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Autore: NyxTNeko    30/05/2023    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Capitolo 150 - Terribile è l'ira e difficile a calmarsi -

23 maggio

'Joséphine, dal 28 (17 maggio) nessuna lettera tua! Ricevo un corriere partito il 27 (16 maggio) da Parigi, e nessuna risposta, nessuna notizia della mia buona amica! M'ha forse dimenticato? O ignora che non esiste maggior tormento del non ricevere lettere dal proprio dolce amor?' Quel prolungato silenzio da parte della sua amata moglie era l'unica nota dolente di quelle giornate di trionfo che si era goduto a pieno, seppur a modo suo. 'Qui è stata data una festa in mio onore; cinque o seicento persone graziose ed eleganti cercavano di compiacermi, ma nessuna ti assomigliava; nessuna aveva quell'aspetto dolce e melodioso che si è così bene inciso nel mio cuore'.

Non era la prima volta che alcune dame facoltose e dell'alta società milanese, tra queste Visconti, Ruga e Lamberti, avevano ricoperto di lodi e complimenti Bonaparte: succedeva ogni qualvolta fosse stato organizzato un banchetto dedicato o durante qualsiasi altra manifestazione in cui Napoleone era presente. Parevano non poco insistenti, al generale non era sfuggito la rivalità che era sorta tra loro, le occhiate maligne che si scambiavano, perché soltanto una di loro voleva e doveva avere il privilegio di sedurlo e conquistarlo, per poi vantarsene con fierezza. Non vi era sincero amore, né autentico rispetto in quegli incontri.

'Vedevo soltanto solo te, pensavo soltanto a te, ciò mi rendeva ogni cosa insopportabile e, mezz'ora dopo aver fatto il mio ingresso, me ne sono andato tristemente a dormire, dicendo a me stesso: "Quell'angolo vuoto è il posto della mia adorabile mogliettina"'. Aveva sempre amato la solitudine, sin da bambino non l'aveva mai disdegnata come fedele compagna, la quale riempiva le sue intense giornate di studio e di maturazione, specialmente all'accademia. In quegli anni la sua vena solitaria si era acuita e si era convinto che la propria natura non sarebbe cambiata, nemmeno se si fosse innamorato, un giorno: quanto era lontano dalla verità!

Quella lontananza gli faceva riflettere su quanto potesse essere vana la gloria senza la propria donna, con la quale poterla condividere, quanto potesse essere freddo e duro un letto a due piazze occupato da una sola persona. La mente era rivolta alla guerra, il cuore, invece, lo era verso Josèphine e il bambino che stava aspettando, sangue del suo sangue 'Vieni? Come va la tua gravidanza? O mia bella amica, abbi molta cura di te; sii allegra, fa' spesso del moto, non accorarti per nulla; non inquietarti per il viaggio; procedi a brevissime tappe'.

Il corso era sempre stato impacciato e timido nel relazionarsi con il gentil sesso, pur essendone attratto, soltanto con Josèphine aveva cominciato ad aprirsi e sentirsi più sicuro nell'approccio. Eppure quando vedeva quelle dame avvicinarsi, l'antica introversione si faceva strada e lo bloccava, non sapeva ancora bene come comportarsi, di cosa parlare. I salotti restavano un incubo per Bonaparte quando non vi erano argomenti culturali, militari e politici di cui discutere.

Nonostante fosse più giovane della moglie di ben sei anni, era un uomo, spettava a lui il compito di proteggerla, di preoccuparsi della sua salute, così come di ogni aspetto della sua vita. Com'era già accaduto anni addietro con Desirée e con altre fidanzate che aveva avuto in passato, pur avendo ricevuto parecchie delusioni dalle donne, continuava a comportarsi in maniera amorevole e protettivo nei loro riguardi. 'Mi immagino continuamente di vederti con la tua panciotta: dev'essere affascinante. Ma quel dannato mal di stomaco, ce l'hai ancora?... Addio, mia bella amica, pensa qualche volta a colui che ti pensa senza tregua'.

