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Autore: starlight1205    28/05/2023    2 recensioni
Edimburgo, 1996
Diana Harvey è una normale ragazza che vive con la zia e lavora nel negozio di antiquariato di famiglia. Una serie di circostanze e di sfortunati eventi la porteranno a confrontarsi con il mondo magico, con il proprio passato e con un misterioso oggetto.
Fred Weasley ha lasciato Hogwarts e, oltre a dedicarsi al proprio negozio Tiri Vispi Weasley insieme al gemello George, si impegna ad aiutare l'Ordine della Fenice nelle proprie missioni.
Sarà proprio una missione nella capitale scozzese a far si che la sua strada incroci quella di una ragazza babbana decisamente divertente da infastidire.
[La storia è parallela agli eventi del sesto e settimo libro della saga di HP]
- Dal Capitolo 4 -
"Diana aveva gli occhi verdi spalancati e teneva tra le dita la tazza di tè ancora piena.Non riusciva a credere a una parola di quello che aveva detto quel pazzo con un'aria da ubriacone, ma zia Karen la guardava seria e incoraggiante. Il ragazzo dai capelli rossi nascondeva il suo ghigno dietro la tazza di ceramica, ma sembrava spassarsela un mondo. Diana gli avrebbe volentieri rovesciato l'intera teiera sulla testa per fargli sparire dal viso quell'aria da sbruffone."
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bellatrix Lestrange, Fred Weasley, George Weasley, Mundungus Fletcher, Nuovo personaggio | Coppie: Bill/Fleur
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: II guerra magica/Libri 5-7
Capitoli:
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I giorni scivolavano lenti e inesorabili con lo stesso monotono suono delle gocce di umidità che imperlavano le pareti della cella e rimbombavano nella mente ferita di Diana.
Cercava di mantenersi sana di mente, ma la cosa le risultava molto difficile. 

Ben era un Mangiamorte?
Lui e suo padre erano complici?
Fred stava bene?

Dentro alle pareti di quella maledetta cella, le preoccupazioni, le paure e gli interrogativi sembravano dilatarsi e gonfiarsi a dismisura, togliendole il sonno e distorcendo la realtà in una versione alterata.

Suo padre aveva ucciso sua madre.
Lo aveva fatto volontariamente o era stato un incidente? Ben lo aveva avvertito tramite quella lettera...e suo padre aveva proseguito imperterrito.
Benjamin sapeva ogni cosa ed era rimasto zitto.

Quei pensieri non le lasciavano tregua: oltre alla fame e al freddo che pativa tra quelle mura, si torturava con quelle domande fino a farsi venire il mal di testa.
Il potere del Blackhole sembrava essere svanito: ogni volta che tentava di concentrarsi le tornava in mente l’esplosione con cui aveva colpito Fred e un senso di orrore e disgusto la bloccava in uno stato d’impotenza. 
L’ormai famigliare ronzio era ridotto ad un flebile e quasi impercettibile sussurro.
Non riusciva a sentire nulla se non la fame, che le faceva gorgogliare dolorosamente lo stomaco vuoto, e il freddo gelido e strisciante che le si insinuava nelle ossa come se si trovasse continuamente di fronte ad un esercito di Dissennatori.
L’unica cosa che era certa di sapere era che Fred le mancava terribilmente.
Le mancava il suo sorriso, le sue battute e persino i suoi scherzi che, di solito, non facevano altro che mandarla su tutte le furie.
I ricordi dei momenti passati insieme la riscaldavano di un effimero sollievo destinato a trasformarsi subito in amare fitte di dolore nel domandarsi se lui, George e Lee stessero bene e fossero al sicuro.
Ogni volta che si ritrovava a pensare a Fred e a quanto le mancasse, avvertiva un miscuglio di sentimenti contrastanti: senso di colpa, risentimento e tristezza.
Fred aveva mentito e non aveva mantenuto fede alla promessa che le aveva fatto e quella consapevolezza la faceva soffrire molto più di quanto non potesse farlo la mancanza di cibo, il freddo o la paura.
Eppure la nostalgia sembrava scavarle una voragine nel petto ad ogni respiro a dispetto di ogni razionale ragionamento che il suo cervello potesse partorire.

Il giorno e la notte si confondevano in un unico intricato groviglio e lo scorrere del tempo era scandito solo dalla consegna dei pasti che si materializzavano in totale autonomia all’ingresso della cella: nessuno si era più preso la briga di scendere nelle segrete, fatta eccezione per un piccolo uomo con una mano argentata che veniva a prelevare puntualmente il signor Olivander per condurlo fuori dalla cella per quelle che sembravano delle ore.
Diana aveva provato più volte a fare domande al carceriere, a implorarlo di farla parlare con Ben, ma tutto ciò che aveva ricevuto era stata una totale indifferenza celata dietro gli occhietti azzurri e acquosi.
- Murray non è qui - si limitava a rispondere l’uomo con dissimulato fastidio per cercare di porre fine alle insistenti richieste di Diana.

