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Autore: Bibliotecaria    03/06/2023    0 recensioni
In un mondo circondato da gas velenosi che impediscono la vita, c’è una landa risparmiata, in cui vivono diciassette razze sovrannaturali. Ma non vi è armonia, né una reale giustizia. È un mondo profondamente ingiusto e malgrado gli innumerevoli tentativi per migliorarlo a troppe persone tale situazione fa comodo perché qualcosa muti effettivamente.
Il 22 novembre 2022 della terza Era sarebbe stato un giorno privo di ogni rilevanza se non fosse stato il primo piccolo passo verso gli eventi storici più sconvolgenti del secolo e alla nascita di una delle figure chiavi per questo. Tuttavia nessuno si attenderebbe che una ragazzina irriverente, in cui l’amore e l’odio convivono, incapace di controllare la prorpia rabbia possa essere mai importante.
Tuttavia, prima di diventare quel che oggi è, ci sono degli errori fondamentali da compire, dei nuovi compagni di viaggio da conoscere, molte realtà da svelare, eventi Storici a cui assistere e conoscere il vero gusto del dolore e del odio. Poiché questa è la storia della vita di Diana Ribelle Dalla Fonte, se eroe nazionale o pericolosa ed instabile criminale sta’ a voi scegliere.
Genere: Angst, Azione, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate
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Note dell’autrice: Ragazzi vi avviso che nei prossimi due mesi probabilmente non aggiornerò, sono sotto sessione di esami e temo, anzi, so, che avrò poco tempo ed energia per scrivere. Già adesso sono riuscita a sistemare solo qualche pagina, pubblicando comunque in ritardo. Forse ad agosto riesco a pubblicare qualcosa, ma non ne sono sicura. Nel peggiore dei casi ci vediamo a settembre :)
A presto Bibliotecaria
 
 
 
 
12. Gli Antichi 
(Parte 1)
 
 
 
 
 
Diana (Dalla Fonte), 30 settembre 2024
 
 
 
 
Ci vollero altre due settimane per raggiungere la foresta a Nord.
Arrivammo al confine l’ultimo giorno di settembre.
Era così diversa dalle foreste a cui ero stata abituata a vedere durante la fanciullezza. E il sentimento era condiviso a tal punto che, tutti noi, in principio, provammo un profondo senso di disorientamento dovuto agli animali a noi alieni che popolavano la zona. Vi era una quantità immane di scimmie alate, unicorni e pegasi che incrociavano il nostro cammino, ma, fortunatamente, nessuna di queste bestie si rivelò particolarmente aggressiva o desiderosa di mangiarci.
Continuando a salire a Nord il clima divenne più simile a quello dei Fiumi solo molto più umido e la foresta iniziò a riempirsi di sequoie e altre latifoglie da frutti.
Di notte la vita della foresta era spaventosa poiché non avevamo idea di cosa celasse il buio, eppure preferivo il costante rumoreggiare delle bestie, all’inquietante silenzio del deserto.
 
 
Il decimo giorno di ottobre raggiungemmo uno dei grandi fiumi dell’Est e lì potemmo vedere la prima forma di vita umanoide dopo settimane.
Si trattava di un gruppo variopinto di pescatori che in un primo istante fui certa che si trattasse di ninfe, data la colorazione verde tenue della pelle, poi però, a mano a mano che ci avvicinavamo, compresi che si trattava di tritoni e sirene: vedere delle sottili pinne variopinte sul capo, al posto dei capelli fu un indizio abbastanza cruciale.
E quando mi degnai di ricordarmi che eravamo nella grande pianura dell’Est lo trovai sensato dato che diverse popolazioni di tritoni avevano assunto tale pigmento per i millenni passati nell’acqua profonde acque di quel fiume e dei laghi della zona, o almeno questa è la teoria sviluppata dagli storici e dai biologi che avevo imparato a scuola.
Quando ci videro potei percepire che non c’erano solo loro nella zona: c’era qualcun altro che ci stava tenendo sotto tiro e ne ebbi la conferma quando notai una figura maschile celata trai rami degli alberi e se ce n’era una sicuramente ce n’erano altre.
A quanto pareva eravamo arrivati.
 
 
“Siete giunti fin qui, dunque.” Disse il tritone più anziano sistemandosi quell’insieme intricato di minuscole e lunghe pinne decorative che avevano sostituito i capelli in tritoni e sirene millenni fa.
Ne approfittai per osservarli meglio: a parte i tratti e la colorazione leggermente diversa dai tritoni che avevo visto e conosciuto fino ad ora, questi non avevano nulla di speciale. Avevo sentito dire che i tritoni anticamente usavano tatuarsi, tradizione che era stata abolita durante il 1200 della Terza Era e poi totalmente perduta negli echi del tempo, quindi, mi aspettavo qualche tatuaggio anche solo semi-nascosto dai vestiti, invece non vidi nulla. Parevano solo un gruppo di pescatori come tanti.
“Sì, tutti vivi, tutti sani e tutti salvi. Gli Dei hanno espresso il loro volere.” Rispose Denin.
A sentire quelle parole mi venne istintivo portare la mano al ciondolo di mia nonna e non potei fare a meno di pensare a quello che avrebbe detto lei. Era sempre stata una fervente credente e, essendo originaria dell’arcipelago a Nord, aveva ereditato l’avversità verso la venerazione degli Astri e l’aberrazione per chiunque parlasse di volontà divina. Caratteristica che avevo ereditato da lei. Probabilmente in quel momento il suo fantasma stava maledicendo i presenti o qualcosa di simile. E io mi sarei trovata perfettamente d’accordo con lei.
“A quanto pare.” Mi limitai a borbottare a mezza voce per non iniziare una filippica su quanto l’idea di volontà divina fosse blasfema. Così li seguii e ci dirigemmo verso Est, parecchio a est.
 
