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Autore: genius_undercover    26/05/2023    0 recensioni
[...] “Cos’è stato?!” La voce della prima donna rimbombò sulle pareti distrutte della struttura fatiscente.
“Topi schifosi.” Fu la risposta disinteressata dell’altra.
“Sì.” Confermò la Bestia. “Topi schifosi a forma di ladro inglese con arco e frecce.”
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AU post S4a
OutlawQueen, CaptainSwan, Snowing, Rumbelle (minor)
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Henry Mills, Regina Mills, Robin Hood
Note: AU, Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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The Most Powerful Witch 

 

           “STREGA!” 

Proruppe improvvisamente una voce sgraziata. 

“Vieni fuori, lo so che sei lì dentro!”

Si palesarono dei passi in avvicinamento. Alcuni pesanti, altri un po’ più leggeri a seguito. Poi, la porta si aprì di schianto: chiunque fosse, non solo aveva osato entrare in municipio alle sei e mezzo di mattina, -malgrado fosse risaputo che l’apertura dell’ufficio del Sindaco era alle otto- ma, non si era nemmeno preso la briga di bussare. 

Non c’erano dubbi, su di chi dovesse trattarsi. 

Regina trasse un respiro profondo per non perdere la calma e spostò lentamente gli occhi dai documenti che stava compilando con enorme interesse, per posarli sulle due figure davanti a lei. “Se hai intenzione di provocarmi, pirata, sappi che non sono dell’umore.”

“Perchè cosa non mi stupisce?” Chiese pleonasticamente Capitan Uncino, arrestando la sua camminata proprio davanti alla scrivania e rivolgendole un cortese cenno di saluto. “Mi rincresce disturbarti tanto presto.” 

“Sì, come no. Cosa vogliono da me un mezzo pirata col mascara e la moglie secchiona dell’Oscuro?”

“Credimi, tesoro, eviterei volentieri di vederti, ma c’è un’emergenza: le fate sono scomparse.” Esclamò Uncino.

“Di che fate parli?” Chiese Regina, assottigliando lo sguardo. 

“Le suore.” Spiegò Belle con dolcezza, prendendo la parola per la prima volta. 

“Io non ne so niente.” Premise la mora. 

“Lo sappiamo.” Rispose nuovamente la bibliotecaria. “Non siamo venuti per accusarti. Abbiamo ragione di credere che le suore siano rinchiuse dentro il cappello dello Stregone.”

Il sindaco spostò lo sguardo da Uncino a Belle. 

Se il primo non sembrava avere problemi a reggere i suoi occhi, la seconda stava facendo di tutto per non sembrare intimorita.

Chi accidenti aveva potuto mettere un manipolo di fate dentro un cappello? E perché? 

Non aveva importanza, Regina non voleva spenderci più tempo del dovuto. “Tiratele fuori, allora.” Dichiarò lapidaria. “Avete entrambi la mia benedizione.”

“Non è per questo che siamo qui!” Replicò Belle con cautela. “E non è così facile liberarle.”

“Perché.” 

“Perché sono trattenute dalla magia nera. Ho decifrato l’incantesimo: c’è un rituale da eseguire, ma io non sono in grado.”

“Quindi, dopo settimane passate a scervellarci, io e mademoiselle Belle qui presente speravamo che una strega buona e gentile come te potesse smettere di essere in lutto per un po’ e aiutarci a maneggiare il pugnale.” Concluse concluse Killian, sfoderando il migliore dei suoi sorrisi. 

Smetti di essere in lutto.

Lutto…

A Regina veniva la nausea al sospetto di aver involontariamente lasciato intravedere anche solo un accenno del suo dolore davanti a loro. 

E quel pirata insopportabile aveva ragione: Robin non era morto. 

Era da qualche parte, lontano da lei. Ma vivo, in compagnia di suo figlio e della rediviva moglie. 

A quel pensiero, la donna non ebbe altra scelta che posare la penna ed alzarsi. 

Quando aggirò la scrivania per infilarsi svogliatamente il cappotto, si rese conto che lo sguardo incredulo del capitano e quello supplicante della bella non l’avevano mai lasciata: non si sarebbero mai aspettati che lei acconsentisse di aiutarli così facilmente.

Regina stessa non sapeva nemmeno il perché avesse deciso di farlo, se doveva essere sincera. Sicuramente, l’aspettativa di ciò che avrebbero potuto combinare quei due incapaci con l’artefatto più pericoloso di tutti le metteva i brividi. 