L’unica novità durante quelle giornate interminabili e quelle notti insonni fu rappresentata dall’arrivo di un nuovo prigionero.
Diana e Olivander avevano da poco consumato uno dei pasti, quando la porta in cima alle scale si era aperta con un clangore metallico, attirando la loro attenzione e facendoli sporgere verso le sbarre per cercare di capire cosa stesse accadendo.
Un uomo alto e dai lunghi capelli scuri che Diana non aveva mai visto prima di allora, spintonava con malagrazia una ragazzina giù dalle scale, tenendole la bacchetta puntata tra le costole.
Le torce ai lati dell’ingresso della cella si accesero inondando di una danzante luce giallastra l’ambiente cupo e illuminando i due nuovi arrivati: Diana notò che l’uomo aveva una profonda cicatrice su una guancia.
Mentre, il suo sguardo si abituava lentamente alla luce, le sbarre sparirono per il tempo necessario affinchè la ragazza venisse sospinta verso di loro e subito riapparirono, mentre l’uomo, senza dire nemmeno una parola, già saliva le scale per tornare sui propri passi.
Diana stava ancora fissando con astio le sbarre quando una voce femminile dall’aria trasognata la riscosse: - Io ti conosco...
Diana si voltò ad osservare la ragazza: era bionda con dei lunghi capelli mossi e gli occhi azzurri spalancati nello scrutare l’ambiente circostante.
- Eri al matrimonio di Bill Weasley! - continuò la ragazza con voce più sorpresa che spaventata - ci hai protetto con quello strano incantesimo...avevi i capelli rossi però!
- Luna? - azzardò Diana nel ricordare la stramba amica di Ginny Weasley che aveva cercato di aiutare durante l’attacco alla Tana - come…come sei arrivata qui?
Olivander, nel frattempo, aveva ascoltato interessato il dialogo tra le due ragazze.
- Signor Olivander? - domandò Luna in tono nebuloso.
- Signorina Lovegood - annuì lui con tono stanco prima di mettersi a enunciare le caratteristiche della bacchetta che aveva probabilmente venduto alla ragazza.
Diana sospirò battendo nervosamente il piede sul pagliericcio.
Luna raccontò velocemente di essere tornata a casa per le vacanze di Natale e di essere stata rapita dai Mangiamorte a causa del lavoro del padre, il quale gestiva una rivista apertamente schierata contro le nuove posizioni del Ministero e di Voldemort. 
Diana ricordò di aver sentito Lee parlare de “Il Cavillo” e di quanto fossero pericolose le notizie che il direttore si azzardava a riportare.
L’arrivo di Luna Lovegood portò con sè un leggero miglioramento: nonostante la ragazza fosse molto particolare e Diana non capisse la maggior parte delle stranezze di cui blaterava, era comunque una presenza che emanava ottimismo e buonumore, anche rinchiusa in una cella a metri sottoterra.
L’unico modo per passare il tempo e per evitare che la sua mente impazzisse alla ricerca di risposte o si torturasse con teorie assurde, era intrattenere una conversazione con Olivander e Luna.

