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Autore: ElenoraBumBum    22/05/2023    0 recensioni
Completamente esasperato da tutto, sospiro: «Prima o poi me ne andrò da qui». Ne sono certo, mi lascerò questa vita assurda alle spalle e troverò qualcosa di meglio. Una casa migliore, un lavoro migliore, magari pure qualcuno con cui condividere la mia nuova vita. Qualcuno che scelga di stare con me, non che venga obbligato. Qualcuno che io possa veramente considerare famiglia.
«E perché?»
«Ma come perché? Dammi un solo buon motivo per restare». E ce l’avrei pure, ce l’ho davanti e occupa tutto il mio campo visivo visto che è gigante quanto il massiccio del Monte Bianco, ma ogni giorno che passa diventa sempre più difficile gestirlo e a volte la spina va staccata. Anche se non sembra, ce l’ho ancora un po’ di amor proprio.
Neanche mi avesse letto nel pensiero, sorride e sussurra: «Dalle altre parti non ci sono io».
Genere: Generale, Romantico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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9 – Tegolino

Non so con precisione perché ho deciso di fare questa cosa. Provo a ripescare nella memoria il filo logico che mi ha portato a questa situazione, ma proprio ho un grande vuoto. 
Dal trasportino sul sedile del passeggero risale un miagolio acuto e sospiro. Pessima idea, veramente terribile. Spero che vada come mi sono immaginato, se no ce l’ho veramente nel culo. Un altro miagolio. Questo coso in casa mia non entra.
Appena arrivo a destinazione, parcheggio e mi ripeto mentalmente il discorso che ho preparato. Scendo dalla macchina e mi avvio verso casa di Jaco, salvo ricordare all’ultimo quello sgorbietto abbandonato e dover tornare indietro alla velocità della luce. Apro il trasportino, ci infilo la mano e appena raccolgo quel batuffolo grigio mi tira una zampettata sul polso. Lo guardo con una faccia scocciata e lui per ripicca si mette a giocare con il laccio del mio braccialetto. Faccio una presa più salda sul suo pancino bianco, prima che mi scappi e finisca sotto una macchina, e finalmente riesco a citofonare a Jaco. Gli sto regalando un gatto, ma che problemi ho?
«Chi è?» chiede. 
«Aprimi e chiudi gli occhi. Sono Gian» rispondo, tenendo per miracolo il gatto che sta tentando una fuga.
«Eh?»
«Avanti…» insisto. Fa scattare il cancelletto, io attraverso il giardino e mi fermo proprio davanti alla porta di ingresso. «Hai gli occhi chiusi?» domando. 
«Sì» conferma.
«E perché non ti credo?»
«Promesso!» esclama, io apro leggermente la porta e lo noto con gli occhi coperti dalle mani, al che mi metto di fronte a lui.
«’Spetta, eh» mormoro, cercando mettere il micio in una posizione decente. «Ok, apri gli occhi».
Si toglie le mani dal viso, apre gli occhi e guarda prima me, poi si accorge del gattino che sto tenendo e fa un’espressione sorpresa. «Oh…!» mugola, già lo vedo innamorato. «E tu chi sei?» chiede, prendendolo in braccio. 
«Non ha ancora un nome…» rispondo. «È per te»
«Come?» domanda, riportando l’attenzione su di me.
«Mi hai detto che ogni volta che te ne vai da casa dei tuoi sei sempre triste che ti manca Camilla… e che volevi prendere un altro gatto… te l’ho preso io…» spiego.
«Grazie!» mi dice, con un sorrisone riconoscente, poi abbassa lo sguardo e fa un grattino sulla pancia del nuovo arrivato. «È troppo carino! Vero che sei troppo carino?» uggiola, ricevendo un “miao” come risposta.
«È un po’ stronzetto» lo avverto.
«Smettila di insultare i gatti, non sono stronzi.» mi rimbrotta, senza nemmeno guardarmi perché ormai ha occhi solo per lui. Ridacchio e mi chiudo la porta alle spalle.
«Il nome puoi sceglierlo tu. Ha tre mesi e mezzo, l’hanno già svezzato, ma gli mancano i vaccini…». Annuisce e lo guarda ancora.
«Scegliamolo insieme il nome» propone.
«Ma va, è il tuo gatto, fai tu…» ribatto.
«Dove l’hai preso?»
«Vorrei tanto dire in un bidone della spazzatura, ma in realtà la gatta del mio vicino ha fatto una cucciolata e li dà via che non può tenere cinquecento gatti…». Continua a giochicchiare con l’esserino, sembra contentissimo. Sorrido, almeno è andata come volevo. Chissà perché gli ho regalato un gatto. 
«Quindi che nome gli diamo? Ma è un maschio o una femmina?»
