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Autore: MaryFangirl    06/06/2023    0 recensioni
Camilo è un barista part time al Café Madrigal, un piccolo locale che ha perso quasi tutto, tranne i suoi più leali clienti, a causa di uno Starbucks aperto vicino.
Un giorno arriva Bruno, un uomo misterioso che diventa un nuovo cliente abituale.
(Coffee Shop Au – Bruno/Camilo – NO incest)
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Altri, Bruno Madrigal, Camilo Madrigal
Note: Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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Questa è una fanfiction tradotta dall’inglese, potete trovare i dettagli dell’originale qui sotto.
 
Titolo originale: Café Madrigal
Link storia originale: https://archiveofourown.org/works/36966538/chapters/92228380
Link autore: https://archiveofourown.org/users/too_much_pressure_for_a_username/pseuds/too_much_pressure_for_a_username
 
 
Ho apprezzato molto questa storia, nella sua semplicità e tenerezza. Come segnalato dal rating verde, non c’è nessun contenuto esplicito né controverso, ma devo dire che è raro trovare qualcosa di dolce e piacevole senza bisogno di trame complicate o scene piccanti.
 
La storia è una AU e nessuno dei Madrigal è imparentato con gli altri (tranne Pepa e Antonio, ma sono marginali). Per questo motivo non è presente l’avvertimento ‘incest’. Adoro comunque questa coppia anche in un universo parallelo!
 
Buona lettura
 
 
 
 
-Fanculo a Starbucks-.
 
Il pensiero attraversa la mente di Camilo, non per la prima volta, mentre la terza ora del suo turno volge al termine. Tre ore lunghe, noiose, senza clienti.
 
Onestamente, anche prima che il nuovo Starbucks aprisse dall’altro lato della strada, il Café Madrigal non era mai stato il tipo di locale che attirava la folla. Con la sua facciata esterna semplice e un’umile insegna di legno, sfugge facilmente allo sguardo di chiunque non lo stia cercando appositamente.
 
Camilo sospetta che non sia un caso: spietata quando si tratta dell’arte di preparare caffè e arepa, la signora Madrigal non si è mai prestata a tattiche di marketing rumorose.
 
“Serviamo buon cibo, ottime bevande e con il sorriso” dice spesso con tono deciso, “è questo che la gente ricorda”
 
Camilo non discute con lei, è una nonna single che ha cresciuto una famiglia con un budget ridotto mentre avviava un’attività in proprio, e lui è solo un barista part time che cerca di non abbandonare gli studi (inoltre, lei lo intimorisce un po’). Ma quando nota la folla che si ammassa davanti alle porte di Starbucks, e i granelli di polveri indisturbati che fluttuano nell’aria vuota del Café Madrigal, avverte la frustrazione formarsi come un pugno chiuso nelle viscere.
 
Non ha senso, per lui. Il locale non è granché dall’esterno, ma all’interno le pareti risplendono di tenui sfumature di giallo, rosa e verde, con morbide poltrone color pastello; finestre e tavoli sono adornati da fresche composizioni di garofani e rose che la signora Madrigal annaffia con zelo ogni mattina. Ogni angolo e fessura è decorato con fantasie geometriche intricate, cestini werregue e altri ninnoli realizzati a mano. Gli odori misti di caffè e pasticcini riempiono l’aria di un aroma a dir poco meraviglioso.
 
La sera, i pigri raggi del sole lasciano il posto alla luce lattiginosa della luna e tutto diventa più morbido, più misterioso, i petali dei fiori sembrano traslucidi e vaporosi, il collo d’argento delle caffettiere brilla stranamente, come se il negozio diventasse...non infestato, ma incantato.
 
Okay, a volte Camilo si lascia trasportare. Ma nonostante ciò, sa che il Café Madrigal è speciale. Merita più di pochi clienti abituali e qualche strano turista una volta ogni tanto.
 
Il pomeriggio si trascina, quindi tira fuori il telefono e inizia il suo rituale settimanale di odio, scorrendo dozzine di recensioni su Yelp in merito a ‘l’atmosfera straordinariamente acocgliente’ del nuovo Starbucks. -Quale atmosfera?-, si chiede incredulo. È uno Starbucks: ha la stessa dannata atmosfera di qualunque altro dei milioni di Starbucks esistenti.
 