Un giorno in cui Diana si sentiva più triste e scoraggiata del solito iniziò a fare domande all’anziano fabbricante di bacchette. 
Stavano mangiando, ognuno addossato a un angolo della cella. 
Quella notte, Diana non aveva chiuso occhio. Riversa sullo scomodo pavimento aveva fissato le pietre umide fino a che queste non avevano lentamente preso le sembianze del viso sorridente di Fred e poi di quello di sua madre. 
Il pensiero di suo padre che uccideva lentamente sua madre le provocava dolorosi crampi allo stomaco. L’idea che l’avesse guardata morire, mentre il Blackhole le risucchiava le forze fino a prosciugarla le faceva digrignare i denti per la rabbia e il disgusto che provava verso quell’uomo assurdamente imparentato con lei.
- Dove va tutte le volte che la portano fuori dalla cella? - chiese Diana mentre si passava una mano tra i capelli biondi ormai incrostati di sporcizia.
- Li aiuto con un lavoro - rispose in un sospiro Olivander.
- Non dovrebbe farlo - lo rimproverò Diana in tono rabbioso - io non aiuterei mai le persone che mi tengono prigioniera!
- Pensa che abbia scelta, signorina Harvey? - le domandò severamente Olivander sollevando lo sguardo verso di lei.
Diana deglutì. 
No, non aveva scelta. Nessuno ce l’aveva.
- Come hai fatto al matrimonio a lanciare quell’incantesimo senza usare la bacchetta? - chiese Luna interessata inserendosi nella conversazione.
- Luna, te l’ho già detto - sbuffò Diana - non ho una bacchetta perchè sono babbana e non ho lanciato nessun incantesimo!
- Non sapevo che i Weasley avessero parenti babbani... - constatò Luna adombrandosi.
- Infatti non sono loro parente... - ammise Diana in un borbottio, giocherellando con un chiodo arrugginito che stava cercando di sfilare da giorni da una fenditura tra le pietre sconnesse della parete - sto...insomma, stavo... - tentennò indecisa sulle parole da pronunciare - con Fred Weasley...
Sperò che Luna non fosse il tipo di persona da domande indiscrete, ma la ragazza la smentì prontamente chiedendo: - Nel senso che Fred Weasley è il tuo ragazzo?
Diana avvertì di nuovo quell’accozzaglia confusa di sentimenti contrastanti nell’udire quella domanda, ma rispose: - Più o meno sì...
Luna non indagò oltre, ma rimase a studiarla con gli occhi chiari velati da un’ombra di curiosità, prima di riscuotersi e domandare: - Ma avevi un medaglione quel giorno! Non ho mai visto un oggetto simile...
Diana sgranò gli occhi nel constatare la facilità con cui Luna Lovegood passasse da un argomento all’altro senza alcuna apparente connessione logica.
- Era un Blackhole - si rassegnò a spiegare in tono mesto: il solo menzionare il suo vecchio orologio, le provocò una dolorosa fitta al petto.
Quante notti lo aveva stretto tra le mani per trovare la forza di andare avanti dopo la morte di sua madre, di zia Karen…
Luna parve spalancare ancor di più gli occhi azzurri e Olivander raddrizzò la testa in uno scatto improvviso per guardarla.
- Lo sapevo che esistevano! - soffiò Luna estasiata.
- Questo spiegherebbe perchè lei è qui - constatò invece Olivander facendosi pensieroso.
- In che senso? - domandò Diana sospettosa.
Olivander abbassò la voce come se temesse che qualcuno potesse sentirli: - E’ questo che mi fanno fare quando mi portano fuori dalla cella! Mi fanno lavorare su un Blackhole per cercare di capire come estrarre la magia che possiede!
- Il Blackhole è qui? - sibilò Diana agitandosi - Un orologio da taschino? Estrarne la magia? E’ possibile??
Olivander si limitò ad annuire e a farle cenno di tacere, perchè l’uomo che Diana aveva scoperto chiamarsi Codaliscia era appena apparso davanti alla porta della cella e stava facendo scattare il chiavistello per portare il fabbricante di bacchette con sè, come accadeva quasi ogni giorno.
Olivander, remissivo, stava già seguendo il carceriere fuori dalla prigione, ma Codaliscia alzò una mano per fermarlo ,e per la prima volta, si rivolse a Diana: - Oggi sono venuto a prendere te.
Diana, esasperata dalla fame, dalla reclusione e dall’assenza di risposte, strinse i pugni in un impeto di coraggio e sbottò ferocemente: - Non verrò da nessuna parte se prima non mi fate parlare con Ben.
Quel piccolo omino dall’aria viscida non riusciva a incuterle nessuna paura.
Codaliscia, sbuffando e assumendo un sorriso crudele, la colpì con un rapido e preciso manrovescio sul viso con la mano argentata. 
Il dolore la raggiunse bruciante e improvviso, mentre perdeva l’equilibrio e si ritrovava riversa a terra con il sapore del sangue a riempirle la bocca e le orecchie che fischiavano.
Diana lo squadrò con rabbia sputando il sangue e ripulendosi le labbra con la manica della felpa.
- Alzati e seguimi - ordinò lui strattonandola in piedi con la mano argentata per condurla fuori dalla cella e poi lungo un corridoio tetro che si snodava come un serpente nelle viscere di quel luogo inquietante.
Il penetrante odore di muffa e umidità le intasava le narici mescolandosi al sapore ferroso del sangue mentre varcavano la soglia di un’ampia stanza piena di oggetti stravaganti.
In mezzo a fiale e ampolle dall’aspetto sinistro, strani e antichi strumenti astronomici, calderoni ribollenti e vetrine stipate di ingredienti inquietanti e viscidi si stagliava la figura che Diana aveva meno voglia di vedere in assoluto.
Bellatrix Lestrange si voltò a guardarla con sufficienza mentre Codaliscia spingeva Diana in mezzo alla stanza per dileguarsi velocemente.
Diana rimase paralizzata sul posto, terrorizzata dall’imprevedibile follia di cui ormai era certa che la strega fosse capace. Bellatrix, però, si limitò a fissarla, annoiata, lasciandola in una spasmodica e inquietante attesa, come se si divertisse ad osservare il terrore che era in grado di provocare.
Un cigolio alle spalle di Diana annunciò l’arrivo di un nuovo ospite.
Diana si voltò e non appena i suoi occhi incrociarono quelli del nuovo arrivato, avvertì il sangue ghiacciarsi nelle vene e, subito dopo, iniziare a ribollire per la rabbia.
Bellatrix si riscosse e, con il viso deformato da un sorriso disgustato, asserì: - Bene, ora che ci siamo tutti, possiamo iniziare!