«Maschio… e ti ho già detto che devi scegliere tu… trova qualcosa che abbia a che fare con Camilla… che ne so, chiamalo Carlo». Alza lo sguardo e mi fa una smorfia schifata.
«Ma sei matto? Team Diana tutta la vita». Ridacchio e scuoto la testa. «Comunque, cosa ci vuoi accostare a Camilla? A parte, ovviamente, Carlo che non esiste proprio»
«Boh… che Camille famose ci sono?» chiedo. Fa spallucce, il gatto gli azzanna un pollice, ma lui si mette a ridere, poi lo guarda per un po’ e ha una specie di illuminazione.
«Tegolino!» esclama.
«Tegolino?» ripeto, confusissimo. Ma che nome è? Da dov’è uscito?
«Sì, sì, le Camille sono delle merendine della Mulino Bianco, come i tegolini… guarda, ci assomiglia pure!» continua, mostrandomi il micio che, effettivamente, è a strisce proprio come i tegolini. Scoppio a ridere, come gli è venuto in mente lo sa solo lui. «Ti piace?»
«Se piace a te…» rispondo, scrollando le spalle. È il suo gatto, scelga lui, a me non interessa proprio. Considerando anche che sta bestiolina mi farà tirare mille bestemmie ogni volta che vengo qui. 
«Chissà se piace a lui… ti piace il tuo nuovo nome? Tu da adesso ti chiami Tegolino…» gli spiega, dandogli poi un bacetto, risposto con una zampettata in faccia. «Non l’avrai mica portato sul motorino, vero?» mi chiede, poi, con un’espressione severa.
«Ma va, ho scroccato la macchina a mia sorella…»
«Bravo, anche lui ha paura delle moto…» conferma. Giuro, è veramente la persona più felice del mondo con questo micetto che continua ad attentare all’integrità delle sue mani. È una scena davvero molto tenera.
«Beh, problematico come il padrone…» aggiungo. 
«Padrone a chi? Adesso lui è il re del mondo, non posso mica andare contro i voleri del gatto» commenta, sedendosi a terra con le gambe larghe e mettendo Tegolino sul pavimento. 
«Puoi mai viziare un gatto?»
«Non lo sgrido mica, scusa, chi potrebbe mai fare arrabbiare questo cosino carino?»
«Oh, tranquillo, a me ha già fatto tirare parecchi porci» 
«Perché sente il tuo astio»
«Il mio astio nasce dalla sua minuscola faccia tosta.»
«Eh, certo, guarda che musino!» uggiola, poi rimane un po’ in silenzio a giocarci.
«In macchina sono pieno di robe per lui… non… insomma, non potevo mica presentarmi con un gatto e tu non avevi manco da dargli da mangiare, no?» propongo, retorico. 
«Grazie, non dovevi»
«È ok… però vedi di non farlo diventare obeso in due settimane»
«Non ti prometto nulla» ribatte, ridacchiando. Sospiro, si troverà con un gatto palla in un batter d’occhio.
«E… beh, non so bene perché te l’ho regalato, ma… cioè, tra quello che adesso ha un reparto di ostetricia per gatti e tu che impazzisci ogni volta che vedi anche solo l’orecchio di un felino… mi era sembrata una buona idea per un momento» continuo, la voce che tradisce una punta di insicurezza, poi mi siedo a terra davanti a lui, che alza lo sguardo e mi fa un sorriso così grande da fargli sparire gli occhi. 
«Grazie mille, Gian, è troppo carino» mi dice, poi si allunga verso di me e mi dà un bacio sulla guancia.
«Figurati» sussurro, con lo stomaco un po’ in subbuglio e il viso che sta andando a fuoco. «Ti avevo già detto di non baciarmi, però» borbotto. Mi lancia un’occhiatina di striscio, accompagnata dalla sua solita espressione un po’ gongolante, io rimango immobile a scrutarlo in silenzio. 
Jacopo per certi versi è davvero complesso, non lo capisco quasi mai e, per quanto non sia emozionalmente stitico come la gran parte delle persone che mi circondano, c’è sempre un leggero velo di mistero che gli copre gli occhi. In pochissime altre cose, è la persona più facile del mondo: gli piacciono i gatti, voleva un gatto, ha avuto un gatto e adesso è felice per il gatto. E basta. Non ci sta pensando su, non si sta facendo delle pare sul perché, per come, per quando ho adottato questa bestiolina. Io sarei già in crisi su cosa abbia fatto io per ricevere una cosa che mi piace. Non sono bene in grado di godermi spontanee dichiarazioni d’affetto come fa lui. Nonostante il rispetto che ho per la loro vita, io e gli animali stiamo bene ognuno per i fatti propri, specie con i gatti e il loro carattere da bestie troppo autoritarie. Però devo ammettere che sono veramente contento di Tegolino. Non tanto per il gatto in sé che, ancora, fa troppo il superiore, più per come ha reagito Jaco. Se ne sta lì a guardarlo esplorare il tappeto –su cui è palese che tra dieci minuti ci lascerà una cacca gigante– col suo sorrisone da bambino compiaciuto. 