Terminò con la consueta firma e la fece spedire, nel mentre si preparava per mettersi in viaggio e riprendere il proprio dovere; aveva aspettato anche troppo, il sole era sorto da un bel po' di tempo, come al suo solito aveva dormito poche ore, gli erano sufficienti per riacquistare completamente le energie. Non poteva più perdere tempo, aveva vissuto anche troppo la cosiddetta "vita mondana", secondo il suo parere e aveva, saggiamente, atteso che iniziasse il giorno per incamminarsi. Non aveva idea di cosa il destino avesse in serbo per lui e la sua armata...

Lodi

Non appena il Capo di Stato Maggiore Berthier vide la carrozza del comandante fermarsi poco distante dalla tenda, sbiancò e ingoiò la saliva "Come posso riferirgli tutto questo?" si diceva facendosi forza; doveva mostrarsi impeccabile, nonostante le pessime notizie. Non era quel tipo di persona che andava subito nel panico, persino nelle situazioni più complicate, tuttavia immaginava già che tipo di reazione avrebbe avuto il comandante. A differenza sua, Bonaparte aveva un carattere focoso, per non dire esplosivo, ormai lo conosceva bene da poterlo affermare con certezza.

Riconobbe immediatamente quel passo, quel ritmo cadenzato e deciso, sempre più nitido e vicino, Berthier doveva ammettere a sé stesso che gli era mancato, anche se erano passati solamente otto giorni. Si alzò in piedi e attese l'arrivo del generale in capo, circondato dai suoi aiutanti di campo, Napoleone era determinato come al suo solito, non vi era stanchezza nella sua espressione, mentre il suo seguito mostrava più indolenza, ma si sforzava di non rivelarla.

- Generale Berthier! - emise Bonaparte non appena lo intravide - Buongiorno, spero di non avervi fatto lavorare molto durante la mia assenza - aggiunse e si avvicinò, con le braccia dietro la schiena. Era contento di rivederlo.

- Comandante - rispose immediatamente Berthier mettendosi in posizione, dopodiché si inchinò e aggiunse - Buongiorno a voi, quanto alle vostre preoccupazioni, non dovete temere per la mia salute, sono da sempre abituato al lavoro e all'impegno, questo dovreste saperlo ormai... - si rimise seduto. Aveva evitato di rivelare troppo, sapeva, però, che gli avrebbe chiesto il resoconto di quelle giornate lontane dal campo, era questione di secondi.

- Mi fa piacere sentire questo da parte vostra, generale Berthier - affermò con sincero rispetto, guardando la scrivania. Quel sottoposto riusciva ad essere metodico e preciso in ogni occasione, la quantità di scartoffie non lo spaventava, e i documenti erano posti su pile ordinate, il numero gli fece pensare che anche il capo di Stato Maggiore aveva lavorato sodo - Piuttosto noto che non vi siete concesso un attimo di riposo...

Berthier comprese subito a cosa stesse alludendo il suo superiore "Come avevo intuito, è arrivato il momento, spero soltanto che non reagisca in maniera eccessiva, ma la vedo dura" pensava restando sempre controllato - So che avreste voluto ricevere delle buone notizie, comandante... - cominciò l'uomo, trattenendo un sospiro.

Napoleone lo fissò istintivamente, come se non avesse sentito bene quanto gli aveva appena riferito - Che intendete dire? - gli domandò impallidito. Quasi non voleva crederci, gli sembrava uno scherzo, però Berthier non era quel genere di persona che amava burlarsi di lui, specialmente quando si trattava di lavoro.

- Ciò che avete sentito comandante, con mio profondo rammarico - confermò Berthier alzandosi in piedi, prese alcuni documenti e lo informò - Sono le ultime notizie di rivolte e sollevazioni giunte a me, fresche di giornata, puntuali e aggiornate, generale - non poté che tirare un profondo respiro - Mi sono state consegnate da poco, soprattutto quelle che riguardano Pavia e Milano!

- Milano? - sobbalzò un pallido Napoleone - Ma... ma l'ho appena... lasciata? C-com'è possibile? - strappò dalle mani del suo sottoposto e lesse rapidamente quei rapporti. Non vi erano zone della Lombardia, in cui aveva posto dei presidi militari, dove non ci fossero state o continuavano ad esserci sommosse anti-francesi. Si accorse di tremare.