                                                                                  °°°°°°


Come ogni giorno, Daniel Harvey era seduto nell’angusta stanza nella quale era stato relegato all’interno del Malfoy Manor.
Non era una cella con sbarre alle finestre, ma era comunque una prigione.
Non poteva muoversi liberamente nè lasciare quella stanza spoglia senza essere accompagnato da qualcuno, ma forse, da una parte era meglio così dati gli individui che si aggiravano per quella signorile dimora.
Nonostante fosse più o meno certo che nessuno gli avrebbe fatto del male, era comunque un Magonò che si aggirava all’interno del covo dei Mangiamorte per eccellenza, dove gli ideali della purezza di sangue erano sempre il metro di giudizio primario.
Si sentiva come una pecora braccata dai lupi, pronta ad essere divorata al primo passo falso.
Quando Peter Minus, meglio noto come Codaliscia, lo scortava per le ampie e scure stanze della villa, percepiva gli sguardi carichi di disprezzo che ogni mago o strega gli riservava. Lo ritenevano uno schifoso essere inferiore, indegno e deplorevole quanto un grosso scarafaggio.
Ad ogni affilata occhiata, Daniel deglutiva e abbassava il suo sguardo, pregustando e assaporando il momento in cui finalmente avrebbero smesso di guardarlo così.
Il momento in cui si sarebbero accorti che lui era il tassello fondamentale per la vittoria del Signore Oscuro.
Oh, sì, dopo li avrebbe guardati lui dall’alto in basso.
La sola idea di scrutare con superiorità quegli stupidi purosangue che per tutta la vita lo avevano fatto sentire inadeguato e sbagliato lo faceva fremere di gioia.
Non era affatto colpa sua se era nato Magonò.
Quando i poteri del Blackhole sarebbero stati suoi, si sarebbe tolto le sue piccole soddisfazioni.
E il primo con cui avrebbe cominciato sarebbe stato Benjamin Murray.
Era già stata una soddisfazione vedere l’uomo che anni prima lo aveva cacciato dalla propria casa, cercarlo assiduamente mentre in realtà Daniel era nascosto proprio al Malfoy Manor.
Aveva sparso false tracce qua e là in vari luoghi per far sì che Benjamin rimanesse fuori dai piedi per un po’, in modo che lui potesse lavorare tranquillamente sul Blackhole.
In fondo, al Signore Oscuro non importava chi fosse il babbano della leggenda del Blackhole.
A lui importava solo di sconfiggere Harry Potter e di prendere completamente il potere sul mondo magico, ma Daniel Harvey non aveva migliore occasione per ottenere ciò che aveva da sempre desiderato.
La magia.
L’unica cosa che non aveva mai potuto avere e che invece aveva bramato con tutto sè stesso.

Era dolorosamente ironico il fatto che l’unico ostacolo fosse rappresentato da sua figlia.
Daniel Harvey, purtroppo, non era mai riuscito a volerle davvero bene.
Non si era mai sentito tagliato per fare il padre, ma aveva amato sua moglie Sarah, la quale aveva desiderato così tanto un figlio tanto che Daniel aveva ceduto per farla felice.
Non aveva mai voluto prendere in considerazione la possibilità di tramandare ad un eventuale discendente la sua totale mancanza di magia, ma Sarah gli aveva fatto cambiare idea.
Lo ameremo comunque che sia mago o babbano, gli aveva detto Sarah accarezzandosi il pancione.
E lui per un po’ ci aveva provato a crederle, anche se sepolta nelle profondità del suo animo coltivava la presunzione che quella piccola bambina dai capelli biondi sarebbe diventatata una piccola e coraggiosa Grifondoro o un’intelligente e brillante Corvonero.
Invece, Diana non era niente.
Era banalmente e tristemente identica a lui.

- Sei pronto? 
La voce di Codaliscia seguita da un colpo alla porta lo riscosse dai suoi pensieri facendolo alzare di scatto.
La porta si aprì e il suo ormai personale carceriere rivolse solamente una fugace occhiata indagatoria prima a lui e poi all’interno della stanza, poi gli fece cenno di seguirlo lungo il corridoio, poi giù dalle scale e attraverso il dedalo di corridoi e porte alle quali ancora non si era abituato.
- Lei è già nel laboratorio - esordì Codaliscia in tono asciutto senza nemmeno guardarlo.
Daniel sbattè le palpebre, sorpreso da quell’affermazione.
- Diana? - si accertò Daniel continuando a seguire l’uomo nella discesa verso i sotterranei.
Come risposta ottenne solo un lieve cenno di assenso con il capo.
- Benjamin? - sondò il terreno Daniel con tono titubante.
- Non ci sono novità su di lui - spiegò Codaliscia con voce leggermente più tremante man mano che si avvicinavano alle segrete.
Daniel annuì soddisfatto.
Per una volta ogni cosa sembrava andare nel verso giusto.

Si arrestarono di fronte ad una vecchia porta in ferro arrugginato che aveva tutta l’aria di essere anche parecchio pesante; attraverso una piccola grata al centro poteva intravedere qualcuno muoversi all’interno della stanza.
Si avvicinò.
Diana si guardava intorno con gli occhi verdi spalancati, il viso smunto e scavato, i capelli arruffati erano spenti e sporchi. Tutta l’attenzione di sua figlia era rivolta verso la figura di Bellatrix Lestrange che si aggirava con aria annoiata per l’ambiente, toccando senza motivo un’ampolla o un libro solo per il gusto di far innervosire chi aveva di fronte.
Daniel avvertì una leggera stretta allo stomaco nell’osservare il profilo di Diana, così simile a quello della defunta moglie.
Non voleva farle del male.
Non era di certo un sadico malato di mente.
Voleva solo prendersi quel potere che sua figlia non aveva mai nemmeno voluto.
Codaliscia aprì la porta ed entrambe le figure femminili all’interno si voltarono verso di loro.