Sorrido quando lo vedo agitare le mani davanti agli occhi del micio. Non riesco proprio a capirlo, Jacopo, il novanta per cento delle volte ha dei comportamenti totalmente indecifrabili. Forse sarà che ci conosciamo da poco, oppure che gli vengono naturali certe cose, ma non ho ancora trovato un pattern per le sue azioni. Eppure, passare del tempo con lui mi piace davvero tanto. Mi sta dietro, a volte fa pure finta di interessarsi alle troiate che dico. Mi scappa una risatina, mi sgriderebbe per aver presunto che non gli interesso per niente. E anche se tutto il contatto fisico mi manda parecchio in crisi, anche io ho bisogno di calore umano di tanto in tanto.
«Alla fine l’hai iniziata Dark?» mi chiede, riferendosi alla serie che mi aveva consigliato la settimana scorsa. Annuisco, facendo un sorriso. È una di quelle cose un po’ tetre che piacciono a me, senza fiorellini o arcobaleni. 
«Non è brutta, ma non sto capendo niente per ora… ho solo capito che dei bambini sono scomparsi» commento. 
«Eh, vabbè, ci sta se sei all’inizio…»
«Però comunque non mi dispiace, sembra carina» continuo. «Grazie del consiglio, non sapevo più che guardare. Eli si vede solo telenovelas sudamericane, non ne posso più di sentir parlare di Alfonso, Gerardo e Altagracia…»
«Altagracia?» domanda, ridacchiando.
«Massì, la figlia illegittima di un tipo, violentata dal patrigno e che fa tipo la ballerina, figurati, la banalità, son tutte uguali»
«Sei veramente fantastico…» osserva, continuando a ridere. «…Sei tutto colorato e, poi, ti piacciono le serie cupe e tenebrose…»
«Beh, scusa, dimmi adesso che ti piacciono le telenovelas…»
«No, no, però le cose allegre sì. Che ne so… That ‘70s ShowHow I met Your MotherFriends… I classici» ribatte. «Una delle mie serie preferite è Una mamma per amica, fai te…»
«Ah! Di cose colorate mi è piaciuta Please Like me» gli dico, illuminato.
«Gian, ma è tristissima…»
«Ma che dici…»
«Ti prego, la mamma si suicida, l’ex scopa con un altro, il padre ha un’altra figlia, la sua vecchia tipa abortisce… è una tragedia dopo l’altra»
«Ma la casa è tutta colorata»
«Mangiano Adele…» sibila, riferendosi al gallo. «…cantando “Someone like you”. Sinceramente la lacrimuccia mi è scesa»
«Ma dai… non è mica così triste.» insisto. «E tu che mi prendevi in giro perché piangevo per le trote, loro almeno morivano davvero, mica come il sound effect che hanno messo nel montaggio»
«Non ti prendevo in giro. Ed era una scena triste, lasciami in pace.». Ridacchio, lui fa lo stesso. «Scusa, tu non piangi mai?»
«Non per i film»
«Bah, La Partita mi ha ucciso, tra un po’ piangevo pure il sangue…»
«Che roba è?»
«Oh, a te annoia, un film sugli scacchi». Ah, sì, sarà una palla tremenda. 
Roteo gli occhi al cielo e scuoto la testa. «Ovviamente» commento.
«Una volta dovremmo farla qualche partita»
«Sognatelo, le ho viste tutte le tue belle coppe e medagliette a casa dei tuoi, sono scarso come la merda e molto self-conscious, non intraprendo una battaglia suicida contro un campione…»
«Ma che campione…» brontola.
«Sì, non fare il finto modesto, che non ti viene bene.» ribatto. Appena ho visto in camera sua il suo palmares tutto ordinato, avevo pensato a un grande sportivo che si dedicasse a una disciplina… molto da “duro”, voglio dire: è gigante e ha la forza di un toro, avrebbe potuto essere un lanciatore di peso, o un lottatore, che ne so. Poi, invece, mi ha fatto un sorrisone e mi ha spiegato che in realtà sono tutti premi di tornei di scacchi. Suo padre gli ha insegnato a giocare a sei anni, lui l’ha presa molto sul serio e si è messo a fare tornei su tornei, in Germania, in Italia, alle elementari, medie, liceo e pure università, diventando pure capitano del team universitario. E avrei pure accettato di più se mi avesse detto che lo faceva solo per rendere fiero il padre, invece è solo tanto appassionato. Ci ha pure scritto la tesi magistrale sugli scacchi e i computer, mi ha provato a spiegare in breve, ma io non ho ascoltato un granché, che intanto era come se mi parlasse in cinese. Mi ha confuso un po’, non ha proprio l’aria del nerd fissato su una cosa come gli scacchi, ma poi, in realtà, mi ha fatto solo interessare un po’ di più. Sia a lui, sia agli scacchi, un gioco che non mi ha mai appassionato più di tanto.