“Chiamami strega un’altra volta” Disse rivolta a Killian, “e ti ritroverai senza lingua, oltre che senza eye-liner.” Poi spostò lo sguardo sulla bibliotecaria. “Fammi strada, Belle.” 

Giunsero nella radura poco distante dalla tenuta dell’Apprendista Stregone, dopo aver camminato per mezz’ora in perfetto silenzio. 

Emma Swan li stava attendendo nervosamente, con il pugnale avvolto in un pesante cencio nero. 

Non appena Uncino la scorse, si distanziò dalle altre due donne per andare a salutarla. 

“Regina!” Esclamò poi la Salvatrice con gli occhi sgranati. “Finalmente ti vedo! Come stai—”

“Bene.” Tagliò corto quella, la quale, ignorando completamente tutti, raggiunse il monolite già predisposto per l’incantesimo. 

“Non devi far caso Killian quando ti dice certe cose.” Mormorò Belle, avvicinatasi con la sua sempiterna gentilezza. “Io apprezzo davvero tanto che tu sia qui! Grazie per il tuo aiuto.”

“Ringraziami a cose fatte, anzi, meglio se non lo fai proprio.” Dichiarò a mora, stupita da tanta cortesia. 

“Perchè dici questo?”

“Perchè non devi ringraziarmi di niente.” Il rituale era scritto su dei fogli posti sopra una grande pietra monolitica, proprio accanto al cappello di Mago Merlino. “Dimmi piuttosto quanto tempo ci hai messo per tradurre questo affare.”

“Quasi sei mesi. Killian ha cercato e trovato i libri di rune, io mi sono impegnata a scovare i termini. È stata la cosa più difficile da fare da quando...da quando—”

“Capisco.”

“Ho lavorato giorno e notte, quasi ininterrottamente e non sono nemmeno certa della correttezza della traduzione, se proprio devo essere sincera.”

“Se tu sei insicura c’è da preoccuparsi.” 

“Se ci fosse stato lui sarebbe stato tutto più facile. Puoi…puoi sempre consultare l’originale, se preferisci.” 

“Non ne ho bisogno. È la tua preoccupazione, che mi da pensiero…perché sei abile con questo genere di cose.”

E quello era il più blando dei complimenti che Regina Mills fosse riuscita a fare a Belle in anni e anni. 

E la ragazza lo apprezzò enormemente. “Spero tu abbia ragione, a fidarti di me così tanto.”

“Lo vediamo subito.”

Pirata, Salvatrice e Bibliotecaria restarono in silenzio per minuti interi, mentre la Regina Cattiva leggeva concentrata le parole sul foglio immacolato. 

Era sempre bello, vederla in azione. 

Belle non aveva mentito. 

Il linguaggio era difficile, il rituale lo sembrava ancora di più, visto che andava imparato a memoria per poterlo eseguire, ma per Regina non era un problema: aveva imparato ad allenare la sua memoria sin da ragazza, assorbendo alla perfezione qualsiasi incantesimo o pozione riportato nei suoi libri di magia. 

Con un cenno di intesa, Emma le porse l’involto, e la mora afferrò saldamente l’elsa del pugnale con la massima attenzione. 

Non tolse i guanti di pelle: per trasformarsi in Oscuro, sarebbe bastato un solo taglio. 

Rivolse quindi il piatto della lama sul bordo del cilindro, toccandolo prima da un lato e poi dall’altro con movimenti precisi e misurati, nel mentre sussurrava a fior di labbra le parole per farlo schiudere. 

Infine alzò il braccio al cielo.

“Indietro, Swan.” Esclamó giusto in tempo: il cappello esplose di una luce abbagliante appena l’attimo successivo, facendo tremare la terra. 

Regina si affrettò a chiudere la voragine, e quando i tre spettatori riaprirono gli occhi, videro delle figure accovacciate ai piedi della pietra. 

Uncino ed Emma si precipitarono immediatamente in aiuto delle donne riverse sull’erba: erano deboli e tremanti, non si reggevano in piedi per il gran terrore. 

“Aiuto!” Gridò la superiora, scostandosi impaurita dalla mano tesa del pirata. 

“Va tutto bene, Turchina.” Esclamó la Emma, avvicinandosi di corsa. “Sei salva.” 

“Ma lui—”

“Non è colpa sua, c’entra Gold. Ti spiegherò tutto…ora lascia che ti aiuti.”

La fata lesse sincerità nei suoi occhi e fece quanto richiesto, mentre Belle prese cappello e pugnale in custodia.

“Ce l’hai fatta!” Disse poi trionfante, rivolta a Regina. 