Daniel raddrizzò la schiena assumendo un’aria stoica e indifferente, mentre sia sul viso di Diana che su quello di Bellatrix si disegnava la medesima espressione di disgusto.
- Bene, ora che ci siamo tutti, possiamo iniziare!

                                                                           
°°°°°°°°°


- Che ci fai qui? - Diana Harvey udì la propria voce sibilare minacciosa, mentre il suo corpo si irrigidiva in un’involontaria posizione difensiva.
Daniel Harvey era in piedi di fronte a lei.
Suo padre era pallido e i capelli biondi striati di grigio erano più corti di quanto ricordasse. Le sorrise mellifluo, tanto da provocarle un conato di vomito e domandò: - Non sei contenta di rivedermi?
Diana non rispose, ma si limitò a stringere i pugni conficcandosi le unghie nei palmi per la tensione.
La sua lingua sembrava paralizzata e il suo cervello anestetizzato dall’odio che si ingrossava come un’impetuosa e tempestosa onda.
L’uomo prese a muoversi nella strana stanza come se la frequentasse abitualmente e iniziò a trafficare con i libri sulla scrivania.
Sia Diana che Bellatrix tenevano gli occhi incollati su Daniel Harvey: la prima sospettosa e circospetta, la seconda annoiata e con aria di superiorità.
- Che ci fai qui? - ripetè Diana in tono acuto, mentre sentiva le mani tremare per il disgusto.
Daniel la degnò a malapena di uno sguardo e riprese a trafficare con le pagine di un vecchio libro.
Diana setacciò con lo sguardo la superficie del vecchio tavolo e sentì il fiato mozzarsi nel petto nel notare il Blackhole malamente appoggiato tra un’ampolla e un sacchetto di cuoio dall’aria logora e sporca.
- Sono qui per aiutarti - rispose Daniel con un luccichio sinistro nello sguardo senza distogliere lo sguardo dalle pagine del libro come se fosse intento a leggere gli ingredienti di una ricetta.
Se Diana non fosse stata così invasa dalla rabbia nei confronti del padre, si sarebbe di certo messa a ridere.
- Tu? Aiutarmi? - commentò in tono disilluso la ragazza e poi, con aria pensierosa quasi come se stesse parlando tra sè e sè, domandò - Ben... dov’è? Lui ha detto che ti stava cercando...Gli hai fatto del male?
Daniel scrollò le spalle tenendo il segno con un dito puntato ancora sulla pagina e alzò lo sguardo carico di risentimento:
 - Evidentemente non ha pensato di cercare nel posto più ovvio. Tipico...
Bellatrix accennò un sorriso che subito si tramutò in una smorfia di disgusto, come se anche trovare vagamenti divertenti le parole di un Magonò potesse essere considerata un’onta da cui purificarsi il prima possibile.
- Tu - Diana si rivolse a Bellatrix senza pensare quanto fosse rischioso - eri dalla parte di Benjamin e ora stai con lui? - indicò il padre con sdegno.
Bellatrix fu percorsa da un brivido e sibilò: - Io non sto dalla parte di nessuno, stupida bambina! Io sono fedele solo al Signore Oscuro e lui ha i suoi buoni motivi per avere dei dubbi su Murray visto il tempo che ci ha messo per portarti qui! Tuo padre, pur essendo uno schifoso Magonò, è stato decisamente più utile…
Diana si morse la lingua per zittirsi, visto che Bellatrix la fissava minacciosa e con lo sguardo assottigliato.
Daniel Harvey allungò finalmente le mani sul vecchio orologio da taschino per afferrarlo e Diana, di fronte a quel gesto, si sentì sprofondare nell’angoscia e nello sdegno.
- Che vuoi fare? - boccheggiò costernata.
- Una cosa semplice semplice - spiegò candidamente Daniel - voglio il potere del Blackhole, ma per una strana coincidenza quel potere è legato a te. Voglio spezzare il legame che il Blackhole ha con te per trasferire il potere a me.
Diana sgranò gli occhi e aprì la bocca senza emettere alcun suono, sentendosi quasi violata internamente di fronte a quell’eventualità.
- Esiste una leggenda che narra che il Signore Oscuro potrà sconfiggere Harry Potter con l’aiuto di un babbano che abbia ricevuto i poteri dal Blackhole. E ho intenzione di essere io quel babbano. Quindi, se sarai collaborativa sarà una cosa rapida...se invece opporrai resistenza... - inclinò il capo di lato con espressione triste - beh, sarà una cosa un po’ meno rapida!
- E come pensi di farlo? - soffiò Diana inquietata e ipnotizzata dalle parole del padre.
Daniel Harvey aveva appeso il Blackhole ad un gancio di metallo appeso all’alto soffitto.
Bellatrix Lestrange agitò la bacchetta per far comparire una grossa e spigolosa sedia di legno scuro.
- Siediti - Daniel Harvey indicò con gentilezza la sedia.
Diana rimaneva in piedi solo grazie al disprezzo che provava per l’uomo che aveva contribuito a metterla al mondo e non accennò a muovere un muscolo.
- Ho detto “ Siediti” - ripetè duramente Daniel e questa volta la strattonò malamente per un braccio per farla sedere.
Non appena fu fatta gentilmente accomodare, per magia, dalla sedia comparvero due manette che le bloccarono i polsi ai braccioli e altre due le scattarono intorno alle caviglie per incatenarla a quella che sembrava essersi trasformata in un’arma di tortura medievale.
Diana si agitò con un ringhio, mentre il metallo freddo le affondava nella poca carne che le era rimasta.
Bellatrix Lestrange ridacchiò e si avvicinò al viso di Diana, tanto che la ragazza poteva sentire l’alito caldo sul proprio collo e vedere la folle luce maligna che animava lo sguardo della strega.
- Ti colpirò con così tanti incantesimi che il tuo stupido potere non potrà farci un bel niente!
Diana deglutì a vuoto per cercare di ripristinare la salivazione del tutto azzerata per il terrore, si ritrasse dalla donna rintanandosi contro lo schienale della sedia e spostò lo sguardo verso suo padre come a cercare un ultimo barlume di umanità, ma lui si limitò a scrutarla con indifferenza.
- Diana - il padre le parlò con tono di rimprovero - è davvero una cosa semplice! Tu verrai colpita dall’incantesimo, l’energia fuoriuscirà da te, colpirà l’orologio e il gioco sarà fatto. Il potere tornerà al suo posto e tu sarai libera.
Diana serrò le labbra e sollevò il mento: non avrebbe permesso che ciò accadesse.
Non avrebbe fornito a Voldemort un’arma letale per uccidere Harry Potter.
Diana prese un profondo respiro e chiuse gli occhi proprio un attimo prima di udire Bellatrix Lestrange pronunciare la formula del primo incantesimo.
Il formicolio la invase.
Doveva evitare che il suo potere esplodesse.
Il latente ronzio si impennò come attraversato da una corrente elettrica ad alto voltaggio e azzerò ogni altro rumore nella stanza.
Doveva resistere.
Strinse i denti fino a farsi male, serrò gli occhi tanto da vedere piccoli ghirigori danzanti all’interno delle palpebre e ghermì i braccioli della sedia conficcandovi dentro le unghie.
Doveva resistere.
Pensò a Fred scaraventato contro ad una parete da un’esplosione di luce azzurra.
E resistette.

