arriverà l’autunno bavarese. Ieri c’è stata la quarta giornata di andata del campionato e il Bayern ha vinto in casa per 1-0. E siccome il gol l’ha segnato proprio Levin, i giornali si sono sprecati in lodi e incensamenti e a Julia viene da ridere perché quando Levin o Karl passano da casa sua nessuno li riconosce. 

“Ma com’è possibile che tu prenda l’ascensore con Jürgen Stahlmann del quinto piano e lui neanche ti riconosca?” chiede, rivolta a sé stessa, a Levin e a quel bel tramonto, mentre versa succo d’arancia appena spremuto nei due bicchieri posati sul tavolino di ferro battuto. “È vero che ti presenti in borghese, ma un  tuo tifoso dovrebbe riconoscerti…” 

Levin “in borghese” somiglia a un ragazzo come tanti: t-shirt, giubbotto, jeans, sneaker, capelli raccolti e quando vuol proprio strafare - anche lui, come Karl - un paio di occhiali da vista. Non c’è niente come un paio di occhiali da vista per mimetizzarsi, le hanno spiegato. Ma che il suo vicino di casa tifosissimo del Bayern non riconosca il bel viso dai lineamenti delicati e gli occhi chiari dello svedese, neanche avendoli a mezzo metro di distanza? 

“Mmm!” Julia medita ad alta voce mentre si siede. “Magari ha a che fare con la dissonanza cognitiva”.

“Che roba è la dissonanza cognitiva?” chiede Levin alzando le sopracciglia. 

“Semplice. Se ti trovi davanti a una situazione che non combacia con le tue aspettative, decidi di negarla anche se i tuoi occhi ti dicono il contrario. Ovvero, il mio vicino ti incontra in ascensore, ti riconosce pure, ma pensa: non può essere lui! E quindi fa finta di niente”. 

“Meglio per me!” 

“Le persone sono proprio curiose. Jürgen sogna di incontrarti da tutta una vita, e una volta che ti incontra non ti sa riconoscere”. 

Rimangono così in silenzio per molti minuti. Poi Levin dice: 

“Abbiamo gli occhi e non guardiamo…” 

“Ci abituano a non saper guardare da quando nasciamo”. Una volta Julia gli ha detto che, pur occupandosi di roba vecchia per mestiere, come scrittrice si interessa molto alla psicologia e alla sociologia. “Le persone sono proprio curiose, per usare un eufemismo”. Ma stasera Stefan è strano, è meno controllato del solito, si agita sulla piccola sedia di ferro battuto, tormenta il bicchiere, si tocca gli occhiali, si passa una mano tra i capelli, accavalla la gamba destra, poi la mette giù, poi accavalla la sinistra, e quindi la mette giù, poi batte con i piedi, come seguendo una melodia che sente solo lui. “Lo sai? Mi iscrivo all’università, scienze della comunicazione. Inizio col semestre estivo. Come studente lavoratore!” esplode infine. 

“Allora hai deciso di fare sul serio col giornalismo?” si informa Julia. 

“Sì. Marie mi aiuterà ad ambientarmi”.

“Marie, eh?” 

“Sì, Marie”. 

Di nuovo silenzio. Ha già detto tutto, secondo il suo punto di vista, pensa Julia guardando l’amico di sotto in su e facendo uno sforzo per non esclamare: Auguri e figli maschi! Ché poi, perché proprio maschi? Però non può fare a meno di allungare una mano e di stringere forte quella di Stefan, come per dire: guarda che ho capito! “Sono contenta” dice. Lui annuisce. 

E siccome le cose importanti sono state dette, tornano a parlare di come è strana la gente, di come sembra che combattano tanto per avere quello che vogliono, ma non sanno che in verità non vogliono quello che vogliono.