Il suono di un campanello appeso alla porta lo fa rianimare. “Benvenuo al Café Madrigal, come posso...oh” si sgonfia, “sei solo tu”
 
Mirabel gli sorride, imperturbabile. “Devi darti da fare con l’accoglienza dei clienti” dice con la solita allegria.
 
“Più che altro, dovrebbero esserci, i clienti” brontola Camilo, iniziando a preparare il suo ordine. “Cappuccino al caramello ghiacciato da asporto, con latte di mandorla e cannella?”
 
“Mi conosci, Cami” annuisce lei con un occhiolino, “sono la prima cliente di oggi?”
 
“Sì. So che è più affollato al mattino, ma io non ci sono mai. La signora Madrigal esce a mezzogiorno e Julieta passa solo per portare i pasticcini, quindi difficilmente parlo con un altro essere umano”
 
“Forse non hanno voglia di vederti” scherza Mirabel, scusandosi immediatamente come sempre al minimo accenno di cattiveria. “Scusa. Sono sicura che le cose cambieranno. Luisa e Mariano vengono ancora, giusto? C’è Pepa e Isabela – sempre se vuoi considerarla umana, e non una perfetta principessa delle fate”
 
“Sei tu che l’hai portata qui, ricordi? Fallo di nuovo, Mira, porta qui i tuoi amici e nemici, dacci dei clienti. Sei il nostro portafortuna, l’ha detto la signora Madrigal”
 
Un’altra persona – una migliore – si sarebbe vergognata di usare Mirabel come esca per clienti, ma Camilo è annoiato e disperato. E poi a cosa servono gli amici del cuore?
 
“Cercherò di attirare più vittime al mio ritorno” promette lei, pagando il suo ordine, “ora devo scappare. Nel frattempo, vi trasmetto tutte le mie vibrazioni positive nella speranza che portino altri clienti”
 
“Potresti portare subito i clienti e pensare dopo alle vibrazioni?” esclama Camilo, ma lei è già andata via. La ragazza è veloce, a volte sembra che vada in giro su pattini a rotelle invisibili.
 
Le vibrazioni di Mirabel non devono essere così inutili come credeva, però, perché dopo pochi minuti il campanello suona di nuovo e la porta del locale si apre per la seconda volta nel pomeriggio.
 
L’uomo che entra è piuttosto basso e trasandato, con una massa di capelli neri e un’espressione stranamente nervosa; ricorda a Camilo uno che sa di aver fatto qualcosa di sbagliato e aspetta di essere punito. A giudicare dai suoi vestiti – stivali logori e una camicia molto stropicciata sotto un ampio cappotto verde scuro – o è un professore universitario o un senzatetto. Per l’ultimo caso, la politica del locale dice che Camilo dovrebbe allontanarlo, ma se ne frega; ci sono sempre un sacco di avanzi alla fine della giornata, e ha visto la stessa signora Madrigal distribuirli ai mendicanti in più di un’occasione.
 
Meglio non fare supposizioni, comunque. Camilo finisce di pulire un tavolo e si sposta dietro il bancone, cercando di non sembrare troppo entusiasta davanti a un vero cliente in carne e ossa.
 
“Buon pomeriggio, benvenuto al Café Madrigal” sfoggia il suo miglior sorriso da servizio clienti, “cossa posso prepararti?”
 
L’uomo sobbalza, come avesse ricevuto una scossa elettrica. I suoi occhi guizzano dal menu al Camilo, poi al pavimento, poi di nuovo su Camilo per un istante e ancora sul pavimento.
 
“Uh, ciao, sì” le sue dita giocherellano con la cinghia della borsa a tracolla, “un caffè, per favore”
 
“Certo” Camilo indica il menu. “Abbiamo cappuccini, mocaccini, al caramello...”
 
“Solo un caffè nero, per favore” dice l’uomo. I suoi occhi rimangono incollati al suolo, di tanto in tanto guizzano in modo non necessariamente sospetto, ma neanche tanto normale. Sembra che si aspetti che qualcosa gli si avvicini di soppiatto.
 
Camilo si accorge che non sta soltanto armeggiando con la tracolla della borsa; vi sta affondando le unghie, un po’ rotte e irregolari, con abbastanza forza da lasciare graffi bianchi.
 