Nelle settimane successive, Diana fece molta fatica a distinguere ciò che era reale da ciò che non lo era.
Ogni giorno era uguale al precedente.
Incatenata alla grossa sedia, veniva colpita da un incantesimo dopo l’altro. 
Dolore. 
C’era solo quello.
Taglienti fitte che si susseguivano una dopo l’altra conficcandosi in ogni parte del suo corpo come lame affilate.
Ogni volta che un incantesimo la colpiva cercava di focalizzarsi su altro per non pensare al potere del Blackhole che minacciava di sopraffarla.
Solitamente era a Fred che pensava.
Il solo ricordare di quanto il potere del Blackhole fosse instabile e pericoloso per le persone che le stavano vicino e che amava le dava la forza di trattenersi e di tenere a bada la dirompente energia.
Non era una passeggiata, perchè il trattenere l’energia era più doloroso e faticoso che mai, ma era incredibilmente riuscita nel proprio intento.
Ricordava il ghigno perfido ed eccitato di Bellatrix Lestrange farsi sempre più frustrato e nervoso di fronte ad ogni tentativo fallito di estorcere la magia racchiusa in lei, anche se questo rendeva sempre più caparbia e folle la strega.
Diana cercava di sopportare le costanti torture fino a quando le forze non la abbandonavano in uno stato di semi incoscienza e allora si risvegliava priva di forze, spossata e scossa da tremiti e conati, nel buio della cella con solo Luna Lovegood a scostarle i capelli incollati alla fronte imperlata di sudore.
Ben sembrava essere sparito.
Se lui fosse stato lì non avrebbe mai permesso che le facessero del male.
Ne sei sicura? Sembrava chiedere una vocina nella mente di Diana.
No, non ne era più sicura.