“Guarda certe rockstar, certi attori del cinema. Sono belli, ricchi, famosi, hanno la facoltà di scegliersi il compagno che preferiscono. Eppure molti di loro soffrono, hanno problemi di depressione, di dipendenze: perché, secondo te?”

“Forse perché quello che volevano non è quello che li avrebbe resi veramente contenti?” azzarda Stefan.

"Esatto. Noi crediamo di volere qualcosa perché è quello che tutti sembrano volere, ci vendiamo l’anima per averlo, e una volta che lo otteniamo ci rendiamo conto che sono cose senza senso”.  

“E allora che bisogna fare?” 

“Bisogna avere il coraggio di guardarsi dentro e di capire chi si è e cosa si cerca. Tu perché giochi a calcio?” 

“Perché… perché immagino sia la cosa più bella del mondo”. 

“Anche Karl mi ha risposto così”. 

“Eh” ridacchia Levin; non c’è modo di sbagliarsi.

“È la regola aurea, Stefan. Bisogna ascoltare sé stessi e non le sirene, se non si vuole fare naufragio”.

"Messa così pare semplice…” 

“È semplice a dirsi, non a farsi. E ci vuole molto coraggio. La maggior parte della gente trascorre tutta la vita estranea a sé stessa. Insomma, siamo una massa di alienati!”

Julia sorride. “A diciassette anni avevo un’amicizia speciale con un ragazzo. Avevamo gli stessi interessi, le stesse passioni, tutto. Probabilmente ci stavamo anche innamorando, se non che lui decise di rompere l’amicizia perché i suoi compagni lo deridevano, gli dicevano che gli piacevano i tipi strani. Io ne ho sofferto tantissimo, anche se mi è servito a capire come gira il mondo, ma suppongo che lui ci abbia perso più di me. Pensa, a te piace una ragazza buffa che ama la fantascienza, come te, e legge Tolkien, come te, e ama andare al cinema, come te, e tu decidi di mollarla perché un tuo amico più stupido di te ti dice che la ragazza buffa non va bene, devi avere al fianco la bonona della classe se vuoi essere cool.  Pensa, perdere l’anima per fare la parte del ragazzo figo. Magari non te ne importa neanche, ma senti l’obbligo di apparire figo. Capisci? Vivere fuori di sé provoca dolore non solo a noi ma anche a tutti quelli che ci circondano. Oh! Quando l’ho capito ho deciso che, per quanto mi riguardava, non avrei vissuto fuori di me”. 

“Però…” Levin beve un sorso di succo d’arancia, la gola gli si è improvvisamente seccata.

“Però questo non ti mette al riparo”. 

“Per niente”. 

“E allora?” 

“Chiediti se soffri per un motivo vero o per un motivo falso”. 

“E come fai a distinguere?” “Normalmente un dolore vero ti restituisce a te stesso” Julia esita “anche se… a volte… occorre tempo”. 

“Anche molto tempo?” “Immagino di sì”. 

“Anche dieci anni?” 

“Anche venti, anche trenta, se è per questo… certe cose diventano chiare solo dopo tanto. E quando diventano chiare…” 

“Quando diventano chiare?…” 

“Be’, allora trovi la pace, ovvero, anche se può sembrare una parolaccia kitsch: trovi la gioia. O per metterla da un altro punto di vista: perdi tutta la rabbia, l’angustia e il rancore”. 

Levin stringe il bicchiere con entrambe le mani. “Credo di aver perso la mia rabbia…” 

Da giorni sente continuamente quel crac nella testa e nelle giunture, quel rimbombo cupo contro la sua cassa toracica. 

“Non è una bella cosa?” “Non saprei”. Pausa. “Ho vissuto tanto tempo insieme alla rabbia che ora che non c’è più mi sento a disagio”. 

E mentre lo dice, sente ancora vibrare, tra la lingua e i denti, un rumorosissimo crac

“Be’, a questo bisogna brindare. Prosit!” Julia alza il suo bicchiere. “Anzi: skål!”

  
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