Tu, ce l’hai fatta.” Ribatté quell’ultima, cercando di non sorridere a tanto entusiasmo. “Era tutto giusto. Non hai bisogno di nessun Tremotino per fare quello che vuoi e…i miei complimenti. Era perfetto.”

Fu la ragazza a sorriderle e a ringraziarla di nuovo.

“Voi due, state bene?” Chiese Emma, e sia Belle che la regina annuirono convinte. 

“Quelle che non stanno bene sono loro.” Fece presente la bibliotecaria. “Chiamo l’ambulanza.”

“Grazie...” Mormorò Turchina, trascinandosi verso la strada. “Per averci tirate fuori. Voi…non sapete che cosa abbiamo passato lì dentro.”

“Porgi i tuoi ringraziamenti al sindaco.” Esclamó la Salvatrice.

Regina dedicò alla fata un sorriso serafico e per niente rassicurante: nonostante tutto, si divertiva troppo a terrorizzare quelle sciocche creature con le ali, che distoglievano lo sguardo alla sua vista.  

Quando le sirene dell’ambulanza si fecero prossime, e le fate furono al sicuro all’interno del veicolo, le tre donne e il pirata decisero di fare ritorno in città a piedi. 

***

Il bosco circostante era calmo e silenzioso, ma per ognuno rappresentava qualcosa: Belle camminava persa nel ricordo della notte in cui aveva sposato l’uomo che amava. 

Emma non poté fare a meno di ricordare di essere stata ritrovata proprio tra quegli alberi, quando era ancora in fasce. 

Il suono improvviso del cellulare la riscosse: rispose, la conversazione fu breve, e per quanto si aspettasse una miriade di domande su come usare “il dannato parlofono”, Killian era innaturalmente silenzioso. 

“Che ti prende, Jones?”

“È stata colpa mia.” 

“No. Lo sai benissimo, di chi è la colpa.”

“Non avrei mai voluto far loro del male.” 

“Lo so...ma non si può fare altrimenti quando qualcuno ti controlla letteralmente il cuore. Non è vero, Regina?”

La diretta interessata non rispose a quella frecciatina, non l’aveva proprio sentita. 

“Regina?” 

Aveva lo sguardo perso e le mani affondate nelle tasche. Era fin troppo chiaro a chi stesse pensando, a chi le ricordasse l’odore della foresta nella quale stavano camminando. 

“Regina!”

“Sono proprio qui, Swan.” 

“Ha appena chiamato Whale.” 

“Ah, sì?”

“Ha detto che le suore sono solo stanche. Quel cappello stava prosciugando loro ogni energia vitale, ma a quanto pare la recupereranno in fretta. Le abbiamo salvate per miracolo.”

“Buono a sapersi.”

Emma arrestò la sua camminata. “Hai già fatto colazione?” Chiese.

La donna dai capelli corvini si fermò a sua volta e finalmente volse lo sguardo sull’altra. “Non ancora.” Le sfuggì, e la bionda sorrise. 

“Propongo di andare da Granny a festeggiare.” 

“Sarebbe perfetto:” approvò il capitano, “muoio di fame.” 

“È davvero un’ottima idea.” Fece eco Belle con ritrovata allegria. 

“Io non posso.” Dichiarò Regina. "Ho da fare."

“Oh, andiamo.” Sospirò la Salvatrice, sinceramente dispiaciuta. “Per quanto continuerai ad avercela con me?”

Regina alzò gli occhi al cielo. “Per la duecentesima volta, Swan, io non ce l’ho con te!“ 

“Ce l’hai con Killian?” 

“Io ce l’ho sempre, con Killian!” 

“Allora che mi dici di Belle, non vuoi vedere neanche lei?” 

Tutta quella conversazione cominciava a perdere ogni senso. 

“Di che diavolo stai parlando, mi prendi in giro?” 

“No! Voglio solo sapere perché continui ad evitarci…dopo essere stata lontana così tanto—” 

“Non vi sto evitando affatto, sia chiaro! Io non evito nessuno! Ho semplicemente da fare: sono il Sindaco, nel caso l’avessi dimenticato, e come tu ben sai, non posso permettermi di distrarmi neanche un attimo in questa città.” 

“Hai assolutamente ragione, Sindaco dei miei stivali: l’ultima volta non abbiamo neanche potuto bere in pace. Farò in modo di rimediare anche questa." 

“Che cosa vuoi dire?”

“Che oltre che a bere, sei obbligata a fare colazione con noi tutte le mattine! Vedi di trovare il tempo.” 