 
 
Il tragitto verso la Città Delle Macerie fu di appena tre giorni, ma divenne imperterrito a causa della pioggia battente. E durante quei pochi giorni potei capire chi ci stesse seguendo tra le ombre: avevo identificato sette persone, ed ero quasi del tutto certa che quattro fossero elfi e tre fossero ninfe. Ma non riuscii a comprendere che armi possedessero se non alla sera del secondo giorno.  
 
Fu mentre ci stavamo radunando attorno al falò che riuscii finalmente a distinguere con chiarezza un membro della nostra scorta silente. Un elfo si accorse che lo avevo visto, sebbene fosse nascosto tra le fronde di un cespuglio in penombra, e dovette intuire che stavo controllando se fossero armati. Questi, in un gesto di orgoglio o beffa, allungò la mano nella mia direzione mostrandomi l’arco in suo possesso, lui voleva che lo vedessi perché lo aveva messo in una posizione tale per cui la luce del sole tramontante lo colpisse. Non riuscivo a vedere tutto con chiarezza a causa delle fronde ma riuscii a comprendere che c’era qualcosa di strano in quel arco, c’era una sensazione strana nella mia mente, come se un ricordo lontano stesse riaffiorando, come se avessi la certezza di quel che mi trovavo d’innanzi, ma non ne conoscessi il nome. Come un antico ricordo sepolto dal tempo.
 
“Accettano che entriamo nella loro città ma non sembrano amichevoli.” Constatai a mezza voce con Tehor che in quel momento era seduto accanto a me e aveva lanciato un’occhiata in quella direzione. “Tuttavia non li biasimo, se fossi al loro posto non mi fiderei neppure io.”
“Condivido il pensiero.” Ammise Tehor aguzzando la vista per cercare di capire cosa stessi osservando e come notò l’elfo distinsi con chiarezza il sorriso beffardo nella faccia della sentinella.
“Lo vidi?” Domandai senza distogliere lo sguardo dalla guardia silente. Tehor sussurrò una risposta affermativa. “Il suo arco… è strani, ma hanno un ché di familiare.” Sussurrai dopo qualche istante che continuavo a fissare l’uomo tra le ombre.
“Sì, credo di aver visto qualcosa di simile una volta in un libro. Ma non ricordo quale.” Mi spiegò Tehor. “Forse si rifanno al regno elfico della seconda Era, o all’impero di Cassel. In fondo qui un tempo sorgeva quest’ultimo, no?” Tehor non mi rispose, era chiaramente assorto e lo capivo.
 
 
Probabilmente sulla terra in cui stavamo camminando un tempo sorgeva qualche antica città dell’impero di Cassel, il più grande impero della storia e il regno più influente della prima Era, la sua caduta era stata così importante da determinare la fine di un’Era durata quattro millenni di cui adesso restavano solo antichi monumenti in qualche città dell’Est e la foresta di Cassel. E la stragrande maggioranza dei territori su cui l’impero un tempo sorgeva erano andati perduti, divorati dalla foresta che aveva scacciato gli umanoidi popolo dopo popolo.
Secondo il mito la foresta si era formata durante l’ultima grande guerra civile durante la quale migliaia di ninfe, che all’epoca erano la razza con in mano il governo dell’impero, si erano sacrificate per trasformare la fazione nemica di elfi in piante e nel farlo loro stessi erano divenuti piante definitivamente.
Gli storici, invece, sostenevano che la guerra era stata così sanguinaria da aver spinto un intero popolo ad abbandonare quelle terre e che, quando la guerra era finita, non era rimasto nulla da costruire e che l’arrivo di bestie pericolose come minotauri e chimere dal Sud, e mannari e orsi giganti da Nord, rendendo quella foresta una terra troppo pericolosa in cui vivere stabilmente.
Questo, unito all’alone di mistero della foresta, aveva portato i popoli ad abbandonare l’idea di stabilirsi lì.
Adesso sono abbastanza certa che la verità si trovi nel mezzo.
 
 
 
Il giorno seguente, sotto una pioggia battente d’un temporale che proclamava la fine dell’estate, ci trovammo d’innanzi uno spettacolo sorprendente: antiche mura perfettamente conservate e un immenso portone in pietra sorvegliato da gargoil sui torrioni.
Immobili, come s’i fosse statue
Fu impossibile non ripensare al passaggio dell’Aurelio di Vermiglio, importantissimo poeta della Prima Era, in cui descriveva i gargoil della mitologica città di Damasto.
   
 
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