Dopo l’ultimo attacco di Bellatrix che la lasciò senza fiato e riversa con la testa ciondolante, ma stranamente cosciente, la sentì dire:
- Non funziona - conosceva ormai a memoria la vocetta infantile e lamentosa della strega.
- Dobbiamo provare ancora - sbottò Daniel Harvey cocciuto - deve funzionare!
- Forse non funziona perchè dobbiamo provare qualcosa di nuovo! Un incentivo… - Diana mise a fuoco a fatica il profilo di Bellatrix, la bacchetta all’angolo delle labbra, mentre la fissava pensierosa per poi aprirsi in un sorriso sadico aggiungendo - Scommetto che se ci fosse qui uno di quei due suoi amichetti rossi potremmo ottenere qualche risultato...
In un riflesso incondizionato, Diana aveva rialzato la testa e sgranato gli occhi con orrore. 
L’idea che potessero fare a Fred, George o chiunque altro quello che stavano facendo a lei le fece artigliare il bracciolo di legno della sedia con le unghie già spezzate e sanguinanti, come faceva ogni volta che si aspettava un nuovo attacco di Bellatrix.
Il pensiero di Fred che si contorceva per il dolore sotto lo sguardo di suo padre e Bellatrix, le fece raddrizzare con fierezza la schiena in una posizione che sperava incutesse timore.
- Avanti! Perchè non provi ancora? - sibilò a fatica con la lingua gonfia dai morsi che si era procurata per sopportare il dolore - sono pronta.
Poteva sopportare altra sofferenza, se questo poteva risparmiarla a Fred.
Che cos’era solo un’altra fitta di dolore?
E poi un’altra e un’altra ancora…
Bellatrix rimase immobile a fissarla, la bacchetta abbassata.
- E’ tutto qui quello che sai fare? - gridò Diana per provocare l’ira della donna e distrarla da quella perversa idea.
Bellatrix sorrise grottescamente e poi si rivolse a Codaliscia, che, come sempre, era in piedi accanto alla porta - Manda qualcuno a cercare i due Weasley e specifica che li voglio vivi.
Codaliscia annuì e sparì in un sonoro schiocco.
- No - mormorò Diana con il capo chinato a guardarsi le caviglie nude lacerate dalle catene - no..no...
- Oh, ma non sei felice di rivederli? - squittì eccitata Bellatrix - ci divertiremo tutti insieme! 