Non sfuggì neppure ai suoi aiutanti di campo e a Berthier, si guardarono ingoiando la saliva, Bonaparte non stava tremando per la paura, ma per la rabbia: era questione di istanti il suo proverbiale scoppio d'ira. Un'ombra scese sul quel volto scavato, le sottili e delicate mani, dopo aver poggiato quei fogli, strinsero il frustino che aveva dimenticato di lasciare sulla scrivania. Furono Marmont e Murat, che era tornato da poco dalla Francia, ad essere scossi dal timore stavolta: gli occhi incavati del giovane corso, fino a quel momento celati dall'oscurità, presero a fiammeggiare, ad emettere dei veri e propri lampi.

Le narici si allargarono e sembrava quasi che del fumo stesse uscendo, al pari di un toro nell'arena, istigato dal torero che gli sventolava il panno rosso. Le labbra si piegarono in un ghigno furente, mostrando i bianchi denti che digrignavano e schioccavano. In quei momenti di furia cieca, Napoleone perdeva letteralmente il controllo e la ragione. Cominciò a lanciare bestemmie ed insulti in tutte le lingue che conosceva, verso chiunque gli venisse in mente. Il frustino roteava e colpiva senza posa i malcapitati che gli capitavano davanti.

Quest'ultimi resistevano, con fatica, rimanevano stupefatti da quel vulcano di forza che riusciva a sprigionare in quegli istanti - Quei bastardi! Come hanno osato fare questo?! - Gridava, ma in realtà sapeva benissimo quali fossero i motivi di tali reazioni: i furti, i saccheggi e le taglie che l'esercito francese imponeva alle popolazioni delle città che presidiavano, contravvenendo ai suoi ordini categorici. Non risparmiavano nemmeno le cassette delle elemosine e le autorità locali ne avevano approfittato per aizzare la gente comune contro l'invasore. Oltre a ciò bisognava aggiungere le innovazioni repentine che non erano gradite alla popolazione, le consideravano inutili e amorali, fatte per e da chi era lontano da Dio e dalla Santa Madre Chiesa.

Berthier lo vide poggiare le mani sulla scrivania e respirare affannato, stava riacquistando la lucidità mentale, aveva gli occhi spalancati ed era spettinato. Napoleone sollevò lentamente il viso verso di loro e solo allora si accorse del caos che aveva creato. "Bonaparte è simile a quelle tempeste che si scatenano d'estate, dopo un lungo periodo di caldo asfissiante, scaricano una grande quantità di acqua in poco tempo, per poi placarsi" pensò il capo di Stato Maggiore.

Napoleone cadde sulla sedia esausto, si massaggiò le tempie per allontanare l'ultima traccia di rabbia che aveva in corpo: ma poteva illudersi quanto voleva, dopo una simile sfuriata era quasi impossibile eliminarla del tutto dal suo cuore "È parte di me questa ira funesta" Si fece portare dell'acqua e si sentì decisamente meglio "Sono stato troppo indulgente e tollerante con questi popoli d'Italia" rifletteva silenziosamente "È vero i miei uomini hanno esagerato e li punirò come meritano, ma non posso permettere che vengano maltrattati da certi popolani, istigati dalle autorità locali, simili ribellioni potrebbero far pensare loro che io sia debole, che non abbia polso" corrugò leggermente la fronte "Ebbene dimostrerò che hanno completamente frainteso le mie intenzioni".

Riacquistato l'autocontrollo, decise che era il momento di usare le maniere forti, di ristabilire l'ordine sia tra le città presidiate, sia tra i propri ranghi. Il soggiorno di Milano e l'interesse per la politica lo avevano preso talmente tanto, da aver quasi dimenticato dei problemi che caratterizzavano la sua armata, da sempre.

Scattò in piedi, si sentiva rinvigorito dalla fermezza che brillava negli occhi. Tutti i presenti nella tenda si misero sull'attenti, intuirono che avrebbero dato loro degli ordini precisi: il Bonaparte che conoscevano era tornato in sé - Generale Berthier! - tuonò puntandogli il dito - Avrete il controllo del grosso dell'esercito e con esso marcerete verso Brescia! - poi si rivolse a Marmont e a Murat - Voi due verrete con me, torneremo a Milano - e continuò ad elencare i vari ufficiali e i compiti che avrebbero dovuto eseguire alla perfezione - Non dovrete mostrare alcuna pietà! Sono stato chiaro? Queste popolazioni devono capire che con l'Armata d'Italia non si scherza!