“Se pensi di potermi obbligare a fare qualsiasi cosa ti sbagli di grosso, Swan. Il tuo fidanzato è quello, dai ordini a lui, che magari ce la fai.” 

Killian abbozzò un sorriso divertito: era sicuro di essere mal sopportato da Regina, quindi darle fastidio era decisamente uno dei suoi passatempi preferiti e vedere Emma prodigarsi nel medesimo scopo era davvero soddisfacente. 

“Vorrà dire che mi presenterò nel tuo ufficio tutti giorni.” La sentí rispondere, e Regina perse definitivamente la pazienza.

“Faresti bene a lasciarmi in pace.” 

“Ma perché—“

Lo sguardo che la mora le rivolse, fu più che sufficiente per troncare la conversazione. 

Regina rivolse un cenno di congedo a Belle, ignorò volutamente Uncino e sparí in una nuvola di fumo viola. 

         Ci mancava solo questa.

Pensò la mora, silenziando il cellulare: Mary Margaret la stava chiamando da almeno dieci minuti buoni…e lei non aveva alcuna voglia di ascoltare tutti i suoi insulsi discorsi sull’affetto, sui buoni sentimenti e soprattutto sulla speranza. 

Andassero al diavolo lei e la speranza! 

“Mamma?” Proruppe una voce dal piano inferiore. “Mamma! Dove sei?”

Regina si precipitò giù per le scale. Per poco non urtò suo figlio.

“Tesoro.” Esclamò sorpresa. “Che ci fai qui così presto?” 

“Finalmente ti ho trovata.” Henry sembrava agitato, troppo agitato per la sua indole calma. Sicuramente stava cercando di riprendere fiato dopo una lunga corsa. “Ho saputo quello che hai fatto questa mattina, Emma mi ha raccontato tutto.”

“È…successo qualcos’altro?” Domandò lei, precipitando immediatamente nell’apprensione più totale.  

“No, ma so che sei stata davvero grande.” 

La donna sorrise intenerita dalle parole del figlio, che la abbracciò forte. 

“Ordinaria amministrazione.” Gli rispose lei, sciogliendo poi l’abbraccio. 

Henry alzò un sopracciglio. “Era modestia, questa?” 

“È la verità, sciocco!” 

“Belle e Uncino non la pensano così!” Continuò il ragazzino, decisamente troppo entusiasta. “Ci stanno aspettando da Granny, sai?” 

“Non sei con Mary Margaret, oggi?”

“Voglio andarci con te.”

Regina indugiò un lungo istante.

Henry le era stato accanto più di tutti, negli ultimi tempi. 

Aveva dormito molte notti a casa in Mifflin Street, nonostante la maggior parte delle volte avesse dovuto dormire da Emma. 

La donna sospettava che da quando Robin se n’era andato, Henry volesse passare del tempo con lei, per non farla sentire più sola di quanto non riuscisse a dimostrare…

Era tutto ironico. 

Dopo aver passato anni e anni a combattere per avere un po’ d’affetto da suo figlio, quella era la prima volta in cui Regina desiderava veramente di stare sola. 

Invece, da quel dannato giorno al confine, ognuno aveva stranamente cominciato ad assillarla d’attenzioni e l’auto isolamento era stato l’unico deludente risultato che gli Azzurri, Emma e quel noioso di un pirata avevano ottenuto da lei. 

Regina era insofferente. 

Le sarebbe bastato così poco per tornare cattiva come prima…l’incanto per attivare il suo specchio lo ricordava ancora: avrebbe potuto ritrovare quel traditore di Sydney e poi regolare i conti con Biancaneve e la sua Azzurra famiglia una volta per tutte sarebbe stata una sciocchezza.

Allora l’avrebbero lasciata finalmente in pace. 

Ma poi dov’erano finiti i tempi in cui le bastava un’occhiataccia per rimettere ognuno al suo posto?

Erano finiti con Henry. 

Il suo Henry…sempre allegro e sorridente. Solo lui riusciva con il più piccolo gesto a renderla così orgogliosa da non farle perdere la speranza, da non farla cedere all’oscurità nonostante la tentazione continua e spossante.

“Per favore, andiamo da Granny, sono secoli che non mangiamo lì insieme. Per favore!”

“E va bene.” Cedette la donna, abbandonando immediatamente ogni ridicolo pensiero di vendetta. Non poteva rifiutare una richiesta del genere del suo piccolo principe, non se lui glielo chiedeva con quel tono. “Ti accompagno.” 

Il ragazzino trasse un sospiro di sollievo, sorrise, e si diresse fuori dal municipio con la mano avvolta attorno al polso di sua madre. 

   
 
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