L’uomo è chiaramente e profondamente a disagio e non è dell’umore giusto per un’interazione sociale prolungata con uno sconosciuto. Camilo decide di attenersi al minimo indispensabile. “Un dollaro e venti, grazie. Lo vuoi qui o da portare via?”
 
Le spalle dell’uomo si sgonfiano visibilmente un po’ prima di rispondere, con un accenno di sconfitta nella voce. “Qui, per favore”
 
Strana scelta per uno che sembra sul punto di scappare ancora prima di ricevere il suo ordine, riflette Camilo. Il cliente alza appena lo sguardo mentre fruga nel portafogli, pagando il caffè e lasciando una mancia piuttosto consistente. Camilo non è nemmeno sicuro di aver visto quanti soldi gli ha dato, ma non intende lamentarsi.
 
“Il tuo ordine è in arrivo, accomodati dove vuoi” gli dice e l’uomo si dirige subito verso la sedia più vicina.
 
Invece di rilassarsi un minimo, rimane seduto dritto come un bastone, proprio all’orlo della sedia. È strano vedere un tipo così trasandato e spettinato con una postura tanto rigida; la signora Madrigal ne sarebbe orgogliosa. La borsa a tracolla in grembo lo fa apparire un ragazzino nervoso il primo giorno di scuola, anche se l’uomo deve chiaramente avere più di trent’anni.
 
Non guarda Camilo quando gli porta il caffè – non guarda niente, tranne una crepa nel tavolo che sembra focalizzare tutta la sua attenzione.
 
Poi, con aria terrorizzata, afferra la tazza bollente con entrambe le mani e inizia a bere come un forsennato.
 
Per qualche istante, Camilo non riesce a distogliere lo sguardo, in parte impressionato e in parte allarmato. Il caffè dev’essere incandescente. Si costringe a smettere di fissarlo, ma continua a lanciargli occhiate furtive, sentendosi un po’ abbattuto. Gli piace pensare di essere abbastanza bravo nel suo lavoro, e il suo compito è di portare i clienti a sentirsi i benvenuti nel locale, non degli ostaggi.
 
-Amico, se sei così infelice, vattene e basta-, pensa, guardando l’uomo con il cappotto verde che deglutisce un altro sorso di caffè bruciante, come se qualcuno lo tenesse sotto tiro.
 
Sussulta persino al caldo lancinante e si ferma per riprendere fiato, gli occhi grandi e allucinati come avesse appena finito uno sprint. Non ha ancora alzato gli occhi dal tavolo, nemmeno per ammirare i fiori o i disegni sulle pareti. Camilo vorrebbe che lo facesse: forse inizierebbe a rilassarsi un po’ se si rendesse conto di essersi imbattuto in un posto che sembra uscito da una fiaba.
 
Ma il relax chiaramente non è previsto nei piani: il tizio sembra così rigido che l’aria intorno a lui si ferma, come se anche il locale stesse trattenendo il fiato. Camilo è quasi sollevato quando finisce la sua bevanda, si alza di scatto, come se qualcuno gli avesse acceso un petardo sotto il sedere, e corre immediatamente verso la porta.
 
Poco prima di aprirla, i suoi occhi incontrano quelli di Camilo per un fugace momento: sono verdi, tondi e dall’aspetto incredibilmente morbido, nonostante le borse scure sotto di essi.
 
“Grazie per il caffè” dice, con voce un po’ roca, probabilmente per la gola bruciata. “Ciao!”
 
Il campanello suona sopra la porta, e lui è sparito.
 
Camilo strabuzza gli occhi. Dal momento in cui l’uomo è entrato a quando se n’è andato, saranno passati al massimo dieci minuti. Sicuramente è il tempo più breve che un cliente abbia trascorso al Café, tranne per gli ordini take away. Perché si è seduto, poi, se si è limitato a inalare della lava contenente caffeina, con un’aria terribilmente miserabile?
 
Oh beh. Camilo alza le spalle. Il tizio avrà avuto le sue ragioni; e, strambo o meno, ha lasciato una buona mancia. Probabilmente non tornerà, considerato quanto sembrava a disagio. Ma, Camilo pensa, se lo facesse, non sarebbe la cosa peggiore del mondo.
  
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