Contemporaneamente fece spedire un corpo punitivo a Pavia guidato dal colonnello Lannes, i cui abitanti si erano ribellati per alcune misure prese dai giacobini locali, sostenuti dai francesi e fortemente contestate dal popolo e soprattutto dalla Chiesa. Molti preti erano tra le file anti-rivoluzionarie, a fomentare soprattutto le menti più vulnerabili e superstiziose. Una situazione quasi analoga a quella vandeana.

Berthier, intanto, recuperò il suo destriero, vi era salito sopra e si era messo subito in viaggio, voleva impedire un'altra sfuriata del comandante. Aveva la sua fiducia, forse era uno dei pochi di cui Bonaparte si fidava ciecamente, per questo non voleva deluderlo. "Probabilmente mi sta mandando in quella città perché vuole tenermi alla larga da tutta la violenza che si scatenerà" Da quando lo aveva visto all'attacco sul ponte di Lodi, infatti, Napoleone si era preoccupato per la sua incolumità, Berthier era un individuo estremamente prezioso.

Nel frattempo Luigi raggiunse il fratello e scorse il nervosismo latente che in molti scambiavano per calma e dominio di sé. "Napoleone è tutto fuorché calmo in questo momento, lo conosco bene, è molto teso, una simile situazione non se la aspettava di certo" si avvicinò con cautela al comandante "E quando reagisce in questo modo, mio fratello diventa implacabile, inesorabile, niente e nessuno è in grado di fermare il suo intento e la sua vendetta".

Milano, 24 maggio

- Generale Despinoy, li abbiamo finalmente rintracciati! - gridò un assistente di campo, nel mentre lo raggiungeva correndo - Quei due farabutti si stavano nascondendo presso una taverna poco distante dalla lite scoppiata qualche ora fa!

- Non potevate essere più chiaro di così, ragazzo - emise Despinoy sorridendo - Avranno ciò che si meritano quei delinquenti! Gli ordini del comandante Bonaparte sono stati categorici: fucilazione immediata per quanti sono colti in flagrante con le armi in mano! - strinse la briglia al ricordo di alcuni suoi uomini feriti da alcuni milanesi. Doveva vendicarli, era un disonore per l'esercito francese. Per fortuna la città era tornata subito tranquilla e la situazione era nuovamente sotto controllo.

- Ogni trasgressione alla quiete pubblica vi sarà addebitato! - emise Napoleone, battendo il pugno sul tavolo, non appena aveva ottenuto le notizie dalle zone tra Pavia e Alessandria. Stabolistosi nuovamente a palazzo Serbelloni, aveva convocato le autorità di Milano, tra questi l'arcivescovo Filippo Maria Visconti, anche se era avverso alle idee rivoluzionarie, era comunque un esponente della città che esercitava una forte influenza sul popolino ed era dotato di un grande carisma - Eccellenza! - gli si rivolse poi, fissandolo rapace - Voi vi recherete immediatamente a Pavia a convincere i cittadini e i vostri colleghi ad arrendersi!

L'arcivescovo, spaventato a morte, non poté fare altro che obbedire. Aveva avuto la prova di cosa fosse capace quel ragazzo, se punzecchiato più del dovuto: poteva essere più terribile degli austriaci, con i quali era stato a contatto per parecchi anni. Non aveva alcuna possibilità di potersi opporre ai francesi. La giovane età di Bonaparte, i suoi lineamenti delicati, il suo fisico malatticcio mascheravano la maturità precoce che aveva acquisito attraverso la dura legge della guerra e, soprattutto, dalla vita.