«Ti prometto che una te la faccio vincere.»
«Tienitela.» asserisco, secco. «Se perdo pure con mia sorella ci sarà un motivo, non credi?»
«Ma sti cazzi, proviamoci, voglio solo vedere come giochi.»
«Male»
«Non mi basta»
«Che ti importa…?»
«Voglio solo vedere»
«Rompipalle»
«Fino alla fine dei miei giorni» conclude, sorridendo e dando fastidio a Tegolino. 
«Te ne concedo una. In base a quante mosse ti servono per battermi, determinerò quante altre partite possiamo fare.» lo informo, con le braccia al petto. 
«Sai intanto che batterti con una mossa sola è impossibile, vero?»
«Non sopravvalutarmi…» 
«Tu non sopravvalutare me, mi piace giocare e me la cavo, mica sono il campione del mondo.» 
«Ti fanno dei complimenti e manco li accetti…» lo provoco sarcastico.
«Mi piacciono i complimenti onesti.» ribatte.
«Che complessità, mamma mia…»
«Non mi hai nemmeno mai visto giocare e dici che sono un campione, come fai a saperlo? Magari baravo ai tornei e sono una sega…»
«Cuore, sono vent’anni che te la meni a girare per giocare a scacchi, so che non bari, nessuno che va fino a San Benedetto del Tronto solo per un torneo bara.» 
«San Benedetto del Tronto gran bel posto»
«Ma non lo metto in dubbio, però ti ripeto, sei partito da Milano e sei andato fin lì solo ed esclusivamente per giocare, nemmeno per andare al mare». Ride e mi prende per una spalla, trascinandomi verso di lui e spaventando il povero gatto che va a infilarsi sotto il divano. 
«Se vuoi te ne faccio uno io di complimento sincero, così impari e me ne fai uno anche tu.» propone.
«Tu sei un uomo davvero molto strano, lo sai?» commento, guardandolo interrogativo.
«Non intendevo questo…» risponde con un’espressione offesa. Sbuffo e gli tiro una piccola pacca sulla fronte, sentendomi abbastanza a mio agio per abbassarmi e appoggiare la testa sulla sua coscia. «Quindi, questo complimento?» mi chiede.
«Sei una chiavica…»
«Ti devo dire, non sei bravo per niente…»
«Uffa, che noia… non so, i tuoi occhi sono carini, sei contento?» borbotto, guardandolo storto. Lui mi fa un sorrisone e annuisce, passandomi una mano nei capelli.
«Io volevo dirti che sei molto simpatico, ma in realtà oggi sei un po’ un dito in culo con la sabbia…» inizia, grattandosi il mento.
«E tu sei uno stronzo, siamo pari…» brontolo, con le braccia al petto.
«Ecco, sei divertente…!» aggiunge, ridendo.
«Mi stai dando del clown?»
«Beh, un po’ lo sei» 
«Ripeto, stronzo…». Ride ancora, poi si distrae a guardarsi in giro, in un nanosecondo si allunga e agguanta Tegolino, mettendomelo sul petto.
«Ecco il nostro bambino. Che cucciolo…» mugola, accarezzandolo.
«Il nostro bambino?»
«Certo, adesso siamo i suoi genitori, vedi? È piccolo, non sa fare niente…»
«Chi è la mamma?»
«Che omofobo…» commenta, ironico. «Adesso vuoi dirmi che un gatto non può avere due padri? Anche se l’abbiamo adottato, siamo i suoi papà.»
«Secondo me, sei più un padre single…»
«Adesso non dirmi che scappi in Messico e non ti assumi le tue responsabilità…»
«Mh… mi sa che devo andare a prendere le sigarette…» mormoro, nascondendo una risatina.
«Guarda che i figli si fanno in due, eh! Ti spillerò fino all’ultimo centesimo di alimenti!» esclama, drammatico, stringendosi Tegolino al petto. «Non ti preoccupare, piccino, anche se papà Gian non ci vuole più bene e ci ha abbandonati, noi due ce la faremo da soli…» gli sussurra, dandogli un bacetto in mezzo alle orecchie. Scoppio a ridere. Che scemo. 
«Poi sarei io il clown…» mugugno, passandomi una mano sugli occhi. Lui ridacchia e mi rimette il gatto in braccio, continuando ad accarezzarlo, il polso appoggiato sul mio petto. Guardo Tegolino. Forse sono rotto dentro, ma non mi fa molta tenerezza. La manona di Jaco sulla sua minuscola testolina, però, mi scalda il cuore. Tutto Jaco lo fa. Solo Jaco è capace a farlo. 
   
 
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