Ogni giorno che passava senza che Fred, George o qualcun altro di sua conoscenza venisse fatto prigioniero per Diana era una vittoria.
Anche se ogni giorno significava altra sofferenza per lei.
Da quanto tempo era prigioniera?
Non sembrava più fare così freddo nel sotterraneo.
Quel giorno Bellatrix era stata chiamata ad assolvere ad altri incarichi durante una delle loro intense sedute e aveva fatto scortare Olivander, che spesso era obbligato a frequentare il laboratorio, in cella. Diana era rimasta sola con il padre.
- Perchè? - aveva sbottato Diana contorcendosi dolorante sulla scomoda sedia.
Daniel Harvey aveva sollevato lo sguardo e si era avvicinato alla figlia con aria grave: - Tesoro, ricordati che tutta questa sofferenza te la stai causando da sola! Credi che mi faccia piacere vederti così?
Diana sorrise amaramente con una smorfia, a causa del labbro gonfio e spaccato che pulsava dal dolore a causa di un nuovo sfogo del suo carceriere : - Beh, vedendo l’impegno che ci metti, direi di si...
Daniel scosse la testa come quando da bambina doveva insegnarle a non sporgersi troppo oltre la ringhiera del balcone e rispose: - Ho voluto questo potere da tutta la vita e ora...ce l’hai tu! Non ti sembra tremendamente ingiusto? Voglio liberarti da questo peso! So che è troppo per te da sopportare!
Diana, il capo inclinato per scrutare con attenzione il volto del padre e per soppesare le sue parole, disse: - Non ho mai detto che non lo riesco a sopportare...
- Certo che no - rispose in tono accondiscendente Daniel passandosi una mano tra i capelli - sei orgogliosa e testarda e non lo ammetteresti mai! Non ci vorrà molto prima che tu faccia del male a coloro che ti stanno intorno - si leccò le labbra pensieroso e proseguì: - Non ci vorrà molto prima che, volendo o non volendo, tu faccia del male a Fred...
Diana lo fulminò con lo sguardo e poi, maledicendosi per essersi lasciata scappare una reazione, mise su l’espressione più indifferente che potè.
- O forse è già successo... - ipotizzò Daniel Harvey con il ghigno di chi aveva centrato il bersaglio.
- Quello che succede tra me e Fred non ti riguarda - le parole le uscirono veloci, come il getto di veleno sputato dalle fauci di una vipera.
- Pensaci, Piccola D - riattaccò Daniel con voce suadente ignorando le domande di Diana - potresti essere una ragazza normale che non deve aver paura di uccidere il proprio ragazzo dopo una litigata e io potrei portare sulle mie spalle questo peso per aiutare il Signore Oscuro.
- Perchè? - domandò nuovamente Diana - perchè senti tanto il bisogno di aiutarlo? Da quello che mi hanno detto lui non esiterebbe un secondo a schiacciarti come una mosca! Non abbiamo magia dentro di noi. Quelli come noi, per lui sono solo esseri inferiori.
- Lui ha bisogno di me per vincere la sua battaglia - sentenziò Daniel Harvey raddrizzando le spalle come se dovesse tenere in equilibrio sulla testa una pesante corona.
- Ha bisogno di te? - Diana si lasciò sfuggire una risata amara che le estorse un gemito di dolore - e te lo ha detto lui?
- No - rispose Daniel con espressione furente - ma ho stipulato un accordo! Lui sapeva già della leggenda! Mi è bastato mettermi in contatto con alcuni suoi stretti…collaboratori per fargli sapere che potevo entrare in possesso del Blackhole! Greyback mi ha aiutato a consegnarglielo e ora non posso deluderlo!
- Perchè hai... fatto quello che hai fatto a mamma? - Diana aveva deciso di cambiare argomento dato che il padre era più convinto che mai di dover aiutare Lord Voldemort.
L’uomo parve rabbuiarsi e appoggiò i palmi delle mani sulla superficie lignea del tavolo dicendo:
 - Non ho mai voluto farle del male. Io la amavo. Volevo solo assorbire una piccola parte della sua magia. Quindi le ho regalato l’orologio - lo sfilò dal gancio appeso al soffitti e lo mostrò a Diana - Benjamin, quell’idiota, ha provato a mettersi in mezzo e a farmi cambiare idea, ma sotto sotto era anche lui curioso di scoprire se avessi ragione. 
Daniel Harvey aggirò il tavolo e si sedette su di esso lasciando penzolare le gambe nel vuoto, in un’abitudine che Diana si accorse di aver ereditato da lui e, istantaneamente, si ripromise di non sedersi mai più sopra ad un tavolo.
- Quando tua madre ha iniziato a stare male io davvero non ho pensato che fosse il Blackhole il problema. Abbiamo fatto decine di visite dai migliori medici del paese, ma nessuno riusciva a spiegarsi il suo malessere. Quando Benjamin mi ha esposto i suoi sospetti, non gli ho creduto. Pensavo fosse solo un subdolo tentativo di togliermi il Blackhole. 
Diana deglutì a vuoto, mentre a disagio si muoveva ancora incatenata alla sedia. Istintivamente, aveva irrigidito le gambe fino a sentire le catene tendersi e affondarle dolorosamente nella carne già martoriata; il sangue caldo aveva iniziato a colarle lungo la caviglia destra.
- E quando ho cominciato a valutare che forse Ben aveva ragione, era troppo tardi. - fece una pausa carica di quella che sembrava nostalgia - Tua madre se ne è andata e mi sono sentito un verme. Ho cercato di rimediare. Ero sconvolto e ho cercato di distruggere quell’orologio, ma non ci sono riuscito!
Si passò una mano tra i capelli.
- Non me lo aspettavo! Io non volevo farti del male…
Diana inclinò la testa di lato per decifrare le parole del padre.
- Cosa? Di che cosa stai parlando?
- Quel bagliore è esploso dal Blackhole - sospirò Daniel - e ti ha colpito. Io sono rimasto ferito e Benjamin è arrivato appena dopo pensando che io ti avessi fatto del male…
Le parole di Daniel Harvey rimbombarono nella mente di Diana in un’eco lontana e metallica portando con sè scene sconnesse tenute insieme dal ricordo di qualche sogno e di una terrificante visione dei Dissenatori.
Le mani insanguinate.
L’esplosione di luce.
Tutto assumeva un senso.
Ma allora perchè lei non ricordava nulla?
Daniel parve rispondere a quell’implicita domanda dicendo: - Hai battuto la testa e hai perso i sensi per un po’…forse è per quello che non hai mai ricordato nulla di quell’episodio…
Padre e figlia si stavano ancora studiando in silenzio, quando dal piano superiore si udì un rimbombo di passi e voci concitate.
Era la prima volta che accadeva.
Le urla e gli schiamazzi non facevano che aumentare di volume e attirarono anche l’attenzione di suo padre, che adocchiò con un rapido movimento il soffitto.
- Che succede? - chiese Diana preoccupata, lo sguardo che si alternava tra il padre e il soffitto ammuffito.
Daniel scrollò le spalle e con un ghigno sarcastico ipotizzò: - Magari hanno trovato Fred e suo fratello…
Istintivamente, Diana percepì il proprio viso deformarsi in un ringhio rabbioso, mentre le catene tra le sue caviglie tornavano a tendersi affondando nella carne.
Il sangue caldo prese a sgorgare in un bruciore intenso.
La guardia dai capelli scuri e la cicatrice sulla guancia si materializzò nella stanza con uno schiocco.
- Devo riportarla in cella, Harvey! E anche tu devi tornare nella tua stanza! - l’uomo sembrava agitato mentre si guardava intorno ansioso di raggiungere il piano di sopra - Arrivano nuovi...prigionieri.
Con un colpo di bacchetta, liberò polsi e caviglie della ragazza così improvvisamente che Diana trasalì nel sentire il sangue tornare a scorrere normalmente nelle estremità ormai intorpidite.
Altri prigionieri?
Quasi le mancò la terra sotto i piedi mentre si alzava e la attraversava il pensiero che potessero essere davvero Fred e George. 
Esalò un respiro cercando di calmarsi, mentre il nuovo carceriere la conduceva lungo il corridoio e poi verso la loro cella.

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Ehilà!
Eccomi con un nuovo capitolo di angoscia e sofferenza XD
Anche questo capitolo è stato un po' uno scoglio da superare e spero di aver fatto quadrare tutto e che quasi tutti i tasselli stiano andando al proprio posto, ma questo sarete voi a dirmelo! 
Spero di riuscire a pubblicare i prossimi capitoli con un po' più di rapidità dato che sono riuscita a portarmi avanti, ma non prometto nulla perchè ogni volta che dico così succede puntualmente qualche sfiga XD
A presto e grazie per chi continua a seguire questa storia!
Se vi va, fatemi sapere che ne pensate :)
  
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