Binasco, 24-25 maggio

- Ancora quei cani dei francesi! - sbraitò un contadino nel sentire in lontananza un rumore di cavalli e di armi - Non hanno capito con chi hanno a che fare! Gliela faremo vedere noi! - e corse a chiamare mezzo paese, farlo armare e dare così una lezione, oltre che una grande batosta, a quegli invasori che osavano attraversare il loro paese senza alcuna autorizzazione. La fama dei francesi era più che nota, soprattutto nei loro riguardi, più volte, in passato, erano stati attaccati e distrutti dagli Oltralpe. Per questo non si fidavano, né volevano saperne di loro.

- La situazione sembra tranquillizza comandante - riferì Murat accostandosi a Bonaparte - Almeno da queste parti...

- Voi dite? - fece sarcastico Napoleone - A quanto pare non avete ben capito dove ci troviamo - e allungò il braccio verso un piccolo borgo con qualche casupola, sormontato da un castello decisamente imponente - Quella è Binasco, il nome vi dice qualcosa? - Murat negò, con la mente era ancora a Parigi, gli mancava quel clima rilassato e di svago della capitale francese - In quel paesino alcuni dei nostri soldati sono stati uccisi a sangue freddo dalla popolazione locale...

Non riuscì a finire la frase che si ritrovarono davanti un migliaio di contadini armati di fucili, di forconi e di torce, intenzionati a riservare loro lo stesso trattamento che avevano ricevuto gli altri soldati. Cominciarono a minacciarli, a gridare di andarsene nella loro lingua locale, ma i binaschini avevano fatto male i loro conti. Invece di confonderli, intimorirli ottennero l'effetto opposto: i francesi su ordine di Bonaparte, dopo aver ingaggiato un piccolo scontro, cominciarono a sparare sulla folla che non accennava a piegarsi con le buone, ne uccisero un centinaio. Furono i villani ad andare nel panico, a disperdersi e a correre all'impazzata.

- Che sia data alle fiamme - imperò freddamente il comandante, senza un attimo di esitazione. Aveva già pensato di dare tale ordine se ci fosse stata l'occasione, che, purtroppo, aveva previsto. Sarebbero stati loro a ricevere una lezione che non avrebbero dimenticato mai. Al pari degli Achei che, usciti dal Cavallo di legno, si riversarono nella città di Troia per bruciarla e saccheggiarla, i francesi replicarono quelle tremende azioni. Grida di terrore, pianti disperati si diffusero per parecchie miglia e risuonarono alle orecchie del giovane comandante corso che osservava quelle fiamme e quel fumo scuro, soffocante, in silenzio, non avrebbe mai voluto ricorrere a tali misure.

Ricordava quando a Tolone aveva criticato, in cuor suo, il Direttorio per la brutalità con cui aveva represso i ribelli e il godimento che aveva provato nel compiere quella nefandezza; Napoleone, al contrario, non ne era affatto contento. La violenza fine a sé stessa era deleteria, portava pochissimi risultati, per la maggior parte a breve termine. Al tempo stesso, però, era convinto che le punizioni rapide e certe fossero decisamente più efficaci e benefiche della repressione estesa e prolungata. In parte poteva capire quella sofferenza che aveva provocato in quella gente, lo avrebbero temuto ma anche odiato, maledetto in eterno, di questo ne era sicuro "Ma questa è la guerra e inoltre io sono responsabile dei miei uomini, nel bene e nel male, se non vendicassi le loro morti, non mi obbedirebbero più, in quanto incapace di essere il loro capo".

Allontanatosi dal desolante spettacolo, prima di riprendere il cammino per Pavia, dettò un proclama che avrebbe fatto diffondere per tutta la Lombardia: 'Coloro che entro 24 ore non avranno deposto le armi saranno trattati da ribelli; i loro villaggi saranno bruciati. Che l'esempio di Binasco faccia loro aprire gli occhi'. "Questo è il mio ultimatum che concedo, se nemmeno così si convinceranno, non sarò io di certo il crudele e spietato generale straniero che vuole opprimere il popolo e distruggere centri abitati..." Forse per liberare un po' il peso che gli gravava sul petto e per ricevere un po' di comprensione da qualcuno, si mise a scrivere il resoconto della vicenda a Berthier. Dopodiché si sarebbe incamminato verso il Pavese, indossando nuovamente la maschera dell'insensibile e brutale generale Napoleone Bonaparte.
 

 

   
 
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